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KARALIS – IL LUOGO DEI COLLI BIANCHI – ED IL NUOVO CODICE
URBANI
(Il nuovo Codice Urbani nella recente esperienza applicativa Sarda)
Manuela Gagliega
La straordinarietà, quantitativa e qualitativa, del patrimonio culturale di cui dispone l’Italia spiega come, già a partire dal 1800, il legislatore italiano, anche se a singhiozzo e conformemente alla mutevole e contingente sensibilità verso la materia, sia intervenuto per definire i principi, gli istituti generali e l’assetto istituzionale relativo alla amministrazione dei beni culturali e ambientali.
Il rinnovato entusiasmo recentemente manifestato anche in ambito europeo,
unitamente alle esigenze di adeguamento della disciplina conseguenti alla
riforma costituzionale italiana del 2001, hanno prodotto il D.lgs 22.1.2004 n.
42 (così come successivamente modificato ed integrato dai D.Lgs n. 156 e n. 157
del 24.3.2006) - meglio noto come Codice Urbani - che rivaluta e riorganizza
l’intera materia secondo criteri di organicità, sistematicità e completezza.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio sembra ispirato ad una filosofia
nuova: l’accresciuta, generalizzata, sensibilità verso la tutela mira alla
realizzazione concreta della funzione propria dei beni culturali e ambientali,
ossia l’elevazione spirituale dell’uomo e il progresso della civiltà. Le
esperienze passate, probabilmente, hanno chiarito che ciò è possibile solo a
condizione che la tutela e la valorizzazione siano effettive, efficaci e capaci
di garantire una protezione attiva e diffusa dei beni. Obbiettivo, quest’ultimo,
che il Codice tenta di perseguire predisponendo un sistema di garanzie che, col
supporto di un articolato impianto sanzionatorio, impegna soggetti istituzionali
(Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenze, Regioni, Enti
pubblici territoriali) e privati (proprietari, possessori, detentori dei beni e
associazioni portatrici di interessi diffusi). Detto coinvolgimento si esplica
attraverso la previsione di divieti, doveri, diritti, poteri e facoltà
individuali1 e di forme di partecipazione,
intesa, coordinamento, cooperazione e sostituzione2.
Ma è nella applicazione pratica dei suoi principi, che spesso ha evidenziato
vistose contraddizioni, che si può cogliere appieno la portata innovativa del
Codice rispetto alla disciplina previdente.
L’esperienza Sarda, tutt’ora in corso, ne costituisce un esempio lampante.
Karalis - Cagliari – deve il suo nome alla conformazione collinare del suo
paesaggio urbano. In pieno centro cittadino è situato il Colle di
Tuvixeddu-Tuvumannu, che occupa una superficie di circa 48 ettari ed ha il
privilegio di custodire (nel versante sud occidentale) la più grande necropoli
punico-romana del Mediterraneo: centinaia di sepolture scavate nella roccia,
impreziosite da decorazioni ed arricchite da corredi funerari, disseminate in
uno spazio di circa 10 ettari, è ciò che rimane dopo l’attività di cava e le
devastazioni edilizie incontrollate degli anni ’70.
Ebbene, i recenti esperimenti di tutela di quest’area, di eccezionale valore
storico-paesaggistico, evidenziano molto bene i mutamenti di prospettiva e la
conseguente diversa incisività degli interventi pre e post codicistici.
Complice la travagliata esperienza Sarda in tema di pianificazione territoriale
paesistica, il vincolo paesaggistico imposto nel 19973,
si è rivelato incapace di conferire all’area una adeguata tutela. Tant’è che
l’Accordo di Programma sottoscritto qualche anno dopo dalla Regione Autonoma
della Sardegna e dal Comune di Cagliari4(attuale
proprietario della porzione di area sulla quale insiste il realizzando Parco),
al fine di concordare le modalità di programmazione, esecuzione e coordinamento
delle rispettive competenze nell’ambito di un vasto progetto di riqualificazione
ambientale e urbana dell’intera zona, interveniva su luoghi il cui aspetto
originario era già fortemente compromesso. Oltre alla realizzazione di un Parco
archeologico-naturalistico denominato “Karalis”, l’Accordo prevedeva
l’esecuzione di una serie di iniziative immobiliari, rientranti nell’ambito del
Piano Integrato d’Area – P.I.A.5, a sua
volta recepito integralmente dal Piano Urbanistico Comunale di Cagliari del
2004, con la conseguente sottomissione a vincolo archeologico diretto di solo 20
dei 48 ettari costituenti estensione totale dell’area. Sulla restante porzione
insisteva il progetto di sviluppo edilizio e stradale che, essendo ritenuto
compatibile e fattibile, otteneva il nulla osta paesaggistico6.
L’entrata in vigore del Codice Urbani (risalente al 1.5.2004) si è abbattuta
furiosamente sulla esasperante lentezza degli iter amministrativi necessari alla
emanazione dei provvedimenti miranti alla salvaguardia e sulle scelte di tutela
approssimativa dei relativi beni. Così, dopo essere stato consegnato ad anni di
abbandono e degrado, il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu ha improvvisamente
acquisito una posizione centrale nell’ampio dibattito sulla nuova concezione di
tutela culturale e ambientale. Le problematiche intorno alle quali si incentra
la disputa sono tante quanti sono i soggetti coinvolti e i relativi interessi
contrapposti, e sono tanto più accese quanto più l’inversione di rotta, rispetto
al vecchio sistema di protezione, si è dimostrata repentina ed intransigente.
In particolare il Codice7 si è rivelato
sia uno strumento utilissimo per rafforzare gli obbiettivi di tutela del
patrimonio culturale che una occasione imperdibile per adottare il tanto sperato
Piano Paesaggistico Regionale8 che,
classificando il Colle di Tuvixeddu-Tuvumannu quale bene paesaggistico di
interesse storico culturale, è stato solo il primo di una lunga serie di
interventi ispirati al Codice Urbani.
Infatti, sulla scorta di questa disciplina, il vincolo è stato rafforzato
imponendo la misura cautelare della inibizione o sospensione dei lavori,
comunque riferibili alle opere (pubbliche e/o private) intraprese sull’area di
Tuvixeddu, in quanto ritenuti idonei a recare pregiudizio all’area tutelata9.
Al fine di superare l’efficacia interinale del provvedimento, la neonata
Commissione regionale per il paesaggio10,
ha proposto la dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 140 e la
ripartizione dell’area in quattro zone con decrescente intensità di tutela.
L’attività della Commissione è, poi, confluita nell’intervento diretto della
Regione da esplicarsi essenzialmente nella rimodulazione del P.I.A., la cui
approvazione è stata equiparata a dichiarazione di pubblica utilità ai sensi
dell’art. 98 del Codice11.
Questi fatti esprimono l’aspetto più determinato, quasi “intransigente”, della
filosofia di tutela fatta propria dal Codice applicata al caso concreto, di cui
è un chiaro segnale anche l’iniziativa Regionale volta all’attivazione delle
procedure di esproprio (ex art. 96) per causa di pubblica utilità e per fini
strumentali, di edifici ed aree limitrofe ai beni ed alle aree oggetto di
tutela, al fine di “…assicurare luce e prospettiva…” nonché “…garantire o
accrescere il decoro o il godimento da parte del pubblico e facilitarne
l’accesso”. Dal punto di vista pratico questa prolifica attività deliberativa si
è tradotta in una stratificazione di vincoli che, ancora oggi, convivono sopra
la stessa area: un vincolo di natura storico-culturale, uno (più esteso) di
natura paesaggistica ed il terzo di conservazione integrale12.
A tutti questi interventi, complessivamente valutati in vista dell’importante
risultato che si propongono di perseguire, non si può se non riconoscere il
valore della grande conquista, tuttavia è necessario essere coscienti del fatto
che i frutti di questi sforzi (anche in termini di effettivo godimento dei beni
da parte della collettività) si potranno cogliere (ad essere ottimisti) non
prima del medio-lungo periodo. Infatti, lungaggini burocratiche a parte, rimane
il fatto che porsi l’obbiettivo di tutelare e valorizzare il patrimonio
culturale secondo uno spirito che non ha precedenti, potrebbe non bastare o
addirittura produrre conseguenze dannose, se il regime rivoluzionario che ne
scaturisce è destinato ad operare in un contesto – in termini di struttura
organizzativa e sociale - non adeguatamente, preventivamente e gradualmente
preparato ad accogliere i rinnovati principi. Ciò vale, a maggior ragione, se si
vuole introdurre un regime che, rispetto al precedente, appare rivoluzionario.
L’esperienza che qui si sta analizzando, offre diversi spunti di riflessione
anche sotto questo ulteriore profilo.
Si è visto che gli interventi protettivi sul patrimonio di Tuvixeddu, seppure
tardivi nella prospettiva di evitare i danni (passati e presenti) oramai subiti
dall’area, rivelano la chiara intenzione di avviare l’adeguamento tempestivo al
Codice Urbani, il che rende auspicabile sia il recupero (nei limiti del
possibile) dei beni già danneggiati sia, soprattutto, l’assunzione di scelte che
(almeno per il futuro) possano scongiurare nuovi eventi dannosi.
In termini generali (anche se non è certamente questa la sede per approfondire
la questione) è utile ricordare, in proposito, che l’impianto sanzionatorio
predisposto dal Codice Urbani (che in gran parte raccoglie l’eredità della L.
1089/1939, successivamente trasfusa nel D.lgs. 490/1999), contempla una notevole
varietà di comportamenti illeciti in quanto dannosi e/o pericolosi per il
patrimonio culturale, rilevanti dal punto di vista penale e amministrativo13.
Per entrare nello specifico della realtà che si sta analizzando (e senza
presunzione di fornire un quadro completo di tutti gli effetti patologici,
scaturiti o scaturibili) sin d’ora sembra potersi affermare con certezza che il
danno derivato dalla modifica irreversibile dell’assetto morfologico–ambientale
e storico-culturale dei luoghi, causato dagli interventi già intrapresi sulla
zona a vario titolo è, praticamente, inestimabile. Stesso discorso vale per il
danno da mancata fruibilità collettiva delle bellezze dell’area, causato
dapprima dall’abbandono e dal disinteresse e, successivamente, da un interesse
soffocante che, in definitiva, ha determinato il blocco degli interventi di
completamento del parco archeologico.
Dal lato opposto, ma sempre nella prospettiva di una battaglia in cui tutti
abbiamo perso qualcosa, lo stravolgimento dei principi che, sino all’era Urbani,
avevano caratterizzato le scelte di convivenza tra interessi legati allo
sviluppo urbano e interessi di tutela ambientale e culturale, non poteva se non
scatenare una forte reazione da parte di chi, nel pregresso sistema, aveva
maturato delle aspettative, tanto più se legittime, degli interessi o peggio
acquisito dei diritti e intrapreso degli investimenti. L’importanza dei danni,
di natura eminentemente patrimoniale, che ne scaturiscono è tale che sarebbe
inverosimile aspettarsi un sacrificio silenzioso, anche se in gioco vi è la
tutela di un bene costituzionalmente protetto.
L’esperienza Sarda (che sicuramente non è l’unica) sembrerebbe mostrare come i
buoni propositi contenuti nel Codice Urbani, non solo possono essere vanificati
dalla carenza di un idoneo supporto organizzativo, ma addirittura possono
rivelarsi controproducenti se imposti senza la preventiva, adeguata ricognizione
(obiettiva e realistica) delle caratteristiche che distinguono il contesto
ambientale e sociale destinato ad accoglierli che, spesso, deve confrontarsi con
la difficoltà di percepire il patrimonio culturale come un bene comune, come
plusvalore per la collettività che lo detiene.
Cagliari, 21 maggio 2007
Manuela Gagliega
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1 Quali, ad esempio, il divieto di distruzione, danneggiamento e di uso incompatibile con la funzione culturale di cui all’art. 20; il divieto di uscita definitiva dei beni dal territorio della Repubblica, di cui all’art. 65; il divieto di alienazione di beni culturali demaniali, di cui all’art. 54; gli obblighi conservativi ed il relativo diritto alla erogazione di contributi, di cui agli artt. 29-37 e 146-152; la facoltà di proporre ricorsi amministrativi, di cui agli artt. 16 e 146.
2 In proposito significativi appaiono gli artt. 5 e
6, relativi al patrimonio culturale nel suo complesso, gli artt. 132 e 135,
143-145, specificamente dedicati alla tutela e pianificazione paesaggistica e
l’art. 141 relativo alla procedura per la dichiarazione di notevole interesse
pubblico.
3 Il provvedimento venne adottato dalla Commissione
provinciale per la tutela delle bellezze naturali ai sensi della L. 1497/1939.
4 L’Accordo, siglato ex art. 27 L. 142/1990, come
modificato dalla L. 127/1997, ora confluito nell’art. 34 D.Lgs. 267/2000, è
stato sottoscritto il 3.10.2000.
5. Ossia del programma di cofinanziamento pubblico –
Regione, Provincia, Comune – e privato, adottato con L. Reg. n. 14/1996 e succ.
mod. e int..
6. Il relativo provvedimento è stato adottato ex art.
12 L. 1497/1939, con determinazione del 27.5.1999 del Direttore Generale
dell’Assessorato Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e
Sport.
7. Precisamente si tratta degli artt. 143 comma 3 e
156 del D.lgs. 42/2004.
8. Il Piano Paesaggistico della Regione Sardegna,
elaborato sulla base dell’intesa stipulata tra Ministero per i beni e le
attività culturali, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
Regione Autonoma della Sardegna, è stato effettivamente adottato il 5/9/2006
secondo le procedure previste dalla L. Reg. 8/2004 (di recente assolta dalle
accuse di illegittimità costituzionale con sentenza n. 51 del 6.2.06).
9. Il provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 150,
comma 1, lett. a) e comma 3, del D.Lgs. 42/04, dal Direttore del Servizio beni
culturali dell’Assessorato Pubblica istruzione consente l’esecuzione dei soli
lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria ex art. 3 DPR 380/2001
10. La Commissione è stata istituita con delibera
della Giunta Regionale Sarda del dicembre del 2006, ai sensi dell’art. 137 del
Codice. Insediatasi ai primi del gennaio 2007, il suo primo compito su specifica
richiesta della Regione formulata ai sensi dell’art. 138 del Codice, è stato
quello di attivare l’istruttoria avente ad oggetto la tutela del colle di
Tuvixeddu.
11. Detta revisione, dapprima programmata, come
attività da svolgersi d’intesa con il Comune nella deliberazione n. 5/23 del
7.2.2007, è stata, successivamente, avocata completamente a sé dalla Regione.
12. I vincoli sono stati, rispettivamente, imposti
ai sensi e per gli effetti dell’ art. 10 e ss. D.lgs 42/2004, dell’art. 142,
comma I, lett. m) D.lgs. 42/2004 e della L. Regionale Sarda n. 23/1993.
13. Agli illeciti di tipo penale contemplati dal
Codice fanno riferimento gli artt. 169-180, quanto alla tutela dei beni
culturali e l’art. 181 per i beni paesaggistici. Accanto ad essi sopravvivono le
fattispecie criminose previste e sanzionate dal Codice Penale, in particolare
l’art. 733 c.p. relativo al danneggiamento del patrimonio storico-artistico
nazionale, l’art. 635 comma 2 n. 3 c.p. in tema di danneggiamento comune
aggravato e l’art. 639 c.p. in tema di deturpamento ed imbrattamento aggravato.
Gli artt. 160-166, per i beni culturali e 167-168 per i beni paesaggistici
considerano, invece, illeciti di tipo amministrativo.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 22/05/2007