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Ricorso del Governo contro la Legge sulla riduzione delle emissioni della Regione Lombardia

 

LEONARDO SALVEMINI(*)

 

 

Lo Stato sbaglia, la legge lombarda sulla riduzione delle emissioni non può essere valutata semplicemente alla stregue delle fredde congetture giuridiche così come sono state evidenziate nel ricorso proposto in Corte costituzionale.


Il Governo è chiamato ad una ulteriore valutazione definibile quasi di “fiducia istituzionale “ riconducibile pur sempre al principio di “leale collaborazione” che deve prescindere dalle semplici valutazioni di competenza quasi “ortolana”


Non si può, in altri termini, evidenziare soltanto quella o questa apparente violazione di principi costituzionali in una materia , la tutela dell’ambiente ripetutamente definita della stessa Corte Costituzionale, in maniera quasi ossessiva a partire dalla sentenza 407/2002, valore .


La citata sentenza in un passaggio importante la Corte afferma che “ In questo senso l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).


Non solo, continua la Corte “ gli stesi lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato.


Si tratta, in definitiva, non delle orami quasi “noiose” impugnative per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni a seguito della riforma del titolo V della costituzione e soprattutto della “infelice” invenzione delle “materie concorrenti” art. 117 co III,( la tutela della salute e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali sono tra queste) ma di una “quaestio“ ambientale che riguarda tutti, l’ambiente in primis e la tutela della salute poi, senza, ahimè, alcuna esenzione o riduzione in virtù dell’appartenenza a questo o quel partito o questa o quella coalizione di governo.


Bene ha fatto quindi la Regione Lombardia, con coraggio istituzionale a lanciare un grido di allarme con la prima legge ( lr 24/2006) organica e seria, in materia di riduzione di emissioni in atmosfera, che dovrebbe, al contrario della impugnativa, essere presa a modello per tutte le regioni che vivono il grave problema della riduzione delle emissioni, ovvero tutte.


Appena il caso di evidenziare come la legge regionale tragga origine da un preciso adempimento comunitario.


Infatti, si legge all’art. 1 comma 1 che “ la presente legge detta le norme per ridurre le emissioni in atmosfera e per migliorare la qualità dell’aria ai fini della protezione della salute e dell’ambiente, in attuazione della direttiva quadro 96/62/CE del Consiglio del 27 settembre 1996 (Valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente), nonché delle direttive derivate 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 (Valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo), 2000/69/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 novembre 2000 (Valori limite per il benzene ed il monossido di carbonio nell'aria ambiente) e 2002/3/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2002 (Ozono nell’aria), in applicazione delle norme statali di recepimento e prendendo a riferimento il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).


In ordine al ricorso governativo, alcune brevi considerazioni.
I motivi del ricorso in Corte reperibili sul sito www.affariregionali.it , sembrano trovare ragione soltanto nell’ultimo punto, laddove rileva come la legge regionale disponga di organi statali in relazione all’attività sanzionatoria ( implicitamente: senza alcuna intesa) ( art. 27 comma 18), mentre sul primo motivo di impugnativa ( art. 13 e 22) relativamente alla limitazione alla circolazione dei veicoli sul territorio regionale, ritengo che le ragioni della Regione possano trovare degna e forte difesa attingendo a piene mani dalle innumerevoli pronunce della Corte Costituzionale.


Ma anche in ordine all’unico, apparente, punto debole, lo stesso potrebbe trovare degna soluzione laddove venisse interpretato alla luce del principio giurisprudenziale della “leale collaborazione” tra istituzioni.


È indubbio che il Codice della strada disponga, in relazione alle limitazioni alla circolazione, una serie di competenze in capo a enti pubblici territoriali quali il Comune, la Provincia e la Regione, oltre che lo Stato.


A conferma si riportano alcune recenti pronunce come ad esempio TAR Piemonte Torino sez. I nella sentenza del 01 febbraio 2006 , n. 706 (Soc. T.C. c. Com. Gavi Foro amm. TAR 2006, 2 451) ha affermato che “ È illegittima l'ordinanza del sindaco che impone limitazioni al transito dei veicoli pesanti in un tratto di strada che, pur attraversando il centro urbano, è di proprietà della provincia, in assenza del parere di quest'ultima, richiesto dagli art. 6 e 7 d.lg. n. 285 del 1992, che costituiscono la fonte della funzione esercitata (essendo il potere di ordinanza extra ordinem escluso dall'esistenza nell'ordinamento di ordinari mezzi di intervento).”


Nello stesso verso la Corte di Cassazione civile , sez. I, 29 aprile 2005 , n. 8939 (Luiso c. Com. Lucca Giust. civ. Mass. 2005, 6) ha affermato che “ In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, l'art. 7, comma 1, secondo il quale nei centri abitati i comuni possono con ordinanza del sindaco limitare la circolazione di tutte o di alcune categorie di veicoli per accertate e motivate esigenze di prevenzione dagli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale (lettera b), consente (lettera a, in forza del richiamo al precedente art. 6, comma 4) all'ente proprietario della strada di stabilire con ordinanza "obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali della strada", obblighi e limitazioni tra i quali agevolmente si colloca il dovere di esporre il permesso (nella specie, imposto dal regolamento del Comune di Lucca), strumentale alla disciplina della circolazione, che, in quanto limitata, impegna chi ne sia autorizzato a consentire il controllo anche in sua assenza (nel caso in esame il ricorrente deduceva di essere stato autorizzato a sostare nell'area pedonale, lamentando l'illegittimità del regolamento comunale, secondo il quale la mancata esposizione del permesso equivale alla sua assenza). “
Ma ciò che a chi scrive sembra importante riportare è quanto la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 66 del gennaio 2005, abbia riconosciuto “ al legislatore la possibilità di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione, sicché le censurate limitazioni sono giustificate in funzione di altri interessi pubblici egualmente meritevoli di tutela


Ora, è indubbio che mai prima d’ora si sia legiferato, a livello regionale, in tale materia ( circolazione stradale ) riconosciuta in capo allo Stato ( art. 98 comma 1 lett. i) dlgs 112/98) , ma ciò non vuol dire che una legge regionale in tale materia debba, a priori, dirsi “ fuori dall’ordinamento costituzionale”


In conclusione, lo stato dovrebbe, a giudizio di chi scrive, raggiungere una intesa, anche a posteriori, con la Regione Lombardia, in ordine ai punti ritenuti “ dolenti” in ragione del principio della leale collaborazione e fiducia.


Non vorrei che il legislatore regionale ponesse mano al rimedio legislativo per eliminare le “censure statali” di cui al ricorso, limitando, ad esempio, la propria “ influenza” soltanto sulle strade ed autostrade regionali.


La Regione, a contrario, potrebbe sostenere, ad alta voce, in sede di difesa dinnanzi il Giudice delle Leggi, la urgenza e la necessità ( inquinamento atomosferico - necessita di interventi coordinati per quelle regioni maggiormente esposte, e la Lombardia lo è) delle disposizioni regionali impugnate in un contesto costituzionale decisamente mutato, soprattutto grazie alla lungimirante giurisprudenza della Corte stessa.


Infine, è doveroso segnalare, a rafforzare la difesa della legge regionale impugnata in Corte, come la legge nazionale del 6 febbraio 2007, n.13, contenente disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' Europee - legge comunitaria 2006, al capo III sui principi fondamentali della legislazione concorrente, in particolare l’art. 8. (individuazione di princìpi fondamentali in particolari materie di competenza concorrente) affermi al comma 2 lett. c) la “ possibilità per le regioni e le province autonome di introdurre, nell'ambito degli atti di recepimento di norme comunitarie incidenti sulla tutela della salute e per i singoli settori di intervento interessati, limiti e prescrizioni più severi di quelli fissati dallo Stato, con contestuale salvaguardia degli obiettivi di protezione della salute perseguiti dalla legislazione statale”.
 


(*) Leonardo.salvemini@giuripol.unimi.it

    Università Statale di Milano
 



Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 02/03/2007

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