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Sull’inammissibilità, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dell’impugnativa proposta da alcuni cittadini iscritti nelle liste elettorali, contro i provvedimenti governativi di assegnazione del numero dei seggi per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato e di convocazione dei comizi per l’elezione delle Camere.
Nota a Consiglio di Stato, sentenza n. 1053 del 13 marzo 2008.
FRANCESCO NAVARO *
E’ inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo,
l’impugnativa proposta da alcuni cittadini iscritti nelle liste elettorali,
contro i provvedimenti governativi di assegnazione del numero dei seggi per
l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato e di convocazione dei comizi
per l’elezione delle Camere.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1053, depositata il
13 marzo 2008.
I giudici amministrativi non si discostano dall’orientamento espresso dal Tar in
primo grado che ha dichiarato inammissibile l’impugnativa in questione per
difetto di giurisdizione, poichè l’ordinamento costituzionale attribuisce alle
Camere la risoluzione delle questioni relative alla elezione dei propri
componenti (vd. art. 66 costituzione); è la c.d “autodichia” che si estende
all’accertamento della legittimità di tutte le operazioni elettorali anche se
svoltesi prima dello svolgimento della competizione elettorale.
Ad avviso del giudice di appello, gli atti impugnati erroneamente sono stati
qualificati dai ricorrenti come aventi natura “amministrativa”; in realtà,
invece, sono da qualificarsi come “atti politici” sia sotto il profilo
soggettivo (poiché emanati da organi di governo preposti all’indirizzo ed alla
direzione al massimo livello delle attività pubbliche), sia sotto il profilo
soggettivo (in quanto attinenti a scelte di specifico rilevo costituzionale e
politico relative al funzionamento in modo organico e coordinato dei pubblici
poteri e delle istituzioni dello Stato), come evidenziato dalla giurisprudenza
(cfr. CdS 360/2002; 1397/2001).
Secondo i giudici amministrativi il fatto poi che le censure dei ricorrenti
siano dirette a contestare le previste modalità di espressione e di valutazione
del voto del corpo elettorale (designazione dei candidati ad opera dei partiti;
esclusione del voto di preferenza per i diversi candidati e previsione di un
premio di maggioranza che potrebbe risultare sproporzionato rispetto ai voti
conseguiti) rimarca la pregnanza politica delle doglianze fatte valere, ma non
configura la violazione di un diritto fondamentale del singolo cittadino, quale
il diritto di voto o di un interesse legittimo da tutelare davanti al g.a..
In pratica, conclude il Consiglio di Stato, i ricorrenti lamentano
esclusivamente scelte discrezionali del legislatore intese a configurare un
procedimento elettivo con il quale, pur affidandosi ai partiti politici un
potere esclusivo in ordine alla designazione dei candidati, non risultano
tuttavia limitati né il pluralismo partitico né la scelta sulle opzioni di voto
da parte del singolo elettore e, pertanto, il sistema stesso non appare di per
sé idoneo ad incidere in modo diretto sulla libera espressione del voto del
cittadino elettore.
* responsabile
dell'Ufficio Consulenza agli Enti locali della Regione Veneto
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 14/04/2008