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Convenzione (non ancora in vigore) sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d'acqua internazionali diverse dalla navigazione - ed altro - adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, in data 21 maggio 1997

 

 

ANNIBALE SILVERIO*
 

 


Premessa. I. Struttura della Convenzione sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali diverse dalla navigazione [CUADN]. 1. Caratteri generali della CUADN. 1.1 Navigazione fluviale. II. I principi o le norme programmatiche contenuti dalla CUADN. 1. Principio dell’utilizzazione equa e ragionevole. 1.1. I fattori per determinare l’uso equo e ragionevole. 1.1.1. Il sistema di ripartizione delle acque. 1.1.2. La valorizzazione e lo sfruttamento delle risorse idrauliche. 1.2. Il sistema del controllo o della regolazione. 1.2.1 Altre convenzioni internazionali. 2. L’optimum utilization e protezione adeguata dei corsi d’acqua internazionali. 2.1. Altre convenzioni internazionali. 3. La cooperazione tra Stati rivieraschi. 3.1. L’obbligo di informare gli altri Stati rivieraschi. 3.2. La cooperazione per la protezione delle acque. 3.2.1. Le misure per la protezione da forme d’inquinamento. 3.2.2. La protezione dall’introduzione di nuove specie. 4. Misure da adottarsi in caso di significante danno prodotto. III. Sesta Parte della CUADN: Disposizioni varie che riguardano situazioni di conflitto armato, procedure indirette, dati ed informazioni vitali per la difesa o la sicurezza nazionali e la non discriminazione. IV. La soluzione delle controversie. V motivi per i quali la CUADN non è entrata ancora in vigore. 1. Natura della CUADN. 2. La scarsa efficacia ed incisività della CUADN. 3. Osservazioni finali.

 

 


PREMESSA

Se nei secoli scorsi i corsi d’acqua (internazionali) erano utilizzati per la navigazione, la pesca, trasporto di legname e svaghi vari, il progresso tecnologico ha mutato visibilmente lo scenario spingendo gli Stati a disciplinare l’uso e (l’approvvigionamento) dei corsi d’acqua per fini diversi dalla navigazione.
L’uso dell’acqua per fini diversi dalla navigazione comprende, innanzitutto, tutte quelle operazioni relative al settore agricolo (irrigazione, drenaggio, smaltimento dei rifiuti ed eventuali altri bisogni richiesti dall'agricoltura)1. Tali operazioni difficilmente consentono di recuperare l’acqua utilizzata e, quand’anche fosse possibile, essa sarebbe alterata dai fertilizzanti, dagli insetticidi e dai diversi rifiuti agricoli.
Oppure, esigenze commerciali ed industriali (produzione di energia - idroelettrica, nucleare e meccanica - industrie, costruzione, trasporti al di fuori della navigazione, o frazione del legno, smaltimento dei rifiuti, industrie estrattive, minerarie e petrolifere ecc.)2.
Le industrie utilizzano i corsi d’acqua per eliminare i rifiuti industriali che in molte regioni del mondo sono aumentati in modo tale da non consentire più ai corsi d'acqua di riceverli. L'assorbimento dei rifiuti industriali è complicato ulteriormente dalla produzione di una grande varietà di prodotti sintetici non biodegradabili, dal rigetto di grandi quantitativi di acqua calda che derivano da processi industriali o da sistemi di produzione di energia.
Infine, l’uso dell’acqua per fini sociali e domestici a causa dell'urbanizzazione3 che esige sempre di più delle quantità considerevoli di acqua dolce e di buona qualità per fini domestici (consumo di bibite, cucina, lavaggio, pulitura ecc.).
L'utilizzo dell'acqua per fini domestici trae la propria fonte, maggiormente, dalla rete di drenaggio talvolta impoverita da scarichi di varia natura (rifiuti industriali e domestici che non sono biodegradabili). Gli effetti prodotti dagli scarichi industriali e domestici sono disastrosi. L'utilizzo dell'acqua per fini sociali occupa un ruolo importante se si considera il risvolto sociale-umanitario. Le molteplici possibilità ricreative che offrono i laghi e fiumi (o corsi d'acqua) - pesca sportiva o dilettantistica, gare di nuoto, sports nautici ecc. - possono influire ulteriormente sulla quantità e la qualità dei corsi d'acqua.
Le considerazioni che precedono – richiesta d’acqua sempre maggiore, nonostante la possibilità di autorinnovamento dei corsi d’acqua internazionali4 – pone una questione di giustizia distributiva dell’acqua: in che misura un paese si può arrogare un diritto, dal proprio territorio, di deviare un corso d'acqua per un proprio uso se questa deviazione toglie ad un altro Stato la possibilità di utilizzare l'acqua per un medesimo motivo5.
Indubbiamente, per evitare o dirimere eventuali controversie internazionali la soluzione più adatta è il ricorso ad un accordo internazionale, bilaterale o multilaterale, a seconda dei casi.
Risoluzioni pertinenti dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e sociale evidenziano che su tale questione devono considerarsi due ordini di rapporti: quello tra una data risorsa naturale e gli Stati terzi, e quella tra i paesi che si contendono questa risorsa naturale. Nel secondo caso non si tratta di una questione di sovranità: in tale ipotesi, infatti, è necessario definire i diritti delle parti, tenendo conto che se uno di questi supera i suoi diritti avanzando pretese di sovranità, la risorsa rischia di essere impoverita in rapporto agli altri che possono, allo stesso modo, rivendicare la loro sovranità. In compenso, conviene proteggere gli interessi degli Stati che si contendono le risorse naturali dagli Stati terzi (A/CN.4/SR.1609, punti 3-4, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I).
Le diverse esigenze di utilizzo dell’acqua – che rappresentano la causa più frequente delle controversie internazionali in materia – riguardano non solo gli Stati rivieraschi, ma anche questi ultimi e gli altri paesi che utilizzano, per fini industriali ed agricoli, l'energia idraulica dei corsi d'acqua che attraversano, ad esempio, dei laghi.
Ed ancora, i corsi d’acqua possono segnare la frontiera tra due Stati6, o attraversare il territorio di due o più Stati e possono essere utilizzati da alcuni, per fini diversi, tali da poter causare delle ripercussioni, favorevoli o sfavorevoli, sulle acque che scorrono in un altro Stato.
Sembra evidente che, laddove un corso d’acqua costituisca o superi un territorio, si “trascini dietro di sé” una sorta di diritti e doveri che richiedono di essere tradotti in un contesto particolare, conformemente agli interessi di natura fisica e/o economica. Nella prassi è molto difficile che gli Stati rivieraschi, infatti, siano disposti a stabilire, in un accordo internazionale, una sorta di condominio su ogni bacino fluviale che superi una frontiera internazionale.
Piuttosto ritengono addirittura opportuno estendere la responsabilità per danni anche agli altri che attraversano il bacino fluviale o, al contrario, disporre che i vantaggi generati dallo sviluppo siano oggetto di una regolamentazione equa.
Le divergenze – scaturenti dalla frequente interdipendenza delle risorse idriche condivise - implicano delle soluzioni più ampie rispetto a dei semplici accordi che potrebbero intercorrere tra gli Stati rivieraschi. Magari, l’adozione di un accordo internazionale a vocazione universale.



I. STRUTTURA DELLA CONVENZIONE SUL DIRITTO DELLE UTILIZZAZIONI DEI CORSI D’ACQUA INTERNAZIONALI DIVERSE DALLA NAVIGAZIONE [CUADN]

1. Caratteri generali della CUADN
La Convenzione sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali diverse dalla navigazione [CUADN] - adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite 21 maggio 1997 - si pone l’obiettivo di disciplinare gli usi dei corsi d’acqua internazionali7 diversi dalla navigazione. Tuttavia, il par. 2 dell’art. 1 [CUADN] non esclude completamente dal campo di applicazione della convenzione il fine della navigazione nonostante la vigenza di numerosi trattati internazionali che si occupano principalmente di tale questione8, essendo i bisogni della navigazione influenti sul volume e sulla qualità dell’acqua disponibile per altri fini.
Con l’espressione “corsi d’acqua” s’intende un sistema di acque di superficie e sotterranee – non captives - che costituisce, per le loro caratteristiche fisiche, un complesso unitario che sbocca normalmente in uno stesso punto comune [art. 2, punto a, CUADN]9.
Un complesso unitario che può essere costituito da fiumi, laghi, falde acquifere, ghiacciai, serbatoi d’acqua o d’irrigazione, canali. Dal momento che questi elementi sono collegati tra loro essi fanno parte di un corso d’acqua10. Per esempio, una corrente d’acqua può penetrare nel suolo sottostante, che si estende oltre i limiti della corrente, per poi ricomparirvi, passare nel lago che si riversa in un fiume, essere deviato in un canale e diretto in un serbatoio, e così via.
Non tutti corsi d’acqua internazionali, tuttavia, sboccano in punto comune. Ciò spiega perché il par. b dell’art. 2 [CUADN] comprenda l’espressione “normalmente”. Inserendo i redattori l’avverbio “normalmente” hanno voluto tener conto delle esperienze acquisite nel campo dell’idrologia moderna e della conoscenza della complessità del movimento delle acque come il Danubio e il Reno, oltre che di alcuni casi particolari come il Rio Grande, l’Irrawaddy, il Mékong e il Nilo. Nel caso del Danubio e del Reno si segnala, infatti, che questi due fiumi internazionali non formano un unico e medesimo sistema, sicché, in un certo periodo dell’anno, delle acque del Danubio si gettano, sotto forma di acque sotterranee, nel Reno attraverso il lago di Costanza. Nel caso di altri fiumi (come il Rio Grande ecc.) che dovessero rientrare nel novero dell’espressione «un système d’eaux de surface et d’eaux souterraines costituant du fait de leurs relations physiques un ensemble unitaire», si rileva, tuttavia, che questi si gettano, interamente o parzialmente, nel mare attraverso le acque sotterranee, o una serie di bracci o di defluenti separati e distanti gli uni dagli altri fino a 300 km, ovvero si riversano in certi periodi dell’anno nei laghi o nel mare.
Le acque di superficie e sotterranee sono già disciplinate, relativamente alla loro protezione dall’inquinamento derivante dal loro sfruttamento quantitativo, in una serie di dichiarazioni non vincolanti, di convenzioni internazionali e di direttive comunitarie (es., la direttiva del Consiglio 80/86/CEE del 17 dicembre 1979 è specificamente dedicata alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento)11.
In assenza di un accordo o di una consuetudine in seno contrario, la convenzione-quadro non privilegia, tra i tanti che si intrecciano, un utilizzo di un corso d’acqua internazionale rispetto agli altri [art. 10, par. 1, CUADN] – principio già enunciato nella Risoluzione adottata nel 1966 dal Consiglio economico e sociale interamericano sulla regolamentazione e l’uso economico dei corsi d’acqua, dei bacini e degli accidents idrografici dell’America Latina. E in seguito, nell’art. VI delle Regole di Helsinki12. In caso di contrasto tra le diverse modalità di uso di un corso d’acqua internazionale, la controversia dev’essere composta ai sensi degli artt. 5-7 [CUADN], con particolare attenzione alla soddisfazione dei bisogni umani essenziali (art. 10, par. 2). Il “conflit” di cui si fa menzione nel par. 2, [CUADN] è un contrasto tra gli usi di un corso d’acqua internazionale e non un “conflit” o una controversia tra i paesi interessati del corso d’acqua. Il par. 2, ultima parte, [CUADN] riserva una particolare attenzione ai bisogni umani, nel senso che gli Stati sono tenuti a vigilare affinché la fornitura d’acqua sia sufficiente per soddisfare i bisogni umani, sia che si tratti di acqua potabile, sia dell’acqua riservata alla produzione dei viveri destinati ad impedire la fame13.
La navigazione, infatti, può influire sugli altri fini (es., la navigazione può inquinare dei corsi d’acqua diminuendo la possibilità di usi diversi dalla navigazione) sì da porre in essere, a volte, un rapporto di interdipendenza. Per questo la CUADN si occupa anche delle misure atte a conservare e gestire l’uso di questi corsi d’acqua (art. 1) implicando una cooperazione tra gli Stati rivieraschi. L’istituzione di commissioni internazionali tra gli Stati rivieraschi rappresenta una delle manifestazioni della cooperazione internazionale fluviale.

1.1. Navigazione fluviale
Un corso d’acqua internazionale può anche essere utilizzato come trasporto fluviale transfrontaliero di passeggeri, di veicoli, di merci tra i porti e i posti di frontiera dei paesi che sono contraenti di una convenzione internazionale.
Per esempio, l’accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile relativo al trasporto fluviale di passeggeri, di veicoli e di merci (Rio de Janeiro, 27 aprile 1997) stabilisce che: 1) il servizio di trasporto è esclusivamente riservato alle persone fisiche che siano cittadini dei paesi contraenti di un accordo relativo al trasporto fluviale transfrontaliero di passeggeri o di persone morali autorizzate da uno dei paesi contraenti (art. I); b) possono essere interdetti gli scali in prossimità di luoghi predeterminati, salvo preventiva autorizzazione delle autorità competenti dei paesi contraenti. Ed ancora, ogni scalo di natura eccezionale dovuto ad un avvenimento fortuito o ad un caso di forza maggiore, dev’essere preannunciato almeno 48 ore prima dalle autorità competenti (art. IX); c) le norme di sicurezza dell’imbarcazione sono stabilite da ciascun Stato contraente di cui l’imbarcazione batta bandiera, in conformità alle proprie leggi. Se le norme di sicurezza degli Stati contraenti non concordano, le autorità competenti di ciascun paese stabiliscono delle norme di sicurezza applicabili al caso concreto (art. XII); d) il documento con il quale le autorità competenti autorizzano il trasporto, deve indicare la frequenza e gli orari delle traversate che saranno effettuati, le condizioni del trasporto, la denominazione delle imbarcazioni interessate e le tariffe di nolo e di traversata (art. III); e) il pagamento può essere fatto in una delle monete dei paesi contraenti (art. VI).
Ed infine, l’inosservanza delle disposizioni e degli obblighi previsti dalla Convenzione in questione, comporterà una delle seguenti sanzioni: a) monito; b) ammenda pari al costo di 10-200 tratte, nel caso di trasporto di passeggeri; c) ammenda equivalente a 10-200 volte la tariffa massima del servizio di nolo, nel caso di trasporto di veicolo o merci; d) sospensione del servizio fino a 90 giorni; e) la revoca della concessione14.



II. I PRINCIPI O LE NORME PROGRAMMATICHE CONTENUTI DALLA CUADN

1. Principio dell’utilizzazione equa e ragionevole
Gli Stati rivieraschi sono tenuti ad utilizzare un corso d’acqua internazionale15 nei loro rispettivi territori in maniera equa e ragionevole allo scopo di realizzare un utilizzo e un vantaggio ottimale e durevole, compatibilmente con le esigenze di un’adeguata protezione del corso d’acqua.
La norma che vincola gli Stati rivieraschi ad un’equa e ragionevole utilizzazione delle acque comuni, insieme a quella dell’uso diligente dei corsi d’acqua internazionali, si pone l’obiettivo di non privare gli altri Stati dall’esercizio del diritto all’uso dell’acqua in funzione del principio dell’uguaglianza tra paesi16. Principio che implica il pari diritto degli Stati rivieraschi di fruire in misura equa e ragionevole delle utilizzazioni e dei benefici di un corso d’acqua internazionale17.
All’interno dei loro rispettivi territori, gli Stati sono tenuti, possibilmente, ad assicurare la manutenzione e la protezione delle installazioni, la ristrutturazione e altre opere legate ad un corso d’acqua internazionale. Su richiesta dello Stato, che ritiene di subire degli effetti negativi da tali misure, si avviano delle consultazioni concernenti: a) il buon funzionamento e la manutenzione delle installazioni, le ristrutturazioni e le altre opere legate al corso d’acqua internazionale interessato; b) le misure da adottarsi per prevenire i danni derivanti da atti di terrorismo o sabotaggio, o da comportamenti negligenti (per assenza di precauzioni normalmente richieste dalle circostanze del caso), ovvero da cause di forza maggiore (es. inondazioni) [art. 26, CUADN].

1.1. I fattori per determinare l’uso equo e ragionevole
Un’equa e ragionevole utilizzazione di un corso d’acqua internazionale implica un’analisi di qualsiasi fattore e circostanza pertinente (principio già enunciato all’art. IV delle Regole di Helsinki)18. La lista dei fattori riportata dalla convenzione, e che segue, non è esaustiva in quanto l’ampia diversità che caratterizza i corsi d’acqua internazionali e le diverse esigenze umane, non ha permesso ai redattori di stabilire una lista completa e definitiva19. In particolare: a) i fattori geografici (es., l’estensione del corso d’acqua internazionale sul territorio di ciascuno degli Stati rivieraschi), idrografici (es., ampiezza, descrizione, rilievo cartografico), idrologici (proprietà delle acque, ivi compresa la loro portata, la loro distribuzione, la parte appartenente a ciascun Stato interessato), climatici, ecologici e altri fattori di carattere naturale; b) i bisogni economici e sociali degli Stati interessati; c) la popolazione tributaria appartenente ad ogni paese (e del grado o dell’entità di dipendenza); d) gli effetti derivanti dall’/gli uso/i della risorsa da parte di uno Stato nei confronti degli altri paesi che condividono lo stesso corso d’acqua internazionale; e) gli usi attuali e potenziali del corso d’acqua (allo scopo di dimostrare che né gli uni, né gli altri, hanno una priorità); f) la conservazione, la protezione, la valorizzazione e l’economia delle risorse utilizzabili e presenti in un corso d’acqua, oltre ai costi derivanti dall’attuazione di queste misure; g) l’esistenza di altre opzioni, di equivalente valore, suscettibili di rimpiazzare un particolare uso, attuale o progettato. I fattori pertinenti devono essere esaminati complessivamente per arrivare ad un quadro complessivo [art. 6, CUADN].
Gli Stati di un corso d’acqua hanno bisogno di dati ed informazioni relativi alla situazione in cui si trova il corso d’acqua al fine di applicare l’art. 6 [CUADN] il quale prescrive che tali paesi devono prendere in considerazione «tutti i fattori e le circostanze pertinenti» per ottemperare all’obbligo [enunciato dall’art. 5, CUADN] di utilizzare l’acqua in modo equo.
Quanto ai singoli fattori inclusi nella lista dell’art. 6, il suo par. 1 (a) [CUADN] fa riferimento alle condizioni fisiche e naturali del corso d’acqua che sono in grado d’influenzare caratteristiche come la sua qualità, o le variazioni del suo flusso. I fattori geografici si rifericono ad esempio all’estensione del corso d’acqua nel territorio di singoli Stati rivieraschi, mentre i fattori ideologici riguardano la distribuzione delle acque ed il contributo di ogni rivierasco all’alimentazione del corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 44-45, par. 1; p. 232, parr. 2-4).
Il par. 1 (b) dell’art. 6 [CUADN] si riferisce alle necessità idriche degli Stati rivieraschi interessati, al loro grado di dipendenza dal corso d’acqua e all’importanza che un determinato uso del corso d’acqua riveste per ciascuno di essi, in termini sia economici che sociali.
Il par. 1 (c) dell’art. 6 [CUADN] fa riferimento tanto alla densità della popolazione dipendente dal corso d’acqua che al grado di dipendenza dal corso d’acqua della popolazione interessata. Il par. 1 (d) dell’art. 6 [CUADN] si riferisce alla possibilità di interferenze tra varie forme di sfruttamento di un corso d’acqua, e richiede di prendere in considerazione gli effetti che le utilizzazioni di uno Stato producono sugli usi di un altro paese rivierasco (per es., un danno cagionato da un certo uso del corso d’acqua potrebbe essere uno degli elementi pertinenti nel giudizio sul carattere equo e ragionevole dell’utilizzazione stessa, da valutarsi e bilanciarsi insieme agli altri fattori rilevanti, ivi compresi i benefici ad essa relativi).
Il par. 1 (e) dell’art. 6 [CUADN] menziona tra i fattori rilevanti sia le utilizzazioni esistenti che quelle potenziali del corso d’acqua, per sottolineare che queste vanno considerate su una base di sostanziale parità, senza attribuire a nessuna titolo di inerente priorità. Il par. 1 (f) [CUADN] fa riferimento al rilievo di una serie di misure che i paesi rivieraschi possono intraprendere relativamente al corso d’acqua internazionale, ai fini del suo sviluppo, conservazione e protezione: particolare importanza hanno in questa prospettiva sia il costo economico delle misure medesime che «l’economia d’uso» della risorsa idrica intesa come capacità di una determinata attività di utilizzazione di evitare consumi superflui dell’acqua.
Infine il par. 1 (g) [CUADN] ricorda, tra i fattori rilevanti, la disponibilità di mezzi alternativi (anche non basati sullo sfruttamento della risorsa idrica) con i quali soddisfare le necessità degli Stati rivieraschi connesse ad una determinata utilizzazione del corso d’acqua, quando tali alternative siano economicamente equivalenti e praticamente realizzabili. Il par. 2 dell’art. 6 [CUADN] pone un obbligo di consultazione tra i paesi rivieraschi interessati all’applicazione degli artt. 5-6 [CUADN].
La peculiare funzione di questo paragrafo sembra essere quella di prevenire la valutazione unilaterale da parte di uno Stato rivierasco del carattere equo e ragionevole di un uso del corso d’acqua; più in generale rappresenta una conferma, insieme col par. 2 dell’art. 5 [CUADN], dell’importanza della cooperazione tra rivieraschi e degli aspetti procedurali di tale cooperazione nell’adempimento della norma sostanziale dell’equa utilizzazione20.


1.1.1. Il sistema di ripartizione delle acque
Il sistema di ripartizione delle acque, come dimostra la prassi, varia a seconda delle circostanze inerenti al corso d’acqua internazionale. A tal fine ci preme sottolineare alcuni passaggi di certi accordi internazionali sull’utilizzazione dell’acqua di un corso d’acqua internazionale per evidenziare notevoli differenze di sistema. Innanzitutto, per quanto concerne la ripartizione delle acque, da segnalare l’Accordo concluso tra Egitto e Sudan (Il Cairo, 8 novembre 1959) sulla piena utilizzazione delle acque del Nilo che, oltre a prefiggersi di dare pieno sviluppo alle attività di sfruttamento delle acque del fiume Nilo, stabilisce che la quantità di acque impiegate dall’Egitto e dal Sudan fino al momento della firma dell’Accordo medesimo costituiscono “diritti acquisiti”, determinati nell’ammontare di 48 miliardi di metri cubi annua d’acqua per l’Egitto (art. I, par. 1) e in 4 miliardi di metri cubi annui d’acqua (MCM) per il Sudan (art. I, par. 2). Nell’art. II, parr. 3-4, si stabiliscono i criteri per l’assegnazione delle quantità di acqua del Nilo. Una volta fissato nella misura di 84 MCM il beneficio netto in volume d’acqua derivante dall’esecuzione del progetto di Assuan, il par. 3 stabilisce che la massa d’acqua rimanente dopo aver sottratto da tale ammontare le quantità corrispondenti ai diritti consolidati delle Parti, meno un’ulteriore quantità corrispondente alle perdite annue di stoccaggio (calcolata nella misura di 10 MCM), rappresenta il net benefit divisibile tra Egitto e Sudan (ovvero una quantità di 22 MCM). Il par. 4 indica la ratio della distribuzione di tale quantità d’acqua in 14,5 MCM al Sudan e 7,5 MCM all’Egitto. In conclusione, sommando tali quantità a quelle già attribuite a titolo di diritti acquisiti, le quote spettanti ai due Stati vengono riconosciute nelle misure di 18,5 MCM per il Sudan e 55,5 MCM per l’Egitto.
Il Trattato sulle acque dell’Indo concluso tra India e Pakistan (Karachi, 19 settembre 1960) ripartisce nel modo seguente l’acqua: a) l’art. II, par. 1, stabilisce che – salvo eccezioni previste nel medesimo articolo – vengano riservate all’uso illimitato da parte dell’India l’integrità delle acque di Beas, Ravi e Sutlej, affluente del Sutlej, fiumi del lato orientale del bacino che nascono e (tranne il Beasm affluente del Sutlej interamente situato in India) scorrono parzialmente in territorio indiano; b) l’art. II, par. 2 dispone che – con l’eccezione dei prelievi finalizzati ad utilizzazioni domestiche o non-consuntive – il Pakistan si astenga da qualsiasi interferenza con i tratti principali del corso del Ravi e dello Sutlej scorrenti in territorio pakistano prima di determinati punti geografici fissati nel paragrafo in questione; c) l’art. II, par. 4, stabilisce che il Pakistan potrà utilizzare le acque degli affluenti che si gettino nei due fiumi principali in territorio pakistano dopo i punti determinati al par. 2, essendo inteso però che tale possibilità non corrisponde all’attribuzione a questo paese di un diritto a rivendicare il rilascio da parte dell’India di corrispondenti quantità d’acqua negli affluenti; d) l’art. III, par. 1, attribuisce, inoltre al Pakistan, il diritto all’uso illimitato di tutte le acque dell’Indo, dello Jhelum e del Chenab, fiumi della sezione occidentale del bacino scorrenti per la maggior parte in territorio pakistano, ecc. In sintesi, in virtù dei criteri di ripartizione stabiliti nel Trattato, l’India riceve il 20% del totale delle risorse idriche disponibili nel bacino idrico, mentre il Pakistan l’80%21.
L’Accordo complementare all’Accordo di cooperazione concluso tra il Brasile e l’Uruguay per la valorizzazione delle risorse naturali e lo sviluppo del bacino del fiume Quarai (Montevideo, 6 maggio 1997) il cui art. II attribuisce la priorità di approvvigionamento dell’acqua potabile alle popolazioni rivieraschi, e ai servizi d’irrigazione (artt. III). L’IV dispone che «le volume maximum d’eau à prélever dans le fleuve Quaraí pour être distribué aux usagers des services d’irrigation des deux Parties sera égal au volume maximum d’eau dont elles pourront assurer la distribution. Le volume d’eau devant être distribué en claque point du bassin sera égal au produit entre la superficie du bassin en amont du point considéré et le débit spécifique du fleuve en ce point. Les Parties conviennent provisioirement que le débit spécifique sera égal à 0,4 lite par seconde et par kilmètre carré». L’art. VII dispone, altresì, che «au cas où, en un point déterminé, la somme des volumes à accorder dépasserait 50 pour cent du volume maximum à distribuer déterminé conformément al’art. IV, l’approbation préalable de l’institution compétente de l’autre Partie devra être obtenue». L’art. XI consente un prelievo particolare tra la Concorde e la foce dell’Arroyo Pintado e l’art. XII stabilisce che le Parti «ne pourra être réalisé aucun ouvrage sur le lit du fleuve Quaraí sans l’autorisation des istitutions compétentes des deux Parties. À cette fin, les Parties s’engagent à adopter les dispositions nécessaires pour que les ouvrages réalisés sans l’autorisation susmentionnée soient regularises ou, s’il y a lieu, démantelés». Le istituzioni competenti ai sensi dell’art. V, sono il Segretariato alle risorse idrauliche del Ministro dell’Ambiente, delle risorse idrauliche dell’Amazzonia legale al Brasile, e la Direzione nazionale dell’idrografia del Ministero dei trasporti e dei lavori pubblici dell’Uruguay. L’Accordo si occupa anche della salubrità dell’acqua con l’art. XIV secondo cui «Les Parties s’engagent à adopter les mesures nécessaires pour que la qualité des eaux du fleuve Quaraí réponde aux normes internationales existantes en la matière en vigueur à l’égard des deux Parties». Infine l’Accordo concluso tra la Norvegia e l’ex U.R.S.S. (Oslo, 18 dicembre 1957) relativo all’utilizzazione delle risorse idrauliche del Paatsojoki (con mappe allegate) e l’Accordo concluso tra il Bangladesh e l’India (Dakar, 5 novembre 1977) relativo alla ripartizione delle acque del Gangia a Farakka e all’aumento della sua portata.

1.1.2. La valorizzazione e lo sfruttamento delle risorse idrauliche
L’uso di un corso d’acqua internazionale può determinare una valorizzazione delle risorse idrauliche grazie al finanziamento dei progetti da parte delle Istituzioni finanziarie internazionali, o di Stati22, – nonostante gli Stati siano reticenti all’idea di sottomettersi a delle istituzioni sopranazionali - che altrimenti alcune regioni del mondo non potrebbero realizzare, ovvero potrebbero essere realizzate da paesi economicamente più solidi a discapito degli altri più poveri, comportando un’ineguaglianza nel campo della sovranità.
Tra gli altri23, Il Trattato concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America relativo alla valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia (Washington, 17 gennaio 1961) si prefigge di produrre l’energia idro-elettrica e controllare le piene, con i seguenti articoli: a) art. II (mise en valeur par le Canada); b) art. III (Ouvrages hidro-électriques aux États-Unis d’Amérique); c) art. IV (Utilisation par le Canada); d) art. V (Avantages énergétiques d’aval auxquels le Canada aura droit); e) art. VI (Indemnités au Canada pour la lutte contre les inondations); f) art. VII (Appréciations des avantages énergétiques d’aval); g) art. VIII (Cession sur la place des avantages énergétiques d’aval); h) art. IX (Modification du droit à certains avantages énergétiques d’aval); i) art. X (Transport de secours est-ouest); k) art. XI (Utilisation du debit normalise); l) art. XII (Aménagement de la Kootenai); m) art. XIII (Dérivations); n) art. XIV (Commission d’ingénieurs permanente); omissis; o) Annesso A “Régles d’utilisation” (Énoncé général, Lutte contre les inondations, energie hydro-électrique); p) Annesso B “Appréciation des avantages énergétiques dérivant des installations d’aval”.
Lo Scambio di note costituente un accordo tra il Canada e gli Stati Uniti d’America concernente il Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del Fiume Columbia, concluso a Washington in data 22 gennaio 1964 (con Protocollo composto da 11 articoli) con «Annexe relative aux conditions de vente» (composto da 5 articoli).
Lo Scambio di note costituente un accordo tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Ottawa, 16 settembre 1964) esecutivo dell’Accordo di vendita della parte canades prevista dal Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del Fiume Columbia, concluso a Washington il 17 gennaio 1961, con i seguenti articoli, art. 1 (durée), art. 2 (cession), art. 3 (paiement par le CSPE), art. 4 (engagements), art. 5 (maîtrise des crues), art. 6 (indemnisation), art. 7 (réduction de la part canadienne résultant du traité), art. 8 (règlement ds différends), art. 9 (échanges de capacité et d’énergie), art. 10 (accords d’échange), art. 11 (paiements), omissis.
L’accordo concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 26 ottobre 1989 sull’approvvigionamento dell’acqua e la protezione contro le piene nel bacino del fiume Souris e precisamente: 1) l’art. IV, parr. 1-2, dispone che il governo degli Stati Uniti d’America pagherà al governo canadese «la somme de 26 700 000 $ (en devises américaines, selon le niveau général des prix en octobre 1985) pour le volume d’emmagasinage des eaux de crue assuré au barrage Rafferty»… «une somme additionnelle de 14 400 000 $ (en devises américaines, selon le niveau général des prix en octobre 1985) pour le volume d’emmagasinage des eaux de crue assuré au barrage Alameda»; 2) l’art. V stabilisce che le parti: a) «en consultation avec les Etats et les Provinces intéressés, […] rédigent les Manuels d’exploitation des réservoirs prévus dans le Plan d’exploitation»; b) «revoient ensemble le Plan d’exploitation tous les cinq ans, ou tel qu’il aura été etendu conjointement, dans le but de maximiser les avantages découlant du présent Accord aux plans de la protection contre les crues et de l’approvisionnement en eau»; c) «consultent, au besoin, les Etats, les Province et les organismes intéressés, et coopèrent avec eux pour la revue du Plan d’exploitation et l’examen des modifications recommandées à l’égard de celui-ci». Ed ancora, «sous réserves du consentement du gouvernement du Canada, les fonctionnaires du gouvernement des Etats-Unis d’Amerique peuvent pénétrer sur les terres acquises en Saskatchewan pour la construction des barrages Rafferty, Alameda et Boundary dans le but de procéder à des inspections pour s’assurer que ces ouvrages sont construits, exploités et entretenus conformément au présent Accord»; «sur demande, au besoin et dans la mesure où cela est réalisable, les Parties consultent les Etats et les Provinces intéressés concernanent l’approvisionnement en eau dans l’ensemble du bassin de la rivière Souris»; 3) l’art. VII stabilisce che: a) «si l’exploitation de tout ouvrage devait provoquer, aux États-Unis d’Amérique ou au Canada, des dommages plus importants que ceux qui auraient été subis si l’ouvrage n’avait pas été en exploitation, les Parties entreprennent, à la demande de l’une ou l’autre Partie, des consultations en vue de déterminer comment, dans l’avenir, éviter ces dommages et de convenir de mesures de réparation et d’indemnisation appropriées, ce qui pourrait comporter la possibilità de modifier le Plan d’exploitation. Les États, Province set organismes intéressés participent à ces consultation»: b) «nonobstant le paragraphe 2 de l’art. XI, rien dans le présent Article n’empêche l’une ou l’autre Partie de faire valoir les droits qu’elle pourrait avoir contre l’autre Partie en ce qui a trait aux dommages causés par les crues et résultant d’actes posés par l’autre Partie»; 4) l’art. XI dispone che: a) «chaque Partie est responsable envers l’autre et l’indemnise de façon adéquate pour tout acte, défaut d’agir, omission ou retard constituant une violation du présent Accord. Les actes, défauts d’agir, omissions ou retards résultant de facteurs incontrôlables ne constituent pas une violation aux fins du présent Accord»; b) «les Parties n’entendent pas créer, dans le présent Accord, un droit privé d’action. Sous riserves du paragraphe 1 du présent article, aucune des Parties n’est responsable envers l’autre ou inverse toute persone des blessures, dommages ou pertes subis sur le territoire de l’autre Partie et découlant d’un acte, d’un défaut d’agir, d’une omission ou d’un retard en vertu du présent Accord, que les blessures, dommages ou pertes résultent de négligence ou d’autre facteurs»; c) «ni l’une ni l’autre des Parties n’a l’obligation, aux termes du présent Accord, de reconstruire ou de continuer à exploiter ou à entretenir un ouvrage construit en vertu du présent Accord qui aura été detruit par suite de facteurs incontrôlables»; d) «ni l’une ni l’autre des Parties n’a l’obligation, aux termes du présent Accord, de prendre des mesures pour prolonger la durée de vie utile normale de tout ouvrage visé dans le présent Accord».

1.2. Il sistema del controllo o della regolazione
Un mezzo per regolare la portata delle acque di un corso d’acqua internazionale, è il sistema del controllo o della regolazione. A meno che non sia previsto diversamente, gli Stati di un corso d’acqua partecipano paritariamente alla costruzione e alla manutenzione, o al finanziamento delle opere di regolazione che hanno intenzione di porre in essere. Per “regolazione” s’intende l’uso delle opere idrauliche o di ogni altra misura impiegata, in maniera continua, per modificare, far variare o controllare, in altra maniera, la portata delle acque di un corso d’acqua internazionale [art. 25, CUADN].
I mezzi concreti di regolazione sono generalmente le dighe, i serbatoi, le barriere divisorie, i canali, i terrapieno ecc.. Queste opere sono necessarie per regolare la portata dell’acqua in modo da: a) impedire le inondazioni durante un certo periodo dell’anno e la siccità in un altro periodo; b) prevenire qualsiasi tipo di erosione degli argini, o delle variazioni del corso d’acqua; c) garantire un approvvigionamento sufficiente di acqua, per esempio allo scopo di mantenere la polluzione entro i limiti accettabili o per permettere la navigazione e le flottage.
Grazie alle opere di controllo e regolazione, si consente di prolungare i periodi di irrigazione, di avviare o di potenziare la produzione di energia elettrica, di diminuire l’interramento, di impedire la formazione di acque stagnanti nelle quali si producono e vivono le zanzare che trasmettono la malaria e di mantenere delle zone di pesca24.

1.2.1. Altre convenzioni internazionali
Il sistema di regolazione o controllo si estrinseca principalmente nella costruzione di dighe, di sbarramenti e di ponti internazionali.
Tra gli altri25, da segnalare l’Accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile (Florianopolis, 15 dicembre 2000) per facilitare la costruzione e lo sfruttamento sul fiume Uruguay, oltre ad istituire una commissione binazionale (art. II), i cui compiti e il cui mandato sono stabiliti agli artt. III-IV, impegna gli Stati contraenti: «à entreprendre, dans les meilleurs délais et par l’intermédiaire de leurs autorités compétentes respectives, l’examen des questions relatives à la construction et à l’exploitation de trois nouveaux ponts routiers sur la rivière Uruguay, de préférence dans le cadre de concessions de travaux publics, y compris les ouvrages auxiliaires et les accès entre les villes frontières d’Itaqui et Alvear, Porto Mauá et Alba Posse et Porto Xavier et San Javier» (art. I). Infine, stabilisce che: a) il costo «des expropriations nécessaires pour l’installation des ouvrages et pour les liaisons routières, jusqu’au chantier, qui forment l’objet du contrat sur le territoire national de chaque Partie, sera intégralement pris en charge par la Partie concernée à des conditions qui front l’objet d’un accord interne avec leurs autorités gouvernementales locales ou régionales: b) il costo «de l’étude de faisabilité comparative, mentionnée au paragraphe 1, a) de l’article IV, est assumé par les Parties, chacune prenant à sa charge 50 pour cent»; c) ciascun Stato «assume les dépenses afférentes à sa représentation à la Commission binationale»; d) i costi «des études, projets et travaux liés à la construction de chaque pont, qui forme l’objet d’un marché, aux ouvrages auxiliaires et accès seront à la charge du consortium qui aura remporté l’appel d’offres dans chaque cas».
L’Accordo di cooperazione concluso tra la Cambogia, il Laos, la Thailandia e il Vietnam (Thailandia, 5 aprile 1995) per la durevole valorizzazione del bacino del Mekong composto dai seguenti Capitoli: a) Capitolo I «Dispositions Liminaires»; b) Capitolo II «Définitions»; c) Capitolo III «Obiectifs et Principes de Coopération» (art. 1 Domaines de coopération, art. 2 Projets, programmes et planfication, art. 3 Protection de l’environnement et équilibre écologique, art. 4 Égalité souveraine et intégrité territoriale, art. 5 Utilisation raisonnable et équitable), art. 6 Maintien des débits du cours principal, art. 7 Prévention et cessation des effets délétères, art. 8 Responsabilité des États pour préjudice, art. 9, Liberté de navigation, art. 10, Situations d’urgence); d) Capitolo IV «Mécanisme Institutionnel» (art. 11, Statut de la Commission du Mékong, art. 12, Organisation de la Commission du Mékong, art. 13, Reprise d’avoirs, d’obligations et de droits, art. 14 Budget de la Commission du Mékong, art. 15 Composition du Conseil, art. 16 Présidence du Conseil, art. 17 Session du Conseil, art. 18 Fonctions du Conseil, art. 19 Règlement intérieur du Conseil, art. 20 Décisions du Conseil, art. 21 Composition du Comité conjoint, art. 22 Présidence du Comité conjoint, art. 23 Sessions du Comité conjoint, art. 24 Fonctions du Comité conjoint, art. 25 Règlement intérieur, art. 26 Règlement relative à l’utilisation des eaux et aux derivations entre basins, art. 27 Décisions du Comité conjoint, art. 28 Rôle du Secrétariat, art. 29 Siège du Secrétariat, art. 30 Fonctions du Secrétariat, art. 31 Directeur executive, art. 32 Personnel riverain); e) Capitolo V (Règlement des Désaccords et Différends, art. 34-35); f) Capitolo VI omissis.
L’Accordo concluso tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 19 novembre 1997) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Fiume Miño tra le località di Goyán (Spagna) e della Vila Nova de Cerveira (Portogallo). In particolare si prevede che: a) il ponte «sera destiné à la circulation routière et ses caractéristique seront établies par la Commission tecnique visée a l’art. 5 du présent Accord» (art. 2); b) gli Stati contraenti s’impegnano a facilitare il rilascio di permessi ed autorizzazioni e la concessione di occupazione nei terreni necessari all’esecuzione (art. 4); c) ogni Stato «sera propriétaire de la partie du ponte et des accès à celui-ci situés sur son territoire» e che l’esercizio di questo diritto «sera régi par l’ordre juridique interne de claque État, sans préjudice des obligations internationales qui lui incombent (art. 13); d) la «ligne de délimitation de la frontière entre les deux États sera tracée sur le pont par la Commission internazionale des frontières entre l’Espagne et le Portugal, conformément aux accords internationaux en vigueur entre les deux États» (art. 14)26.


2. L’optimum utilization e protezione adeguata dei corsi d’acqua internazionali
Tornando alla CUADN, da segnalare il secondo paragrafo dell’art. 5 [CUADN] nel quale si richiede una cooperazione attiva tra gli Stati rivieraschi per la realizzazione ed il mantenimento di un’equa distribuzione dei benefici derivanti dallo sfruttamento di un corso d’acqua, sia per il raggiungimento dell’ulteriore obiettivo dell’ottimale utilizzazione ed adeguata protezione del corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 244-249)27. In tal caso, da ricordare ad es., la Convenzione conclusa tra il Belgio e i Paesi Bassi (L’Aja, 13 maggio 1970) concernente il miglioramento della via navigabile nell’Escaut occidentale vicino Walsoorden (con piano).
L’optimum utilization richiede, quindi, una cooperazione degli Stati rivieraschi per perseguire e realizzare una gestione dell’ambiente fluviale atta a garantire lo sfruttamento massimale ed ottimale28.
Raggiungere un risultato ottimale non significa pervenire alla massima utilizzazione, all’uso più razionalmente e tecnicamente possibile, all’uso più vantaggioso dal punto di vista finanziario, ma assicurare dei profitti immediati in rapporto alle perdite a lungo termine. Ciò non significa che allo Stato rivierasco - il quale abbia dei mezzi all’avanguardia per utilizzare nel miglior modo razionale un corso d’acqua (sia dal punto di vista economico, sia evitando sprechi, ecc.) – sia riconosciuta una priorità in materia di utilizzazione. Ciò dev’essere interpretato nel senso che gli Stati rivieraschi sono tenuti ad assicurare il massimo dei possibili vantaggi per rispondere a tutti i loro bisogni, riducendo al minimo i danni.
L’art. 24 [CUADN] dispone che, su richiesta di un paese interessato, gli altri Stati dello stesso corso d’acqua, avviano delle consultazioni per gestire il corso d’acqua interessato, ovvero per istituire un meccanismo misto di gestione allo scopo: a) di pianificare lo sfruttamento durevole delle risorse mediante piani d’intervento; b) di promuovere, con ogni mezzo razionale ed ottimale, l’uso, la protezione e il controllo del corso d’acqua interessato. L’art. 24, par. 1 [CUADN], non impone agli Stati di gestire il corso d’acqua, né di istituire un organo comune come la commissione o altro organismo misto. Lo scopo delle consultazioni è lasciato agli Stati interessati29.
La locuzione “protezione adeguata” non indica solamente le misure relative, ad esempio, alla conservazione, alla sicurezza e alla lotta contro le malattie trasmissibili attraverso l’acqua. Essa indica anche le misure di controllo in senso tecnico, idrologico, del termine, come che sono adottate per regolamentare la portata e lottare contro le inondazioni, l’inquinamento, l’erosione, la siccità o l’intrusione d’acqua salata.
Essendo pacifico che queste misure o lavori rischiano di limitare, in una certa misura, gli usi che uno o più Stati potrebbero fare altrimenti delle loro acque, la seconda frase indica di pervenire ai vantaggi e all’optimum dell’uso “compatibile” con le esigenze di una adeguata protezione. A tal fine gli Stati rivieraschi sono tenuti a scambiarsi delle informazioni, a consultarsi e, se necessario, a negoziare su eventuali misure di protezione da prendere in base alla situazione di un corso d’acqua internazionale [art. 11, CUADN].

2.1. Altre convenzioni internazionali
Già precedenti convenzioni internazionali che si occupano della navigabilità di un fiume prevedono un impegno degli Stati contraenti alla protezione dell’acqua: a) Gli artt. 8-9 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e la Repubblica Federale Tedesca sulla regolamentazione della questione relativa alla Sarre (Lussemburgo, 27 ottobre 1956). In virtù dell’art. 8 i due paesi «prennent, chaucun dans la domaine de sa compétence, les mesures nécessaires en vue d’assurer la pureté et la salubrité des eaux de la Sarre. Ils prennent les mêmes engagements en ce qui concerne les affluents de la Saar. Ils encourageront la constitution des groupements ou d’association ayant pour objet de maintenir la salubrité des eaux». Ai sensi dell’art. 9 le competenti autorità dei due paesi contraenti «maintiennent un service d’annonce du niveau des eaux de la Sarre et des conditions de navigabilité sur cette rivière. La transmission d’une cote d’alerte prise sur les cours supérieur de la Sarre par la station de Sarrebourg déclenche le fonctionnement du service d’annonce des crues de la Sarre à Sarrebruck. A partir de ce moment, les services d’annonces compétents restent constamment en relation juisqu’à transmission, per la station de Sarrebruck, de l’avis de fin d’alerte...». Ed ancora: il Protocollo addizionale alla Convenzione americana relativa ai diritti dell’uomo sui diritti economici, sociali e culturali (San Salvador, 17 novembre 1988) stabilisce all’art. 11 che «Everyone shall have the right to live in a healthy environment and to have access to basic public services. The State Parties shall promote the protection, preservation and improvement of the environment».
Così la Convenzione conclusa tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 26 maggio 1930, con protocollo relativo allo scambio delle ratifiche, firmato a Washington in data 28 luglio 1937) per la protezione, la conservazione e l’espansione della pesca del salmone sockeye nelle acque del fiume Fraser, nel cui art. I stabilisce l’ambito di applicazione della convenzione in numerosi corsi d’acqua e prevede all’art. II l’istituzione di una commissione «Internazional Pacific Salmon Fisheries Commission» che può condurre inchieste «into the natural history of the Fraser River sockeye salmon, into hatchery methods, spawning ground conditions and other related matters […] and maintain hatcheries, rearing ponds and other such facilities as it may determine to be necessary for the propagation of sockeye salmon in any of the waters covered by this Conventions, and to stock any such waters with sockeye salmon by such methods as it may determine to be most advisable» e può raccomandare agli Stati contraenti «removing or otherwise overcoming obstructions to the ascent of sockeye salmon, that may now exist or may from time to time occur, in any of the waters covered by this Convention, where investigation may show such removal of or other action to overcome obstructions to be desiderable […]» (art. III) e può «to limit or prohibit taking sockeye salmon in respect of all or any of the waters described in Article I of this Convention, provided that when any order is adopted by the Commission limiting or prohibiting taking sockeye salmon in any of the territorial waters or on the High Seas described in paragraph numbered I of Article I, such order shall extend to all such territorial waters and High Seas, and, similarly when in any of the waters of the United States of America embraced in paragraphs numbered 2 and 3 of Article I, such order shall extend to all such Canadian waters, and provided further, that no order limiting or prohibiting taking sockeye salmon adopted by the Commission shall be construed to suspend or otherwise affect the requirements of the laws of the State of Washington or of the Dominion of Canada as to the procuring of a license to fish in the waters of their respective sides of the boundary, or in their respective territorial waters embraced in paragraph numbered I of Article I of this Convention, and provided further that any order adopted by the Commission limiting or prohibiting taking sockeye salmon on the High Seas embraced in paragraph numbered I of Article I of this Convention shall apply only to nationals and inhabitants and vessels and boats of the United States of America and the Dominion of Canada[…]» (art. IV). La Convenzione poi è stata oggetto di un’integrazione con il Protocollo sottoscritto a Ottawa tra Canada e Stati Uniti in data 28 dicembre 195630.


3. La cooperazione tra Stati rivieraschi
La condivisione di un corso d’acqua internazionale comporta il diritto di utilizzarlo, ma anche il dovere di cooperare con gli altri paesi interessati all’area per realizzare una protezione, ad esempio da forme di inquinamento, e una sua valorizzazione [art. 5, par. 2, CUADN].
Senza dubbio ogni Stato rivierasco ha il diritto di utilizzare le acque che si trovano sul proprio territorio. Questo diritto è una conseguenza della sovranità che attribuisce ad ogni paese, il cui territorio sia attraversato o costeggiato da un corso d’acqua internazionale, di goderne i benefici31.
Se dal principio di eguaglianza tra Stati scaturisce un diritto di ciascun paese rivierasco ad usare un corso d’acqua internazionale nella misura quantitativamente eguale e correlativamente legata a quella degli altri Stati rivieraschi, non necessariamente le risorse debbono essere divise in proporzioni identiche. L’importante che ciascun Stato abbia il diritto di utilizzare il corso d’acqua in rapporto ai propri bisogni.
Può accadere, comunque, che il volume o la qualità dell’acqua non sia in grado di assicurare a tutti gli Stati rivieraschi tutti i possibili usi razionali ed utili. In tal caso si verifica un “conflitto di utilizzazione”. La prassi internazionale indica allora di ricorrere a certi aggiustamenti o accomodamenti per preservare il principio di uguaglianza dei diritti di tutti gli Stati rivieraschi. Questi mezzi devono essere ricercati sulla base dell’equità e il miglior mezzo è l’accordo.
La cooperazione tra gli Stati rivieraschi, ai fini dell’uso, è fondamentale se questi paesi intendono arrivare ad un ripartizione equa degli usi e al perseguimento dei vantaggi32.
Per stabilire le modalità relative alla cooperazione, gli Stati di un corso d’acqua possono, se lo ritengono necessario, progettare dei meccanismi o commissioni miste allo scopo di facilitare la cooperazione relativa alle misure e procedure appropriate, magari prendendo in esame precedenti esperienze in merito [art. 8, CUADN].

3.1. L’obbligo di informare gli altri Stati rivieraschi
In applicazione dell’art. 8 [CUADN], gli Stati rivieraschi sono tenuti a scambiarsi regolarmente i dati e le informazioni facilmente disponibili sullo stato di un corso d’acqua33, in particolare quelle di natura idrologica, meteorologica, idrogeologica, ecologica e concernente la qualità dell’acqua, oltre che le previsioni in merito34.
Se quindi uno Stato contraente intende porre in essere delle misure suscettibili di causare dei consistenti effetti negativi ad un altro paese che condivide lo stesso corso d’acqua internazionale, è tenuto a notificarle, in tempo utile (cioè la notificazione dev’essere effettuata allo stadio della preparazione del progetto), a quest’ultimo. Tale disposizione si prefigge, dal punto di vista procedurale, di aiutare tutti i paesi rivieraschi a mantenere un giusto equilibrio tra i rispettivi usi di un corso d’acqua internazionale35.
Salvo sia previsto diversamente in accordi particolari, la notifica dev’essere corredata di dati tecnici, informazioni disponibili e comprensivi, se del caso, dei risultati dello studio d’impatto ambientale, per consentire allo/gli Stato/i interessati di valutarne gli eventuali effetti derivanti dall’adozione delle misure [art. 12, CUADN] entro sei mesi prorogabili (su richiesta del “paese notificato”qualora una valutazione in merito abbia bisogno di ulteriore tempo rispetto al termine consentito) [art. 13, CUADN].
Nel periodo intermedio tra la notifica e la risposta, lo “Stato notificatore” non può assolutamente porre in essere misure progettate senza il consenso del “paese notificato”. Ed ancora, è tenuto a cooperare con il “paese notificato” fornendogli, su richiesta di quest’ultimo, ogni dato o informazione supplementare disponibile, necessaria per una valutazione più precisa [art. 14, CUADN].
Alla scadenza del termine di sei mesi, o di quello prorogato, lo “Stato notificato” può dare il proprio assenso al progetto, oppure rigettarlo ritenendo tali misure progettate incompatibili con gli artt. 5 o 7 della CUADN. In quest’ultimo caso la conclusione dev’essere accompagnata da un’esposizione documentata e motivata [art. 15, CUADN].
Oppure, ai sensi dell’art. 17 della CUADN, si consente agli Stati interessati (“Stato notificante”, “paese notificato”) di avviare delle consultazioni e, al bisogno, delle negoziazioni per superare la questione in maniera equa. Le consultazioni e le negoziazioni devono essere condotte secondo il principio della buona fede, nel senso che ciascun Stato deve tener conto dei diritti e degli interessi legittimi dell’altro paese interessato. Nel corso delle consultazioni e delle negoziazioni, lo “Stato notificatore” è tenuto ad astenersi, su richiesta del “paese notificato”, dall’attuare le misure progettate per un periodo di sei mesi, salvo sia convenuto diversamente.
Se lo “Stato notificatore” non riceve alcuna risposta positiva, o negativa, lo “Stato notificatore” può procedere, sotto riserva dei propri doveri derivanti dagli artt. 5 o 7 della CUADN, a porre in essere le misure progettate conformemente alla notifica e agli altri dati e informazioni forniti al “paese/i notificato/i”.
Anche in mancanza di notificazione, se uno Stato nutre ragionevoli dubbi che un altro paese rivierasco progetta delle misure che possano avere degli effetti negativi consistenti per esso, può chiedergli di applicare le disposizioni di cui all’art. 12 della CUADN, motivandone le conclusioni. Alle motivazioni del paese richiedente, lo Stato richiesto può opporre, a confutazione, delle proprie conclusioni atte a giustificare l’inapplicabilità dell’art. 12 [CUADN]. Se lo Stato richiedente non è soddisfatto delle conclusioni a confutazione, può chiedere all’altra parte, se del caso, di avviare delle consultazioni e delle negoziazioni secondo le modalità previste dai parr. 1-2 dell’art. 17 [CUADN]. Una soluzione “equa”, richiesta nel par. 1, potrebbe consistere, per esempio, nel modificare i progetti in maniera tale da eliminarne gli aspetti potenzialmente dannosi, nell’adattare altri usi chez l’un ou l’autre des Etats, ovvero nell’accordare, allo Stato autore della notifica, un’indennizzo36 o ogni altra forma di ristoro accettabile dal paese al quale la notifica è stata indirizzata.
Durante la fase delle consultazioni e delle negoziazioni, lo Stato che progetta le misure è tenuto, su richiesta dell’altro paese interessato, ad astenersi per un periodo di sei mesi (salvo si convenga diversamente) dall’attuare queste misure [art. 18, CUADN]. Il par. 1 dell’art. 18 [CUADN] permette allo Stato rivierasco di chiedere al paese che progetta delle misure, limitatamente alle condizioni previste dal par., di riesaminare le valutazioni e le conclusioni a cui è pervenuto. Le disposizioni di cui all’art. 14 e all’art. 17, par. 3 della CUADN sono oggetto di deroga ai sensi dell’art. 19 [CUADN] e precisamente nell’ipotesi in cui le misure progettate si rivelino di estrema urgenza per motivi di ordine pubblico e sanitario (rischio d’inondazione o questioni di interesse vitale per la sicurezza nazionale). Allo stesso modo, una formale dichiarazione proclamante l’urgenza delle misure, corredata di dati e informazioni pertinenti dev’essere manifestata agli altri Stati rivieraschi che possono subire dei considerevoli effetti negativi dall’attuazione di queste misure. Tuttavia, lo Stato che progetta le misure s’impegna, su richiesta di uno qualunque dei paesi potenzialmente danneggiati, ad avviare prontamente delle consultazioni e delle negoziazioni nei modi e nei termini previsti dall’art. 17, parr. 1 e 2 [CUADN].
Se un paese rivierasco richiede ad un altro di fornirgli dei dati e delle informazioni non facilmente disponibili, lo Stato richiesto deve fare il possibile per farvi fronte. Ma può «subordonner son acquiescement au paiement, par l’État auteur de la demande, du coût normal de la collecte et, le cas échéant, de l’élaboration de ces données ou informations» [art. 9, CUADN]. Le regole definite dall’art. 9 della CUADN sono di natura suppletiva: si applicano allorquando la questione non è disciplinata da un accordo particolare concernente un corso d’acqua internazionale. Questi dati e queste informazioni possono essere comunicati direttamente o indirettamente.
Ed ancora, gli Stati interessati sono evidentemente liberi d’impiegare, a questo fine, ogni metodo reciprocamente accettato. Uno Stato rivierasco, non è tenuto a fornire che solo delle informazioni di cui dispone facilmente (per es., quelle cha ha già raccolto per le proprie necessità). La valutazione se, appunto, i dati e le informazioni siano facilmente accessibili, dovranno incentrarsi su certi elementi, per esempio il lavoro e le spese sopportate per la raccolta di questi dati, tenendo conto delle risorse umane, tecniche e finanziarie dello Stato richiesto.
Il termine “in particolare”, contenuto nel par. 1 dell’art. 9 [CUADN], indica che i dati e le informazioni menzionati, che non costituiscono in alcun modo una lista esaustiva, sono quelle che sono considerate tra le più importanti ai fini di un uso equo.
Uno Stato che utilizza un corso d’acqua è tenuto innanzitutto a notificare agli altri paesi interessati eventuali misure che intende prendere suscettibili di causare danni agli altri, ovvero ad adoperarsi, singolarmente o congiuntamente, in circostanze pregiudizievoli ed urgenti.
Il termine “urgente” indica delle situazioni che causano, o possono causare, un danno grave agli Stati rivieraschi o agli altri paesi (quest’ultimi possono subire dei danni per effetto dello scarico di sostanze chimiche trasportate dal corso d’acqua fino al mare) e che sono improvvisamente provocati da cause naturali, come le inondazioni, scioglimento dei ghiacciai, frane o terremoti, o da attività dell’uomo (es., incidente industriale).
Al verificarsi di tali circostanze urgenti ogni paese rivierasco è tenuto ad informare37, senza indugio e con tutti i mezzi a disposizione (cioè attraverso dei mezzi di comunicazione, i più rapidi che abbiano), gli altri Stati che rischiano di essere colpiti da tali eventi, ovvero le competenti organizzazioni internazionali su ogni situazione di emergenza sopravvenuta nel proprio territorio.
In quest’ultimo caso, il paese nel cui territorio è sopravvenuto uno stato di emergenza è tenuto ad adottare immediatamente (la situazione costituisce una tale urgenza che consente il diritto di intervenire bruscamente) - in cooperazione con gli Stati che rischiano di essere colpiti e, all’occorrenza, con le competenti organizzazioni internazionali – tutte le misure possibili che richieda il caso, per prevenire attenuare ed eliminare, le conseguenze dannose derivanti dalla situazione d’emergenza.
In caso di necessità, gli Stati rivieraschi possono elaborare piani urgenti per far fronte alla situazione di pericolo in cooperazione, all’occorrenza, con gli altri paesi che rischiano di essere colpiti e con le competenti organizzazioni internazionali38.  Per appurare se questi piani sono necessari, occorrerà, per esempio, valutare le caratteristiche dell’ambiente naturale del corso d’acqua in rapporto agli usi che sono fatti del corso d’acqua e delle zone terrestri contigue [art. 28, CUADN].
Ciò pone un evidente contrasto tra la norma dell’equa utilizzazione e il divieto di cagionare danni39, oggetto di discussione ed interessi negli Stati contraenti40.
Le misure che possono essere prese in virtù dell’art. 27 [CUADN], sono molteplici e varie. Queste vanno dallo scambio periodico, in tempi ragionevoli, dei dati e delle informazioni che risultino utili per prevenire e attenuare le condizioni dannose, fino all’adozione di ogni ragionevole misura affinché le attività condotte sul territorio di un paese rivierasco non causi delle condizioni dannose per gli altri Stati.

3.2. La cooperazione per la protezione delle acque
Per realizzare un uso ottimale e un’adeguata protezione di un corso d’acqua internazionale, la CUADN indica lo strumento della cooperazione in buona fede.
La cooperazione nel campo dell’acqua è indispensabile perché tale settore ha dei risvolti sia politici, che dal punto di vista della distribuzione e conservazione delle risorse. Le esigenze di cooperazione è strettamente connessa all’equa utilizzazione delle risorse e quindi, in subordine, allo scambio delle informazioni e alla preventiva notifica; tant’è che la quasi totalità degli accordi internazionali – che si prefiggono di utilizzare, valorizzare e proteggere le acque internazionali – prevedono delle disposizioni che invitano od obbligano allo scambio delle informazioni o un sistema ad hoc41. L’obbligo della preventiva notifica è presente in differenti convenzioni internazionali42.
A tal fine gli Stati di un corso d’acqua, singolarmente o congiuntamente, sono tenuti a proteggere e preservare gli ecosistemi presenti in tale spazio comune, proporzionalmente al loro grado di responsabilità nel causare il pericolo o il danno [art. 20, CUADN]43.
Alcuni organismi governativi o non governativi hanno adottato precedentemente delle mozioni, delle raccomandazioni e delle dichiarazioni di principi relativi agli usi dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione.
Questi strumenti apportano una conferma supplementare alle regole enunciate nell’art. 5. Per esempio, uno dei più antichi è la Dichiarazione di Montevideo sull’uso dei fiumi internazionali per fini industriali e agricoli approvata nella settima Conferenza internazionale degli Stati americani del 24 dicembre 1933, nella quale si stabilisce un principio (parr. 2 e 4) – applicabile anche ai fiumi che attraversano in sequenza i territori di più paesi - che gli Stati hanno il diritto esclusivo di sfruttare per fini industriali o agricoli le acque dei fiumi internazionali, sulla sponda sottoposta alla loro giurisdizione. Tuttavia, l’esercizio di questo diritto è limitato dalla necessità di non arrecare pregiudizio al simile diritto che deve essere riconosciuto allo Stato vicino (a valle o a monte).
Un altro strumento normativo è l’Atto di Asunción relativo all’uso dei corsi d’acqua internazionali, adottato dai ministri degli affari esteri dei paesi rivieraschi di Rio de La Plata (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay) nella riunione tenutasi dal 1° al 3 giugno 1971, contenente la Dichiarazione di Asunción sull’uso dei corsi d’acqua internazionali la quale stabilisce: a) che nei corsi d’acqua internazionali contigui, appartenenti simultaneamente a due Stati, risulta necessario un accordo bilaterale tra i paesi rivieraschi prima di qualsiasi uso ne sia fatto delle acque (par. 1); b) che nei corsi d’acqua internazionali successivi, che non appartengono simultaneamente alla sovranità di due Stati, ogni paese può utilizzare le acque compatibilmente con i suoi bisogni, a condizione che non si arrechino notevoli pregiudizi ad alcun altro Stato del bacino (par. 2). In seno alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente tenutasi dal 5 al 16 giugno 1972, sono stati adottati: 1) la Dichiarazione (di Stoccolma) sull’ambiente il cui principio 21 stabilisce che, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi di diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro proprie risorse in base alla loro politica ambientale e hanno il dovere di fare in modo che le attività svolte nel proprio territorio, o sotto il loro controllo, non causino dei danni all’ambiente degli altri paesi o nei territori nullius; 2) il Piano d’Azione per l’ambiente che contiene la raccomandazione n. 51 che invita i governi interessati: a) ad esaminare l’opportunità d’istituire una commissione internazionale fluviale o degli strumenti appropriati per la cooperazione tra i paesi interessati quando delle risorse in acqua appartengono a più Stati; b) ad applicare i seguenti principi e cioè che lo sfruttamento delle risorse presenti in acqua avvenga nel miglior dei modi e si eviti di produrre l’inquinamento dell’acqua in ogni paese, e che i vantaggi netti derivanti dalle attività condotte nelle regioni idrologiche comuni a più Stati, devono essere ripartiti in parti uguali tra i paesi in causa.
Un ennesimo strumento da menzionare è il Piano d’Azione del Mare della Plata, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua, che contiene, tra numerose raccomandazioni e risoluzioni, la raccomandazione n. 7 che invita gli Stati a promulgare «una legislazione giudiziosa» per promuovere efficacemente ed equamente l’uso e la protezione dell’acqua e degli ecosistemi presenti nell’acqua. Ed ancora, si sostiene che, constatata la crescente interdipendenza dal punto di vista economico, ambientale e fisico che esiste al di là delle frontiere, nel caso di risorse in acqua comuni, gli Stati sono tenuti a cooperare. Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi di diritto internazionale, questa cooperazione dev’essere fondata sull’uguaglianza, la sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli Stati. Infine, le decisioni dei tribunali (arbitrali) internazionali rafforzano il principio che vieta agli Stati di lasciar utilizzare il loro territorio in maniera pregiudizievole per gli altri paesi (casi Oder, Prises d’eau à la Meuse, Détroit de Corfou, Lac Lanoux, Fonderie de Trail (Trail Smelter).
L’obbligo di proteggere gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali costituisce un’applicazione specifica delle disposizioni contenute nell’art. 5 della CUADN. L’obbligo di protezione imposta agli Stati consiste nel mettere gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali al riparo dai pericoli o dai danni prodotti dall’inquinamento44.


3.2.1. Le misure per la protezione da forme d’inquinamento
Gli Stati rivieraschi, singolarmente o congiuntamente, sono tenuti: a) a ridurre e controllare la polluzione suscettibile di causare un danno significativo agli altri paesi che condividono lo stesso corso d’acqua o al loro ambiente, alla salute o alla sicurezza dell’uomo, all’utilizzo positivo delle acque, o meglio alle risorse biologiche del corso d’acqua [art. 21, par. 2, CUADN].
L’obbligo di prevenire concerne dei nuovi inquinamenti dei corsi d’acqua internazionali, mentre il dovere di ridurre o reprimere concerne la polluzione esistente; b) ad adottare tutte le misure necessarie (in base alla loro tecnologia posseduta e ai loro mezzi finanziari) per proteggere e preservare l’ambiente marino in rapporto ad un corso d’acqua internazionale, ivi compresi gli estuari, tenendo conto delle regole e delle norme internazionali generalmente accettate [art. 23, CUADN]. L’obbligo enunciato all’art. 23 della CUADN non consiste nel proteggere solo l’ambiente marino, ma nel prendere le misure, “che si rapportano ad un corso d’acqua internazionale”, che sono necessarie per proteggere questo ambiente.
Per realizzare, in particolare, la “prevenzione, riduzione e controllo della polluzione” gli Stati contraenti interessati, oltre ad armonizzare le loro politiche a questo riguardo, avviano delle consultazioni, su richiesta di uno di essi, in vista di fissare delle misure e delle modalità vicendevolmente accettabili per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento45, tra le quali: a) definire degli obiettivi e dei criteri comuni concernenti la qualità dell’acqua; b) porre in essere delle tecniche e degli strumenti per combattere l’inquinamento delle sorgenti circoscritte o distribuite46; c) stabilire una tabella delle sostanze la cui introduzione nelle acque di un corso d’acqua internazionale deve essere vietata, limitata, esaminata o controllata [art. 21, par. 3, CUADN].
Sempre come misura protettiva, gli Stati sono tenuti ad adottare ogni misura necessaria a prevenire l’immissione, in un corso d’acqua internazionale, di nuove o estranee specie suscettibili di causare degli effetti pregiudizievoli all’ecosistema di un corso d’acqua e, in conclusione, un significante danno agli altri Stati del corso d’acqua [art. 22, CUADN]47.


3.2.2. La protezione dall’introduzione di nuove specie
L’introduzione di nuove specie (cioè quelle modificate geneticamente o ottenute attraverso le tecniche della genetica) e specie étrangères (specie allogene) di flora e fauna (piante, animali e altri organismi viventi) in un corso d’acqua è suscettibile di rompere l’equilibrio ecologico ed ingenerare quindi dei gravi problemi (es., intralci alle attività ricreative, eutrofizzazione accelerata, perturbazione della catena alimentare, eliminazione delle altre specie, specialmente interessanti, trasmissione delle malattie). Una volta introdotte nuove specie è molto difficile eliminarle.
L’obbligo di preservare gli ecosistemi dei corsi d’acqua internazionali è analogo a quello relativo alla protezione, ma, in questo caso, si applica agli ecosistemi di acqua dolce che sono nel loro stato primitivo e non sono perturbati.
Quindi si chiede agli Stati di proteggere questi ecosistemi in maniera tale da conservare il loro status naturale. La protezione e la preservazione degli ecosistemi acquatici, insieme, permettono di assicurare la loro vitalità permanente e quindi di disporre di una risorsa essenziale di sviluppo a lungo termine.

4. Misure da adottarsi in caso di significante danno prodotto
In caso di significante danno causato ad un paese, lo Stato responsabile è tenuto a consultarsi48 con il paese danneggiato, ed eventualmente a discutere sul risarcimento dei danni [art. 7, CUADN]49.
Il par. 2 dell’art. 7 della CUADN prevede l’ipotesi nella quale un danno significativo si sia realizzato nonostante l’esercizio della diligenza dovuta da parte dello Stato utilizzatore e quindi operante nel momento in cui è esclusa qualsiasi questione di responsabilità da illecito del paese utilizzatore per violazione dell’obbligo di diligenza.
In tal caso il par. 2 [CUADN] pone a carico dello Stato danneggiante un obbligo di consultazione con il paese danneggiato. Un’eccezione all’obbligo di consultazione viene prevista nella prima parte dell’art. 7, par. 2 [CUADN] e precisamente nel caso in cui esista già un accordo specifico tra i due Stati interessati mirante a regolare le questioni rilevanti. Ai sensi del sottoparagrafo a) dell’art. 7, par. 2 [CUADN], gli Stati interessati devono innanzitutto verificare se l’uso che ha dato luogo al danno sia effettivamente equo e ragionevole, “taking into account the factors listed in artiche 6” [CUADN]. La ratio della disposizione, da come emerge dai lavori preparatori (Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 178, par. 61 – intervento di Bowett), è quella di consentire un riesame a posteriori del carattere equo e ragionevole dell’uso del corso d’acqua che, presuntivamente accertato in un primo momento, viene in seguito posto in discussione dal realizzarsi del danno significativo.
Per raggiungere tale risultato fondamentale risulta il sottoparagrafo b) dell’art. 7, par. 2 [CUADN] che richiama innanzitutto le parti a consultazioni finalizzate a porre in essere quegli aggiustamenti ad hoc dell’utilizzazione del corso d’acqua che permettano di ridurre o eliminare il danno significativo ad essa conseguente.
Sulla questione degli aggiustamenti ad hoc da apportare all’utilizzo del corso d’acqua internazionale al fine di eliminare o attenuare ogni danno causato e, se opportuno, dell’indennizzo, enunciato nell’art. 7, par. 2, lett. b) [CUADN], risulta necessario che, durante le consultazioni, si tenga conto di alcuni elementi, come tali aggiustamenti siano vitali sul piano economico, come i danni subiti dallo Stato leso derivanti dalle attività interrotte (produzione e distribuzione dell’energia idroelettrica, lotta contro le inondazioni, potenziamento della navigazione, ecc.). A tal fine, il diritto all’indennizzo è espressamente riconosciuto come un mezzo per riequilibrare gli interessi. La nozione di equilibrio è prevista anche nella raccomandazione n. 51 della Conferenza di Stoccolma del 1972 sull’ambiente.
Il sottoparagrafo b) dell’art. 7, par. 2 [CUADN], stabilisce, inoltre, che oggetto di consultazione tra le parti sia anche “where appropriate”, la questione dell’eventuale risarcimento dei danni alle vittime del danno significativo50.
Se le consultazioni non portano a nulla, si applicheranno le procedure di soluzione delle controversie previste dall’art. 33 della CUADN. La diligenza (“diligence voulue”)51 richiesta ad ogni Stato è proporzionata all’importanza del paese, al suo potere, nonché al suo potenziale di sicurezza in grado di salvare i propri cittadini o residenti.



III. SESTA PARTE DELLA CUADN: DISPOSIZIONI VARIE CHE RIGUARDANO SITUAZIONI DI CONFLITTO ARMATO, PROCEDURE INDIRETTE, DATI ED INFORMAZIONI VITALI PER LA DIFESA O LA SICUREZZA NAZIONALI E LA NON DISCRIMINAZIONE

I corsi d’acqua internazionali, le installazioni, le ristrutturazioni e altre opere connesse beneficiano della protezione riconosciuta dai principi e dalle norme internazionali applicati ai conflitti armati internazionali e interni, e non possono essere utilizzati in violazione del diritto bellico [art. 29, CUADN]. L’art. 29 [CUADN] non modifica né emenda gli strumenti normativi esistenti, e né ha l’intenzione di estendere agli Stati accordi internazionali di cui non siano parti.
La principale funzione dell’articolo in questione è quello di ricordare semplicemente agli Stati che il diritto bellico è applicabile ai corsi d’acqua internazionali. Gli stessi articoli restano evidentemente in vigore nel periodo del conflitto armato. Durante tale periodo, gli Stati rivieraschi sono tenuti a proteggere ed utilizzare i corsi d’acqua internazionali e le opere connesse conformemente alle disposizioni che hanno fissato. Ma la guerra può toccare un corso d’acqua internazionale e avere delle conseguenze relativamente alla loro protezione e all’uso. L’art. 29 [CUADN] non lascia alcun dubbio sull’applicazione dei principi e delle norme del diritto bellico52.
Ai sensi dell’art. 30 della CUADN, e precisamente nell’ipotesi in cui si verifichino degli ostacoli seri all’instaurazione di contatti diretti tra gli Stati rivieraschi, i paesi interessati si accollano i doveri derivanti dalla presente convenzione, ivi compresi lo scambio dei dati e delle informazioni, le notifiche, le comunicazioni, consultazioni e negoziazioni, in virtù di ogni procedura indiretta accettata da essi.
Ai sensi dell’art. 31 della CUADN, nessuna disposizione della presente convenzione obbliga uno Stato rivierasco a fornire dati ed informazioni che sono vitali per la sua difesa o sicurezza nazionali. Tuttavia, questo Stato è tenuto a cooperare in buona fede con gli altri allo scopo di fornire soltanto le informazioni che le circostanze richiedono53.
Salvo che gli Stati rivieraschi non convengano diversamente sul come proteggere gli interessi delle persone, fisica o giuridica, o che possano essere seriamente danneggiate da un significante danno transfrontaliero derivante da attività legate ad un corso d’acqua internazionale, un paese rivierasco non può impedire alle interessate di esperire i ricorsi interni, o rifiutarne l’indennizzo o altra forma di riparazione – per danni significativi derivati da attività condotte sul proprio territorio – giustificando il diniego di giustizia e il rifiuto a motivi strettamente legati alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo del danno, delle persone interessate [art. 32, CUADN]54.



IV. LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE

In caso di controversie tra due o più paesi concernenti l’interpretazione o l’applicazione della presente convenzione, l’art. 33, parr. 1-2 [CUADN], dispone che, in assenza di un accordo in vigore tra le parti della controversia, gli interessati sono tenuti a risolverla con mezzi pacifici indicati dalla convenzione in questione (negoziati, buoni uffici, mediazione, conciliazione, ricorso alla commissione mista o ad un arbitrato)55.
Se entro sei mesi dall’avviamento dei negoziati non si è pervenuti a dirimere la controversia, o in caso di fallimento degli altri mezzi pacifici, la controversia può essere sottoposta, su richiesta di una delle parti interessate, ad una commissione d’inchiesta – le cui spese sono sopportate dagli Stati che sono parti della controversia [art. 33, par. 9, CUADN] - composta da un membro designato da ciascun paese interessato56 e da un presidente scelto da essi, di nazionalità diversa dagli altri componenti [art. 33, parr. 3-4, CUADN]57 e che stabilisce la procedura [art. 33, par. 6, CUADN].
Le parti interessate hanno l’obbligo di fornire alla commissione d’inchiesta tutte le informazioni di cui abbia bisogno e, su richiesta della stessa, di consentire l’ingresso nei loro rispettivi territori e l’ispezione delle installazioni, degli stabilimenti, delle attrezzature, delle costruzioni o degli accidents topographiques, che possano presentare un interesse all’inchiesta in corso [art. 33, par. 7, CUADN].
La Commissione d’inchiesta, alla fine delle indagini, adotta un rapporto a maggioranza dei suoi membri, se non è costituita da un solo membro, e lo sottopone alle parti interessate corredandolo delle sue conclusioni motivate e delle raccomandazioni che ritiene opportune per risolvere la controversia, e i destinatari sono tenuti ad esaminarlo in buona fede [art. 33, par. 8, CUADN].
Tuttavia, ciascun Stato può dichiarare, in luogo di ratifica, accettazione, approvazione, adesione, ovvero successivamente, che, per quanto concerne qualsiasi controversia non risolta con mezzi pacifici, riconoscerà come obbligatoria ipso facto e senza alcun accordo speciale concluso con le parti che hanno accettato lo stesso obbligo: a) la sottoposizione della controversia alla Corte internazionale di giustizia; b) l’arbitrato di un tribunale arbitrale competente che esercita i propri poteri, salvo diversamente disposto dalle parti di una controversia – che in tal caso può essere anche un’organizzazione regionale economica, conformemente alla procedura indicata in appendice alla convenzione [art. 33, par. 10, CUADN].
In questo caso la parte attrice notifica – con un atto (di notifica) nel quale indica l’oggetto dell’arbitrato e in particolare gli articoli della convenzione che sono oggetto della controversia - alla parte convenuta la propria intenzione di rinviare la controversia ad un tribunale arbitrale, conformemente all’art. 33 della presente convenzione. Se le parti della controversia non si accordano sull’oggetto della controversia, sarà il tribunale arbitrale a determinarlo [art. 2, appendice della CUADN]. Il tribunale arbitrale è composto da tre membri se le parti della controversia sono due59.
Ciascuna delle parti alla controversia nomina un arbitro60; i due arbitri designati, di comune accordo, ne nominano un terzo che assume la funzione di presidente del tribunale61 [art. 3, par. 1, in appendice alla CUADN].
Se entro due mesi dalla nomina del secondo arbitro, non viene nominato il presidente del tribunale arbitrale, il presidente della Corte internazionale di giustizia procede, su richiesta di una parte, ad una sua designazione entro i successivi due mesi [art. 4, par. 1, in appendice alla CUADN].
Ai sensi dell’art. 8 [in appendice alla CUADN] le parti sono tenute ad agevolare i lavori del tribunale arbitrale: a) fornendo tutti i documenti, informazioni e agevolazioni possibili. Le parti e gli arbitri, tuttavia, sono tenuti a mantenere la natura confidenziale su ogni informazione che essi ottengono confidenzialmente o nel corso delle udienze; b) permettendo all’organismo arbitrale, in caso di necessità, di far comparire dei testimoni o degli esperti e di raccogliere le loro deposizioni.
Il tribunale arbitrale stabilisce le proprie regole di procedura (salvo che le parti della controversia non decidano diversamente) [art. 6, in appendice alla CUADN], può raccomandare – su richiesta di una delle parti della controversia – dei provvedimenti conservativi necessari (art. 7, appendice convenzione), conoscere e decidere sulle domande riconvenzionali strettamente legate all’oggetto della controversia [art. 11, in appendice alla CUADN].
Il tribunale rende le proprie decisioni62 (tant sur le procédure que sur le fond) conformemente alle disposizioni della convenzione in questione e al diritto internazionale [art. 5, in appendice alla CUADN] a maggioranza dei suoi membri [art. 12, in appendice alla CUADN]. Se una delle parti della controversia è contumace, l’altra parte può chiedere di dar seguito alla procedura e alla decisione [art. 13, in appendice alla CUADN].
Il tribunale arbitrale è tenuto a pronunciare la sentenza definitiva non più tardi dei cinque mesi dalla sua istituzione, a meno che non ritenga necessario prorogare il termine per altri cinque mesi al massimo. La sentenza, limitata all’oggetto della controversia, dev’essere motivata, deve contenere i nomi dei membri che hanno partecipato alla sua stesura e la data nella quale è stata pronunciata, le varie opinioni divergenti dei membri.
La sentenza è obbligatoria per le parti della controversia ed è inappellabile, a meno che le parti non abbiano precedentemente inteso prevedere un secondo grado di giudizio (art. 14, in appendice alla CUADN].


V. MOTIVI PER I QUALI LA CUADN NON È ENTRATA ANCORA IN VIGORE

1. Natura della CUADN
La presente Convenzione è stata aperta alla firma di tutti gli Stati e delle organizzazioni economiche regionali a partire dal 21 maggio 1997 fino al maggio del 2000 presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York [art. 34, CUADN]. La Convenzione sarebbe dovuta entrare in vigore 90 giorni dopo il deposito della trentacinquesima ratifica (accettazione, approvazione o adesione) depositata presso il Segretario generale delle Nazioni Unite [art. 36, par. 1, CUADN].
Allo stato attuale solo 15 Stati63 dei 24 che hanno sottoscritto la CUADN64, hanno deposito la propria ratifica, accettazione, adesione o approvazione65.
Il ritardo dell’entrata in vigore della CUADN o della limitata incisività, dipende innanzitutto dal modo d’essere della convenzione stessa che appunto s’inquadra come accordo-quadro66.
La CUADN non si pone l’obiettivo di derogare ad accordi internazionali conclusi precedentemente dagli Stati che ne diventano parti67. A tal fine si dispone che, salvo gli Stati rivieraschi abbiano convenuto diversamente, la CUADN «non modifica in nulla i diritti o i doveri» precedentemente stabiliti in precedenti accordi internazionali conclusi tra gli stessi68.
Allo stesso modo, quando certi Stati rivieraschi sono parti di un altro accordo, nessuna disposizione della CUADN recherà pregiudizio ai diritti e doveri agli stessi Stati che siano parti di entrambi [art. 3, par. 6, CUADN]. Tuttavia, sempre che lo ritengano necessario, gli Stati possono sempre armonizzare i precedenti accordi conclusi con i principi previsti dalla CUADN.
Gli Stati rivieraschi, infatti, possono concludere anche uno o più accordi internazionali, denominati “accords de cours d’eau69, al fine di applicare e adattare le disposizioni della CUADN alle caratteristiche e agli usi di un corso d’acqua internazionale, o di una parte di esso.
All’iniziativa di un paese rivierasco – che ritiene appunto necessario adattare e applicare le disposizioni della CUADN in ragione delle caratteristiche e degli usi di un corso d’acqua internazionale particolare – seguono delle consultazioni allo scopo di negoziare, in buona fede, un accordo o degli accordi internazionali [art. 3, par. 5, CUADN]. Il bisogno di consultarsi può derivare sia da semplici esigenze di carattere naturale, come la diminuzione del volume dell’acqua, sia da fatti legati ai bisogni degli Stati rivieraschi, come l’aumento del consumo domestico, agricolo o industriale.
Se da un lato gli Stati che concludono l’accordo particolare sono tenuti ad osservare il par. 1 dell’art. 3 [CUADN], dall’altro lato restano liberi, non solo di applicare le disposizioni dell’art. 3 [CUADN], ma addirittura di adattarle alle caratteristiche e agli usi particolari del corso d’acqua o parte di esso.
Ai sensi dell’art. 3, par. 2 della CUADN, gli Stati sono liberi di definire la portata degli accordi che andranno a concludere e quindi anche di limitarlo ad un solo tronco di un fiume che forma o attraversa una frontiera internazionale, ovvero di estenderlo a tutte le acque del bacino di drenaggio, o infine di adottare una soluzione intermedia70.
Un accordo di questo tipo può essere concluso per l’intero corso d’acqua internazionale, o per una parte qualsiasi di esso, o per un progetto o programma particolare, ovvero per un particolare uso, purché non si arrechi grave pregiudizio all’utilizzo delle acque ad uno o più Stati senza l’esplicito assenso di quest’ultimo/i [art. 3, par. 4, CUADN].
La parte centrale del paragrafo contiene una riserva - «un tel accord peut être conclu pour un cours d’eau international tout entiere» - atta a proteggere i diritti degli Stati rivieraschi che non sono parti di un accordo. A tal fine si ritiene che il modo più efficace ed utile per risolvere i problemi legati ad un corso d’acqua (es., inquinamento)71 sia quello di far partecipare possibilmente tutti gli Stati interessati, anziché una cerchia ristretta. Una formula del genere è prevista nei trattati relativi ai bacini dell’Amazzonia, del Rio de La Plata, del Niger e del Chad.
Se uno Stato rivierasco rischia di essere leso in maniera significativa dall’esecuzione di un eventuale accordo, ha il diritto di partecipare alle consultazioni ed eventualmente ai negoziati (da condursi in buona fede) al fine di divenirne parte qualora si valuti obiettivamente che da tale impegno internazionale assunto non ne derivi grave pregiudizio [art. 3, par. 3, CUADN].
La conditio sine qua non della conclusione di un accordo prima dell’utilizzo di un corso d’acqua72, conferisce agli Stati la possibilità di impedire agli altri di utilizzare le acque, rifiutando semplicemente l’accordo.
Se da un lato si riconosce ad ogni Stato di un corso d’acqua (parte o no di un accordo) il diritto di partecipare alle consultazioni e ai negoziati in vista di un accordo internazionale, dal canto suo tale diritto non è assoluto, essendo sottoposto ad una riserva: questo diritto non esiste per lo Stato in questione «que dans la mesure où son utilisation en sarait affectée» [art. 4, par. 2, CUADN], cioè nel momento in cui l’accordo minacci realmente un grave pregiudizio. Al di fuori di queste ipotesi la partecipazione di uno Stato rivierasco contraente ad un accordo, costituirebbe un’ingerenza durante le fasi di consultazione e di negoziazione.

2. La scarsa efficacia ed incisività della CUADN
Un secondo motivo è data dal fatto che la CUADN non ha una vocazione universale e non detta principi innovativi rispetto alle precedenti convenzioni di diritto internazionale fluviale che trattano dell’utilizzo dei corsi d’acqua internazionali. Certo, le aspettative avrebbero dovute essere maggiori (vocazione universale, come la Convenzione di Montego Bay del 1982 nel settore del diritto internazionale marittimo)73 visto che prima della CUADN non esisteva una disciplina unitaria e concreta sull’uso delle corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione.
Le associazioni e le organizzazioni internazionali, infatti, si sono occupate del problema in un’ottica strettamente legata ai loro bisogni di carattere regionale o geografico, ed anche con approcci differenti: ciò dimostra che non esistono dei principi evidenti e universali di diritto internazionale relativi all’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione. Inoltre, risulta che nessun tribunale arbitrale abbia pronunciato una decisione in materia74.
L’insuccesso sinora raggiunto sul numero dei ratificanti75, deriva forse dall’esistenza di numerose convenzioni internazionali fluviali-marittime (passate in rassegna non esaustivamente) che dettagliatamente e settorialmente già disciplinano i contenuti vaghi previsti dalla CUADN.
Un disinteresse emerso anche durante il lungo iter preparatorio76 forse motivato dal fatto che tale convenzione non innoverebbe in nulla il regime giuridico dei corsi d’acqua internazionali (a fini diversi dalla navigazione), essendo un grande calderone o, se volete, un bacino contenente principi e direttive già contenuti in precedenti accordi bilaterali-multilaterali sia in materia marittima, che fluviale.
L’unico elemento positivo che si riscontra è dunque il fine di “riunire, o richiamare”, i principi contenuti in numerose convenzioni di diritto internazionale fluviale (essenzialmente sull’uso dei corsi d’acqua internazionali) e marittimo – indicando timidamente agli Stati contraenti (della CUADN) di osservarli nell’elaborazione dei loro “accords de système77.
A ciò si associa la subordinazione dell’intera CUADN rispetto agli altri accordi conclusi dagli Stati contraenti che non possono essere derogati dalla CUADN (e che ne svilisce il contenuto), e dal timido tentativo di consigliare ai paesi contraenti di modificare i propri accordi compatibilmente con i principi in essa contenuti (ma per la maggior parte già previsti in numerosi accordi bilaterali-multilaterali).
Del resto gli Stati rivieraschi di un corso d’acqua internazionale nella prassi preferiscono concludere degli accordi internazionali bilaterali o al massimo tri-quadrilaterali anziché trattati internazionali altamente multilaterali78. Ciò risulta da uno studio condotto su 145 trattati internazionali conclusi dopo il 1870 (J. H. HAMMER, A. T. WOLF, Patterns in International Water Resource Treaties: the Transboundary Freshwater Dispute Database, in Colorado J. Int’l Env’l L & P., 1997).
Senza contare, poi, che già nel periodo 1950-1978 sono stati registrati - presso il Segretario generale delle Nazioni Unite - ben 225 convenzioni internazionali contenenti disposizioni in tema di usi differenti dalla navigazione a fronte di 98 convenzioni disciplinanti la navigazione fluviale. Altre due raccolte di trattati relative agli ambiti regionali europeo ed africano annoverano rispettivamente 105 e 26 strumenti convenzionali relativi alle utilizzazioni dei fiumi internazionali diversi dalla navigazione79.
Calandoci poi nei meandri e settori disciplinati dalla CUADN (equa utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali, valorizzazione dei fiumi internazionali, sfruttamento idroelettrico, protezione dell’inquinamento e degli ecosistemi, risarcimento dei danni, soluzione delle controversie) degno di essere richiamato è il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999).
Il Protocollo, infatti, sembra quasi prevedere una buona parte della CUADN, soprattutto se si analizzano gli obiettivi del protocollo: promuovere a tutti i livelli appropriati, sia nazionale che in un contesto transfrontaliero e internazionale, la protezione della salute e del benessere dell’uomo, nel quadro di uno sviluppo sostenibile, migliorando la gestione dell’acqua, ivi compresa la protezione degli ecosistemi acquatici, e adoperandosi per prevenire, combattere e far regredire le malattie legate all’acqua (art. 1).
Ciò fa pendant con l’ampiezza del suo campo di applicazione che, infatti, copre: a) le acque dolci superficiali; b) le acque sotterranee; c) gli estuari; d) le acque costiere utilizzate a fini ricreativi, o per l’acquacoltura o la molluschicoltura; e) gli invasi artificiali per balneazione; f) le acque durante le operazioni di prelievo, trasporto, trattamento o approvvigionamento; g) le acque usate durante le operazioni di raccolta, trasporto, trattamento e rigetto o riutilizzo (art. 3).
Ai sensi dell’art. 4 le Parti adottano tutte le misure appropriate per prevenire, combattere e far regredire le malattie legate all’acqua nel quadro di sistemi integrati della gestione dell’acqua miranti ad assicurare un’utilizzazione sostenibile delle risorse acquatiche, una qualità dell’acqua che non metta in pericolo la salute dell’uomo e la protezione degli ecosistemi acquatici.
Ciascuna Parte vigila affinché siano predisposti dei sistemi d’intervento includendo sistemi nazionali e/o locali completi per la sorveglianza e l’allarme tempestivo, piani di emergenza nazionali e locali completi ivi compresi i mezzi d’intervento per fare fronte ad episodi o incidenti, nonché a minacce di episodi o incidenti, relativi a malattie legate all’acqua (art. 8).
Ed infine. Le Parti, ai fini del presente Protocollo, perseguono lo scopo di garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile e le misure sanitarie, nel quadro dei sistemi integrati di gestione dell’acqua. A tal fine, ciascuna Parte: a) fissa e pubblica degli obiettivi nazionali e/o locali, eventualmente intermedi o scaglionati, al fine di assicurare un alto grado di protezione contro le malattie legate all’acqua, nonché delle date per raggiungere detti obiettivi; b) predispone dei meccanismi nazionali o locali di coordinamento tra le autorità competenti, dei piani di gestione dell’acqua in un contesto transfrontaliero, nazionale e/o locale, preferibilmente a livello di bacini idrografici o di acquiferi sotterranei, ed infine un quadro legislativo ed istituzionale, nonché i meccanismi giuridici ed istituzionali, per assicurare la sorveglianza e garantire il rispetto degli standard e della qualità (art. 6).

3. Osservazioni finali
Ulteriori osservazioni critiche possono essere fatte sugli artt. 5, 6 e 10 della CUADN, relativi al principio dell’equa utilizzazione che prevedono un uso ottimale anziché, come si auspicava da alcune delegazioni in precedenti sessioni80, un accostamento al principio dello sviluppo sostenibile81 già previsto in alcuni strumenti internazionali contemporanei82.
Certamente l’art. 5 al par. 1 [CUADN] introduce il concetto di “utilizzazione sostenibile”, ma né tale articolo, né tantomeno il successivo art. 6 [CUADN], contengono riferimenti a nozioni o circostanze, quali la protezione degli ecosistemi correlati ai corsi d’acqua, il principio dell’azione precauzionale o la necessità di considerare i diritti delle generazioni future, come si auspicava da vari delegati durante le sedute.
Con la frase «taking into account the interests of the watercourse States concerned» si è voluto indicare che qualsiasi sfruttamento di un corso d’acqua internazionale e la realizzazione del fine della sua ottimale utilizzazione non possono essere rimessi alla discrezionale valutazione del singolo paese utilizzatore, ma vanno considerati nella prospettiva di bilanciare e soddisfare le esigenze di tutti gli Stati rivieraschi interessati al corso d’acqua.
A tal fine sembra opportuno ricordare il consistente numero di accordi internazionali contemporanei che vanno al di là del principio dell’utilisation équitable, prevedendo un sistema integrato di gestione del bacino83.
Negli ultimi 20 anni, inoltre, la presa di coscienza degli Stati di fronte ai gravi e sproporzionati effetti nefasti prodotti dai fenomeni di inquinanti ha fatto sì che strumenti internazionali si corredassero del principio dello sviluppo sostenibile, cioè l’esigenza di garantire una compatibilità tra le attività di sviluppo economico degli Stati e la tutela e preservazione di un ambiente naturale che delle medesime attività rappresenta supporto presente e futuro. Si è quindi constatato come i corsi d’acqua assumano un ruolo importante dell’ambiente globale costituendo, tra l’altro, degli ecosistemi in cui vivono e si sviluppano diverse risorse naturali viventi e non viventi tra loro strettamente collegate84:
Una convenzione degna di modificare od integrare il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali (per fini diversi dalla navigazione) avrebbe dovuto essere più incisiva e avrebbe dovuto coinvolgere più paesi in modo tale da assumere la forma di una convenzione tendenzialmente universale (che mai sarà anche nell’ipotesi in cui altri Stati decideranno di ratificarla o di aderivi). Ma i motivi politici, gli interessi diversi dagli Stati85, i loro precedenti accordi internazionali in materia fluviale86, non avrebbero neppure fatto proseguire il lungo iter dei lavori preparatori se l’intento dei membri della commissione di diritto internazionale e lo spirito dei redattori avesse voluto porre in essere una convenzione di ampio respiro in grado di rivoluzionare il (precedente) regime giuridico dell’uso dei corsi d’acqua internazionali (per fini diversi dalla navigazione)87.

 

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* Ricercatore di diritto internazionale e Professore supplente di organizzazione internazionale nella Facoltà di Scienze Politiche della Università degli studi di Teramo.


1) Nelle regioni dove abbonda l'acqua, l'utilizzo di tale risorsa per fini agricoli consiste nel ridurre la percentuale di umidità nei suoli mediante il sistema del drenaggio. In tal caso più che di “utilizzo” si può parlare di “sfruttamento”dei corsi d'acqua.

2) Nella maggior parte dei paesi la richiesta d'acqua per fini industriali supera quella per fini domestici e agricoli, e la domanda industriale tende ad accrescersi sempre di più per l'introduzione e l'applicazione di nuove tecniche: questo è il caso dell'energia atomica utilizzata al posto dei combustibili fossili o di altre fonti di energia.

3) Ad un progressivo aumento esponenziale negli anni a seguire della popolazione mondiale non corrisponde un altrettanto aumento delle risorse idriche. Da segnalare, tra l’altro, uno studio condotto dal segretariato della commissione economica per l'Europa sui problemi dell'approvvigionamento dell'acqua in Europa (negli anni 70) - («Travaux préparatoire de la Conférence des Nations Unies sur l’eau: projet de rapport sur les options politiques concernano l’utilisation et la mise en valeur des ressources en eau dans la ragion de la Commission économique pour l’Europe» WATER/ge.1/r.21) – nel quale si stimò che le risorse idriche di cinque Stati europei (Cipro, Malta, Repubblica democratica tedesca, Ungheria, RSS di Ucraina) non soddisfavano più i loro bisogni. E che le risorse idriche non avrebbero soddisfatto i bisogni crescenti di altri sette paesi europei (Belgio, Bulgaria, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Romania e Turchia) da lì al 2000. In ragione della sua proprietà di autorinnovamento, si può dire, che l'acqua costituisce la sola risorsa naturale sulla quale gli Stati esercitano concretamente una sovranità permanente. Le altre risorse naturali generalmente associate a questa nozione, per esempio i minerali e il petrolio, sono limitati. Un’altra delle caratteristiche fisiche dell'acqua è la (sua) mobilità o il c.d. movimento perpetuo. La pioggia cade sui fianchi di una collina, si disperde in un ruscello che si getta in un corso d'acqua e va fino al mare, dove l'acqua evapora e si condensa in seguito in neve per ricadere, infine, sulla terra.

4) Per sua natura, il processo di rinnovamento dell'acqua si situa sempre all'interno di una certa zona geografica – anche se l’acqua passa da un paese all’altro con un movimento continuo – essendo le frontiere determinate dalle delimitazioni del bacino idrografico. In forza del proprio ciclo idrologico l’acqua presente sulla terra si rinnova costantemente mantenendo invariata la propria consistenza quantitativa mediante fenomeni di evaporazione e precipitazione. Tuttavia, l'utilizzo dei corsi d'acqua, a causa della siccità, implica ulteriori problemi quali, l'impoverimento dei corsi d'acqua, l'inquinamento, l’erosione, le inondazioni ecc.

5) Si osserva che un corso d’acqua interamente situato su un territorio di un solo Stato può essere alimentato dalle acque sotterranee di un altro paese. Sarà quindi possibile, tecnologia e progresso permettendo, deviare o utilizzare queste acque a scapito delle acque superficiali attribuendo eventuali responsabilità in materia di diritto fluviale allo Stato che causerà un pregiudizio con questo tipo di attività (A/CN.4/SR.1609, punto 4, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I).

6) Esempi: Il Trattato concluso tra Iran ed Iraq relativo alla delimitazione di frontiera e al buon vicinato tra Iran ed Iraq (Bagdad, 13 giugno 1976) dispone all’art. 2 che le parti contraenti «confirment que la frontière d’Etat dans le Chatt-El-Arab est celle dont la délimitation a été effectuée sur les base et conformément aux dispositions contenues dans le Protocole relatif à la délimitation de la frontière fluviale et les annexes audit Protocole, lesquels sont joints au présent Traité». L’Accordo concluso tra la Bulgaria e la Romania (Sofia, 4 dicembre 1977) sulla determinazione delle frontiere alla foce del fiume Rezovska/Mutludere e la delimitazione delle regioni marittime tra i due Stati nel mare del Nord, stabilisce: 2) all’art. 1 che «l’embouchure de la rivière Rezovska/Mutludere est définie comme la zone située entre la ligne qui relie le point x=5071 m et y=7842 m sur la rive bulgare, au point x=4978 m et y=7836 m sur la rive turque, là où la rivière se déverse dans la Baie de Rezovo/Begendik»; b) all’art. 2 che la «frontière entre la République de Bulgarie et la République turque dans l’embouchure de la rivière Rezovska/Mutludere suit la ligne médiane dans le lit de la rivière (mesurée au niveau de la mer moyen), fixée après son déblaiement et son réaménagement». L’art. 3 che «le point frontière initial dans l’embouchure de la rivière Rezovska/Mutludere est doté des cordonnées rectangulaires x=5025 m et y=7839 m, et le point frontière terminal dans l’embouchure de la rivière des cordonnées x=5324 m et y=8339 m, déterminées sur le Plan de l’embouchure de la Rezovska/Mutludere, à l’échelle 1:1000, conjointement adopté en septembre 1992 (Annexe 3 au présent Accord). Le point frontière terminal dans l’embouchure constitue le point frontière terminal terrestre entre les Parties». L’art. 4 che le «Parties garantissent le libre écoulement des eaux de la rivière dans la Baie, sur la base d’un projet conjoint d’ingénierie qui sera élaboré conformément aux dispositions exposées dans l’Annexe 1 au présent Accord». Ed ancora i seguenti Trattati: Il Trattato di delimitazione della frontiera tra Spagna e Portogallo a partire dalla foce del Miño fino al confluente di Rio Caya e del Guadania (Lisbona, 29 settembre 1864) e successivo Atto finale (Lisbona, 4 novembre 1866) che approva gli Annessi al Trattato in questione. La Convenzione conclusa tra Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Portogallo (Londra, 6 maggio 1920) relativa ad una linea di confine tra il Sud Africa (partendo dal segnale n. 1 situato sulla riva sinistra del Fiume Malosa e terminando al segnale n. 17 sulla riva del Lago Nassa. Lo Scambio di note tra Gran Bretagna-Irlanda del Nord e Portogallo (Lisbona 11 maggio 1936 e 28 dicembre 1937) comprendente un accordo relativo alla sovranità sulle isole del fiume Rovouma e alla frontiera tra il territorio Tanganyika e del Mozambico. Il Trattato concluso tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 7 aprile 1961) relativo alla frontiera sull’Uruguay. L’Accordo tra Birmania e Pakistan (Rawalpindi, 9 maggio 1966) relativo alla demarcazione di una frontiera fissata tra i due paesi sul fiume Naaf (con annesso, protocollo del 28 aprile 1966 e mappe). Il Protocollo concluso tra Argentina ed Uruguay (Buenos Aires, 16 ottobre 1968) sulla demarcazione e la definizione della frontiera argentino-uruguayana sull’Uruguay. Il Trattato concluso tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico, 23 novembre 1970) relativo alla soluzione delle controversie “frontaliers” esistenti e al mantenimento dei fiumi Rio Grande e Colorado come frontiera internazionale tra gli Stati Uniti del Messico e gli Stati Uniti d’America. Lo Scambio di note tra Brasile ed Uruguay (Montevideo, 21 luglio 1972) costituente un accordo relativo alla demarcazione definitiva della foce del fiume Chui e della frontiera marittima laterale. L’Accordo concluso tra Polonia e l’ex Cecoslovacchia (Varsavia, 21 marzo 1975) concernente una modifica della linea di demarcazione del confine statale e certe altre questioni relative alla costruzione e al funzionamento assicurato dalla Polonia di una diga sul fiume Dunajec. Lo Scambio di note tra Brasile ed Argentina (Buenos Aires, 16 settembre 1982) costituente un accordo relativo alla demarcazione della frontiera tra i due paesi sulla sezione del fiume Uruguay dove si trovano le isole Chafariz e Buricá o Mburicá. Lo Scambio di note tra Brasile ed Argentina (Brasilia, 20 ottobre 1983) costituente un accordo relativo alla delimitazione della frontiera comune, definita dal talweg dell’Uruguay nell’ambito del Progetto di sviluppo della regione di Garabi.

7) Per “Stato di un corso d’acqua” s’intende un paese parte della convenzione-quadro nel cui territorio si trova una parte di un corso d’acqua internazionale, o “un’organizzazione d’integrazione economica regionale” (cioè qualsiasi organizzazione istituita dagli Stati sovrani di una determinata regione, verso la quale gli stessi Stati membri hanno limitato le proprie competenze su alcune materie previste dalla presente convenzione e che è debitamente autorizzata, conformemente alle sue procedure interne, a concludere, ratificare, accettare, o approvare la convenzione alla quale s’intende aderire) nel territorio di uno o più Stati membri nella quale si trova una parte di un corso d’acqua internazionale [art. 2, punti c-d, CUDN].

8) Numerosi trattati internazionali già si occupano o si sono occupati in modo specifico della disciplina della navigazione fluviale. Tra gli altri: il Trattato di commercio e di navigazione fluviale, concluso tra Brasile e Bolivia (Rio de Janeiro, 12 agosto 1910). L’Accordo concluso tra la Liberia e il Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord (Monrovia, 10 aprile 1913) relativo alla navigazione sul fiume Manoh e la cui abrogazione avvenne il 23 marzo 1920. Lo Scambio di note tra Italia e Regno Unito (Roma, 12 e 15 giugno 1925) concernente la regolamentazione dell’utilizzazione delle acque del fiume Gâch. Lo Scambio di note tra Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Siam (Bangkok, 17 luglio 1927, 7 febbraio, 18 febbraio e 21 agosto 1928) concernente la navigazione del Mekong. La Convenzione tra l’ex Cecoslovacchia e l’Ungheria per l’applicazione del regolamento de police de la navigation nel settore del Danubio che segna la frontiera tra l’Ungheria e l’ex Cecoslovacchia, oltre che per il regolamento dell’esercizio della navigazione su tale settore del fiume, con protocollo addizionale, firmati a Praga, il 14 novembre 1928, e il secondo protocollo addizionale, sottoscritto a Budapest, il 30 gennaio 1931, e a Praga, il 10 marzo 1931. La Convenzione conclusa tra la Bulgaria, la ex Cecoslovacchia, la Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, l’ex U.R.S.S., relativa al regime della navigazione sul Danubio (con annessi e protocollo addizionale). L’Accordo concluso tra Romania ed Austria (Bucarest, 11 maggio 1955) portante la regolamentazione di certe questioni relative alla navigazione sul Danubio. Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti (Ottawa, 23 luglio e 26 ottobre 1956 e 26 febbraio 1957) costituente un accordo concernente i lavori di miglioramento della navigazione nei canali di comunicazione dei Grandi Laghi (via marittima di San Lorenzo). Gli artt. 1-16 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla regolazione della questione relativa alla Sarre (Lussemburgo, 27 ottobre 1956). La Convenzione conclusa tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Lussemburgo, 27 ottobre 1956) sulla regolazione del corso superiore del Reno tra Bâle e Strasburgo. L’Accordo concluso tra Bulgaria e la ex Yugoslavia (Sofia, 19 aprile 1957) portante una più precisa regolamentazione della navigazione sul Danubio (con lettere annesse). L’Accordo concluso tra ex U.R.S.S. e Austria (Mosca, 14 giugno 1957) concernente il regolamento di certe questioni tecniche e commerciali relative alla navigazione sul Danubio. Il Protocollo preliminare sottoscritto tra il Brasile e la Bolivia (La Paz, 29 marzo 1958) relativo al regime permanente della navigazione sui fiumi brasiliani e boliviani appartenente al sistema idrografico amazzone. L’Accordo tra Alto Volta Chad Camerun, Costa d’Avorio Dahomei, Guinea, Mali, Niger, Nigeria (Niamey, 26 ottobre 1963) relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger. Lo Scambio di note tra Argentina e Uruguay (Buenos Aires, 8 e 12 febbraio 1967) costituente un accordo relativo ai problemi della navigazione fluviale. La Convenzione conclusa tra Dahomey, Mali, Niger, Nigeria e Paesi Bassi (Niamey, 22 settembre 1967) concernente uno studio sulla navigabilità della parte centrale del fiume Niger. L’Accordo concluso tra Austria e Svizzera (Lago di Costanza, 1° giugno 1973) relativo alla navigazione sul Vecchio Reno. L’Accordo tra l’ex Repubblica federale tedesca e la Svizzera (Lago di Costanza, 1° giugno 1973). L’Accordo concluso tra Iran ed Iraq (Bagdad, 26 dicembre 1975) concernente le regole relative alla navigazione nello Shatt Al Arab (con scambio di lettere). Lo Statuto del fiume Uruguay sottoscritto tra Argentina e Uruguay (Salto, 26 febbraio 1975). Lo Scambio di note tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Bonn, 6 dicembre 1982) costituente un accordo relativo alla regolazione del Reno tra Budhenheim e Saint-Goar. L’Accordo concluso tra Finlandia ed ex U.R.S.S. (Helsinki, 26 ottobre 1989) relativo alle regole disciplinanti gli affluenti del lago Saimaa e del fiume Vuolsi (con annessi).

9) La nozione di “sistema di corso d’acqua” - introdotta per la prima volta nella sessione della CDI del 1980 come formula di compromesso (e riportata nell’art. 2, par. a, del progetto di Convenzione adottato dal Gruppo di lavoro – UN Doc. A/51/869), p. 6 - non è nuova nel campo del diritto internazionale. Questa espressione è impiegata da lungo tempo negli accordi internazionali per indicare un fiume o un corso d’acqua, i suoi affluenti e i canali che vi sono collegati. Così il Trattato di pace di Versailles del 1919 (art. 331), la Convenzione che stabilisce lo statuto definitivo del Danubio (artt. 1-2), la Convenzione tra l’ex U.R.S.S. e l’Ungheria (Uzhgorod, 9 giugno 1950) concernente misure per prevenire inondazioni e regolare il regime delle acque alla frontiera russo-ungherese nell’area del fiume Tibisco (artt. 1-2), il Trattato del 1960 concluso tra l’India e il Pakistan (preambolo, artt. 1, parr. 2-3 e 8), l’Accordo del 1964 tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia delle acque di frontiera (art. 2, par. 3), la Convenzione del 1972 tra l’Italia e la Svizzera concernente la protezione delle acque italo-svizzere contro l’inquinamento, l’Accordo tra la Finlandia e la Svezia relativo ai fiumi frontalieri del 16 settembre 1971 (art. 1), l’Accordo relativo al Piano d’Azione per la gestione ecologicamente razionale del bacino comune dello Zambesi e il Piano d’Azione in allegato (par. 15), l’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger, la Convenzione che istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del bacino del Gambia, la Convenzione e i loro Statuti relativi alla valorizzazione del bacino del Chad, il Trattato del bacino di Rio de la Plata, il Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia, concluso il 17 gennaio 1961 tra Canada e Stati Uniti d’America, ecc. Nonostante il largo impiego del termine, la commissione ha deciso di superare tale concezione nella sessione del 1991 (UN Doc. A/46/10, pp. 154-160) – nella quale ha introdotto l’espressione “corso d’acqua internazionale”. Si sottolineò, nelle precedenti sessioni, da parte di alcuni delegati, che la nozione “sistema di corso d’acqua” era imprecisa e relativa, nel senso che tale nozione avrebbe potuto definirsi internazionale solo nella misura in cui l’uso delle acque in un suo punto avesse potuto causare degli effetti in altre parti sistema medesimo situate oltre confine (Report of the Commission on the Work of its Thirty-Second Session, in Yearbook of Int. Environmental Law, 1980, vol. II, pt. 2, pp. 108-109; Report of the Commission on the Work of its Thirty-Fifth Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1983, vol. II, pt. 2, p. 69, par. 228).

10) Esistono, tuttavia anche delle acque sotterranee non comunicanti con corsi d’acqua di superficie (serbatoi sotterranei isolati, non aventi cioè alcun collegamento fisico con le acque di superficie). Se precedentemente la Commissione del diritto internazionale e successivamente il Gruppo di lavoro dell’Assemblea generale avevano escluso dall’ambito di applicazione del progetto di Convenzione-quadro, la nozione di acque sotterranee non comunicanti (UN Doc. A/49/10, pp. 201-202), nella sessione del 1994 la Commissione del diritto internazionale riconosceva, in una separata risoluzione, l’applicabilità dei principi contenuti nel progetto di articoli alle acque sotterranee non comunicanti, ma affievoliva tale assunto con la raccomandazione agli Stati «… to be guided by the principles contained in the draft articles on the law of the non-navigational uses of international watercourses, where appropriate, in regulating transboundary aquifers” (UN Doc. A/49/10, p. 326). La distinzione tra acque sotterranee non comunicanti ed acque sotterranee fisicamente collegate con corsi d’acqua superficiali, non compare, quanto agli effetti giuridici, in una serie di strumenti internazionali: a) l’art. 1 delle Regole di Seul adottate dall’ILA (Associazione di Diritto Internazionale) nel 1986; b) il capitolo 18 dell’Agenda 21 di Rio del 1992; c) il punto 1 dell’Annesso alla Dichiarazioni di principi sugli accordi di autogoverno provvisorio (Washington, 13 settembre 1993), concluso tra Israeliani e Palestinesi che si prefigge di studiare la ripartizione delle risorse idriche sotterranee; d) l’art. 40 dell’Accordo provvisorio su West Bank e striscia di Gaza (Washington, 28 settembre 1995) concluso tra Israele e Palestina che definisce le rispettive responsabilità delle parti nell’uso e gestione delle risorse idriche dei territori in questione che, in parte preponderante, sono racchiuse in falde sotterranee isolate dai corsi d’acqua di superficie.

11) Tra le prime ricordiamo a) l’art. II delle Regole di Helsinki del 1966; b) i parr. 10, lett. a) e b) e 39, lett. a) del Piano d’Azione di Mar del Plata, adottata in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua tenutasi a Mar del Plata tra il 14-25 marzo 1977; c) l’art. III, par. 2 della Carta sulla gestione delle acque sotterranee approvata nel 1989 dall’ECE (Economic Commission for Europe); d) il cap. 18 dell’Agenda 21 adottata alla Conferenza di Rio del 1992. Tra le convenzioni internazionali ricordiamo: a) l’art. 4 dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad; b) l’art. 2 dell’Accordo concernente l’uso delle risorse idriche nelle acque di frontiera (Varsavia, 17 luglio 1964) concluso tra la Polonia e l’ex Unione Sovietica; c) l’art. 1 della Convenzione concernente la protezione delle acque italo-svizzere dall’inquinamento (Roma, 20 aprile 1972) concluso tra l’Italia e la Svizzera; d) il punto 5 della “Minute 242” (su cui è basato l’accordo) dell’Accordo sulla soluzione definitiva del problema internazionale della salinità del fiume Colorado (Città del Messico, 30 agosto 1973) concluso tra Messico e Stati Uniti.

12) Sull’uso dei corsi d’acqua per fini diversi dalla navigazione la commissione del diritto internazionale, sino al 1974, era orientata per la compilazione di una lista predefinita sulle diverse possibili utilizzazioni dell’acqua. Tale orientamento si evince dal punto D del questionario predisposto dalla Commissione (in Yearbook of Int. Environmental Law, 1976, vol. II, pp. 147-148). Tuttavia, preso atto del convergente orientamento emerso dalle risposte degli Stati – che indicava solo una possibile lista non esaustiva e quindi da interpretarsi come strumento-guida – la Commissione, successivamente, ha deciso di elaborare delle regole generali applicabili a tutte le utilizzazioni dei corsi d’acqua come emerge dal testo UN Doc. A/49/10, p. 197. L’’art. 1, par. 1 del progetto di convenzione adottato dalla CDI nel 1994, precisa, infatti, che il termine “usi” deve interpretarsi in senso ampio, cioè come comprensivo di tutte le utilizzazioni dei corsi d’acqua differenti dalla navigazione. La definizione della CDI viene sostanzialmente riportata nella stesura finale della convenzione-quadro sulle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali.

13) Una riserva di questo tipo è contenuta anche nella Dichiarazione di Delft, adottata alla conclusione del simposio tenutosi nei Paesi Bassi (Delft) dal 3 al giugno 1991, sotto gli auspici dell’UNEP (United Nations Development Programme). La Dichiarazione prevedeva che dagli anni 2000 circa la metà della popolazione mondiale sarebbe vissuta nelle città. Ciò avrebbe notevolmente accresciuto il bisogno d’acqua nelle zone metropolitane, aggravato anche dal crescente uso dell’acqua per fini agricoli e dai problemi generati dall’inquinamento urbano e industriale. Gli specialisti che sono intervenuti nel simposio hanno concluso che occorrerà adottare preventivamente, per soddisfare durevolmente i bisogni dell’umanità, delle misure di protezione e conservazione dell’acqua e delle risorse dell’ambiente. Queste misure saranno impossibili da applicare se quella o un'altra tipologia di uso dell’acqua benefici di un trattamento prioritario. L’assenza di un ordine di priorità faciliterà l’applicazione delle misure miranti ad assicurare la soddisfazione dei bisogni umani essenziali.

14) Si ricordano, tra l’altro: L’Accordo (con regolamento annesso) concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 17 febbraio 1949) relativo al trasporto di legname sulle acque del fiume di frontiera tra Torne e Muonio. Lo Scambio di lettere tra Belgio e Paesi Bassi costituente un accordo per l’aumento provvisorio delle tariffe di pilotaggio sull’Escaut (Bruxelles, 25 settembre, 9 e 14 novembre 1951). Lo Scambio di note costituente un Accordo concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 22 settembre 1958) relativo ad un servizio di traghetto sulla Torne. Lo Scambio di note tra Finlandia e Svezia (Helsinki, 21 novembre 1960) costituente un accordo relativo ad un servizio di ferry-boat sul fiume Muonio. Lo Scambio di note costituente un accordo relativo ai servizi di pilotaggio sui Grandi Laghi e il San Lorenzo (Washington, 5 maggio 1961). Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 13 aprile 1967) costituente un accordo concernente il coordinamento dei servizi di pilotaggio nelle acque del bacino dei Grandi Laghi e la via marittima di San Lorenzo. La Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 12 dicembre 1968) che modifica il Regolamento relativo al pilotaggio sull’Escaut, nelle foci di questo fiume e sul canale di Terneuzen. L’Accordo concluso tra la Finlandia e la Svezia (Stoccolma, 20 marzo 1969) relativo ad un servizio di traghetto sul Muonio. La Convenzione conclusa tra il Brasile e l’Uruguay (Rivera, 12 giugno 1975) relativa al trasporto fluviale e lacustre. L’Accordo concluso tra il Brasile e il Perù relativo ai trasporti fluviali (concluso a bordo della nave peruviana Ucayaly à l’ancre sull’Amazzonia alla frontiera brasilio-peruviana, in data 5 novembre 1976). Il Protocollo sottoscritto tra la Francia e il Suriname (San Lorenzo del Maroni, 23 dicembre 1991) per la cooperazione concernente l’istituzione di un servizio provvisorio di trasporto delle persone, di veicoli e di nolo per la traversata del fiume Maroni tra Albinia (Suriname) e San Lorenzo del Maroni (Guyane francese) (con annesso). L’Accordo concluso tra la Federazione di Russia e la Lituania (Vilnius, 18 novembre 1993) relativo alla cooperazione in materia di trasporto fluviale.

15) Diversamente si obiettò (PINTO, A/CN.4/SR. 1609, punto 28, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I) che sarebbe stato più pragmatico e coerente con la prassi degli Stati definire un “corso d’acqua” come un «cours d’eau, affluents, lacs ou chenaux separant ou traversant les territoires de deux ou plusieurs Etats», e quindi aggiungere nello stesso paragrafo la locuzione «à des fins autres que la navigation» dopo l’espressione «utilisations de l’eau des réseaux de voies d’eau internationales». La considerazione del Presidente Pinto non era del tutto peregrina in quanto in precedenti trattati internazionali, la natura internazionale di un fiume internazionale si ricavava da un preciso dato: quando un fiume attraversa(va) diversi Stati o separa(va) almeno due paesi. Così, l’art. V del Trattato di pace tra Austria e Francia (Parigi, 30 maggio 1814), l’art. 108 dell’Atto finale del Congresso di Vienna (9 giugno 1815), l’art. 331 del Trattato di pace con la Germania (Versailles, 28 giugno 1919), lo Statuto sul regime delle vie d’acqua navigabili d’interesse internazionale (Barcellona, 20 aprile 1921), l’art. 1 del Regolamento approvato alla sessione di Parigi del 1934. Tuttavia, successivi trattati internazionali hanno sostituito il termine “fiume” con la locuzione “corso d’acqua” considerandosi che altri elementi secondari (affluenti e laghi) possono contribuire a formare il braccio principale di un fiume per usi economici-industriali (ZICCARDI, Dei corsi d’acqua internazionali e della loro utilizzazione da parte dei privati, in Vita giur. int., 1992, p. 438). Infine, il Presidente (M. Pinto, A/CN.4/SR. 1609, punto 35, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1980, vol. I) che nello stesso art. 1 occorrerà inserire la locuzione «utilisations de l’eau des réseaux de voies d’eau internationales» insieme ai problemi connessi all’uso, quali la lotta contro le inondazioni, l’erosione, la sedimentazione, l’intrusione di acqua salata, l’inquinamento. Ciò perché le diverse modalità di utilizzo di un corso d’acqua internazionale sono interdipendenti e quindi non sarebbe pratico prevedere diversi articoli in rapporto ai diversi usi.

16) Per quanto concerne l’uso, la gestione e la valorizzazione delle comuni risorse presenti in acqua, si raccomanda che le politiche nazionali tengano conto del diritto che ciascun paese ha – essendo parte della divisione di queste risorse – di utilizzare equamente per promuovere dei legami di solidarietà e di cooperazione (in particolare principi 90-91). Nella sessione di Salisburgo del 1961, l’Istituto di diritto internazionale ha adottato una risoluzione sull’uso dei corsi d’acqua per fini diversi dalla navigazione che prevede in particolare il diritto di ogni Stato di un corso d’acqua di utilizzare le acque che attraversano o costeggiano il proprio territorio e prevede, inoltre, in caso di disaccordo, il regolamento delle controversie sulla base dell’eguaglianza. Si vedano anche: la Convenzione conclusa tra l’ex Yugoslavia e la Romania (Belgrado, 14 dicembre 1931) concernente la navigazione e il sistema idrotecnico del canale e del fiume Bega; il Trattato concluso tra Germania e Paesi Bassi (L’Aja, 17 maggio 1939) per lo sfruttamento delle miniere di carbone situate lungo il fiume Worm (con Protocollo finale). L’Annesso 14 al Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre 1956) prevede una lista (I. Mines; II Energie; III Travaux publics) dei grandi progetti di cui al par. 3, a, dell’art. 48 del presente trattato. L’Accordo concluso tra il Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Bonn, 14 settembre 1976) sulla manutenzione, il rinnovo e lo sfruttamento della parte della Mosella comune ai due Stati.

17) Il principio dell’equa utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali è già presente in numerosi precedenti strumenti internazionali vincolanti e non vincolanti. In particolare: L’art. 7, parr. 2-3 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre 1956) dispone che «Chacun des deux governements excerce la police fluviale dans la partie de la Sarre située sur son territoire. Les autorités compétentes des deux pays s’apportent mutuellement leur concours è cet effet» (par. 2) e che «l’utilisation normale de l’eau, telle qu’elle résulte de la réglementation en vigueur dans le pays d’utilisation, est libre dans la partie de la rivière Sarre formant frontière. Toute utilisation ne remplissant pas les conditions précédentes nécessite, à partir de la date d’entrée en vigueur du traité, l’accord réciproque des deux gouvernements» (par. 3). L’art. 3 della Risoluzione dell’Istituto di diritto internazionale dedicata agli usi delle acque internazionali non marittime (Salisburgo, 1961). L’art. IV delle Regole di Helsinki elaborate dall’ILA nel 1966. La Raccomandazione n. 51 del Piano di Azione sull’ambiente umano approvato dalla Conferenza di Stoccolma nel 1972. Il principio 1 dei Principi di condotta nel campo ambientale per la guida degli Stati nella conservazione e armoniosa utilizzazione delle risorse naturali condivise tra due o più Stati, approvato nel 1978 dall’UNEP. La Raccomandazione n. 91 del Piano d’Azione adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua (Mar del Plata, marzo 1977). Una ripartizione territoriale delle risorse idriche condivise si ritrova nell’art. 2 della Convenzione per la regolamentazione dell’approvvigionamento idrolettrico delle sezioni internazionali del fiume Douro e dei suoi affluenti (Lisbona, 16 luglio 1964) conclusa tra Portogallo e Spagna. Un sistema di rotazione e alternanza nello sfruttamento dei benefici connessi al corso d’acqua emerge nell’art. I, sez. IV, parte II, dell’Atto finale di delimitazione della frontiera internazionale dei Pirenei (Bayonne, 11 luglio 1868) concluso tra Francia e Spagna. Una ripartizione per quote uguali della risorsa comune si trova nell’art. VI del Trattato relativo agli usi delle acque del fiume Niagara concluso tra Canada e Stati Uniti il 27 febbraio 1950. Una ripartizione proporzionale dei benefici connessi al corso d’acqua emerge dall’art. 5 della Convenzione per la gestione del potenziale idroelettrico del Rodano conclusa tra Francia e Svizzera il 4 ottobre 1913. Sistemi più complessi di ripartizione, ma sempre ispirati al principio dell’equa utilizzazione, emergono: a) dagli artt. 4, 10, 15 del Trattato relativo alla utilizzazione delle acque dei fiumi Colorado, Tijuana e Rio Grande (Washington, 14 novembre 1949 concluso tra Messico e Stati Uniti); b) dagli artt. 1-3 del Trattato concernente lo sviluppo integrato del fiume Mahakali, concluso il 12 febbraio 1996 tra India e Nepal; c) dall’art. II, parr. 3-5 dell’Accordo sulla piena utilizzazione delle acque del Nilo, concluso l’8 novembre 1959 tra Egitto e Sudan; d) dagli artt. II-III del Trattato sulle acque dell’Indo concluso tra India e Pakistan il 19 settembre 1960; e) dagli artt. II-VII del Trattato relativo allo sviluppo delle risorse idriche del bacino del fiume Columbia, concluso tra Canada e Stati Uniti il 17 gennaio 1961; f) dall’art. II, par. 1 (con rinvio agli Annessi I-II) del Trattato sulla ripartizione delle acque del Gange (Nuova Delhi, 12 dicembre 1996), concluso tra Bangladesh ed India. Nella prassi giurisprudenziale il criterio di equità trova applicazione in rapporto ai problemi di delimitazione marittima nella sentenza della Corte Internazionale di giustizia del 1969 (caso Piattaforma continentale del Mare del Nord, Danimarca e Paesi Bassi vs. ex Repubblica Federale di Germania, in International Court of Justice, Report of Judgements, Advisory Opinions and Orders, 1969, p. 4). Nella sentenza della Corte Permanente di Giustizia Internazionale del 1929 nel caso della Giurisdizione territoriale della Commissione Internazionale del fiume Oder, in Permanent Court of International Justice, Collection of Judgements, Ser. A, n. 23, pp. 26-28. Nel caso Lago Lanoux, in United Nations Reports of International Law, vol. XII, p. 315. Nella sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, 25 settembre 1977, caso Progetto Gabčíkovo-Nagymaros, Slovacchia-Ungheria, in International Legal Magazine., 1998, p. 190, par. 78.

18) Il proposito n. III dispone in particolare: a) che ogni Stato del bacino ha, sul proprio territorio, un ragionevole ed eguale diritto di partecipare ai vantaggi che deriva dall’uso delle acque di un bacino di drenaggio internazionale; b) i paesi del bacino in questione stabiliscono, in ogni circostanza particolare, «ce qu’il faut entendre par une partecipation raisonnable et équitable, compte tenu de tous les facteurs pertinents». Nelle organizzazioni internazionali non governative si giunge alle stesse conclusioni.

19) Come si sostiene M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali. Principi generali e norme sostanziali, Cedam, 1998, pp. 343-357) l’obiettivo specifico della disposizione in questione, è quello di fornire delle direttive per l’applicazione della norma generale dell’equa e ragionevole utilizzazione che ha natura flessibile essendo variabile a seconda delle circostanze rilevanti in una data situazione concreta. Quanto alla lista di fattori, questa non può che assumere carattere esemplificativo in quanto la varietà dei corsi d’acqua internazionali e la molteplicità dei loro usi renderebbe impossibile e poco utile la previsione di elenchi dettagliati ed esaustivi di fattori. Inoltre, la lista non vuole attribuire un ordine di priorità ai fattori in essa indicati, dovendo il valore specifico di ciascuno venir determinato caso per caso. Naturalmente tale regola non è destinata ad operare qualora esista o un accordo specifico o una consuetudine particolare tra rivieraschi che stabilisca diversamente (UN Doc. A/49/10, p. 257, parr. 3-4). Va attribuito tuttavia nel secondo paragrafo un ruolo speciale “ai bisogni umani vitali” – impieghi dell’acqua a fini domestici, sanitari e alimentari - nel senso che, nella soluzione dei conflitti tra utilizzazioni, una speciale attenzione debba essere destinata ad assicurare la quantità d’acqua indispensabile al sostentamento della vita umana. Nella prospettiva della Commissione del diritto internazionale, il criterio dei bisogni umani vitali non sarebbe altro che una forma accentuata del fattore già elencato all’art. 6, che fa riferimento ai “bisogni sociali ed economici” degli Stati rivieraschi, e resterebbe dunque una delle circostanze rilevanti che i paesi rivieraschi debbono considerare nel risolvere un conflitto tra diverse utilizzazioni di un corso d’acqua internazionale UN Doc. A/49/10, pp. 257-258, par. 4). La salvaguardia delle necessità umane, del resto, si ritrova implicitamente nel principio 3 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo. Più specifico, il cap. 18 dell’Agenda 21 alla sezione D (parr. 18.47-18.55) e alla sezione F (parr. 18-56-1864).

20) I fattori che possono interessare un corso d’acqua, sono anche previsti all’art. V delle Regole di Helsinki. Ed ancora, l’obbligo di assicurare la protezione e la sicurezza delle opere si trova in alcuni precedenti accordi internazionali: art. 8 della Convenzione del 1957 conclusa tra la Confederazione svizzera e la Repubblica italiana relativo all’utilizzazione della forza idraulica dello Spöl; art. 2 della Convenzione relativa alla sfruttamento idroelettrico dell’Emosson, conclusa nel 1963 tra la Francia e la Svizzera.

21) Nel Trattato concluso tra Canada e Stati Uniti d’America (1961) relativo allo sviluppo delle risorse idriche del fiume Colombia, i criteri di ripartizione dei benefici sono stabiliti agli artt. II-VII, mentre nel Trattato concluso tra Bangladeh e India (Nuova Dheli, 12 dicembre 1996) sulla ripartizione delle acque del Gange, all’art. II, par. 1 e agli Annessi I e II.

22) Progetti relativi all’energia elettrica e all’irrigazione (Libano) (Washington, 25 agosto 1955). Progetto relativo alla regolazione del Johore in Malaysia (26 febbraio 1965). Progetto d’irrigazione del Colorado in Messico (Washington, il 26 gennaio 1968). Progetto di espansione della Centrale elettrica del Volta (in Ghana) (Washington in data 23 giugno 1969). Progetto idroelettrico del Lindo (Honduras) (Washington, il 12 giugno 1968). Progetto di drenaggio del delta del Nilo (17 aprile 1970). Progetto idroelettrico di Kamburu (in Svezia) (Washington, 7 giugno 1971). Progetto idroelettrico di Kamburu (Washington, 7 giugno 1971). Progetto relativo ai trasporti fluviali (in Zaire) (21 giugno 1971). Progetto relativo alla sistemazione di polders en bordure del fiume Senegal (9 gennaio 1974). Progetto del fiume Chico relativo all’irrigazione (nelle Filippine) (Washington l’8 aprile 1976). Progetto relativo alla manutenzione del sistema d’irrigazione del bacino dell’Eufrate (Damasco, 22 luglio 1976). Progetto di drenaggio del delta del Nilo e altri progetti (Bonn, 28 giugno 1977). Progetto relativo a delle operazioni di drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) in virtù di un accordo sottoscritto a Washington il 15 luglio 1977 tra la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, l’Associazione Internazionale di sviluppo e l’Autorità pubblica egiziana [Progetto relativo a delle operazioni di drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) finanziato dall’Associazione Internazionale dello Sviluppo e l’Egitto (Washington il 15 luglio 1977). Progetto relativo a delle operazioni di drenaggio del delta del Nilo (seconda fase) finanziato dalla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Washington il 15 luglio 1977)]. Seconda fase del progetto polivalente di regolazione del fiume Magat (nelle Filippine) (Washington il 23 maggio 1978). Seconda fase del progetto d’irrigazione a molteplici obiettivi del fiume Magat (nelle Filippine) (Roma il 26 gennaio 1979). Progetto d’irrigazione mediante le acque del fiume Khutiya (fase I) (in Nepal) (Katamandou il 24 novembre 1980). Progetto di ripristino dei sistemi di pompaggio sul Nilo Blanc (in Sudan) (Washington il 27 marzo 1981). Progetto relativo al trasporto fluviale (in Congo) (Washington, 10 marzo 1982). Progetto per la fornitura d’elettricità nelle zone rurali dello Stato d’Alagoas e di studio di fattibilità per lo sviluppo agricolo nella valle del fiume Mearim (in Brasile) (Brasilia, 9 dicembre 1983). Progetto di regolazione e di drenaggio del fiume Narmada (Stato di Gujarat) (Washington il 10 maggio 1985). Progetto per la valorizzazione del fiume Narmada (Gujarat): dighe ed elettrificazione del Sardar Sarovar (Washington, 10 maggio 1985). Progetto di sviluppo rurale dell’Alto bacino del fiume Canar (in Ecuador) (Roma il 28 giugno 1991. Progetto di rinnovamento delle opere di protezione contro le piene del Sistan (in Iran) (Washington, 5 giugno 1992). Progetto relativo ad un programma di sostegno regionale ai popoli indigeni del Bacino dell’Amazzonia (Roma in data 24 luglio 1992). Progetto di protezione dei fiumi (nel Bangladesh) (Washington, 21 dicembre 1995).

23) La disciplina dell’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione risale già a tempi meno recenti della presente CUDN. Si ricordano: L’Accordo concluso il Portogallo e l’Unione Sud-Africana (Cap, 1° luglio 1926) concernente l’utilizzazione delle acque del fiume Kunene in vista delle installazioni di forze idrauliche, d’inondazione e d’irrigazione nel territorio sottoposto al Mandato del Sud-Ovest Africano. Lo Scambio di note tra Egitto e Gran Bretagna/Irlanda del Nord relativo all’utilizzazione delle acque del Nilo per i bisogni dell’irrigazione (El Cairo, 7 maggio 1929). Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 20 maggio 1941) costituente un accordo relativo alla provvisoria derivazione di un volume d’acqua supplementare del Niagara, a monte della cascata, per il conseguimento della forza motrice. L’Accordo (con Protocollo) concluso tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 30 dicembre 1946) relativo all’utilizzazione delle rapidi del fiume Uruguay nella regione del Salto Grande. Il Trattato concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 27 febbraio 1950) concernente la derivazione delle acque del Niagara. L’Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 25 aprile 1951) relativo alla derivazione delle acque dei laghi Garsjöen, Kjerringvatm e Förstevannene presso il Gandvik a Näätämö (Neiden). L’Accordo concluso tra Giordania e Siria (Damasco, 4 giugno 1953) relativo all’utilizzazione delle acque dello Yarmouk; Protocollo concluso tra Austria ed ex Yugoslavia (Vienna, 27 novembre 1954) – all’Accordo concernente le questioni idrotecniche del settore frontaliero del fiume Moura e delle sue acque frontaliere (Accordo di Moura). L’Accordo (con annesso) concluso tra Austria ed ex Yugoslavia (Vienna, 27 novembre 1954) concernente le questioni idrotecniche del settore frontaliero del fiume Moura e delle sue acque frontaliere (Accordo di Moura). L’Accordo (con Annesso) concluso tra la Repubblica Araba Unita e il Sudan (El Cairo, 8 novembre 1959) relativo alla piena utilizzazione delle acque del Nilo. Il Trattato concluso tra la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, l’India e il Pakistan (Karaci, 19 settembre 1960) sulle acque dell’Indio (con annessi) e il successivo Protocollo sottoscritto il 27 novembre, 2 e 23 dicembre 1960. Lo Scambio di note tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 24 febbraio 1961) costituente un accordo relativo al Trattato del 12 maggio 1863 regolante il regime delle prese d’acqua della Mosa e alla Convenzione dell’11 gennaio 1873 portante modifiche del presente Trattato. Lo Scambio di note tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico, 24 agosto 1966) costituente un accordo relativo al prelevamento delle acque del Colorado per l’irrigazione delle terre nella valle di Medicali. Lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 marzo 1969) costituente un accordo concernente la provvisoria derivazione delle cascate del Niagara, della costa americana, per la produzione di energia. Tra gli accordi internazionali sullo sfruttamento risorse di un fiume internazionale (e i suoi affluenti) per la produzione idroelettrica, ricordiamo: l’accordo tra Italia e Francia con il quale definivano i mutui diritti di utilizzazione del Roja; Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Lisbona, 11 agosto 1927) per regolare lo sfruttamento idroelettrico dell’area internazionale del Douro; lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 27 ottobre e 27 novembre 1941) costituente un accordo concernente il potenziamento dell’utilizzazione dell’acqua per fini d’energia elettrica alle cascate del Niagara; l’Accordo concluso tra il Laos e l’ex U.R.S.S. (Mosca, 1°dicembre 1962) concernente la concessione di un aiuto economico e tecnico dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche al Regno del Laos per la costruzione della centrale idroelettrica sul fiume Nam Nhiep; l’Accordo sottoscritto a Belgrado il 30 novembre 1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, sulla regolazione e lo sfruttamento del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti di ferro, sul Danubio; la Convenzione sottoscritta a Belgrado il 30 novembre 1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, per l’elaborazione dei piani di regolazione del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti di ferro, sul Danubio; la Convenzione sottoscritta a Belgrado il 30 novembre 1963, tra l’ex Jugoslavia e la Romania, per l’esecuzione dei lavori del sistema di produzione d’elettricità e di navigazione, dei porti di ferro, sul Danubio; la Convenzione conclusa tra Portogallo e Spagna (Lisbona, 16 luglio 1964) relativa allo sfruttamento idroelettrico dei tronchi internazionali del Douri e dei suoi affluenti (con protocollo addizionale); l’Accordo di cooperazione economica e tecnica concluso tra la Siria e l’ex U.R.S.S. (Damasco, 18 dicembre 1966) concernente la costruzione della prima tranche di un complesso idro-energetico sull’Eufrate; l’Accordo concluso tra la Romania e l’ex U.R.S.S. (Bucarest, 16 dicembre 1971) relativo alla comune costruzione del complesso idrotecnico dello Stînca-Costesti sul Prout, oltre che alle condizioni di sfruttamento dello stesso complesso (con protocolli); l’Accordo concluso tra la Finlandia e l’ex U.R.S.S. (Helsinki, 12 luglio 1972) relativo all’utilizzazione, per la produzione d’elettricità, dell’area della Vouoksa situata tra le centrali idro-elettriche d’Imatra e di Svetogorsk; il Trattato concluso tra il Brasile e il Paraguay (Brasilia, 26 aprile 1973) concernente la valorizzazione idroelettrica delle acque del Paraná della sovranità comune del Brasile e del Paraguay a partire dal Salto Grande de Sede Quedas o del Salto del Guairá fino alla foce dell’Iguaçu (con annessi e scambio di note).

24) Molte di queste disposizioni sono citate anche nei seguenti accordi internazionali: Accordo tra l’ex U.R.S.S, la Finlandia e la Norvegia per la regolazione del regime del lago Inari au moyen della centrale idroelettrica e della Diga di Kaitakoski. Trattato tra gli Stati Uniti d’America e il Messico relativo all’uso delle acque del Colorado, della Tijuana e del Rio Grande (Rio Bravo) da Fort-Quitman a golfo del Messico. Accordo tra la Repubblica araba unita e il Sudan relativo alla piena utilizzazione delle acque del Nilo. Trattato relativo al bacino del Rio de La Plata; il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo.

25) In particolare: lo Scambio di note tra Colombia e Venezuela (Caracas, 20 luglio 1925) comportante un accordo per la costruzione di un ponte internazionale sul fiume Tachira; l’Accordo concluso tra la Polonia e la Romania (Bucarest, 24 maggio 1929) sulla costruzione del ponte situato sul Czeremosz tra Kuty e Vijnita; l’Accordo concluso tra la Finlandia e la Svezia (Helsinki, 28 giugno 1957) relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sull’Anarjokka; l’Accordo concluso tra il Messico e gli Stati Uniti d’America (Ciudad Acuña, 24 ottobre 1960) relativo alla costruzione dello sbarramento Amsistad sul Rio Grande; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 23 novembre 1960) costituente un accordo relativo alla costruzione di un ponte sull’Uruguay; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Montevideo, 8 e 16 giugno 1961) costituente un accordo per l’ampliamento dei poteri della Commissione mista per la costruzione di un ponte internazionale sull’Uruguay; lo Scambio di note tra Finlandia e Svezia (Helsinki, 29 giugno 1963) costituente un accordo relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sulla Torne ad Aavasaksa; l’Accordo concluso tra Argentina e Paraguay (Buenos Aires, 21 ottobre 1964) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Pilcomayo che collega Clorinda e Puerto Elsa; lo Scambio di note tra Argentina ed Uruguay (Paysandú, 12 febbraio 1966) costituente un accordo tendente ad accelerare la costruzione di un ponte sull’Uruguay tra Colón e Paysandú; l’Accordo concluso tra l’Argentina e l’Uruguay (Buenos Aires, 30 maggio 1967) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sull’Uruguay nella zona di Fray Bentos (Uruguay) – Puerto Unzué (Argentina) [con mappa]; l’Accordo concluso tra Brasile e Paraguay (Asunción, 11 dicembre 1967) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sull’Apa e di una via di collegamento; lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 marzo 1969) costituente un accordo per la costruzione di una diga provvisoria nel Niagara; lo Scambio di lettere tra Argentina e Brasile (Brasilia, 15 marzo 1972) costituente un accordo relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu; l’Accordo di prestito (con annesso) relativo ad un progetto per la costruzione di strade e di vie d’accesso a New Amsterdam e di un nuovo ponte sulla Canje, sottoscritto tra la Guyana e gli Stati Uniti d’America (Georgetown, 14 settembre 1972) e successivamente modificato con Accordo concluso (dagli stessi Stati) a Georgetown, in data 6 novembre 1975; la Convenzione conclusa tra Francia e Spagna (Madrid, 8 febbraio 1973) concernente la costruzione di un ponte internazionale sulla Garonna, alla frontiera franco-spagnola detto «Pont du Roy» (con protocollo allegato); la Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (L’Aja, 24 aprile 1980) relativa al ponte E-39 sulla Mosa e il canale Juliana; lo Scambio di note tra Argentina e Brasile (Brasilia, 4 marzo 1982) costituente un accordo relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu; l’Accordo concluso tra Portogallo e Spagna (Lisbona, 12 novembre 1983) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul Miño; lo Scambio di note tra Finlandia e Svezia (Stoccolma, 28 maggio 1985) costituente un accordo relativo alla costruzione e all’entrata in funzione di un ponte sul fiume Muonio; lo Scambio di note tra Finlandia e Svezia (Stoccolma, 31 maggio 1985) costituente un accordo relativo alla costruzione e alla manutenzione di un ponte sul fiume Muonio, a Muonio; l’Accordo concluso tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 3 luglio 1989) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul fiume Miño tra Salvaterra e Monçao; l’Accordo concluso tra l’Argentina e il Brasile (Uruguaiana, 22 agosto 1989) relativo alla costruzione di un ponte sul fiume Uruguay tra le città di São Borja e Santo Tomé; lo Scambio di note tra l’Argentina e il Brasile (Brasilia, 20 agosto 1991) costituente un accordo relativo alla creazione di un gruppo di lavoro per il funzionamento e il controllo di un ponte tra São Miguel do Oeste e San Pedro sul fiume Papiri-Guaçú; l’Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 19 maggio 1993) relativo alla costruzione di un nuovo ponte sulla Tenojoki (fiume del Tana); l’Accordo concluso tra Portogallo e Spagna (Madrid, 12 giugno 1995) relativo alla costruzione di un ponte internazionale sul fiume Miño tra Arbo (Spagna) e Melgaço (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 18 gennaio 1996) per la costruzione di un ponte internazionale sul fiume Caya tra le città di Badajoz (Spagna) e Elvas (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 18 gennaio 1996) per la costruzione di un ponte internazionale sul fiume Agueda tra le località della Fregeneda (Spagna) e Barca d’Alva (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 24 giugno 1997) per la costruzione di un ponte internazionale sul fiume Manzanas tra le località di San Martino de Pedroso (Spagna) e Quintanilha (Portogallo); la Convenzione conclusa tra il Portogallo e la Spagna (Madrid, 24 giugno 1997) per la costruzione di un ponte internazionale sul fiume Tamega tra le località di Feces de Abaixo (Spagna) e Vila Verde de Raia (Portogallo); l’Accordo concluso tra il Principato di Andorra e la Spagna (Madrid, 13 aprile 1999) per l’ampliamento del ponte internazionale sul fiume Runer tra le Città della Farga de Moles (Spagna) e Sant Julià de Lória (Andorra).

26) Ed ancora: lo Scambio di note tra l’Egitto e il Regno Unito di Gran Bretagna/Irlanda del Nord (a nome dell’Uganda) (El Cairo, 19 gennaio, 28 febbraio e 20 marzo 1950) costituente un accordo per la cooperazione in materia di studi meteorologici e idraulici in certe regioni del bacino del Nilo; lo Scambio di note tra Libano e Stati Uniti (Beirut, 15, 21 e 24 febbraio 1951) costituente un accordo relativo ad un progetto di cooperazione tecnica tendente a completare gli studi tecnici del progetto di Litani; lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti (Ottawa, 17 agosto 1954) costituente un accordo che modifica e completa l’Accordo relativo al progetto di canalizzazione di San Lorenzo (Washington, 30 giugno 1952); il Trattato concluso tra Belgio e Paesi Bassi (L’Aja, 23 ottobre 1957) che regola l’illuminazione e le balisage dell’Escaut; la Convenzione (con annesso) conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 24 ottobre 1957) che modifica il Regolamento sottoscritto ad Anversa il 20 maggio 1843, relativo al pilotaggio e alla sorveglianza comune sull’Escaut; la Convenzione (con annessi) conclusa tra Austria ed ex Yugoslavia (Genève, 25 maggio 1954) concernente certe questioni di economia idraulica relativo al Drave; l’Accordo concluso tra Cambogia, Laos, Thailandia, Vietnam (Bangkok, 26 novembre 1960, Vietnam, 12 dicembre 1960) relativo alla non imposizione della contribuzione fornito dall’Australia per la valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino inferiore del Mékong; il Trattato concluso tra il Belgio e i Paesi Bassi (L’Aja, 27 aprile 1965) relativo allo sfruttamento del carbon fossile nelle zone, parallele alla frontiera, delle miniere di carbone situate lungo la Mosa (con mappa annessa); la Convenzione per il Fondo di regolazione della Nam e del Ngum (con annesso e protocollo), sottoscritta a Washington in data 4 maggio 1966, tra la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo e l’Australia, il Canada, la Danimarca, il Giappone, il Laos, la Nuova Zelanda, i Paesi Bassi, la Thailandia e gli Stati Uniti d’America; la Convenzione relativa alla regolazione del Reno tra Strasburgo/Kehl e Lauterbourg/Neuburgweier (con annessi), firmato a Parigi, 4 luglio 1969; la Convenzione concernente il finanziamento dei lavori di regolamentazione del Reno tra Strasburgo/Kehl e Lauterbourg/Neuburgweier (con scambio di lettere), firmato a Parigi, 22 luglio 1969; l’Accordo concluso tra l’Argentina e l’ex Repubblica federale tedesca (Buenos Aires, 23 ottobre 1969) relativo al finanziamento di studi generali sul sistema de l’Iberá, nel bacino del Plata (con scambio di lettere); Scambio di note tra Messico e Stati Uniti (Thatelolco, 16 novembre 1970) costituente un accordo concernente il problema della salinità delle acque del fiume Colorado (con, un annesso, il verbale n. 218 approvato il 22 marzo 1965); la Convenzione supplementare (Manila, 12 aprile 1976) alla Convenzione sul Fondo per la regolazione della Nam, Ngum, conclusa a Manila il 26 giugno 1974, tra la Banca Asiatica di Sviluppo e l’Australia, il Canada, la Francia, la Germania, il Giappone, l’India, la Nuova Zelanda, la Repubblica Democratica del Laos, il Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord, i Paesi Bassi, la Svizzera e la Thailandia; l’Accordo per la sovvenzione del Progetto relativo all’istituzione di rilevamento topografico e cartografico del bacino del fiume Senegal (con annessi), concluso a Dakar in data 31 agosto 1976, tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e gli Stati Uniti d’America (Agenzia per lo sviluppo internazionale); l’Accordo di aiuto finanziario tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e la ex Repubblica Federale Tedesca (Dakar, 13 ottobre 1976); Accordo che istituisce un prestito relativo alla regolazione del bacino del fiume Citanduy, concluso tra l’Indonesia e gli Stati Uniti d’America, firmato a Jakarta il 28 ottobre 1976; l’Accordo che istituisce un prestito Scambio di note tra Canada e Stati Uniti (Washington, 29 marzo 1977) costituente un accordo che prevede la sistemazione di una sperimentale rete di radiocomando a lunga distanza LORAN-C in prossimità del fiume San Maria, in Ontario nel Michigan (con annesso); il Trattato concluso tra Brasile ed Uruguay (Brasilia, 7 luglio 1977) relativo alla cooperazione per la valorizzazione delle risorse naturali e lo sviluppo del bacino della laguna Mirim; il Protocollo sottoscritto da Brasile e Uruguay (Brasilia, 7 luglio 1977) per la valorizzazione delle risorse idrauliche del tronco limitrofo del fiume Jaguarão, aggiunto ed annesso al Trattato del summenzionato (Protocollo relativo al fiume Jaguarão); l’Accordo concluso tra il Burundi, il Ruanda e la Tanzania (Rusumo, 24 agosto 1977) per la creazione dell’Organizzazione per la regolazione e lo sviluppo del bacino del fiume kagera (con mappa allegata); l’Accordo di prestito concluso tra Filippine e Stati Uniti (Manila, 13 gennaio 1978) per un progetto di sviluppo zonale integrato nella regione del Bicol (con annessi); il Memorandum concluso a Vienna in data 23 giugno 1978, tra l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e l’Unione del Mano; lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 29 settembre e 16 ottobre 1978) costituente un accordo relativo alla sistemazione di a rete di rilevazione dati sul letto del fiume San Maria, in Ontario (con annesso); l’Accordo relativo alla cooperazione tecnica, concluso a Freetown in data 24 novembre 1978, tra l’ex Repubblica Federale Tedesca e l’Unione del Fiume Mano; la Convenzione conclusa tra Belgio e Paesi Bassi (Bruxelles, 29 novembre 1978) per l’istituzione di sistema radar lungo l’Escaut e le sue foci; il Trattato concluso tra l’Argentina e il Brasile (Buenos Aires, 17 maggio 1980) per la valorizzazione delle risorse comuni, sul loro tragitto frontaliero, delle acque del fiume Uruguay e del suo affluente, il Papiri-Guaçu (Pepirí-Guazù); la Convenzione conclusa tra il Belgio e la Francia (Bruxelles, 3 febbraio 1982) per il miglioramento della Lys di comproprietà del Deulemont e il Menin (con annesso); lo Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 28 ottobre e 5 dicembre 1980) costituente un accordo attinente al coordinamento delle attività canapo-americane di rottura dei ghiacciai nei Grandi Laghi (con annesso); il Memorandum tra Giappone e Stati Uniti d’America (Tokyo, 30 settembre 1983) relativo alla cooperazione per il progetto di un reattore autofertilizzante del Clinch River (CRBR) e per il progetto di un prototipo di un reattore autofertilizzante rapido di MONJU; l’Accordo di cooperazione finanziaria, concluso a Freetown in data 6 agosto 1984, tra l’ex Repubblica Federale Tedesca e l’Unione del Fiume Mano; lo Scambio di note tra Francia e Lussemburgo (Parigi, 3 e 23 giugno 1986) costituente un accordo attinente alla realizzazione dei lavori di regolazione del fiume Gander a Mondorff (Francia) e a Mondorf-les-Bains (Lussemburgo); la Convenzione di cooperazione (Roma, 11 luglio 1986) tra il Fondo Internazionale di Sviluppo Agricolo e il Fondo finanziario per la valorizzazione del bacino del Rio del Plata; l’Accordo concluso tra la Francia, il Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Treves, 1° ottobre 1987) relativo alle notizie sulle piene nel bacino versante della Mosa; l’Accordo per la regolamentazione delle relazioni, concluso a Dakar in data 12 agosto 1988, tra l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal. Accordo di cooperazione finanziaria, concluso a Dakar in data 22 maggio 1990, tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e l’ex Repubblica Federale Tedesca.

27) Si è arrivati quindi a coniare una disposizione [art. 5, CUDN] che mette in evidenza il duplice aspetto del diritto di utilizzazione e del dovere di contribuzione al miglioramento e sfruttamento ottimale delle risorse idriche di un corso d’acqua internazionale. Dal commento del Presidente della Commissione del diritto internazionale, emerge che l’espressione ottimizzazione degli usi e benefici non deve essere interpretato come un obbligo a raggiungere un uso massimale, tecnologicamente e finanziariamente più efficiente, o un’attribuzione di un diritto di priorità all’utilizzazione in questo senso più capace, bensì significa realizzare il massimo possibile beneficio di tutti i rivieraschi con il correlativo minimo detrimento di ciascuno, e quindi compatibile con le esigenze dell’adeguata protezione del corso d’acqua (UN Doc. A/49/10, pp. 218-219, parr. 3-4).

28) La necessità di cooperazione in vari settori è prevista anche in accordi internazionali sul diritto marittimo. La Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) dispone che le Parti contraenti collaborino per formare del personale scientifico e tecnico, per fornire attrezzature e mezzi necessari alla ricerca e al controllo, per eliminare e trattare i rifiuti e per prevenire e diminuire l’inquinamento dovuto alla scarico (art. 9). La Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti contraenti: a) collaborano per adottare le disposizioni necessarie in caso di situazione critica, quali ne siano le cause, e per ridurre o eliminare i danni che ne derivano (art. 9); b) cooperano nell’elaborazione di programmi di sorveglianza continua dell’inquinamento della zone del Mare Mediterraneo (art. 10); c) cooperano nei settori della scienza e della tecnologia e scambiano dati e informazione di carattere scientifico ai fini della realizzazione degli obiettivi della Convenzione (art. 11); d) collaborano all’elaborazione ed all’adozione di procedure riguardanti la determinazione delle responsabilità ed il risarcimento dei danni causati dalla violazione della Convenzione e dei Protocolli (art. 12). Si dispone, altresì, che le Parti contraenti, nell’attuare la Convenzione e i relativi Protocolli: a) adottino programmi e misure complementari, utilizzano le migliori tecniche disponibili e le migliori prassi ambientali ed incoraggino l’accesso alle tecniche ecologicamente razionali, ed il loro trasferimento, ivi comprese le rispettive tecnologie di produzione (art. 4.4); b) s’impegnino a promuovere, nell’ambito delle organizzazioni internazionali qualificate, misure concernenti la realizzazione di programmi di sviluppo durevole, la protezione, la conservazione e il ripristino dell'ambiente e delle risorse naturali nella zona del Mare Mediterraneo (art. 4.6); c) s’impegnino a elaborare e realizzare dei piani miranti alla riduzione ed alla graduale eliminazione delle sostanze tossiche, persistenti e suscettibili di bioaccumulo responsabili dell’inquinamento d’origine terrestre (art. 8). Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti contraenti: a) cooperano per adottare le misure necessarie in caso di grave ed imminente pericolo per l’ambiente causato dalla presenza di consistenti quantità di petrolio o altre sostanze pericolose dovuta a cause accidentali o ad un’accumulazione di discariche in piccole quantità che inquinino o minaccino di inquinare (art. 1); b) si impegnano a mantenere ed a promuovere, sia individualmente sia attraverso la cooperazione bilaterale o multilaterale, i piani di emergenza e i mezzi (attrezzature, navi, aeromobili, personale qualificato) per lottare contro l’inquinamento marino provocato da petrolio o da altre sostanze pericolose (art. 3); c) predispongono ed attuano, sia individualmente sia attraverso la cooperazione bilaterale o multilaterale, attività di sorveglianza della zone del Mare Mediterraneo (art. 4); d) si impegnano a cooperare nel salvataggio e nel recupero di sostanze pericolose in modo da ridurre i rischi di inquinamento dell’ambiente marino (art. 5). Il Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) dispone che le Parti collaborino nei settori scientifici e tecnologici (artt. 9-10) e per la risoluzione delle controversie (artt. 11-12). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio 1980) si prefigge di facilitare ed incoraggiare la cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali in materia quali lo sviluppo regionale, urbano e rurale, la protezione dell’ambiente, il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi offerti ai cittadini e l’aiuto reciproco in caso di sinistri, al fine di realizzare una più stretta unione tra i Paesi membri e di promuovere la cooperazione tra essi. Le Parti XIII e XIV della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982) stabiliscono i provvedimenti relativi alla ricerca scientifica marina (artt. 238-265) e allo sviluppo e trasferimento di tecnologia marina (artt. 266-278) per quanto riguarda in particolare la cooperazione internazionale, la condotta e l’impulso alla ricerca scientifica, le installazioni o attrezzature per la ricerca scientifica nell’ambiente marino, i centri nazionali e regionali di ricerca marina e tecnologica e le responsabilità. La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 1989) dispone che le Parti collaborino tra di loro al fine di migliorare e di garantire la gestione razionale dal punto di vista ecologico dei rifiuti pericolosi e di altri rifiuti e con i Paesi in via di sviluppo per aiutarli ad applicare le disposizioni della Convenzione (art. 10). La Convenzione internazionale sulla preparazione, la lotta e la cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (Londra, 30 novembre 1990) intende fornire un quadro generale per la cooperazione internazionale nella lotta ai maggiori incidenti o pericoli di inquinamento marino da idrocarburi. Così, le Parti convengono di cooperare direttamente o per il tramite delle competenti organizzazioni internazionali, in particolare per: a) fornire servizi di consulenza, supporto tecnico e materiale al fine di far fronte ad un incidente di inquinamento da idrocarburi, qualora la gravità dell’incidente lo giustifichi, su richiesta di qualsiasi parte danneggiata (art. 7); b) favorire lo scambio dei risultati dei programmi di ricerca e sviluppo volti a migliorare le tecniche esistenti di preparazione e di lotta contro l’inquinamento da idrocarburi (art. 8); c) fornire, alle Parti che lo richiedono, assistenza tecnica per formare il personale, assicurare la disponibilità di tecnologia, di materiale e installazioni pertinenti, altri provvedimenti ed intese per predisporre la preparazione e la lotta contro gli incidenti di inquinamento da idrocarburi (art. 9). Il Protocollo sulla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dalla sfruttamento della piattaforma continentale del fondo marino e del sottosuolo (Madrid, 14 ottobre 1994) dispone che le Parti contraenti s’impegnano a cooperare per: a) promuovere degli studi e dei programmi di ricerca scientifica e tecnologica (art. 22); b) elaborare delle regole, degli standard, delle pratiche e procedure raccomandate (art. 23); c) formulare e attuare dei programmi di assistenza scientifica e tecnologica ai Paesi in via di sviluppo (art. 24); d) assicurare un’informazione reciproca sulle misure, i risultati e le difficoltà relativi all’applicazione del presente protocollo (art. 25); e) prendere le misure necessarie per prevenire l’inquinamento transfrontaliero (art. 26); f) formulare e adottare regole e procedure appropriate in tema di responsabilità e risarcimento dei danni (art. 27). Gli artt. 20-21 del Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) prevedono una cooperazione e un’assistenza reciproca tra gli Stati contraenti. Nell’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) sono previsti provvedimenti relativi ai meccanismi di cooperazione internazionale per la conservazione e la gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori, in particolare mediante organizzazioni e intese di gestione di peschiere sub-regionali o regionali (artt. 8-16); sono inoltre previsti provvedimenti concernenti gli Stati non membri, oppure le organizzazioni e gli Stati non partecipanti ad intese (art. 17). Nel Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) le Parti s’impegnano a cooperare nel settore scientifico e tecnologico per sviluppare e implementare delle nuove metodologie per ridurre ed eliminare i rifiuti pericolosi e per prendere delle misure appropriate per prevenire i problemi di inquinamento dovuti al movimento di rifiuti pericolosi e al loro smaltimento basate sullo sviluppo di metodi di produzione puliti (art. 8). L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar Nero, del Mare Mediterraneo e della zona Atlantica adiacente (Monaco, 24 novembre 1996) dispone che le Parti adottino delle misure coordinate, specificate nel piano di conservazione all’Annesso 2, al fine di raggiungere e mantenere uno stato di conservazione favorevole per i cetacei, in particolare ne proibiscano ogni prelievo deliberato e cooperino per creare e mantenere una rete di aree speciali protette per garantirne la conservazione (art. 2). Relativamente al diritto diritto fluviale internazionale menzioniamo: a) La convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) secondo cui le Parti predispongono programmi per la sorveglianza dello stato delle acque transfrontaliere (artt. 4 e11); cooperano all’esecuzione di lavori di ricerca e sviluppo riguardo a tecniche efficaci di prevenzione, controllo e riduzione dell’impatto transfrontaliero (artt. 5 e 12): b) Il protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) stabilisce che le Parti promuovono la cooperazione internazionale per intraprendere delle azioni internazionali e per mettere in opera dei piani nazionali o locali ai fini del presente protocollo (artt. 11-14).

29) L’idea d’istituire dei meccanismi misti per la gestione dei corsi d’acqua internazionali non è affatto nuova. Dal 1911 (Risoluzione di Madrid) l’Istituto di diritto internazionale aveva raccomandato d’istituire delle «commissioni comuni e permanenti degli Stati interessati». Si ricordano, altresì: la Convenzione che istituisce l’Autorità del bacino del Niger (artt. 3-5); il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo; il Trattato tra il Canada e gli Stati Uniti relativo alle acque frontaliere e alle questioni sollevate tra gli Stati Uniti e il Canada; la Raccomandazione n. 51 adottata durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente. L’Accordo concluso tra Alto Volta, Camerun, Chad, Costa d’Avorio, Dahomey, Guinea, Mali, Niger, Nigeria (Niamey, 25 novembre 1964) che istituisce la Commissione del fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti sul fiume Niger - che è stato successivamente modificato dall’Accordo adottato a Niamey dagli stessi Stati contraenti, in data 15 giugno 1973 – la quale «shall establish general regulations to ensure the safety and control of navigation on the understanding that such regulations shall be designed to facilite, as much as possibile, the movement of vessels and boats» (art. 15) ed in «order to achieve maximum co-operation in connection with the matters mentioned in artiche 4 of the Act of Niamey, the riparian States undertake to inform the Commission as provided for in Chapter I of the present Agreement, at the earliest stage, of all studies and works upon which they propose to embark. They undertake further to abstain from carrying out on the portion of the River, its tributaries and sub-tributaries subject to their jurisdiction any works likely to pollute the waters, or any modification likely to affect biological characteristics of its fauna and flora, without adequate notice to, and prior consultation with, the Commission» (art. 12). Successivamente, la Convenzione conclusa a Niamey tra Benin, Camerun, Chad, Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Niger, Nigeria, in data 29 ottobre 1987 istituisce l’Autorità del Bacino del Niger che ha lo scopo di promuovere la cooperazione tra i paesi membri e assicurare uno sviluppo integrato del Bacino del Niger nei campi dell’energia, dell’idraulica, dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca, della piscicoltura, della silvicoltura e dell’attività di sfruttamento della foresta, dei trasporti, delle comunicazioni e dell’industria (art. 3). L’Autorità - attraverso i propri organi (Vertice dei Capi di Stato e di governo, Consiglio dei ministri, Comitato tecnico di esperti, Segretariato esecutivo) – è incaricata di: a) armonizzare e coordinare le politiche nazionali per la valorizzazione delle risorse del bacino del Niger; b) partecipare alla pianificazione dello sviluppo per l’elaborazione e l’esecuzione di un piano di sviluppo integrato del bacino; c) promuovere e partecipare all’idea e alla realizzazione delle opere e dei progetti d’interesse comune; d) assicurare il controllo e la regolamentazione di ogni modalità di navigazione sul fiume, sui suoi affluenti e sotto-affluenti; e) partecipare alla formulazione delle richieste di assistenza e alla mobilitazione dei finanziamenti per studi e per la realizzazione di opere necessarie a valorizzare delle risorse del bacino (art. 4, par. 1, art. 5). Ed infine altre convenzioni che istituiscono ulteriori commissioni e amministrazioni internazionali fluviali: Accordo concluso tra Brasile e Paraguay (Rio de Janeiro, 14 giugno 1941) relativo alla costituzione di commissioni miste incaricate di studiare i problemi della navigazione sul Paraguay nelle acque che appartengono alla sovranità dei due paesi e alla creazione di una flotta mercantile brasilio-paraguayana. Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 25 febbraio e 3 marzo 1944) costituente un accordo relativo allo studio concernente il bacino superiore del fiume Columbia, di cui è incaricata la Commissione mista internazionale. Scambio di note tra Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord e Stati Uniti d’America (Londra, 4 e 29 ottobre e 5 novembre 1945) costituente un accordo avente per oggetto la partecipazione degli Stati Uniti d’America alla Commissione centrale del Reno. Scambio di note tra Canada e Stati Uniti (Washington, 12 novembre 1953) costituente un accordo che istituisce la Commissione mista d’ingegneri (San Lorenzo). Protocollo sottoscritto da Francia, Lussemburgo e l’ex Repubblica Federale Tedesca (Parigi, 20 dicembre 1961) concernente la costituzione di una Commissione internazionale per la protezione della Mosella contro l’inquinamento. Protocollo sottoscritto tra Francia ed ex Repubblica Federale Tedesca (Parigi, 20 dicembre 1961). Accordo concluso tra Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, ex Repubblica Federale Tedesca, Svizzera (Berna, 29 aprile 1963) concernente la Commissione internazionale per la protezione del Reno contro l’inquinamento (con protocollo aperto alla firma). Accordo concluso tra Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam (Bangkok, 6 e 18 settembre e 14 ottobre 1963, Vietnam, 5 ottobre 1963, Phnompenh, 18 ottobre 1963, Saigon, 19 ottobre 1963) concernente la contribuzione néerlandase al Comitato per il coordinamento degli studi sul bacino inferiore del Mékong. Accordo concluso tra l’ex Cecoslovacchia e l’Ungheria (Praga, 27 febbraio 1968) relativo all’istituzione dell’Amministrazione fluviale nell’area del Danubio tra Raika e Gönyü (con scambio di lettere). Accordo effettuato mediante verbale n° 241 della Commissione internazionale Stati Uniti/Messico delle frontiere delle acque – Raccomandazioni per il miglioramento senza ritardo la qualità delle acque del Colorado che atteignent il Messico – adottato a El Paso il 14 luglio 1972. Scambio di note tra Messico e Stati Uniti d’America (Messico e Tlateloco, 30 agosto 1973) costituente un accordo che conferma il verbale n° 242 della Commissione internazionale delle frontiere e delle acque Stati Uniti/Messico, relativo alla salinità delle acque del Colorado. Accordo concluso tra Brasile e Perù (a bordo della nave peruviana Ucayali nella frontiera Brasile/Perù, in data 5 novembre 1976) che istituisce una sotto-commissione mista Brasile-Perù concernente l’Amazzonia. Protocollo relativo alla Commissione tecnica mista della Bidassoa, sottoscritto da Francia e Spagna a Parigi, in data 14 dicembre 1978. Scambio di note tra Argentina e Brasile (Brasilia, 17 maggio 1980) costituente un accordo relativo alla creazione di una Commissione mista per la costruzione di un ponte sul fiume Iguaçu. Accordo tra Messico e Stati Uniti d’America (Ciudad Juárez, 26 agosto 1980) relativo al problema sanitario posto, nella area di frontiera, le acque del Rio Nuovo. Effettuato mediante verbale n. 264 della Commissione internazionale delle frontiere e delle acque Messico/Stati Uniti d’America. La Commissione internazionale per la protezione del Danubio in virtù dell’Accordo concluso tra l’Austria e la Commissione internazionale per la protezione del Danubio (Vienna, 14 dicembre 2000) relativo alla sede della stessa commissione – ha sede a Vienna (art. 3), ha personalità giuridica internazionale (art. 2), e immune dalla giurisdizione (art. 6), gode dell’inviolabilità della sede (art. 4), della protezione dei locali che compongono la sede (art. 7), dei servizi pubblici necessari e della libertà di comunicazione (artt. 9-10), dell’esenzione dalle imposte e dai diritti doganali (art. 11), delle agevolazioni di natura finanziaria (art. 12), della sicurezza sociale senza corrispondere alcuna contribuzione obbligatoria (art. 13), della libertà di transito e di soggiorno delle persone enumerate nella parte finale del par. 1 dell’art. 14, del diritto di legazione attivo e passivo (artt. 15-16). Nell’ambito del diritto marittimo internazionale si prevedono anche delle commissioni: L’Accordo relativo alla protezione delle acque del litorale mediterraneo (Principato di Monaco 10 maggio 1976) il cui art. 1 prevede l’istituzione di una Commissione internazionale per salvaguardare la qualità delle acque del litorale in questione, prevenire per quanto possibile l’inquinamento e migliorarne lo stato attuale. La Commissione - composta delle delegazioni dei tre Governi, assistita da un Comitato tecnico composto di esperti in materia di protezione delle acque (artt. 4-6) - si riunisce in sessione ordinaria almeno una volta all’anno e sottopone ai tre Governi un rapporto di attività annuale nel quale figurano in particolare i risultati degli studi e delle ricerche compiuti , nonché le sue proposte (artt. 7 e 10). Il Segretariato della Commissione è assicurato dal Centro Scientifico di Monaco (art. 13). La Commissione è incaricata di: a) esaminare ogni problema d’interesse comune relativo all’inquinamento delle acque; b) promuovere una concertazione dei servizi amministrativi competenti al fine di recensire le zone inquinate, fornire informazioni reciproche sui progetti di gestione che potrebbero creare rischi di inquinamento, elaborare uno studio economico delle infrastrutture e delle attrezzature necessarie alla lotta contro l’inquinamento delle acque; c) favorire e promuovere studi e ricerche, scambi di informazioni ed incontri di esperti nel quadro di una cooperazione scientifica; d) proporre ai tre Governi ogni misura atta a proteggere le acque, in particolare per mezzo di accordi specifici (art. 3). La Convenzione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide (Canberra, 20 maggio 1980) che prevede una Commissione per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi dell’Antartide (artt. 7 e 8). I compiti e le modalità di funzionamento della Commissione sono definiti negli articoli 9-13 e 19-20. Nella Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell’Atlantico del Nord-Est (Londra, 17 marzo 1982) si prevede l’istituzione di una Commissione della Pesca dell’Atlantico Nord-Orientale con sede a Londra la quale può istituire i Comitati e gli Organi sussidiari necessari all’espletamento dei suoi compiti e delle sue funzioni (art. 3). La Commissione: a) svolge le sue funzioni nell’interesse della conservazione e della migliore utilizzazione delle risorse della pesca nell’area della Convenzione e tiene conto delle migliori conoscenze scientifiche disponibili. Essa fornisce un forum per la consultazione e lo scambio di informazioni sullo stato delle risorse della pesca nella zona della Convenzione e sulle politiche di gestione (art. 4); b) può fare delle raccomandazioni in merito alla pesca nelle zone al di là della giurisdizione delle Parti contraenti (art. 5). Essa può fare delle raccomandazioni e dare un parere concernente la pesca in una zona sotto la giurisdizione di una Parte contraente dietro sua richiesta (artt. 6-7); c) può, a maggioranza qualificata, fare delle raccomandazioni concernenti le misure di controllo della pesca e la raccolta di dati statistici relativi alla pesca (artt. 8-13); d) può consultare il Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare, in particolare per quanto riguarda la biologia e la dinamica della popolazione delle specie, lo stato degli stock di pesci e gli effetti della pesca, le misure di conservazione e di gestione (art. 14).

30) Ed ancora: Convenzione conclusa tra la Finlandia e l’ex U.R.S.S. (Helsinki, 28 ottobre 1922) concernente il mantenimento dei canali principali e la regolamentazione della pesca nelle acque limitrofe della Russia e della Finlandia. Convenzione conclusa tra il Canada e gli Stati Uniti d’America (Washington, 26 maggio 1930, e protocollo relativo alla scambio delle ratifiche, sottoscritto a Washington il 28 luglio 1937) per la protezione, la conservazione e l’espansione della pesca del salmone sockeye nelle acque del fiume Fraser. Convenzione (con regolamenti allegati) conclusa tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 21 aprile 1938) relativa ad un nuovo regolamento della pesca nel Tana. Scambio di note (con appendici) tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 21 luglio e 5 agosto 1944) costituente un accordo per facilitare la riproduzione del salmone nel cañon di Hell’s Gate e in altri spazi del bacino del Fraser. Scambio di note tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 21 aprile 1938, 13 giugno 1949) costituente un accordo che modifica l’articolo 4 della Convenzione relativa ad un nuovo regolamento della pesca nel Tana. Accordo (con annesso) concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 20 maggio 1953) concernente la regolamentazione della pesca nel Tana. Convenzione (con annesso) conclusa tra la Bulgaria, l’ex Jugoslavia, la Romania, l’ex U.R.S.S., relativa alla pesca nel Danubio. Convenzione relativa alla pesca in Bidassoa e Baia del Figuier, conclusa a Madrid in data 14 luglio 1959, tra Francia e Spagna. Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Oslo, 15 novembre 1960) concernente un nuovo regolamento della pesca nel Tana. Protocollo sottoscritto tra la Norvegia e la Svezia (Helsinki, 19 Marzo 1960) che modifica il par. 3 dell’art. 6 del regolamento concernente lo sfruttamento della zona di pesca del Tornio, annesso alla Dichiarazione congiunta (Svezia-Norvegia) del 10 maggio 1927. Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 12 maggio 1972) concernente la regolamentazione della pesca comune nel Tana (con regolamento della pesca). Scambio di note tra Canada e Stati Uniti d’America (Ottawa, 21 settembre 1972) costituente un accordo riguardante la preservazione della qualità dell’acqua nell’area internazionale del fiume Saint-Jean (con annesso). Scambio di note (con annesso) tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 5 gennaio 1979) costituente un accordo che modifica e completa l’Accordo del 12 maggio 1972. Accordo-quadro concluso tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Alto Volta, Benin, Costa d’Avorio, Ghana, Mali, Niger e Togo (Accra, 1° novembre 1973), per il programma sulla lotta contro l’oncocercosi nella regione del bacino del Volta. Accordo multilaterale che istituisce un Fondo per la lotta contro l’oncocercosi (con annessi), sottoscritto a Washington in data 7 maggio 1975. Convenzione conclusa tra la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, l’ex Repubblica Federale Tedesca e la Svizzera (Bonn, 3 dicembre 1976) relativa alla protezione del Reno contro l’inquinamento chimico (con annessi). Convenzione conclusa tra la Comunità economica europea, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, l’ex Repubblica Federale Tedesca e la Svizzera (Bonn, 3 dicembre 1976), relativa alla protezione del Reno contro l’inquinamento da cloruri (con annessi e scambio di lettere costituente un emendamento, a Neuilly il 29 aprile 1983, a Bonn 4 maggio 1983, L’Aja il 4 maggio 1983, Lussemburgo 13 maggio 1983, Berna 13 maggio 1983). Accordo multilaterale relativo al Fondo per la lotta contro l’oncocercosi (con protocollo), sottoscritto a Washington in data 19 settembre 1979. Regolamento applicabile alla pesca nell’area internazionale del Miño, sottoscritto a Madrid in data 3 dicembre 1980, tra Portogallo e Spagna. Accordo concluso tra la Finlandia e la Norvegia (Helsinki, 1° marzo 1989) concernente la regolamentazione della pesca comune nel Tana (con regolamento della pesca). Accordo concluso tra l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal e gli Stati Uniti d’America (Dakar, 25 febbraio 1976), per la sovvenzione di uno studio sull’ambiente del bacino del fiume Senegal (con annesso e lettera connessa). Accordo di cooperazione concluso tra Brasile ed Uruguay (Antigas, 11 marzo 1991) per lo sfruttamento delle risorse naturali e la valorizzazione del bacino del fiume Quaraí. Scambio di note tra il Brasile e il Regno Unito della Gran Bretagna/Irlanda del Nord (Brasilia, 11 settembre 1991) costituente un accordo sussidiario concernente un progetto di cooperazione tecnica relativa ad un programma di preservazione e di gestione dell’ambiente nelle regioni produttrici di carbone in pezzatura noce del Brasile del fiume Tocantis dello Stato di Para (con annesso). Scambio di lettere tra Brasile ed Uruguay (Brasilia, 16 settembre 1991) costituente un accordo per la valorizzazione a titolo provvisorio dell’Accordo dell’11 marzo 1991. Scambio di note tra Portogallo e Spagna (Madrid, 10 e 27 luglio 1992) costituente un accordo relativo ai regolamenti sulla pesca applicabili alle zone frontaliere dei fiumi tra la Spagna e il Portogallo, ad eccezione dell’area internazionale del fiume Miño e della regione costiera del fiume Guadania (con regolamenti di pesca annessi). Scambio di note tra Portogallo e Spagna (Madrid, 21 maggio 1992 e 24 febbraio 1995) costituente un accordo che stabilisce le regole della “caccia” nelle acque e nei fiumi dell’area internazionale del fiume Miño (con annesso).

31) La perfetta eguaglianza degli Stati rivieraschi nell’uso di un corso d’acqua internazionale e l’assenza di qualsiasi posizione privilegiata tra di essi si ritrova, come principio, nel caso risolto dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, relativo alla Giurisdizione territoriale della Commissione Internazionale del fiume Oder (in Permanent Court of International Justice, Collections of Judgements, Serie A, n. 23, p. 27) e similmente nella pronunzia resa dalla Corte Distrettuale di Rotterdam il 16 dicembre 1983 nella complessa vicenda della salinità del fiume Reno (in Nordical Journal of Internazional Law, 1984, p. 479).

32) L’obbligo generale di cooperare, è tuttavia previsto in precedenti strumenti internazionali: l’art. 3, par. 3 e artt. 7-8 dell’Accordo del 17 luglio 1964 concluso tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia delle acque di frontiera. La Convenzione del 16 novembre 1962 tra la Francia e la Svizzera concernente la protezione delle acque del lago Lemano dalla polluzione. L’Accordo di cooperazione del 14 agosto 1983 tra gli Stati Uniti d’America e il Messico per la protezione e il miglioramento ambientale nella zona di frontiera, che è un accordo-quadro contenente le acque di frontiera. L’art. 4 dell’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger. La Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal e Convenzione che istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal. La Convenzione e Statuto relativi alla valorizzazione del bacino del Chad. Il Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo. La Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, n. 2995 (XXVII) sulla cooperazione tra gli Stati nel settore dell’ambiente. La Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 3129 (XXVIII) sulla cooperazione nel settore dell’ambiente in materia di risorse naturali partagées da due o più Stati. Il Principio n. 24 della Dichiarazione di Stoccolma. Il Piano d’Azione del Mare del Plata, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua (si veda raccomandazione n. 90 ). Il Principio n. 2 dei «Principi relativi alla cooperazione nell’ambito delle acque transfrontaliere» adottati dalla CEE nel 1987. L’art. 4 delle Regole sulla polluzione delle acque di un bacino di drenaggio internazionale, adottate dall’ILA nel 1982. Il Principio n. 12 della Carta europea dell’acqua, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio di Europa nel 1967).

33) L’utilità della raccolta e dello scambio regolari di una vasta gamma di dati e informazioni sui corsi d’acqua internazionali è riconosciuta in numerosi accordi internazionali, risoluzioni adottate dalle organizzazioni internazionali, conferenze internazionali, studi degli organismi governativi e non. Si vedano: l’art. 9, alinea j del Trattato del 3 febbraio 1944 concluso tra gli Stati Uniti d’America e il Messico relativo all’uso delle acque del Colorado, della Tijuana e del rio Grande (rio Bravo) da Fort-Quitman (Texas) al golfo del Messico; l’art. VI del Trattato del 1960 concluso tra l’India e il Pakistan relativo all’uso delle acque dell’Indus; l’art. 8, par. 1, dell’Accordo del 1964 tra la Polonia e l’ex U.R.S.S. relativo all’idroeconomia delle acque transfrontaliere; l’art. 2, alinea c, dell’Accordo del 25 novembre 1964 relativo alla commissione sul fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti sul fiume Niger; l’art. 3, cap. 9 dell’Accordo del 16 settembre 1971 tra la Finlandia e la Svezia relativo ai fiumi di frontiera. Il principio n. 11 dei «Principi relativi alla cooperazione nell’ambito delle acque transfrontaliere» adottati dalla CEE nel 1987. In numerosi casi gli Stati hanno istituito degli organismi misti incaricati soprattutto di raccogliere, elaborare e diffondere dei dati e delle informazioni di vario genere. Es., tra i più importanti, in Africa, ricordiamo: la commissione del bacino del lago Chad, l’Autorità del bacino del Niger, la commissione tecnica mista e permanente per le acque del Nilo (Egitto e Sudan) e l’Organizzazione per il coordinamento e lo sviluppo del bacino del fiume Kagera. Negli Stati Uniti d’America, il comitato intergovernativo di coordinamento del bacino di Rio del Plata, la commissione mista internazionale (Stati Uniti-Canada) e la commissione internazionale delle frontiere e delle acque (Stati Uniti-Messico). In Asia: il comitato per il coordinamento degli studi relativi al bacino inferiore del Mekong, la commissione permanente dell’Indo (India-Pakistan), la commissione fluviale mista (India-Bangladesh) e la commissione del delta dell’Hilmand (Afghanistan-Iran). In Europa: la commissione del Danubio, la commissione internazionale per la protezione della Mosella contro l’inquinamento, la commissione internazionale per la protezione del Reno contro l’inquinamento e la commissione mista finlando-sovietica dell’uso delle acque frontaliere.

34) Il sistema dello scambio delle informazioni e dati è previsto anche ne diritto marittimo internazionale e nel diritto internazionale fluviale. Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti contraenti si impegnano a trasmettere informazioni concernenti le autorità nazionali competenti per la lotta contro l’inquinamento marino, i nuovi metodi di prevenzione e le nuove procedure di lotta nonché sui relativi programmi di ricerca (art. 6). Il Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) prevede che le Parti elaborino dei rapporti per tenersi reciprocamente informate sulle misure prese, sui risultati ottenuti e sulle difficoltà incontrate nell’applicazione del presente Protocollo (art. 13). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio1980) stabilisce che le Parti s’impegnino a fornire, per quanto possibile, tutte le informazioni che le sono richieste dalle altre Parti (art. 6). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 1989) stabilisce che i Paesi che intendono effettuare movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti devono notificare tutte le esportazioni ai Paesi destinatari e di transito e aspettare il loro assenso scritto (artt. 6 e 7). Ed ancora, le Parti se accertano che, in caso di incidente verificatosi durante un movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi o di altri rifiuti o il loro smaltimento che potrebbero presentare rischi per la salute dell’uomo e per l’ambiente di altri Stati, questi ultimi ne siano immediatamente informati (art. 13). Nell’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 - relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) - sono inclusi due Allegati relativi alle norme richieste per la raccolta e la messa in comune dei dati (Allegato I) e alle direttive per l’applicazione di punti di riferimento prudenziali ai fini della conservazione e della gestione degli stock i cui spostamenti si effettuano sia all’interno sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci migratori (Allegato II). Il Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) auspica che si adottino potenzi la ricerca scientifica, tecnologica, anche nel settore della gestione (art. 20). Per quanto concerne il diritto internazionale fluviale si ricordano: a) la Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) nella quale sono specificate le disposizioni relative allo scambio di informazioni e ad eventuali consultazioni tra le Parti in relazione all’inquinamento delle acque transfrontaliere (artt. 6,10, 13, 14 e 16) nonché all’assistenza reciproca (art. 15); b) il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) nella quale si stabilisce che ciascuna Parte procede alla raccolta, all’esame ed alla valutazione dei dati e dei progressi compiuti e pubblica dei rapporti periodici all’attenzione della Riunione delle Parti (art. 7).

35) Il principio della notifica delle misure progettate è già contenuto in precedenti strumenti internazionali. A titolo di esempio ricordiamo: l’art. 4 della Convenzione del 1923 relativa allo sfruttamento delle forze idrauliche interessanti più Stati; l’art. 17 del Trattato del 19 novembre 1973 tra l’Argentina e l’Uruguay relativo a Rio de La Plata e al suo fronte marittimo; gli artt. 7-12 dello Statuto del fiume Uruguay del 1975, adottato dall’Uruguay e dall’Argentina; l’art. 4 della Convenzione conclusa tra l’ex Repubblica Federale Jugoslava e la Repubblica austriaca, concernente certe questioni d’idroeconomia interessanti la Drava; il Trattato di Bayonne (Trattato di delimitazione tra la Francia e la Spagna) e il suo Atto addizionale (art. XI); l’art. 1, par. 3, della Convenzione sulla protezione delle acque del lago di Costanza contro la polluzione, concluso tra il Bade-Wurtemberg, Baviera, Austria e Svizzera; l’art. 4 della Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal; l’art. 7, par. 2, del Trattato relativo all’uso delle acque dell’Indo; l’art. 4 dell’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger e l’art. 12 dell’Accordo relativo alla commissione del fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti sul fiume Niger. Dal punto di vista delle sentenze arbitrali, citiamo l’affaire du Lac Lanoux (parr. 22-24 della sentenza). Tra le raccomandazioni, ricordiamo la n. 51, alinea b), del Piano d’Azione per l’ambiente, adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, la Raccomandazione C(74)224, adottata il 14 novembre 1974 dall’OCDE, le Raccomandazioni relative alla “cooperazione regionale” adottate dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua del 1977; i parr. 6-8 della Dichiarazione di Montevideo adottata anteriormente alla settima Conferenza internazionale degli Stati americani. Tra le Risoluzioni ricordiamo: la Risoluzione sull’uso dei fiumi internazionali, adottata dall’Associazione interamericana degli avvocati alla sua decima conferenza, nel 1957 (par. I.3); la Risoluzione intitolata «Utilizzazione delle acque internazionali non marittime (al di fuori della navigazione)» adottata nel 1961 dall’Istituto di diritto internazionale (artt. 4-9); le Regole di Helsinki – ILA - del 1966 (art. XXIX); i «Principi guida nell’ambito dell’ambiente per l’orientamento degli Stati in materia di conservazione e uso armonioso delle risorse naturali partagées da due o più Stati», adottate dal Consiglio d’amministrazione del PNUE nel 1978 (principi 6-7); gli artt. 7-8 sulla «Regolazione della portata dei corsi d’acqua internazionali» adottati dall’ILA nel 1980; le «Regole sulla polluzione delle acque di un bacino di drenaggio internazionale», adottate dall’ILA nel 1982 (artt. 3, 5-6).

36) L’ammontare dell’indennizzo richiesto può essere ridotto delle spese sostenute dallo “Stato notificatore” per le misure che sono state prese dopo la scadenza del termine previsto per la risposta e che non sarebbero state affrontate se il “paese notificato” avesse sollevato delle obiezioni nei termini previsti [art. 16, CUDN]. Lo scopo che sottintende raggiungere l’art. 16 [CUDN] è che, se uno Stato al quale la notifica è stata indirizzata non risponde entro i termini consentiti al par. 2 dell’art. 15 [CUDN], questo paese, tra le altre conseguenze, non è ammesso ad usufruire dei vantaggi derivanti dal regime di protezione che stabilisce la terza parte della CUDN. Quindi, lo Stato autore della notifica può solo procedere alla messa in opera dei suoi progetti sotto riserva delle condizioni esposte al par. 1 del presente articolo [della CUDN].

37) L’obbligo di informare è previsto anche in precedenti accordi internazionali. Vedi tra gli altri: Accordo franco-svizzero sull’intervento degli organi incaricati di lottare contro la polluzione accidentale delle acque per gli idrocarburi o le altre sostanze che possano alterare le acque e riconosciuti come tali nel quadro della Convenzione franco-svizzera del 16 novembre 1962 concernente la protezione delle acque del Lago Lemano contro la polluzione (5 maggio 1977). Art. 11 della Convenzione relativa alla protezione del Reno contro la polluzione chimica. Accordo tra Canada e Stati Uniti d’America sulla qualità delle acque dei Grandi Laghi (Ottawa, 22 novembre 1978).

38) Anche le convenzioni di diritto internazionale marittimo-fluviale prevedono dei piani di intervento ed assistenza in caso di inquinamento. Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) stabilisce che le Parti contraenti, con situazioni di emergenza, s’impegnano a procedere alle necessarie valutazioni della natura e dell’entità del sinistro, prendere i provvedimenti atti ad eliminare o ridurre gli effetti dell’inquinamento e informare le altre Parti e fare rapporto (art. 9). Ogni Parte che abbia bisogno di assistenza per un’operazione di lotta contro l’inquinamento causato da petrolio o da altre sostanze pericolose che inquinino o minaccino di inquinare le sue coste può chiedere assistenza (consulenza di esperti, fornitura o messa a disposizione di prodotti, attrezzature e mezzi nautici) alle altre Parti. Qualora le Parti impegnate in un’operazione di lotta all’inquinamento non riescano ad accordarsi sull’organizzazione dell’operazione, il Centro regionale può, con il loro consenso, coordinare le attività di intervento messe in atto dalle Parti (art. 10). La Convenzione internazionale sulla preparazione, la lotta e la cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (Londra, 30 novembre 1990) stabilisce che ciascuna Parte è tenuta ad esigere che le navi battenti la propria bandiera abbiano a bordo un piano di emergenza di bordo per l’inquinamento da idrocarburi come prescritto ed in conformità con le disposizioni adottate a tal fine dall’IMO. Ugualmente, gli operatori di unità off-shore soggetti alla giurisdizione delle Parti devono avere piani di emergenza di bordo contro l’inquinamento da idrocarburi, coordinati con l’ordinamento nazionale (art. 3). La Convenzione stabilisce la procedura di notifica di un qualsiasi fatto che comporti o rischi di comportare una discarica o probabile discarica di idrocarburi (art. 4) e le misure da adottare nel ricevere un rapporto su un inquinamento da idrocarburi (art. 5). Nel settore fluviale il Protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali, relativo all’acqua e alla salute (Londra, 17 giugno 1999) stabilisce che ciascuna Parte vigila affinché siano predisposti dei sistemi d’intervento includendo sistemi nazionali e/o locali completi per la sorveglianza e l’allarme tempestivo, piani di emergenza nazionali e locali completi ivi compresi i mezzi d’intervento per fare fronte ad episodi o incidenti, nonché a minacce di episodi o incidenti, relativi a malattie legate all’acqua (art. 8).

39) Ai sensi dell’art. 27 della CUDN gli Stati rivieraschi, singolarmente o congiuntamente, sono tenuti ad adottare tutte le misure idonee per prevenire o attenuare dei pericoli derivanti da cause naturali o da attività dell’uomo che possono causare danni agli altri paesi rivieraschi (inondazioni, formazione di ghiacciai, malattie trasmissibili attraverso i corsi d’acqua, interramento, erosione, introduzione di acqua salata, desertificazione o siccità). Il divieto di causare danni ad altri Stati nell’esercizio di un proprio diritto, è un istituto già previsto in sentenze arbitrali e in strumenti di diritto internazionale. Assume la forma di abuso di diritto, nell’art. 300 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982 (che viene ripreso nell’Accordo per l’esecuzione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, relative alla conservazione e gestione delle specie ittiche transzonali ed altamente migratrici, adottato dalla Conferenza delle Nazioni Unite il 4 agosto 1995) sfocia a volte in una violazione del principio di buon vicinato [principio contenuto nell’accordo italo-britannico, per la soluzione delle loro controversie originate dalla gestione del fiume Gash (corso d’acqua africano scorrente dell’ex Colonia italiana dell’Eritrea al Sudan inglese) concluso mediante scambio di note avvenuto a Roma il 12 e 15 giugno 1925]. Oppure nella violazione del principio sic utere tuo ut alienum non leades (Corte Distrettuale di Rotterdam, 8 gennaio 1979, la quale affermò che tale era un principio generale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili, ai sensi dell’art. 38, par. c dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia; sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, resa nel 1949, nell’affare dello stretto di Corfù). Ed ancora, il divieto di causare danni è espresso nella sentenza arbitrale della CIG resa nel caso della Fonderia di Trail, 11 marzo 1941), sentenza arbitrale della CIG resa nell’affare del Lago Lanoux (1950), e in tribunali interni e federali (es., sentenza resa nel 1939 dalla Corte di Cassazione italiana nel caso della Sociétè énergie électrique du littoral méditerranéen vs. Compagnia imprese elettriche liguri). Nella prassi convenzionale tale principio è previsto: a) nell’art. 17 del Trattato tra Stati Uniti e Messico circa l’utilizzazione delle acque dei fiumi Colorado, Tijuana e Rio Grande (Washington, 3 febbraio 1944); b) nell’art. 2 della Convenzione sui lavori e corsi d’acqua comuni, conclusa il 26 ottobre 1905, tra Svezia e Norvegia; c) nell’art. 12 della Convenzione conclusa tra Svezia e Norvegia su certe questioni relative al diritto dei corsi d’acqua (Stoccolma, 11 maggio 1929); d) nell’art. 58 del Trattato riguardante il tracciato della frontiera comune e le acque di frontiera, concluso all’Aja l’8 aprile 1969 tra Paesi Bassi e l’ex Repubblica federale tedesca; e) nell’art. 3, par. 1 del Trattato concernente la regolamentazione delle questioni di gestione idrica relative alle acque di confine, sottoscritto a Vienna il 7 dicembre 1967, tra Austria ed ex Cecoslovacchia; f) nell’art. 4 dell’Atto riguardante la navigazione e la cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger (Niamey, 23 ottobre 1963); g) nell’art. 5 dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad (Fort Lamy, 22 maggio 1964); h) nell’art. 4 della Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal (Nouakcott, 11 marzo 1972); i) nell’art. 1 del Protocollo specifico addizionale sulle risorse idriche condivise tra Repubblica del Cile e Repubblica di Argentina (Buenos Aires, 10 agosto 1991); j) nel Trattato sulle acque dell’Indo del 1960 (spec., art. 4, par. 2; art. 7, par. 2); k) nell’art. II, par. 3 del Trattato sulla ripartizione delle acque del Gange, firmato il 12 dicembre 1996 da Bangladesh ed India; l) nell’art. 7 dell’Accordo sulla cooperazione per lo sviluppo sostenibile del bacino del fiume Mekong, concluso tra Cambogia, Laos, Tailandia e Vietnam, il 5 aprile 1995. Tra gli atti non vincolanti: La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Madrid, 1911) «Regolamentazione internazionale dell’uso dei corsi d’acqua al di fuori dell’esercizio del diritto della naviagazione» (punti I-II). La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Salisburgo, 1961) «Risoluzione sull’utilizzazione delle acque non marittime (al di fuori della navigazione)» (art. 4). La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Helsinki, 1966) «Regole di Helsinki sull’uso delle acque dei fiumi internazionali» (art. X). Il par. 2 della Dichiarazione di Asunciόn sull’utilizzazione dei corsi d’acqua internazionali, inclusa nell’Atto di Asunciόn, adottato nel giugno del 1971 dalla quarta riunione dei ministri degli esteri dei 5 Stati rivieraschi del Rio de la Plata (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay ed Uruguay). Il par. 4 dell’Atto finale di Santiago sui bacini idrologici, sottoscritta il 26 giugno 1971 dai ministri degli esteri di Argentina e Cile. Il principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma del 1972 sull’Ambiente Umano (ripreso nella Ris. Ag., 15 dicembre 1972, n. 2995 ai parr. 1-2; nell’art. 30 della Carta dei diritti e doveri economici degliStati contenuta nella Ris. Ag., 12 dicembre 1974, n. 3281. La Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Atene, 1979) «Risoluzione sull’inquinamento dei fiumi e dei laghi ed il diritto internazionale» (art. II); i ) nell’art. 6 della Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Belgrado, 1980). L’art. 1 della Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale (Montreal, 1982). La parte terza della Carta mondiale della natura contenuta dalla Ris. Ag., 29 ottobre 1982, n. 37/7). Il principio 2 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992.

40) Il contrasto tra i due principi è stato oggetto di discussione durante i lavori preparatori della CUDN. Alcuni Stati rivieraschi a monte – che propendevano per la superiorità del principio dell’equa utilizzazione sul principio del divieto di cagionare danni – proponevano o l’introduzione di apposite clausole di salvaguardia negli artt. 5 o 7 [CUDN] atte a sancire la priorità della norma dell’equo utilizzo, oppure una radicale soppressione dell’articolo che si occupa del divieto di danneggiare, al limite accompagnata dalla menzione degli effetti dannosi di un’utilizzazione tra i fattori rilevanti per la determinazione in concreto del carattere equo e ragionevole di un’utilizzazione (UN Doc. A/51/275: Etiopia, pp. 33-34 e 41, Spagna, pp. 44-45, Svizzera, p. 47, Turchia, p. 45. (UN Doc. AC.6/51/R.16: Repubblica Ceca, p. 3, par. 9, Romania, p. 9, par. 39). Alcuni paesi costieri a valle, invece, auspicavano o una formulazione più stringente del divieto di cagionare danni, oppure l’introduzione di clausole nel testo dell’art. 5 [CUDN] tendenti a salvaguardare l’applicabilità del principio suddetto (UN Doc. A/51/275: Ungheria, pp. 34-35 e 43). (UN Doc. AC.6/51/R.16: Argentina, p. 11, par. 49, Egitto p. 11, par. 47).

41) (S. C. MCCAFFREY, Quatrième rapport sur le droit relatif aux utilisations des voies d’eau internationales à des fins autres que la navigation (1988) Doc. A/CN.4/412 et Add.1 et 2, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1988, vol. II, 1ª parte, parr. 15-26).

42) [S. C. MCCAFFREY, Troisième rapport sur le droit relatif aux utilisations des voies d’eau internationales à des fins autres que la navigation (1987) (Doc. A/CN.4/406 et Add.1 et 2, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1987, vol. II, 1ª parte, parr. 63-72 e p. 47)].

43) Gli obblighi derivanti dall’art. 20 della CUDN sono già presenti in altri strumenti internazionali. Così: gli artt. 6, 11, 17 della Convenzione del 1904 tra la Repubblica francese e la Confederazione svizzera per la regolamentazione della pesca nelle acque limitrofe. Il Trattato del 1958 tra l’ex U.R.S.S. e l’Afghanistan relativo al regime della frontiera sovieto-afghana. La Convenzione del 1956 tra la Repubblica francese e il Granducato di Lussemburgo relativo alla canalizzazione della Mosella. Gli artt. 36-37 dello Statuto del 1975 relativo al fiume Uruguay, concluso tra l’Argentina e l’Uruguay. La Convenzione del 1978 relativo allo statuto del fiume Gambia. L’Atto del 1963 relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger. L’art. II dell’Accordo del 1978 relativo alla qualità dell’acqua dei Grandi Laghi, concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America. Tra gli atti non vincolanti ricordiamo, infine, l’Atto di Assunzione, adottato dai ministri degli affari esteri dei paesi rivieraschi di Rio de La Plata nel 1971 (risoluzioni, n. 15 e n. 23) e la Raccomandazione n. 35 della Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua, tenutasi al Mare della Plata nel 1977.

44) In materia di protezione dell’acqua dei fiumi da una possibile alterazione qualitativa provocata dall’inquinamento (per effetto dello smaltimento dei rifiuti domestici ed industriali, dello sfruttamento delle risorse in acqua dolce) e per un equilibrio ecologico, si ricordano: a) l’art. IV del Trattato sulle acque di confine del 1909, concluso tra gli Stati Uniti d’America e il Canada, che vietava l’inquinamento lesivo alla proprietà della controparte; b) l’art. II, par. 1, dell’Accordo sulla qualità delle acque dei Grandi Laghi (Ottawa, 22 novembre 1978) concluso tra il Canada e gli Stati Uniti d’America. Il protocollo alla convenzione del 1992 sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) secondo cui le Parti adottano tutti i provvedimenti opportuni per adempiere gli obblighi imposti dalla convenzione, in particolare per (a) prevenire, tenere sotto controllo e ridurre l’inquinamento delle acque che ha o può avere un impatto transfrontaliero, (b) garantire una gestione delle acque innocua per l’ambiente e razionale, la conservazione delle risorse idriche e la protezione dell’ambiente, (c) promuovere un uso ragionevole ed equo delle acque transfrontaliere, (d) assicurare la conservazione e, se necessario, il ripristino degli ecosistemi, (e) prendere delle misure precauzionali per evitare l’inquinamento delle acque transfrontaliere dallo scarico di sostanze pericolose, (f) applicare il principio “chi inquina paga” per scoraggiare l’inquinamento, (g) gestire le risorse idriche in modo sostenibile, (h) promuovere la cooperazione tra gli Stati rivieraschi al fine di elaborare politiche, programmi e strategie armonizzati per il controllo dell’inquinamento delle acque (art. 2). Del problema dell’inquinamento e della conseguente protezione dell’ambiente si sono occupate anche le convenzioni (ratificate da numerosi Stati) sul diritto internazionale marittimo: la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento delle acque marine da idrocarburi (Londra, 12 maggio 1954) si pone l’obiettivo d’intraprendere un’azione comune per prevenire l’inquinamento delle acque marine da idrocarburi scaricate dalle navi. Si proibisce, quindi, lo scarico di idrocarburi o di miscele di idrocarburi a meno che la nave stia seguendo la rotta o che il flusso istantaneo di scarico degli idrocarburi non superi i 60 litri per miglio. Inoltre il divieto non è applicabile nei seguenti casi: a) nel caso di una nave che non sia una nave-cisterna, se il contenuto di idrocarburi dello scarico è inferiore a 100 parti per milione di miscela, o se lo scarico è effettuato il più lontano possibile delle terre; b) nel caso di una nave-cisterna, se la quantità totale di idrocarburi scaricati nel corso di un viaggio in zavorra non supera 1/15.000 della totale capacità dello spazio riservato al carico, o se la nave-cisterna si trova a più di 50 miglia della terraferma (art. 3). Viene fatta eccezione all’articolo 3 nei casi in cui è necessario assicurare la sicurezza di una nave, evitare un’avaria alla nave o al suo carico, salvare delle vite umane in mare, o nell’impossibilità di evitare lo scarico di idrocarburi o di miscele di idrocarburi provenienti da un’avaria o da una perdita inevitabile malgrado siano stati presi i dovuti provvedimenti (art. 4). Ogni contravvenzione ai provvedimenti degli art. 3 e 9 costituisce un’infrazione punibile dalla legislazione del territorio di appartenenza della nave (art. 6). Tutte le navi devono essere munite di dispositivi che permettano di evitare, per quanto sia ragionevole e possibile, la fuga di idrocarburi nelle sentine (art. 7). La Convenzione internazionale sull’intervento in alto mare in caso di incidente che causa o può causare un inquinamento da idrocarburi (Bruxelles, 29 novembre 1969) si prefigge di proteggere gli interessi delle popolazioni dalle gravi conseguenze di sinistri marittimi, comportanti il rischio di inquinamento del mare e del litorale da idrocarburi, mediante l’adozione di misure eccezionali in alto mare che non pregiudicano tuttavia in alcun modo il principio della libertà dell’alto mare. Prima di adottare i provvedimenti, uno Stato rivierasco consulta gli altri paesi interessati dal sinistro marittimo, in particolare lo Stato o gli Stati di bandiera, notifica le misure previste alle persone che potrebbero avere interessi compromessi o lesi da tali misure, consulta degli esperti indipendenti. Nei casi di urgenza, lo Stato rivierasco può adottare le misure rese necessarie dall’urgenza senza notifiche o consultazioni preliminari. In ogni caso, lo Stato rivierasco si adopera per evitare ogni rischio per le vite umane e per assistere le persone in pericolo (art. 3). La Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) si pone l’obiettivo di controllare e prevenire l’inquinamento marino causato dallo scarico di rifiuti o di altri materiali tali da mettere in pericolo la salute dell'uomo, di nuocere alle risorse biologiche, alla fauna e alla flora marina, di pregiudicare le zone di interesse turistico, o di ostacolare un altro uso legittimo del mare (art. 1). È vietato lo scarico di qualunque rifiuto o altro materiale elencato nell’Allegato I. È subordinato al preventivo rilascio di un’autorizzazione lo scarico di rifiuti e di altri materiali elencati nell’Allegato II; e ad una preventiva autorizzazione generale lo scarico di qualunque altro rifiuto e materiale. Sono fissati nell’Allegato III i criteri che regolano le autorizzazioni di scarico di materiali (art. 4). Le disposizioni dell’art. 4 non sono applicate nei casi di forza maggiore o di gravissima emergenza (art. 5). Si stabilisce, infine, che le Parti contraenti si impegnano a promuovere delle misure di protezione dell’ambiente marino contro l’inquinamento dovuto a(d): a) idrocarburi, ivi compresi i prodotti petroliferi e i loro residui; b) altri materiali nocivi o dannosi trasportati da navi per scopi diversi dello scarico; c) rifiuti dovuti all’utilizzazione delle navi, aeronavi, piattaforme e altre opere collocate in mare; d) agenti radioattivi di qualunque origine, ivi compresi quelli delle navi; e) agenti destinati alla guerra biologica e chimica; f) rifiuti o altri materiali provenienti dall’esplorazione del fondale marino (art. 12). La Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) si prefigge di prevenire, ridurre e combattere l’inquinamento nella zona del Mare Mediterraneo, nonché di proteggere e migliorare l’ambiente marino in tale zona. A tal fine le Parti contraenti adottano le misure idonee per prevenire, ridurre e combattere l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto allo scarico di rifiuti da parte di navi ed aeromobili, allo scarico delle navi, all’esplorazione e allo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo marino e degli strati sottostanti, agli scarichi dei corsi d’acqua, degli stabilimenti costieri, o provocati da qualsiasi altra fonte di origine terrestre (artt. 4-8). Il Protocollo per la cooperazione nella lotta operativa contro l’inquinamento del mare Mediterraneo causato da petrolio e da altre sostanze pericolose in situazioni di emergenza (Barcellona, 16 febbraio 1976) si prefigge di proteggere le coste e l’ecosistema marino del Mare Mediterraneo dall’inquinamento causato da petrolio o da altre sostanze pericolose. Il Protocollo per la prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo da operazioni di scarico effettuate da navi ed aeromobili (Barcellona, 16 febbraio 1976) si prefigge di controllare e impedire lo scarico di rifiuti o di altre sostanze nel Mare Mediterraneo. Così, l’immersione di rifiuti o di altre sostanze è vietata ad eccezione di cinque categorie di sostanze: a) materiali di dragaggio; b) rifiuti di pesci o materie organiche prodotte da operazioni industriali della trasformazione del pesce e di altri organismi marini; c) navi, fino al 31 dicembre 2000; d) piattaforme o altre installazioni in mare, a condizione che i materiali che possono produrre rifiuti galleggianti, o contribuire sotto altre forme all’inquinamento dell’ambiente marino siano stati rimossi nella misura massima possibile; e) materiali geologici inerti non inquinanti i cui costituenti chimici non rischiano di essere liberati nell’ambiente marino (art. 4). L’immersione delle sostanze di cui all’articolo 4 è subordinata al rilascio preliminare da parte delle autorità nazionali competenti di un’autorizzazione speciale. Tale autorizzazione viene rilasciata solo dopo un attento esame di tutti i fattori enumerati all’annesso del presente Protocollo o dei criteri, linee direttive e procedure pertinenti adottate dalle Parti al fine di prevenire, ridurre ed eliminare l’inquinamento (artt. 5 e 6). Il Protocollo alla convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (Londra, 17 febbraio 1978) si prefigge di migliorare ulteriormente la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento marino da parte delle navi e in particolare delle navi petroliere integrando le regole per la prevenzione dell’inquinamento da petrolio contenute nell’Allegato I della Convenzione del 1973. Il Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) si prefigge, mediante delle misure appropriate, di prevenire, ridurre, combattere e tenere sotto controllo l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto agli scarichi dei fiumi, degli stabilimenti costieri o degli emissari oppure provenienti da qualsiasi altre fonte terrestre situata sul loro territorio (artt. 1). La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 10 dicembre 1982) si pone l’obiettivo, innanzitutto, di stabilire un ordine giuridico per i mari e per gli oceani che faciliti le comunicazioni internazionali e che favorisca gli usi pacifici dei mari e degli oceani, l’utilizzazione equa ed efficiente delle loro risorse, la conservazione delle loro risorse viventi e lo studio, la protezione e la preservazione dell’ambiente marino. La Parte XII concerne i provvedimenti e le misure che gli Stati s’impegnano ad adottare, singolarmente o congiuntamente secondo i casi, per prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento dell’ambiente marino (artt. 192-201), in particolare l’assistenza tecnica e scientifica agli Stati in via di sviluppo (artt. 202-203), il monitoraggio e gli accertamenti ambientali (artt. 204-206), le norme internazionali e la legislazione nazionale per la prevenzione, la riduzione ed il controllo dell’inquinamento dell’ambiente marino da fonti terrestri (art. 207), da attività relative al fondo marino (art. 208), da attività condotte nell’Area (art. 209), da immissione (art. 210), da navi (art. 211), di origini atmosferiche o transatmosferiche (art. 212). Infine gli Stati adottano misure atte a facilitare lo svolgimento dei procedimenti, in caso di inquinamento provocato da una qualsiasi violazione (artt. 223-233). Il Protocollo sull’intervento in alto mare in caso di inquinamento causato da sostanze diverse dagli idrocarburi (Londra, 3 marzo 1983) si pone l’obiettivo di mettere in grado gli Stati di intervenire in caso di incidenti in alto mare che possono causare, per le loro coste o per gli interessi connessi, l’inquinamento, o che possono costituire una minaccia di inquinamento da sostanze diverse dagli idrocarburi. Così si dispone che le Parti possono adottare, in alto mare, le misure necessarie a prevenire, attenuare o eliminare i pericoli gravi ed imminenti che presentano, per le loro coste o per gli interessi connessi, l’inquinamento o una minaccia di inquinamento da sostanze diverse dagli idrocarburi conseguenti ad un sinistro marittimo o ad azioni connesse a tale sinistro (art. 1). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 1989) si prefigge di controllare rigorosamente i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi (e di altri rifiuti) e ridurre per quanto possibile al minimo tali movimenti. Così, le Parti si impegnano ad adempiere agli obblighi previsti dall’articolo 4 relativi alla procedura di divieto di importazione di rifiuti pericolosi e ad adottare le disposizioni necessarie per ridurre al minimo la produzione e i movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e di altri rifiuti, assicurandone una gestione efficace e razionale dal punto di vista ecologico (art. 4). La Convenzione, tra l’altro, prevede l’obbligo di reimportazione dei rifiuti qualora il loro movimento transfrontaliero non possa essere portato a termine (art. 8). L’Accordo di attuazione della Parte XI della Convenzione sul diritto del mare del 1982 (New York, 28 luglio 1994) si prefigge di rivedere le modalità di attuazione della parte XI della Convenzione sul diritto del mare del 1982, in particolare per quanto riguarda l’Autorità internazionale dei fondali marini. L’Allegato, che è parte integrante di questo Accordo, stabilisce: a) le regole relative all’assetto istituzionale, in particolare all’organizzazione, le funzioni e le attività dell’Autorità internazionale dei fondali marini, nonché la procedura di approvazione di un piano di lavoro (sezione 1); b) le funzioni e le modalità di funzionamento dell’Impresa (sezione 2); c) la fase decisionale, in particolare i ruoli dell’Assemblea e del Consiglio (sezione 3); d) la Conferenza di riesame (sezione 4); e) il trasferimento di tecnologia (sezione 5); f) la politica della produzione (sezione 6); g) l’assistenza economica (sezione 7); h) le clausole finanziarie del contratto (sezione 8); i) il comitato finanziario (sezione 9). Il Protocollo sulla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dalla sfruttamento della piattaforma continentale del fondo marino e del sottosuolo (Madrid, 14 ottobre 1994) si prefigge di proteggere e salvaguardare il Mare Mediterraneo dall’inquinamento causato da attività di esplorazione e di sfruttamento. Le Parti s’impegnano ad adottare, unilateralmente o tramite accordi di cooperazione bilaterali o multilaterali, tutte le misure appropriate al fine di prevenire, ridurre, combattere e controllare l’inquinamento nell’area delineata dal Protocollo, risultante di attività relative all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse. A tal fine, devono ricorrere all’impiego delle migliori tecniche disponibili, che siano efficaci sul piano ambientale e appropriate sul piano economico (art. 3). Le Parti contraenti possono regolamentare, limitare o impedire l’uso di sostanze chimiche per le attività relative all’esplorazione e/o allo sfruttamento delle risorse, nell’area indicata dal Protocollo, in conformità con delle direttive adottate dalle Parti contraenti. L’eliminazione delle sostanze e dei materiali pericolosi, o nocivi, elencati nell’allegato I è vietata, mentre l’eliminazione delle sostanze elencate nell’allegato II è subordinata al rilascio di un previo permesso specifico. Per l’eliminazione di tutte le altre sostanze, o materiali nocivi, o pericolosi, è richiesto un previo permesso generale (art. 9). Sono previste delle disposizioni specifiche per l’eliminazione di oli, miscugli di oli, fluidi di perforazione e relativi residui (art. 10), acque di scarico (art. 11) e rifiuti (art. 12). Sono inclusi 7 Allegati che completano le disposizioni contenute nel presente Protocollo. Gli Allegati I e II elencano rispettivamente le sostanze e materiali pericolosi o nocivi la cui eliminazione è vietata o subordinata al rilascio di un previo permesso specifico. L’Allegato III elenca i fattori che devono essere considerati per il rilascio dei permessi (generali e specifici). L’Allegato IV disciplina la valutazione d’impatto ambientale. L’Allegato V riguarda gli oli, i miscugli di oli, i fluidi di perforazioni e i relativi residui. L’Allegato VI disciplina le misure di sicurezza che le Parti devono osservare. L’Allegato VII è dedicato ai piani di emergenza. L’art. 17 del Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) prevede la necessità d’instaurare degli studi di impatto ambientale. Il Protocollo alla convenzione del 1972, per la prevenzione dell’inquinamento marino causato dallo scarico di rifiuti e altre sostanze (Londra, 7 novembre 1996) si pone diversi obiettivi e precisamente: «proteggere e salvaguardare l’ambiente marino da qualsiasi fonte di inquinamento e prendere delle misure efficaci per prevenire, ridurre e, dove possibile, eliminare l’inquinamento causato dallo scarico o dall’incenerimento a mare di rifiuti ed altre sostanze». Esso, infatti, vieta: «lo scarico di qualsiasi rifiuto o altra sostanza ad eccezione di quelle contenute nell’Allegato I, ovvero: 1) materiali di dragaggio; 2) acque di scarico; 3) rifiuti di pesci o materie organiche prodotte da operazioni industriali della lavorazione dei pesci; 4) navi e piattaforme o altre installazioni in mare; 5) materiali geologici non inquinanti; 6) materiali organici di origine naturale; 7) materie prime, inclusi ferro, acciaio e altri materiali simili non pericolosi (art. 4)». Si vieta, altresì, l’esportazione dei rifiuti o di altre sostanze in Stati non contraenti per il loro smaltimento o incenerimento in mare (art. 6). L’unica eccezione prevista al divieto di smaltimento in mare è il caso di forza maggiore, di pericolo di vita, o di grave rischio per la nave (art. 8). Il Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) il quale stabilisce all’art. 5 che le Parti contraenti s’impegnano a prendere: a) le misure appropriate per prevenire, ridurre ed eliminare l’inquinamento causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento; b) le appropriate misure legali ed amministrative per proibire l’esportazione ed il transito di rifiuti pericolosi verso Paesi in via di sviluppo. Ed inoltre, le Parti che non sono Stati membri dell’Unione Europea proibiscono qualsiasi importazione o transito di sostanze pericolose. Il Protocollo prevede, infine, una serie di provvedimenti relativi al controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi: a) la procedura di notificazione, secondo le modalità indicate nell’articolo IV, che tiene conto dei provvedimenti della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (l’Allegato IV individua le informazioni che devono essere obbligatoriamente rese attraverso la notifica (art. 6); b) il dovere di reimportare i rifiuti pericolosi (art. 7), appropriate misure legislative per prevenire e penalizzare il traffico illecito (art. 9).

45) Per inquinamento di un corso d’acqua internazionale, s’intende ogni modificazione pregiudizievole alla composizione (cioè di tutte le sostanze contenute nell’acqua, ivi compresi les corps en solution ainsi que les particules en suspension et autres substances insolubles), o alla qualità delle proprie acque (natura, grado di purezza dell’acqua) derivanti, direttamente o indirettamente, dalle attività di natura umana.

46) L’obbligo di adottare le necessarie misure di prevenzione del danno non è nuovo nella prassi del diritto internazionale: a) l’art. 3 della Convenzione di Helsinki impegna le Parti all’adozione di adeguate misure legislative, amministrative e tecniche per il controllo e la restrizione dello scarico di sostanze nocive nelle acque transfrontaliere, da basarsi sullo standard delle migliori tecnologie disponibili; b) il Protocollo per la protezione del Mar Mediterraneo del 1980 (emendato a Siracusa nel 1996) il cui art. 5 prevede degli “Obblighi generali”, l’art. 6 un “Sistema di autorizzazione o regolamentazione”, e il cui Annesso I (indica settori di attività e sostanze che le Parti contraenti sono tenute a considerare nella preparazione dei programmi per l’eliminazione dell’inquinamento da fonte terrestre) e Annesso II (ove vengono indicati gli elementi che le parti debbono prendere in considerazione nel rilascio di autorizzazioni per lo scarico di sostanze). In successivi strumenti internazionali vincolanti e non vincolanti si prevedono ulteriori principi a sostegno della protezione dell’ambiente. Così la valutazione dell’impatto ambientale. Si vedano: a) l’art. 206 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982); b) l’art. 16 della Convenzione per la protezione delle risorse naturali e dell’ambiente nella regione del sud Pacifico (Nomea, 25 novembre 1986); c) l’art. 2, parr. 1 e 3 della Convenzione per la valutazione di impatto ambientale in ambito transfrontaliero (Espoo, 25 febbraio 1991); d) il principio n. 17 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo adottata nella Conferenza delle Nazioni Unite nel 1992 che prevede, come strumento nazionale, la valutazione dell’impatto ambientale; e) l’art. 3, par. 1(h) della Convenzione sulla protezione ed uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992); f) l’art. 7, par. 5 della Convenzione di Sofia sulla protezione ed uso sostenibile in materia di protezione del Danubio. Così anche il principio precauzionale espresso: a) nel principio n. 15 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992; b) nell’art. 2, par. 5 della Convenzione di Helsinki del 1992. Il principio precauzionale è stato richiamato anche da una sentenza della Corte internazionale di giustizia e precisamente nella controversia Slovacchia/Ungheria relativa al progetto Gabčikovo-Nagymaros (22 ottobre 1992).

47) In materia di protezione e conservazione delle specie ricordiamo alcune convenzioni del diritto internazionale marittimo. Nella Convenzione per la protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento (Barcellona, 16 febbraio 1976) le Parti contraenti, per proteggere l’ambiente e contribuire allo sviluppo durevole delle zona del Mediterraneo, s’impegnano ad applicare il principio precauzionale ed il principio “chi inquina-paga”, a intraprendere studi d’impatto ambientale, a incoraggiare la cooperazione nella procedura di valutazione d’impatto ambientale nel caso di attività che possono avere effetti transfrontalieri, a promuovere la gestione integrata del litorale (art. 4.1, 4.2, 4.3, 4.6). La Convenzione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide (Canberra, 20 maggio 1980) si pone l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente e proteggere l’integrità dell’ecosistema dei mari che circondano l’Antartide e assicurare la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide (art. 9, parr. 2-6). Si prevede l’istituzione di un Comitato Scientifico per la Conservazione delle Risorse Marine Viventi dell’Antartide che è un organo consultivo della Commissione (artt. 14-16) e la nomina di un Segretario Esecutivo che aiuta la Commissione e il Comitato Scientifico (art. 17). La Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell’Atlantico del Nord-Est (Londra, 17 marzo 1982) si pone l’obiettivo di promuovere la conservazione e l’utilizzazione ottimale delle risorse della pesca della zona Atlantica nord-orientale nel quadro del regime della giurisdizione sulla pesca estesa alle zone costiere e incoraggiare, in conseguenza, la cooperazione e la consultazione internazionale in merito a dette risorse. L’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) si pone innanzitutto i seguenti obiettivi: assicurare la conservazione a lungo termine e l’utilizzazione sostenibile degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori, grazie all’applicazione effettiva delle disposizioni pertinenti della Convenzione (art. 2). In secondo luogo, gli Stati costieri e i paesi che praticano la pesca in alto mare s’impegnano a(d): a) adottare misure per realizzare gli obietti del presente Accordo; b) accertarsi che tali misure siano fondate sui dati scientifici affidabili e siano atte a mantenere o ripristinare gli stock a livelli tali da garantire il massimo rendimento costante; c) applicare l’approccio precauzionale ai sensi dell’art. 6; d) valutare l’impatto della pesca e delle altre attività dell’uomo, nonché dei fattori ecologici, sugli stock in oggetto e sulle relative specie; e) adottare le misure di conservazione e di gestione necessarie; f) ridurre al minimo l’inquinamento, i rifiuti, gli scarichi, le catture con attrezzature perse o abbandonate, le catture di specie di pesci e di altre non previste, nonché l’impatto sulle specie affini o dipendenti, in particolare quelle minacciate di estinzione; g) proteggere la diversità biologica nell’ambiente marino; h) adottare misure per impedire o far cessare uno sfruttamento, o una capacità eccessivi e affinché le attività di pesca non raggiungano un livello incompatibile con l’utilizzazione sostenibile delle risorse ittiche; i) tener conto degli interessi dei pescatori che si dedicano alla pesca artigianale ed alla pesca di sussistenza; j) raccogliere e mettere in comune dati completi ed esatti sulle attività di pesca; k) incoraggiare la ricerca scientifica e l’elaborazione di tecnologie appropriate; l) applicare misure di conservazione e di gestione mediante efficaci sistemi di osservazione, di controllo e di sorveglianza, e a vigilare sulla loro osservanza (art. 5). Ed infine, gli Stati parti stabiliscono delle modalità specifiche per garantire una larga applicazione dell’approccio precauzionale in materia di conservazione, di gestione e di utilizzazione degli stock i cui spostamenti avvengono sia all’interno, sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori, per proteggere le risorse biologiche marine e preservare l’ambiente marino (art. 6). La Convezione sulle zone umide di importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici (Ramsar, 12 dicembre 1975), si prefigge, innanzitutto, di promuovere la tutela e l’uso razionale delle zone umide, soprattutto come habitat primari per la vita degli uccelli acquatici, attraverso interventi in ambito nazionale e di cooperazione internazionale, intesi come strumenti per lo sviluppo sostenibile e la conservazione della biodiversità nel mondo. Così: a) ciascuna Parte contraente designa le zone umide idonee del proprio territorio, da inserire nell’Elenco delle zone umide di importanza internazionale (art. 2); b) le Parti contraenti elaborano e mettono in pratica programmi per l’utilizzo razionale delle zone umide che si trovano sul loro territorio (art. 3), favoriscono la tutela delle zone umide e degli uccelli acquatici creando delle riserve naturali nelle zone umide indipendentemente dal fatto se siano o meno inserite nell’Elenco, e ne assicurano un’adeguata sorveglianza; c) infine, esse incoraggiano le ricerche e gli scambi di dati e pubblicazioni relativi alle zone umide, alla loro flora e fauna e favoriscono la formazione di personale competente per lo studio, la gestione e la sorveglianza delle zone umide (art. 4). Il Protocollo relativo alle zone particolarmente protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno 1995) si prefigge di conservare, proteggere e ristabilire la salute e l’integrità degli ecosistemi nonché la diversità biologica nel Mediterraneo. Le Parti adottano le misure necessarie per adempiere i loro obblighi, in particolare per proteggere, preservare e gestire, in maniera durevole e rispettosa dell’ambiente, gli spazi aventi un valore naturale o culturale particolare, specialmente mediante la creazione di zone particolarmente protette (art. 3). L’istituzione di zone particolarmente protette ha come obiettivo la salvaguardia degli ecosistemi marini e costieri, degli habitat in pericolo di estinzione o critici per la sopravvivenza, degli habitat necessari per la sopravvivenza, la riproduzione ed il ricambio delle specie animali e vegetali in pericolo, minacciate o endemiche, dei siti di speciale interesse sul piano scientifico, estetico, culturale o educativo (art. 4). Ed infine, le Parti s’impegnano ad adottare tutte le misure appropriate per regolamentare l’introduzione volontaria o accidentale, nella natura, di specie non indigene o modificate geneticamente e per sradicare quelle già introdotte che causano o potrebbero causare danni ad ecosistemi, habitat o specie (art. 13). L’Accordo sulla conservazione dei cetacei del Mar Nero, del Mare Mediterraneo e della zona Atlantica adiacente (Monaco, 24 novembre 1996) si prefigge l’obiettivo di promuovere la conservazione dei cetacei e del loro habitat nelle zone previste dall’accordo in questione. L’annesso 2 esplicita il piano di conservazione.

48) Principio enunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia in alcune decisioni prese (arrêt rendu dans l’affaire de la Donauversinkung, affaire de la Compétence en matière de pêcheries (Regno Unito c. Islanda). Da segnalare l’orientamento (precedente) di utilizzare nei precedenti progetti l’espressione “appreciable harm”, proposta dal Relatore Schwebel e ribadita dal Relatore Evans. Se da un lato l’espressione “apprezzabile danno” poteva rappresentare un giusto equilibrio tra le esigenze di tutela delle utilizzazioni di un corso d’acqua internazionale e la necessità di evitare proibizioni troppo stringenti che avrebbero potuto bloccare i progetti di sfruttamento futuro dello stesso corso d’acqua (Schwebel), dall’altro lato, si rilevava in successive sessioni il carattere vago ed incerto del termine “apprezzabile” che avrebbe posto delle difficoltà nel determinare l’entità del danno e nel rendere applicabile la norma concernente il divieto di danneggiare (delegazione svizzera, UN Doc. A/CN.4/447, p. 47), favorendo un eccessivo abbassamento della soglia di proibizione, col risultato di compromettere la ratio del giusto equilibrio a favore degli utilizzatori (delegazione ungherese, UN Doc. A/CN.4/447, Add. 2, p. 6). La proposta di sostituire il termine “appreciable” con l’espressione “significant”, del Relatore speciale Rosenstock fu accolta favorevolmente dalla Commissione del diritto internazionale (Report of the International Law Commission on the Work of Its Forty-Fifth Session, General Assembly, Official Records, Forty-Eighth Session, Supplement n. 10 (Un Doc. A/48/10), New York, 1993, pp. 229-231, nonostante le discussioni e le riserve da parte di alcuni Stati che auspicavano una definizione chiara della soglia di interferenza proibita (Un Doc. A/6/51/SR. 16, Finlandia, p. 5, par. 19, Egitto, p. 11, par. 47, Grecia, p. 6, par. 22, Iraq, p. 6, par. 21, Kuwait, p. 14, par. 66, Norvegia, p. 13, par. 64, Pakistan, p. 14, par. 68, Portogallo, p. 8, par. 30, Tunisia, p. 11, par. 48, Ungheria, p. 8, par. 31; Un Doc. A/C.6/51/SR. 17, Bagladesh, p. 4, par. 16, Israele, p. 3, par. 7) . Si rinvia a M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit., pp. 181-184.

49) Le procedure per la valutazione dei danni e delle responsabilità sono previste anche in alcune convenzioni internazionali del diritto marittimo internazionale. La Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni provocati da inquinamento da idrocarburi (Bxuxelles, 29 novembre 1969) si pone l’obiettivo di garantire un equo indennizzo alle persone che subiscono i danni causati dall’inquinamento derivante dalla fuga e dallo scarico di idrocarburi delle navi, nonché di adottare norme e procedure uniformi sul piano internazionale per definire le responsabilità e garantire in tali occasioni un equo indennizzo. Il proprietario della nave, al momento di un incidente che causi una fuga o uno scarico di idrocarburi, è responsabile di ogni danno, tranne che nel caso d’incidente dovuto a un atto di guerra, a un fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile ed ineluttabile, a un atto intenzionale effettuato da un terzo e diretto a causare un danno, alla negligenza di un governo od di un’altra autorità responsabile della navigazione (art. 3). In particolare, ove siano avvenuti fughe o scarichi di idrocarburi da due o più navi e ne risulti un danno da inquinamento, i proprietari di tutte le navi interessate sono responsabili in solido per la totalità del danno che non può essere ragionevolmente ripartito (art. 4). Il proprietario di una nave ha, ai sensi della presente Convenzione, il diritto di stabilire i limiti della propria responsabilità, per ogni incidente, ad un ammontare totale di 2.000 franchi per unità di tonnellaggio della nave, con un massimo di 210 milioni di franchi; a tal fine, costui deve costituire un fondo per la somma totale che rappresenta il limite della sua responsabilità presso il tribunale, od ogni altra autorità competente di uno qualsiasi degli Stati contraenti (artt. 5 e 6). Il proprietario di una nave immatricolata in uno Stato contraente e che trasporti più di 2.000 tonnellate di idrocarburi è tenuto a fornire un’assicurazione od altra garanzia finanziaria per coprire la propria responsabilità per i danni da inquinamento (artt. 7). La procedura per il risarcimento dei danni è prevista negli artt. 8-10. La Convenzione internazionale sull’istituzione di un Fondo internazionale per il risarcimento dei danni dovuti ad inquinamento da idrocarburi (Bruxelles, 18 dicembre 1971) si prefigge d’istituire un sistema di risarcimento che completi quello della Convenzione internazionale sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi, al fine di assicurare un risarcimento soddisfacente alle vittime dei danni da inquinamento e allo scopo di esonerare al tempo stesso il proprietario della nave dall’obbligo finanziario supplementare che gli viene imposto da detta Convenzione. Viene così costituito un “Fondo internazionale di risarcimento per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi” con lo scopo di assicurare il risarcimento per i danni da inquinamento nella misura in cui la protezione che deriva dalla Convenzione sulla responsabilità sia insufficiente e di esonerare il proprietario della nave dall’obbligo finanziario supplementare che gli impone la Convenzione sulla responsabilità (art. 2). Il Fondo è tenuto a risarcire chiunque abbia subito un danno da inquinamento e non è in grado di ottenere un equo risarcimento dei danni in base alla Convenzione sulla responsabilità civile del 1969 (art. 4). Il Fondo è esonerato totalmente o parzialmente da ogni obbligo se il danno risulta: da un atto di guerra, di ostilità, o se è imputabile a fughe o a scarichi di idrocarburi provenienti da una nave da guerra, da una mancanza di intervento con intenzione di causare un danno o per negligenza, ecc. (art.4). Il Fondo indennizza i proprietari di navi per la parte dell’ammontare totale delle responsabilità che supera 1.500 franchi per tonnellate di stazza o i 125 milioni di franchi e non supera i 2.000 franchi per tonnellate di stazza o i 210 milioni di franchi (art. 5). Il Protocollo del 1976 emenda l’articolo 1 della Convenzione sostituendo il “franco” con l’“unità di conto” o “unità monetaria”, nello stesso modo in cui è stata modificata la Convenzione sulla responsabilità civile dal Protocollo adottato il 19 novembre 1976. I contributi al Fondo sono versati, per quanto concerne ciascuno degli Stati contraenti, da ogni persona che, nel corso dell’anno solare che precede quello in cui la presente Convenzione è entrata in vigore nei confronti di tale Stato, abbia ricevuto in totale dei quantitativi di idrocarburi superiori alle 150.000 tonnellate; l’ammontare di tali contributi è calcolato dall’Assemblea del Fondo in base ad una somma fissa per tonnellata (artt. 10-12). La Convenzione include dei provvedimenti relativi alla procedura dei reclami, dei diritti e obblighi, e dell’azione giudiziaria (artt. 6-9). Nella Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) si stabilisce che le Parti contraenti elaborano delle procedure per la determinazione delle responsabilità e per la definizione delle vertenze riguardanti lo scarico (art. 10). In virtù della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 10 dicembre 1982) gli Stati hanno la responsabilità dell’adempimento dei propri obblighi internazionali in materia di protezione e preservazione dell’ambiente marino e ne rispondono conformemente al diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda l’indennizzo dei danni causati (art. 235). La Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (Basilea, 22 marzo 1989) stabilisce che un movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi, o di altri rifiuti, è considerato come traffico illecito e che la responsabilità di garantire lo smaltimento razionale dei rifiuti è dello Stato cui appartiene il soggetto che ha commesso l’illecito (art. 9). Nella Convenzione internazionale sulla responsabilità e l’indennizzo per i danni causati dal trasporto via mare di sostanze nocive e potenzialmente pericolose (Londra, 3 maggio 1996) si prevede l’istituzione di un Fondo Internazionale per le Sostanze Nocive e Potenzialmente Pericolose (Fondo SNNP), costituito da un’Assemblea e da un Segretariato (artt. 13-14) e si specifica i criteri di responsabilità per i danni causati da SNNP (artt. 7-11). Nel Protocollo sulla prevenzione dell’inquinamento del mare Mediterraneo causato dai movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e dal loro smaltimento (Smirne, 1° ottobre 1996) sono previste, infatti, delle procedure specifiche per la verifica di comportamenti ritenuti in violazione degli obblighi sanciti dal Protocollo (art. 13), per la valutazione dei danni nonché della responsabilità e dell’indennizzo per danni causati dal movimento transfrontaliero e dallo smaltimento dei rifiuti pericolosi (art. 14).

50) La previsione del risarcimento danni nel contesto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali è gia stata cristallizzata della prassi del diritto internazionale (es., l’art. V, par. j, delle Regole di Helsinki), potenziato successivamente dal principio “chi inquina paga” che si è formato nel diritto internazionale dell’ambiente. Da ricordare, a tal proposito, anche il Codice di condotta sull’inquinamento incidentale delle acque interne transfrontaliere, adottato nel 1990 dalla ECE (sezioni II, par. 3 e XV, par. 3).

51) L’obbligo de faire preuve de toute la diligence voulue, è gia previsto in precedenti strumenti di diritto internazionale (art. IV, par. 10, del Trattato del 1960 tra l’India e il Pakistan relativo alle acque dell’Indo; art. 194, par. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982; art. 1 della Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento dei mari derivante dallo sprofondamento in mare dei rifiuti; art. 2 della Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono; art. 7, par. 5, della Convenzione sulla regolamentazione delle attività relative alle risorse minerarie dell’Antartico; art. 2, par. 2 della Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero; art. 2, par. 1, della Convenzione sulla protezione e l’utilizzo dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali).

52) Anzi, il ripopolamento delle acque è vietato: dalle Convenzioni dell’Aja del 1907 (art. 23) concernente le leggi e i costumi della guerra terrestre; dal par. 2 dell’art. 54 del Primo Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e il par. 1 dell’art. 56 del medesimo Protocollo che protegge le barriere, le dighe e le altre opere dagli attacchi che possono provocare la liberazione di sostanze dannose e, di conseguenza, causare delle pesanti perdite umane. Secondo gli artt. 14-15 del II Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, una protezione simile è anche necessaria in caso di conflitto armato interno. Ed infine, da citare: l’art. 55, par. 1, del I Protocollo Addizionale alle Conv/Ginevra; gli accordi che includono la clausola Martens (che figurava inizialmente nel Preambolo delle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907) secondo cui, in assenza di un accordo internazionale disciplinante una data situazione, le popolazioni civili e i belligeranti restano protetti e salvaguardati dai principi del diritto delle genti che risultano dalla prassi degli Stati, dalle leggi dell’umanità e dalle esigenze della pubblica coscienza; il Protocollo concernente il divieto d’impiegare in guerra dei gas asfissianti, tossici, o simili, e dei mezzi batteriologici (preambolo, parr. 1 e 3); le Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 (I, art. 63, par. 4; II, art. 62, par. 4; III, art. 142, par. 4; IV, art. 158, par. 4); Il Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949 (art. 1, par. 2); la Convenzione sul divieto o limitazione di certe armi classiche che possono essere considerate come causa di effetti traumatici eccessivi o come frappant sans discrimination (preambolo, art. 5).

53) Anche l’Accordo sul mantenimento della riservatezza dei dati concernenti le aree dei fondi marini (Mosca, 5 dicembre 1986) si prefigge di porre in essere tutte le misure appropriate al fine di assicurare la riservatezza delle coordinate delle aree dei fondi marini, così come delle altre informazioni riservate, o di quelle concernenti i diritti di loro esclusiva proprietà relative a quelle aree, ricevute in via riservata dalle altre Parti. In particolare: a) ciascuna Parte, al fine di assicurare la riservatezza sui dati ricevuti da una o più delle restanti Parti, adotta le misure appropriate affinché le persone fisiche e giuridiche soggette alla propria giurisdizione, aventi accesso a dette informazioni, ne mantengano la riservatezza (art. 1); b) La durata della riservatezza, a far data dal ricevimento delle coordinate, è fissata in due anni per le coordinate stesse, e in cinque anni per le altre informazioni di cui all’art. 1. Essa potrà essere prolungata con l’assenso delle Parti (art. 2).

54) L’obbligo derivante dall’art. 32 della CUDN si ritrova anche in alcuni precedenti strumenti internazionali: art. 3 della Convenzione relativa alla protezione dell’ambiente, conclusa tra la Danimarca, la Finlandia la Norvegia e la Svizzera; art. 2, par. 6 della Convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero; Parte II.B.8 dei Principi guida sulla responsabilità e l’obbligo di riparare in caso di polluzione delle acque transfrontaliere, elaborati dalla commissione speciale sulla responsabilità e l’obbligo di riparare in caso di polluzione delle acque transfrontaliere; par. 4, alinea a, Raccomandazione OCDE [(doc. C(77)28 (Final), annesso]. Il principio della non discriminazione e quello dell’eguaglianza di accesso stabiliscono che quando gli Stati adottano delle politiche ambientali differenti devono applicarle senza fare delle discriminazioni a seconda che si tratti di un danno ambientale prodottosi nel proprio territorio, o sul territorio di un altro paese (vedi art. 3 della Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, principio n. 7 del PNUE).

55) Del resto, procedure di soluzione delle controversie riguardanti la interpretazione e l’applicazione della CUDN sono prese in considerazione, ad esempio: dall’art. 11 della Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972); dal Protocollo per la protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento di origine terrestre (Atene, 17 maggio 1980) nel quale si prevede che le Parti collaborino nei settori scientifici e tecnologici (artt. 9-10) e per la risoluzione delle controversie (artt. 11-12); dalla Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio1980) nella quale si stabilisce che le Parti contraenti si adoperino a risolvere le difficoltà di ordine giuridico, amministrativo o tecnico che potrebbero ostacolare lo sviluppo e il buon funzionamento della cooperazione transfrontaliera e si consultano con la o le altre Parti interessate (art. 4); dalla Parte XV della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay, 1982) che stabilisce le modalità di soluzioni delle controversie (artt. 279-299); dall’Accordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 - relative alla conservazione ed alla gestione degli stock di pesci i cui spostamenti avvengono sia all’interno sia al di là delle zone economiche esclusive e degli stock di pesci grandi migratori (New York, 4 agosto 1995) – in cui si stabilisce che gli Stati hanno l’obbligo di risolvere le loro controversie per via negoziale, d’inchiesta, di mediazione, di conciliazione, di arbitrato, di soluzione giudiziaria, di ricorso ad organismi o accordi regionali o con altri mezzi specifici di loro scelta (artt. 27-32); dall’art. 22 della Convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992).

56) Se una delle parti alla controversia non designa entro tre mesi (dalla data di richiesta di istituzione della commissione) un proprio delegato, ogni altra parte della controversia può chiedere al Segretario generale delle Nazioni Unite di designare un membro che non abbia la nazionalità degli Stati parti della controversia o dei paesi rivieraschi. La persona designata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, sarà membro unico della commissione d’inchiesta [art. 33, comma 5, CUDN].

57) Se entro tre mesi dalla richiesta di istituzione della commissione non si riesce a nominare il presidente della commissione, qualsiasi Stato interessato può chiedere al Segretario generale delle Nazioni Unite di designare un presidente che non abbia la nazionalità degli Stati parti della controversia o dei paesi rivieraschi [art. 33, comma 5, CUDN].

58) A meno che il Tribunale arbitrale non stabilisca diversamente in funzione della particolarità del caso, le spese sono sopportate, in parti uguali, dai controvertenti [art. 9, in appendice alla CUDN].

59) Se le parti della controversia sono più di due, coloro che hanno gli stessi interessi designano un arbitro di comune accordo. In caso di vacanza si provvede secondo le procedure previste per la nomina iniziale [art. 3, par. 2, in appendice alla CUDN].

60) Se entro due mesi dalla ricezione della richiesta, una delle parti della controversia non ha proceduto alla nomina di un arbitro, l’altra parte potrà adire il presidente della Corte internazionale di giustizia affinché proceda alla designazione entro i successivi due mesi [art. 4, par. 2, in appendice alla CUDN].

61) Il presidente del tribunale non deve essere cittadino o residente abituale di uno dei paesi parte della controversia, né di uno Stato rivierasco del corso d’acqua interessato, né deve essersi occupato della questione a qualsiasi titolo [art. 3, par. 1, in appendice alla CUDN].

62) Ogni parte della controversia, avente un interesse di natura giuridica suscettibile di essere limitato dalla decisione, può intervenire nella procedura su assenso del tribunale arbitrale [art. 10, in appendice alla CUDN].

63) Finlandia (23 gennaio 1998), Germania (15 gennaio 2007), Giordania (22 giugno 1999) Iraq (9 luglio 2001), Libano (25 maggio 1999), Libia (14 giugno 2005), Namibia (29 agosto 2001), Norvegia (30 settembre 1998), Paesi Bassi (9 gennaio 2001), Portogallo (22 giugno 2005), Qatar (28 febbraio 2002), Siria con riserva (2 aprile 1998), Sud-Africa (26 ottobre 1998), Svezia (15 giugno 2000), Ungheria con riserva (26 gennaio 2000).

64) Costa d’Avorio (25 settembre 1998) Finlandia (31 ottobre 1997), Germania (13 agosto 1998), Giordania (17 aprile 1998) Iraq, Libano, Libia, Lussemburgo (14 ottobre 1997), Namibia (19 maggio 2000), Norvegia (30 settembre 1998), Paesi Bassi (9 marzo 2000), Paraguay (25 agosto 1998) Portogallo (11 novembre 1997), Qatar, Siria (11 agosto 1997), Sud-Africa (13 agosto 1997), Svezia, Tunisia (19 maggio 2000), Ungheria (20 luglio 1999), Venezuela (22 settembre 1997), Yemen (17 maggio 2000).

65) http://untreaty.un.org/ENGLISH/bible/englishinternetbible/Bible.asp#partI

66) Sulla natura dell’accordo-quadro la dottrina, seppure esigua, ha espresso concetti diversi, da come si evince da un esaustivo contributo (A. BASSU, Sull’efficacia obbligatoria dell’Accordo-quadro, in Com. Studi, vol. II, Giuffré, 2002). Alcuni Autori ritengono l’accordo-quadro come non vincolante in quanto contenente norme di principio, o tale da richiedere un’integrazione con norme dettagliate, o la conclusione di ulteriori accordi internazionali (pp. 528-531). In buona sostanza sarebbe composto da disposizioni de lege ferenda che lo accosterebbe alla nozione di soft law (pp. 531-532). Ed ancora, affine ad un accordo preliminare – «accordo con il quale le parti si obbligano “preliminarmente” ad avviare i negoziati o a stipulare il trattato definitivo in quanto al momento di concludere l’accordo preliminare le parti non sono in grado di concordare la disciplina applicabile alle questioni cui l’accordo suddetto fa riferimento, ovvero ritengono opportuno rinviare ad un momento successivo le norme di dettaglio» – in quanto entrambi gli strumenti internazionali «costituirebbero le premesse in base alle quali dovrà svilupparsi la cooperazione futura fra gli Stati contraenti», e in secondo luogo perché anche nell’accordo-quadro «vengono formulati dei principi suscettibili di vincolare, in vario modo le parti contraenti: sia nel senso che il successivo accordo, se verrà concluso, dovrà attenersi ai principi medesimi, sia in quanto venga altresì concordato l’obbligo di dare vita ad un nuovo accordo» (pp. 533-534). Coloro che propendono per l’obbligatorietà dell’accordo-quadro (tesi alla quale aderisce A. Bassu) sostengono che l’obbligatorietà si evince: a) dalla volontà degli Stati contraenti d’impegnarsi, presente in alcuni accordi-quadro (convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, accordo-quadro di cooperazione economica, industriale, scientifico-tecnologica, tecnica e culturale, concluso tra l’Italia e il Cile, in data 8 novembre 1990, ecc.); b) dalla previsione di accordi di esecuzione; c) dalla presenza di disposizioni in materia di soluzione delle controversie; d) dalla c.d. clausola di compatibilità inserita all’interno dell’accordo-quadro «per salvaguardare i rapporti giuridici derivanti da accordi vincolanti stipulati dagli Stati in tempi diversi e suscettibili di dar vita ad obblighi tra loro incompatibili» (pp. 541-549).

67) Già la Commissione del diritto internazionale era orientata sull’opportunità di una convenzione-quadro contenente un insieme di regole di natura residuale, destinate ad essere applicabili in assenza di trattati internazionali specifici tra gli Stati rivieraschi, e costituenti, allo stesso tempo, delle linee-guida per i paesi nell’elaborazione di accordi particolari. Il progetto di Convenzione, il cui art. 3 si ispirava a tale orientamento, ha subito, tuttavia, una modifica nella stesura finale della Convenzione-quadro a causa di opposti emendamenti introdotti, nel corso dei lavori, da parte di alcune delegazioni. Così all’Etiopia e ai Paesi Bassi - favorevoli ad una prevalenza dei principi contenuti nella convenzione-quadro su accordi internazionali preesistenti e futuri conclusi dagli Stati membri – si opponevano altri Stati (Francia, India, Israele, Romania, Stati Uniti d’America, Svizzera, Turchia) che avanzavano «proposte di modifica finalizzate non solo a preservare la validità ed integrità degli accordi particolari già esistenti, ma soprattutto a salvaguardare la discrezionalità degli Stati di derogare alle previsioni della CUDN nella conclusione di futuri accordi relativi ai singoli corsi d’acqua» (M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit., pp. 21-23). Si arriva quindi ad una formula di compromesso nella stesura finale dell’art. 3, secondo cui la convenzione servirà come “modello-guida” nella conclusione di futuri accordi particolari, e non altererà i diritti e gli obblighi previsti negli accordi particolari posteriormente conclusi a meno che questi prevedano diversamente. Ed ancora, si precisa, sempre nell’art. 3, che: a) in assenza di accordi contrari, le disposizioni della CUDN non pregiudicheranno i diritti e gli obblighi degli Stati ad essa parte derivanti da accordi particolari preesistenti (par. 1); b) gli Stati parte ad accordi particolari preesistenti potranno, quando necessario, considerare l’opportunità di armonizzare i medesimi accordi con le disposizioni della CUDN (par. 2).

68) Si menzionano: a) Il Trattato - concluso tra Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay a Brasilia, il 23 aprile 1969 – del bacino di Rio del Plata; b) l’Accordo concluso tra Argentina e Paraguay (Asunciόn, 15 luglio 1969) in vista della regolamentazione, della canalizzazione, del dragaggio, della segnalazione e della manutenzione del fiume Paraguay; c) Il Trattato concluso tra Canada e Stati Uniti d’America (Washington, 2 aprile 1984), concernente il fiume Skagit e il lago Ross, oltre che i serbatoi Seven Mile del fiume Pend d’Oreille.

69) Già l’art. 7 dell’Annesso 8 (Navigazione fluviale) al Trattato concluso tra la Francia e l’ex Repubblica Federale Tedesca sulla regolamentazione della questione relativa alla Saar (Lussemburgo, 27 ottobre 1956) stabilisce che «Dans la zone inondable de la partie comune de la rivière Sarre formant frontière, aucun ouvrage principale ou accessoire ne peut être établí qu’après accord entre les administrations compétentes des deux pays. La même procédure est appliquée pour toutes modifications notables apportées à un ouvrage pour autant que ces changements puissent avoir une influence sut l’écoulement des crues».

70) Già nel 1963, ad esempio, il Camerum, la Costa d'Avorio, il Dahomey, la Guinea, l’Alto Volta, il Mali, la Nigeria, il Niger e il Chad, hanno concluso «L’Atto finale relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger», in cui si prevede (art. 2) che lo sfruttamento del fiume Niger, dei suoi affluenti e sotto-affluenti, è aperto a ogni Stato rivierasco nella porzione del bacino del fiume Niger che si trovi sul suo territorio e nel rispetto della sua sovranità secondo il principio stabiliti nell’Atto e le modalità da determinarsi in accordi speciali e potranno essere conclusi ulteriormente. La Convenzione e lo Statuto conclusi nel 1964 tra il Camerum, la Nigeria, il Niger e il Chad per la valorizzazione del “bacino” del Chad, prevedono che lo sfruttamento del “bacino”, e in particolare l'utilizzo delle acque in superficie e delle acque sotterranee, si intendono in senso ampio, e ha per oggetto i bisogni dello sviluppo per fini domestici, industriali e agricoli oltre che per la raccolta dei prodotti della fauna e della flora fluviali (Statuto, art. 4). In tal caso il termine, “bacino” include le acque sotterranee (e quindi) sinonimo di “bacino idrografico”. Il sottocomitato dei fiumi internazionali del Comitato giuridico-consultivo africano-asiatico ha fondato i suoi lavori sulla nozione di “bacino di drenaggio internazionale”. Il comitato giuridico inter-americano ha limitato il campo di applicazione di un suo progetto di convenzione sull'utilizzo industriale e agricolo dei corsi d'acqua e dei laghi internazionali, nel 1965, ai fiumi internazionali contigui e successivi e ai laghi internazionali. Successivamente, nel 1966, il Consiglio economico e sociale interamericano ha adottato una risoluzione sulla regolamentazione e utilizzazione economica dei corsi d'acqua, dei bacini e degli accidents hydrographiques dell'America Latina, nella quale raccomanda ai paesi membri dell'Alleanza per il progresso di intraprendere ogni studio per «la regolamentazione e l'utilizzazione economica delle corsi d’acqua, dei bacini e degli accidents hydrographiques della regione di cui fanno parte, al fine di promuovere, mediante dei progetti multilaterali, la loro utilizzazione, per il miglior bene di tutti». Il Trattato del bacino di Rio della Plata, concluso dall'Argentina, la Bolivia, il Brasile, il Paraguay e l’Uruguay, il 23 aprile 1969, prevede l'istituzione di accordi e strumenti giuridici di esecuzione miranti ad assicurare un utilizzo razionale delle risorse idriche, specialmente per la regolamentazione dei corsi d'acqua e una disciplina equa dei loro diversi utilizzi. Ai sensi dell'articolo 2 del trattato, i ministri degli affari esteri degli Stati del bacino del Rio de la Plata si riuniscono ogni anno per definire gli orientamenti di politica generale miranti a raggiungere gli obiettivi del trattato. Nel 1971 (quarta riunione) i ministri degli affari esteri hanno adottato l’Atto di Assunzione, al quale sono allegati 25 risoluzioni al fine di promuovere la valorizzazione e l'integrazione tra armoniosa del bacino del Rio de La Plata. Il Trattato, tuttavia, non contiene alcuna definizione precisa del termine “bacino”. Nella risoluzione 25, che tratta dell'utilizzo dei fiumi internazionali, si riportano le nozioni di fiumi internazionali contigui e dei fiumi internazionali successivi che sono utilizzati come base per risolvere i problemi giuridici come segue: Nel caso di fiumi internazionali contigui, che appartengono simultaneamente alla sovranità di due Stati, risulta necessario concludere un accordo internazionale fra gli Stati rivieraschi prima di qualsiasi utilizzo, sia fatto, delle acque. Il sistema degli accordi internazionali, o eventuale obbligo di negoziare derivante anche dall’art. 33 della Carta delle Nazioni Unite (e/o dal diritto consuetudinario) nel momento in cui delle difficoltà insorgono nei rapporti tra Stati interessati (e non in un momento successivo), costituisce il modo migliore per regolare le (eventuali) controversie ed appare l’unica soluzione visto che ogni bacino idrografico è differente dagli altri e richiede un trattamento differente. La prassi dimostra che, se da un lato certi principi possono essere applicati a tutti gli Stati, risulta assai difficoltosa, viste le differenze tra le varietà dei corsi d’acqua internazionali, formulare dei principi generali. È pur vero che bisognerà tener conto del principio della sovranità degli Stati sulle loro risorse naturali, del principio della responsabilità per danni arrecati agli altri Stati, di quello dell’equa partizione, la cui applicazione è prevista dal diritto internazionale consuetudinario, o dagli accordi internazionali, ovvero da altri strumenti di internazionale vincolanti per gli Stati firmatari (A/CN.4/SR.1406, punti 26-27, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I). Nel caso di fiumi internazionali successivi, che non appartengono simultaneamente alla sovranità di due Stati, ogni paese può utilizzare le acque conformemente ai suoi bisogni a condizione che non causi dei pregiudizi notevoli a ciascuno degli altri Stati del bacino. La Convenzione del 1964 conclusa tra la Guinea, Mali, Mauritania e Senegal prevede che il comitato interstatale istituito dalla convenzione del 1963 è incaricato, in modo particolare, di raccogliere (art. 11) i dati di base concernente insieme del “bacino fluviale” e di informare gli Stati rivieraschi su tutti progetti o i problemi concernenti il “bacino fluviale”.

71) Certi recenti accordi bilaterali sudamericani adottano un approccio differente utilizzando nella stessa terminologia a seconda si tratti di inquinamento o di utilizzo. Anzi, l’Atto di Santiago concernente i bacini idrografici - concluso nel 1971 tra l'Argentina e il Cile - stabilisce al paragrafo 2 che «le parti eviteranno di inquinare i loro fiumi e i loro laghi» in qualsiasi modo. Tuttavia, per quel che riguarda il termine “utilizzazione”, le espressioni “tronconi contigui di fiumi internazionali”, “laghi comuni” e “fiumi internazionali successivi” sono impiegati (parr. 3-5). Sembra dunque che i testi normativi in questione prevedano per la polluzione un campo di applicazione più ampio rispetto quello concernenti le “utilizzazioni”. L'accordo del 1972 tra il Canada e gli Stati Uniti d'America - relativo alla qualità dell'acqua dei Grandi Laghi si occupa delle acque limitrofe della rete idrografica in questione – stabilisce all’art. V che, per migliorare la qualità delle sue acque, è necessario mettere a punto tutta una serie di misure per ridurre la polluzione causata dalle fogne, dalle industrie, dall'agricoltura, dallo sfruttamento delle foreste ed agli altri usi dei suoli nell'ambito dei Grandi Laghi, che è definito come «tutti i corsi d'acqua, riviere, fiumi, laghi e altre dimensioni d'acqua che si trovano nel bacino idrografico di San Lorenzo» (art. I, al. d).

72) Nell’affare del Lago Lanoux, il tribunale arbitrale, riconoscendo la natura reale dell’unità del bacino fluviale, dal punto di vista della geografia fisica, ha concluso che «l’unité d’un bassin, n’est sanctionnée sur le plan juridique que dans la mesure où elle correspond à des réalités humaines» [in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1974, vol. II (2ª parte), p. 209, doc. A/5409, 3ª parte, cap. II, sez. 6, par. 1064], e che «la règle suivant laquelle les Etats ne peuvent utiliser la force hydraulique des cours d’eau internationaux qu’à la condition d’un accord préalable entre les Etats intéressés ne peut être établie ni à titre de costume, ni encore moins à titre de principe général du droit» [in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1974, vol. II (2ª parte), p. 211, doc. A/5409, 3ª parte, cap. II, sez. 6, par. 1066].

73) Attualmente 120 paesi (unitamente all’Unione europea) hanno ratificato o aderito alla Convenzione sul diritto del mare. Gli Stati che hanno sottoscritto la convenzione risultano 142.

74) Le regole proposte dall’Istituto di diritto internazionale nel 1911 e i diversi progetti adottati dall’International Law Association nel 1959, costituiscono un prematuro tentativo di codificazione; la ricca giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, non può costituire una particolare regola di diritto internazionale applicabile all’utilizzo delle corsi d’acqua, perché non è univoca sugli stessi problemi (A/CN.4/SR.1406, punti 23-24, in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I).

75) La CUDN è stata adottata ed aperta alla firma dell’Assemblea generale con la Risoluzione Ag., 21 maggio 1997, n. 51/229. È stata adottata dall’Assemblea generale con 104 voti favorevoli, e voti contrari (Burundi, Cina e Turchia) e 26 astensioni.

76) Nella Ris. Ag., 15 dicembre 1976, n. 31/97, si pregava gli Stati membri di presentare le loro osservazioni per iscritto al Segretario generale delle Nazioni Unite sul diritto delle utilizzazioni dei corsi d’acqua diverse dalla navigazione. Ed ancora, in una circolare datata 18 gennaio 1977, il Segretario generale ribadiva tale invito. Nel 1979, alla sua 31ª sessione, la commissione di diritto internazionale reiterava la richiesta di avere a disposizione, per proseguire il proprio studio, il punto di vista di numerosi Stati sui quesiti relativi alla questione in oggetto e quindi invitava gli Stati membri “inadempienti”, per il tramite del Segretario generale, a esprimersi. In una circolare del 18 ottobre 1979, il Segretario generale torna di nuovo ad invitare gli Stati a fare delle osservazioni scritte sul questionario elaborato dalla Commissione di diritto internazionale. Nella Ris. Ag., 17 dicembre 1979, n. 34/141, par. 4, al. d), si raccomanda alla Commissione di diritto internazionale di proseguire i propri lavori sulla questione in oggetto, tenendo conto delle risposte dei governi al questionario. In seguito, dei nuovi quesiti furono preparati dalla Commissione di diritto internazionale e sottoposti nel 1980, nonché pubblicati. Nella Ris. Ag., 15 dicembre 1980, n. 35/163, si raccomanda alla Commissione di diritto internazionale di proseguire nell’elaborazione del progetto di articoli sulla questione in oggetto, tenendo conto delle risposte al questionario pervenute dai governi e dei dati forniti da essi. Raccomandazione ribadita nella successiva Ris. Ag., 10 dicembre 1981, n. 114. Nelle Ris. Ag., 35/163 e 36/114, si pregano i governi “ancora inadempienti” a rispondere in maniera completa e possibilmente rapida ai quesiti della Commissione di diritto internazionale. Nel periodo febbraio-giugno 1982 delle risposte giunsero dai governi del Bangladesh e del Portogallo. Successivamente, al 15 giugno 1982, solo trentadue Stati membri hanno risposto ai questionari (Argentina, Austria, Bangladesh, Barbados, Brasile, Canada, Colombia, Ecuador, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Indonesia, Libia, Lussemburgo, Nicaragua, Niger, Paesi Bassi, Pakistan, Polonia, Portogallo, Siria, Spagna, Sudan, Stati Uniti d’America, Svezia, Swaziland, Ungheria, Venzuela, Yemen e Yugoslavia).

77) La possibilità di stipulare accordi bilaterali o multilaterali è anche prevista in convenzioni internazionali di diritto marittimo. La Convenzione sulla prevenzione dell’inquinamento marino causato dalla scarico di rifiuti ed altre sostanze (Città del Messico, Londra, Mosca, 29 dicembre 1972) stabilisce che le Parti aventi interessi comuni a proteggere l’ambiente marino di una determinata zona geografica e cercheranno di concludere degli accordi regionali compatibili con la presente Convenzione e di collaborare a detti accordi (art. 8). La Convenzione quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali (Madrid, 21 maggio1980) stabilisce che le Parti contraenti si adoperino a promuovere, nel rispetto delle norme costituzionali proprie, la conclusione di accordi ed intese al fine di raggiungere gli obiettivi della Convenzione (art. 1). Le Parti contraenti agevolano le iniziative delle collettività ed autorità territoriali che prendano in considerazione gli schemi di intesa tra collettività e autorità territoriali elaborati nel quadro del Consiglio d’Europa. Esse potranno prendere in considerazione i modelli d’accordi interstatali, bilaterali o plurilaterali inclusi nell’Allegato (art. 3). È incluso un Allegato che contiene dei modelli e degli schemi di accordi, di statuti e di contratti in materia di cooperazione transfrontaliera di collettività o autorità territoriali. La possibilità di stipulare accordi bilaterali o multilaterali è anche prevista in altre convenzioni di diritto internazionale fluviale. Nella convenzione sulla protezione e l’utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali (Helsinki, 17 marzo 1992) si prevede che le Parti rivierasche concludano accordi bilaterali o multilaterali al fine di definire le relazioni reciproche e le direttive da seguire per quanto riguarda la prevenzione, il controllo e la riduzione dell’impatto transfrontaliero.

78) Come già si è sostenuto a suo tempo [A. BERNARDINI, Fiumi e laghi (diritto internazionale), in Enc. Dir., vol. XVII, Giuffré, 1968], attraverso le norme convenzionali o, talora, derivanti da consuetudini particolari, «sono risolti i conflitti di interessi ed è disciplinata la collaborazione fra gli Stati circa le diverse utilizzazioni delle loro acque interne» anche in deroga dei princìpi che regolano la coesistenza fra paesi sovrani. «L’importanza economica di tali utilizzazioni [...] è tale che essa obiettivamente occasiona conflitti di interessi ed esigenze di coordinamento e di collaborazione fra gli Stati, situazioni per le quali i principi generali di coordinamento delle sovranità territoriali sono di solito inadeguati. Si profila dunque per gli Stati l’opportunità e sovente la necessità di regolare con norme apposite convenzionali, nei rapporti reciproci, le utilizzazioni delle acque interne, a cominciare, per i fiumi ed i laghi navigabili, dalla navigazione interna, fluviale e lacuale. Altrimenti, il fatto stesso della coesistenza fra Stati porterà con il tempo alla formazione di norme consuetudine particolare per i singoli fiumi e laghi» (pp. 698-699). «Per le utilizzazioni delle acque diverse dalla navigazione, l’internazionalizzazione primaria» - che viene stabilita in generale mediante accordo fra tutti o parte degli Stati rivieraschi, senza che sia poi escluso che essa venga di fatto stabilita anche a vantaggio di paesi rivieraschi non parti dell’accordo - «costituisce la forma di internazionalizzazione prevalente, seppure non esclusiva» (pp. 701-702).

79) M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit., p. 6.

80) UN Doc. A/CN.4/447, Paesi Nordici, p. 26, Regno Unito pp. 32 e 35. Canada in UN Doc. A/CN.4/447/Add. 1, p. 3. Paesi Bassi in UN Doc. A/CN.4/447/Add. 3, pp. 8-10. Messico in UN Doc. A/C.6/46/SR.28, p. 7, par. 35.

81) Si propose di sostituire la formula “utilizzazione ottimale” con “utilizzazione sostenibile” da parte di tre delegati (Tomuschat, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 174, par. 24; Yankov, p. 175, par. 26 e Idris, p. 175, par. 32). Ma prevalse la tesi di coloro che sottolineavano i contorni imprecisi della nozione di sviluppo sostenibile e l’inopportunità della sua inclusione nel testo dell’articolo 5, par. 1 [CUDN] (Calero Rodrigues, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 175, par. 27) e il fatto che l’espressione stessa fosse già implicita nel duplice riferimento del par. 1 alle finalità di ottima utilizzazione ed adeguata protezione del corso d’acqua (Fomba, in Summary Records of the Meetings of the Forty-Sixth Session, in Yearbook of the International Law Commission, 1994, vol. I, p. 175, par. 33). Si veda anche, M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit., pp. 335-341.

82) In particolare: a) principio n. 4 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo adottata durante la Conferenza di Rio su ambiente e sviluppo del 1992; b) art. 2 par. 5 (c) Convenzione di Helsinki sull’uso e la protezione dei corsi d’acqua transfrontalieri; c) l’art. 2 della Convenzione sulla diversità biologica (Rio de Janeiro, 5 giugno 1992); d) art. 2 della Convenzione di Sofia del 1995 sulla cooperazione per la protezione ed uso sostenibile del fiume Danubio.

83) In particolare: l’Accordo che istituisce l’Organizzazione per la regolamentazione e lo sviluppo del bacino del fiume Kagera; la Convenzione relativa allo statuto del fiume Senegal e la Convenzione che istituisce l’Organizzazione per la valorizzazione del fiume Senegal; l’Atto relativo alla navigazione e alla cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger; l’Accordo relativo alla commissione del fiume Niger e alla navigazione e ai trasporti sul fiume Niger; la Convenzione tra il Senegal e il Gambia, oltre che l’Accordo del 1968 per la valorizzazione integrata del bacino del Gambia; la Convenzione del 1976 sull’istituzione del Comitato di coordinamento per il progetto del bacino del Gambia; la Convenzione e lo Statuto relativi alla valorizzazione del bacino del Chad; il Trattato relativo al bacino di Rio de La Plata.

84) Si vedano: i principi 3-4 della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992; il capitolo 18 («protezione della qualità e approvvigionamento delle risorse in acqua dolce») dell’Agenda 21. La Convenzione sulla protezione ed uso dei corsi d’acqua transfrontalieri e laghi internazionali, aperta alla firma ad Helsinki il 17 marzo 1992 tra gli Stati membri della ECE; la Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l’uso sostenibile del fiume Danubio (Sofia, 29 giugno 1994) firmata da Austria, Bulgaria, Comunità europea, Croazia, Germania, Moldavia, Romania, Slovenia, Ucraina, Ungheria; l’Accordo sulla cooperazione per lo sviluppo sostenibile del bacino del fiume Mekong (Chiang Rai, 5 aprile 1995) firmato da Cambogia, Laos, Tailandia, Vietnam.

85) Per esempio: Il Segretario generale pose a suo tempo, agli Stati membri delle Nazioni Unite, dei quesiti inerenti alla definizione e alla disciplina delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali diverse dalla navigazione [Document A/CN.4/352 e Add. 1, Estratto dall’Annuaire de l’Institut de Droit International, 1982, vol. II (1)]. A tal proposito il Bangladesh (che non figura tra gli Stati ratificanti), pur essendo stato uno dei due paesi (l’altro il Portogallo) a rispondere ai quesiti, riteneva che la nozione geografica di bacino idrografico internazionale sarebbe stata la piu adatta a configurare un corso d’acqua internazionale poiché, tale formula è stata adottata dalla maggior parte degli Stati rivieraschi e dei giuristi. L’orientamento opposto che emerge dalla Convenzione probabilmente ha fatto desistere il Bangladesh dall’assumere lo status di paese contraente-ratificante.

86) Ad esempio, alla nozione di «corsi d’acqua internazionali» si opponeva quella di bacino idrografico, ivi compresa quella del bacino di drenaggio che, a detta di alcuni delegati, rappresentava una nozione adatta per gli studi economici e geografici, per i progetti di sviluppo o sfruttamento delle risorse. Anche sulla nozione di “corso d’acqua internazionale” si è discusso in sede di commissioni. Secondo alcuni, per determinare il senso e la portata della nozione di «corso d’acqua internazionale», si dovrebbe tener conto della risoluzione adottata nel 1911 dall'Istituto di diritto internazionale concernente la «Regolamentazione internazionale dell'uso dei corsi di acqua internazionali» (Annuaire de l’Institut de droit international, 1911, Parigi, vol. 24, 1911, pp. 365-367). La risoluzione dell’IDI, tuttavia, impiega la nozione di bacino idrografico come sinonimo di “corsi d'acqua”. Si precisa, infatti, che: a) «Le presenti regole e raccomandazioni si applicano all'utilizzo delle acque facenti parte di un corso d'acqua o di un bacino idrografico che si estende sul territorio di due o più Stati» (art. 1); b) «Ogni Stato ha il diritto di utilizzare le acque che attraversano o costeggiano il suo territorio, sotto riserva dei limiti imposti dal diritto internazionale, e specialmente di quelle risultanti dalle disposizioni che seguono»; c) «Questo diritto ha per limite il diritto di utilizzo degli altri Stati interessati allo stesso corso d'acqua o bacino idrografico». Perché si possa parlare di “corso d’acqua internazionale”, è indispensabile che delle porzioni di tale spazio acquifero si trovino in Stati differenti (art. 2, punto b). Ed invero, applicandosi la teoria dell’integrità o dell’unità del bacino fluviale, a cui si ispirano le Regole di Helsinki sulle utilizzazioni delle acque di fiumi internazionali, si assoggetterebbe, ad esempio, la vasta regione bagnata dal Rio del Plata (il bacino di Rio de La Plata ha una superficie di 2.400.000 km²) ad un regime di doppia o multipla sovranità, almeno per certi bisogni specifici. Il bacino di Rio del Plata, infatti, copre la totalità del territorio del Paraguay, i due terzi del territorio dell'Uruguay, praticamente tutto il Nord dell'Argentina, delle parti consistenti del territorio della Bolivia e la quasi totalità del Brasile al sud del bacino dell'Amazzonia. Tuttavia, limitazioni di questo genere, avrebbe scontentato quei paesi che hanno un interesse legittimo affinché le loro risorse naturali siano potenziate, e che godono di una sovranità piena ed intera su queste risorse, accettino delle limitazioni di questo genere (A/CN.4/SR.1406 (punto 16), in Annuaire de l’Institut de Droit International, 1976, vol. I). La nozione di bacino di drenaggio internazionale fu respinta in sede di commissione, per le considerazioni negative di alcuni Stati (Brasile, Colombia, Ecuador) espresse nel rispondere al questionario del 1974 – nonostante altri paesi fossero favorevoli (Finlandia, Stati Uniti) sull’opportunità di utilizzare la nozione di “bacino di drenaggio internazionale” come base di partenza su cui strutturare la convenzione-quadro. Si riteneva che tale concezione sarebbe stata troppo restrittiva rispetto ad un’area territoriale interessata dall’alimentazione di un corso d’acqua internazionale (in Yearbook of the International Law Commission, 1976, vol. II, p. 1, pp. 152-154, 162-163; oppure: M. ARCARI, Il regime giuridico delle utilizzazioni dei corsi d’acqua internazionali, op. cit., pp. 36-38). Tale nozione, tuttavia, è contenuta: nella Risoluzione adottata dall’ILA nella sessione di New York del 1958 [ILA, Report of the 48th Conference (New York), 1958, pp. 1-2]; nell’art. 1 della Risoluzione sull’uso delle acque internazionali non marittime adottata dall’Istituto di Diritto Internazionale (sessione di Salisburgo, 1961, in Annuaire IDI, 1961, t. II, p. 371); nel preambolo del Trattato relativo alla valorizzazione delle risorse idrauliche del bacino del fiume Columbia (Washington, 17 gennaio 1961) concluso tra Canada e Stati Uniti; nell’art. II delle Regole di Helsinki del adottate dall’ILA nel 1966; nell’art. I del Trattato sul bacino del Rio de la Plata (Brasilia, 23 aprile 1969), concluso tra Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay; nell’art. II del Trattato per la cooperazione amazzonica (Brasilia, 3 luglio 1978) concluso tra Bolivia, Brasile, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela; nel Protocollo per la protezione del Mar Mediterraneo contro l’inquinamento di fonte terreste (Atene, 17 maggio 1980); negli artt. 1 e 3 dell’Accordo per la protezione della Mosa e dell’Accordo per la protezione dello Scheda (Charleville Mézières, 26 aprile 1994) conclusi tra Francia, tre governi regionali del Belgio (Bruxelles, Fiandre e Valloni) Paesi Bassi; negli artt. 1 e 3 della Convenzione sulla cooperazione per la protezione e l’uso sostenibile del fiume Danubio (Sofia, 29 giugno 1994). Implicitamente la nozione in questione viene menzionata: nell’art. 2 dell’Atto riguardante la navigazione e la cooperazione economica tra gli Stati del bacino del Niger (Niamey, 23 ottobre 1963) concluso tra Alto Volta (ora Burkina Faso) Camerun, Chad, Dahomey (ora Benin – Guinea), Costa d’Avorio, Mali, Niger, Nigeria; nell’art. I dello Statuto relativo allo sviluppo del bacino del Chad (Fort Lamy, 22 maggio 1964) concluso tra Camerun, Chad, Niger e Nigeria; nell’art. 1 della Convenzione relativa allo Statuto del fiume Senegal (Nouakchott, 11 marzo 1972) sottoscritta tra Mali, Mauritania e Senegal; negli artt. 1-2 dell’Accordo recante creazione dell’organizzazione per la gestione e sviluppo del fiume Kagera (Rusumo, 24 agosto 1977) concluso tra Burundi, Ruanda, Tanzania ed Uganda. Dalla prassi degli Stati, dai trattati, dagli studi delle organizzazioni regionali, dalle ricerche degli organismi giuridici, risulta un modo diverso d’intendere l'espressione “corso d’acqua internazionale”. L’orientamento non univoco rappresenta, quindi, un altro motivo per il quale la convenzione-quadro non ha avuto, finora, risvolti positivi.

87) Considerando i problemi riguardanti numerosi corsi d’acqua internazionali, tra i quali l’aumento del consumo e della polluzione, l’Assemblea generale ha ritenuto importante, ai sensi degli artt. 1-2 della Carta delle Nazioni Unite, promuovere ed elaborare una convenzione quadro mirante a regolare l’utilizzo, il miglioramento, la conservazione, la gestione e la protezione dei corsi d’acqua internazionali per fini diversi dalla navigazione e anche per un uso ottimale e duraturo a beneficio delle generazioni presenti e futuri. Il suggerimento dell’Assemblea generale sull’opportunità di adottare un accordo-quadro è stato recepito dalla CUDN, considerandosi i corsi d’acqua variegati e diversi tra loro tali da richiedere una regolamentazione specifica a seconda delle caratteristiche del corso d’acqua e degli esigenze degli Stati interessati. La CUDN ha solo la funzione di stabilire principi e regole di portata generale.
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 07/02/2008

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