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Eccezioni per la tutela dell'ambiente relative a processi e metodi produttivi entro il sistema dell'organizzazione mondiale del commercio.
SOMMARIO: -1.Product related e non related PPMs, -2.Rapporti dei panels in
merito ai non related PPMs, -3. Nuove prospettive per l’applicazione delle
eccezioni “ambientali” e non related PPMs, -4.Relazione tra non related PPMs e
il concetto di like product, -5.Alternativa all’art. XX per consentire delle
eccezioni “ambientali” fondate sui non related PPMs, -6.Accordo sugli ostacoli
tecnici agli scambi, -7.Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie,
-8.Controversia USA-EU in merito dell’applicazione dell’accordo SPS panels sulla
carne degli ormoni.
1. PRODUCT RELATED E NON RELATED PPMS
Uno degli aspetti maggiormente dibattuti in seno all’Organizzazione Mondiale del
Commercio (OMC)1 è
rappresentato dalla possibilità, da parte dei paesi Membri, di adottare deroghe
al sistema del libero commercio internazionale, che hanno lo scopo di limitare
l’impatto nocivo sull’ambiente dei metodi o processi di produzione di
determinati beni, comunemente indicati in campo internazionale con l’acronimo
PPMs (Process and Production Methods). La distinzione fondamentale che è
possibile tracciare tra i PPMs riguarda i processi che hanno un impatto
ambientale nel corso della fase produttiva ma che non seguono il prodotto nel
paese di importazione (non product related PPMs), e quelli che manifestano i
loro effetti nocivi sull’ambiente al momento in cui il prodotto viene consumato
o smaltito (related product PPMs)2.
Mentre per quest’ultimi gli Stati possono attuare misure restrittive
all’importazione attraverso l’imposizione di standards ambientali direttamente
sui prodotti, in modo da limitare il danno ecologico che deriva dal loro consumo
o dal loro smaltimento, molto più problematica risulta l’applicazione di TREMs (Trade
Related Enviromental Measures), misure di carattere commerciale finalizzate alla
tutela ambientale, per fronteggiare i danni ecologici che derivano dai non
product related PPMs3.
Adottare delle misure rispetto ai non product related PPMs vuol dire, infatti,
per uno Stato tentare di esercitare la sua influenza su un’attività produttiva
messa in pratica sul territorio di un altro Stato, auspicando così per le TERMs
adottate un effetto extraterritoriale.
L’extraterritorialità rappresenta una deroga alla prima, e fondamentale, norma
consuetudinaria internazionale in tema di delimitazione del potere di governo
dello Stato, ossia il principio della sovranità territoriale4.
La norma consuetudinaria della sovranità territoriale attribuisce ad ogni Stato
il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo nell’ambito del
suo territorio nonché sugli individui che si trovano all’interno di questo e sui
loro beni. Allo stesso tempo tale norma obbliga ogni Stato a non esercitare in
territorio altrui il proprio potere di governo. Questa norma costituisce il
principio ispiratore dei rapporti tra gli Stati, anche se con l’evolversi del
diritto internazionale5,
la libertà assoluta degli Stati è andata via via restringendosi, per effetto di
nuove norme convenzionali comportanti una serie di limiti al potere di governo
esplicato nell’ambito del territorio nazionale. L’extraterritorialità
nell’odierno diritto internazionale è alla base di una serie di norme, sia
consuetudinarie che convenzionali, in primo luogo rivolte alla tutela degli
stranieri (persone fisiche o giuridiche), degli organi stranieri, e degli stessi
Stati stranieri.
Per quel che concerne la protezione dell’ambiente occorre sottolineare, in
particolare, come la conclusione di una serie di trattati multilaterali adottati
con l’obiettivo di affrontare problematiche ambientali di carattere globale6
abbia favorito, attraverso il consolidamento del principio dello sviluppo
sostenibile, la progressiva affermazione nel diritto internazionale di limiti
alla libertà di sfruttamento delle risorse naturali di cui gli Stati sono
titolari7. Si veda in
merito il Principio 2 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e sullo sviluppo8,
il quale sancisce che: “(…) gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le
proprie risorse secondo le loro politiche ambientali e di sviluppo, ed hanno il
dovere di assicurare che le attività sottoposte alla loro giurisdizione o al
loro controllo non causino danni all’ambiente di altri Stati o di zone situate
oltre i limiti della giurisdizione nazionale (…)”9.
Un’ulteriore affermazione in ambito internazionale del principio dello sviluppo
sostenibile, e dei limiti da questo disposti in tema di gestione delle risorse
naturali, è avvenuta per via giurisprudenziale con la sentenza resa dalla Corte
Internazionale di Giustizia il 25 novembre 1997 nel caso tra l’Ungheria e la
Slovacchia relativo al progetto di diga sul Danubio Gabcikovo-Nagymaros. Nel
par. 140 di tale decisione la Corte non solo fa riferimento a “norme attuali”
che impongono la vigilanza e la prevenzione come obbligo riconosciuto dal
diritto internazionale dell’ambiente, ma richiama anche “nuove norme ed
esigenze” elaborate negli atti internazionali conclusi nel corso degli ultimi
vent’anni. Anche se la Corte non procede ad un esplicito richiamo del principio
di sviluppo sostenibile, non c’è alcun dubbio che le “nuove norme ed esigenze” a
cui la sentenza fa riferimento siano in primo luogo quelle norme che compongono
il diritto internazionale in materia di sviluppo sostenibile alla cui
progressiva elaborazione gli Stati sono chiamati dal Principio 27 della
Dichiarazione di Rio del 1992.
La tematica dei non related PPMs dunque, anche a causa delle sue implicazioni
extraterritoriali, appare oggi di fondamentale importanza, in quanto gli effetti
dei metodi produttivi possono essere più nocivi per l’ambiente di quanto non lo
siano i prodotti stessi. Metodi di produzione non rispettosi dell’ambiente
possono dar vita ad effetti ambientali “globali”, come è avvenuto per l’ozono o
per il clima. In un ambito più ristretto possono, comunque, dar luogo ad uno
spill-over transfrontaliero, come avviene nel caso delle risorse idriche
condivise o dell’inquinamento atmosferico; possono mettere a repentaglio la vita
e la salute di persone, animali e piante, mediante l’introduzione di sostanze
inquinanti usate nel ciclo produttivo; o provocare l’esaurimento di risorse
naturali esauribili10.
Il problema di limitare la commercializzazione di alcuni prodotti, non in base
alle loro caratteristiche, ma a quelle del processo produttivo, contrariamente a
quanto si possa immaginare ha dei precedenti storici che risalgono a molti anni
fa. Già nel 1906 la Svizzera promosse una Conferenza internazionale per
l’adozione di un trattato che sancisse il blocco dell’importazione di fiammiferi
prodotti con fosforo bianco. Tale materiale arrecava, infatti, gravi danni alla
salute di coloro che lo trattavano durante i processi produttivi11.
Tuttavia, anche se questo problema è conosciuto da anni, il dibattito in merito
è divenuto di grande attualità a livello internazionale solo nel 1991 con la
nota controversia tra Stati Uniti e Messico sorta, come abbiamo accennato, in
seguito all’embargo statunitense del tonno proveniente da quegli Stati che
usavano un particolare tipo di reti, le quali oltre ai tonni catturavano,
provocandone la morte, anche alcune specie di delfini.
2. RAPPORTI DEI PANELS IN MERITO AI NON RELATED PPMS
In occasione della controversia tra Stati Uniti e Messico per la prima volta un
panel ha esaminato un’eccezione sollevata non sul prodotto, non costituendo il
tonno in se stesso, come nessun pericolo per l’ambiente, ma sul processo
produttivo, ossia sul metodo di pesca. Uno dei punti più importanti della
decisione del primo panel sul tonno messicano fu l’esclusione della possibilità
di un’applicazione extraterritoriale, ossia volta alla protezione di risorse
naturali esauribili poste sotto la giurisdizione di un altro Stato, delle misure
eccezionali disposte dall’art. XX12.
Al fine di determinare l’ambito territoriale di applicazione di quest’ultime, il
panel ricorse ai lavori preparatori dell’ ITO, dove l’eccezioni del par. b), che
come sappiamo consentono l’adozione di misure necessarie alla protezione della
salute e della vita di persone, animali e piante, erano state poste in
connessione ad un'altra condizione consistente nel fatto che “(…) nel paese di
importazione esistano corrispondenti forme di protezione nazionali nelle stesse
condizioni (…)”. In base a tale considerazione, questa disposizione sembrava
dunque subordinare l’adozione di misure protettive, alla condizione che esse
esistessero anche al di fuori dei confini statali. Tale disposizione è stata in
seguito rimossa dalla Commissione preparatoria della Carta dell’Avana che non la
ritenne necessaria. L’esclusione di questa parte finale del par. b) è stata
interpretata dagli esperti del panel come una chiara indicazione della volontà
dei redattori, di limitare l’efficacia di tali misure solo all’interno della
giurisdizione dello Stato importatore. Il panel è dunque giunto alla conclusione
che se l’interpretazione dell’art. XX b) fosse stata accettata nella maniera
estensiva proposta dagli Stati Uniti, ciascuna Parte avrebbe potuto “determinare
unilateralmente le politiche di protezione della vita o della salute dalle quali
altre parti non avrebbero potuto discostarsi senza pregiudicare i loro diritti
in base all’Accordo generale”13.
Oltre che in base all’art. XX, par. b) gli Stati Uniti hanno giustificato il
blocco alle importazioni di tonno invocando anche il par. g) dello stesso
articolo, affermando che la protezione dei delfini costituiva un’azione volta
alla tutela di una risorsa naturale esauribile, appunto legittimata dal suddetto
paragrafo. Il panel sebbene abbia accettato di riconoscere i delfini quale
risorsa naturale esauribile, anche in questo caso ha negato
l’extraterritorialità delle misure adottate. Gli esperti hanno rilevato che il
par. g) afferma che le misure devono essere adottate “unitamente a restrizioni
della produzione o del consumo nazionali” interpretando tale condizione nel
senso che “un paese può controllare effettivamente la produzione o il consumo di
una risorsa naturale esauribile solo se questi avvengono sotto la sua
giurisdizione (…)”14.
Come sappiamo la vicenda del tonno e dei delfini ha avuto un seguito in ambito
OMC con il ricorso da parte dell’Unione Europea e dell’Olanda, che si sono
opposti alle limitazioni attuate dagli USA all’importazione, in base alla MMPA,
del tonno proveniente dal Messico e confezionato in Europa15.
Mentre la prima decisione si era soffermata sull’ambito d’applicazione delle
deroghe disposte dal GATT, la nuova decisione ha preso in esame le misure di
politica commerciale. Le misure statunitensi sono state analizzate dal panel,
come già accennato, seguendo una precisa procedura denominata three step
analysis.
Seguendo tale metodo, gli esperti hanno iniziato col verificare la legittimità
delle misure adottate ai sensi del par. g). Dopo aver qualificato i delfini come
“risorsa naturale esauribile”, e in quanto tali tutelati dal paragrafo in
questione, si sono pronunciati per il superamento della prima fase di analisi.
Il panel è passato poi alla seconda fase, volta ad accertare che sia soddisfatto
il requisito della correlazione tra la misura adottata e la tutela delle risorse
naturali esauribili. In merito a tale esame, il panel ha affermato che la misura
in questione non poteva ritenersi “relativa alla conservazione di risorse
naturali esauribili”, in quanto le limitazioni all’importazione di tonno
colpivano direttamente non tanto l’utilizzazione di una tecnica pericolosa per i
delfini, quanto la circostanza che lo Stato esportatore non avesse adottato
pratiche uguali a quelle usate dagli Stati Uniti16,
e dunque non potevano ritenersi principalmente dirette alla conservazione dei
delfini17.
Una volta concluso, con esito negativo, l’esame della legittimità delle misure
statunitensi in base al par. g) dell’art. XX, il panel ha proceduto allo stesso
esame in relazione al par. b). Anche in questo caso il panel ha ritenuto
illegittime le misure contenute nella safe dolphin clause della MMPA. Dopo aver
riconosciuto, infatti, che la tutela dei delfini rientrava pienamente nel campo
d’applicazione di questo paragrafo (prima fase), la safe dolphin clause non è
stata ritenuta conforme al cosiddetto necessity test, volto ad accertare se non
esistessero misure alternative, con un impatto minore sulla libertà degli
scambi, a quelle adottate dagli USA. Il panel nel suo rapporto ha affermato che
le misure in oggetto, poiché non erano indirizzate direttamente contro un
determinato metodo di pesca, bensì contro la circostanza che lo Stato
esportatore non avesse imposto pratiche analoghe a quelle degli Stati Uniti, non
potevano essere ritenute le uniche misure possibili e quindi gli USA avrebbero
potuto applicarne altre sicuramente meno restrittive del commercio
internazionale.
Anche se i due casi relativi alla pesca dei tonni hanno avuto il medesimo esito,
nel secondo si è ottenuto, formalmente, un passo avanti per quel che concerne la
extraterritorialità delle misure adottate. Nell’esame di legittimità relativo al
par. g) il panel ha riconosciuto, infatti, che vi sono argomenti validi per
considerare che il campo di applicazione delle eccezioni “ambientali” non debba
essere esclusivamente limitato al territorio dello Stato, sebbene queste debbano
essere attuate in stretta connessione con politiche ambientali di carattere
interno, rilevando la diffusa convinzione riguardo all’impossibilità di
fronteggiare alcuni fenomeni di degrado ambientale con delle politiche
esclusivamente territoriali. Le motivazioni fornite dal panel a sostegno del suo
rapporto sono del resto del tutto legittime dal punto di vista del diritto
internazionale, in base al quale, si legge nel rapporto, uno Stato può
controllare le attività dei suoi cittadini anche fuori del suo territorio,
imponendo una misura commerciale per proteggere la salute delle persone o
dell’ambiente18. Al
contrario, lo Stato non può imporre ad altri paesi una determinata politica di
protezione dell’ambiente19.
Un caso del tutto analogo a quello del tonno è stato oggetto d’esame di un nuovo
panel dell’OMC, chiamato a pronunciarsi per la prima volta su di un’eccezione
sollevata per la protezione di una delle specie di tartarughe marine, che godono
di una speciale tutela in quanto sono contemplate nell’Allegato I della CITES20.
La controversia è sorta in seguito alla limitazione dell’importazione di
gamberetti, decisa dagli Stati Uniti al fine di proteggere le tartarughe marine.
Tale restrizione è stata disposta dagli USA sulla base della Section 609
Endangered Species Act del 1989, legge adottata appositamente per evitare
l’ulteriore diminuzione di alcune specie di tartarughe marine. Tale legge
prevede che, una volta accertata l’impossibilità di giungere alla conclusione di
Accordi internazionali sui metodi di pesca di gamberetti che tutelino le
tartarughe, è possibile ricorrere a misure unilaterali restrittive di carattere
commerciale21. Le
disposizioni della Sez. 609 consentono la vendita di gamberetti negli Stati
Uniti sulla base di un sistema di certificazione, direttamente gestito dagli
USA. I certificati sono concessi a quei paesi che pratichino la pesca dei
gamberetti con metodi che non mettano in pericolo la vita delle tartarughe
marine. Tale certificazione, tuttavia, secondo le linee guida seguite dagli USA
per l’applicazione di questa normativa, può essere concessa solo se si procede
alla pesca dei gamberetti con l’ausilio dei cosiddetti TEDs (Turtle Exluder
Devices)22, che
consistono in un supporto assolutamente non costoso costituito da una rete di
metallo a maglie larghe che si applica alla rete da pesca, che permette di
pescare i gamberetti ma non le tartarughe marine23.
Tale normativa è stata applicata sino al 1995 solo ai paesi del Mar dei Carabi,
ai quali è stato concesso un periodo di tre anni per adeguarvisi ed ottenere la
relativa certificazione per l’esportazione. La controversia in sede OMC è sorta
in seguito alla sentenza emessa negli Stati Uniti dalla CIT (Court of
International Trade), scaturita dal ricorso avanzato dall’Earth Island Istitute,
organizzazione non governativa statunitense, contro il Dipartimento di Stato
americano, per ottenere l’estensione a tutti i paesi esportatori della Sez. 60924.
Il giorno stesso della sentenza, l’India, la Malesia, il Pakistan e la Tailandia
si sono opposte in seno all’OMC a tale restrizione richiedendo di procedere a
consultazioni con gli Stati Uniti, ed in seguito all’insuccesso di quest’ultime,
nel febbraio del 1997 è stato istituito un panel.
Prima di passare ad esaminare le decisioni del panel, occorre rilevare come
l’impatto sulla libertà di commercio della Sez. 609 sia stato fondamentalmente
modificato dalla sentenza della causa intentata dall’Earth Island Institute
contro il Dipartimento di Stato. In primo luogo tale sentenza, nel fissare il
termine obbligatorio (1° maggio 1996) per estendere il divieto di esportazione
verso gli USA a tutti i paesi non certificati, non ha tenuto conto del fatto che
la Sez. 609 autorizza le sanzioni commerciali solo dopo che siano passati almeno
18 mesi, entro i quali debbono espletarsi consultazioni tra gli Stati
interessati per tentare di giungere ad un accordo. In secondo luogo, i giudici
non hanno preso in considerazione le altre possibilità di accesso al mercato
statunitense dei gamberetti consentite dalla Sez. 60925.
Gli Stati asiatici hanno richiesto che il panel riconoscesse la violazione degli
articoli I (trattamento della nazione più favorita), XI par. 1 (eliminazione
delle restrizioni quantitative) e XIII par. 1 (applicazione non discriminatoria
delle restrizioni quantitative), opponendosi alla richiesta americana di
applicazione dell’art. XX. Tale disposizione, come la giurisprudenza dei due
panel sul tonno aveva dimostrato, che non consentiva di porre limiti
all’importazione di merci in base a considerazioni sul metodo produttivo delle
stesse.
Il panel ha emesso il suo rapporto il 15 maggio 1998, riconoscendo che
l’applicazione della Sez. 609 contravveniva agli obblighi previsti per le Parti
contraenti dall’art. XI dell’Accordo generale. A differenza del metodo seguito
in altri casi analoghi nei quali il criterio guida è stato quello della three
step analysis, in questa occasione il panel ha invertito la procedura di
valutazione. Infatti, le misure disposte dalla Sez. 609 sono state prese in
considerazione rispetto al Preambolo dell’art. XX, giustificando tale decisione
con la generale applicabilità delle disposizioni contenute nel Preambolo a tutti
i paragrafi di quest’articolo. Il panel ha iniziato, dunque, verificando se le
misure in questione costituissero una “discriminazione arbitraria o
ingiustificata nei paesi dove esistono le medesime condizioni”. Tale esame si è
svolto su un terreno mai percorso nella prassi dei panels precedenti per i
quali, avendo sempre respinto l’applicabilità delle TREMs con le condizioni
contenute nei paragrafi b) e g), si era reso inutile un esame rispetto ai
requisiti disposti dal Preambolo, esame che nella prassi della three step
analysis rappresenta l’ultima fase. Nella sentenza sui gamberetti invece, il
panel ha sancito l’esistenza di una discriminazione, accettando la contestazione
degli Stati asiatici. Tale discriminazione derivava secondo il panel dal fatto
che mentre i paesi del mar dei Carabi, nei quali la normativa in questione era
stata applicata fin dal 1995, avevano avuto a loro disposizione un periodo di
tre anni per adottare i programmi di pesca necessari ad ottenere la
certificazione, lo stesso periodo non era stato concesso agli altri paesi ai
quali l’applicazione della Sez. 609 era stata estesa dopo la sentenza della
Court of International Trade26.
Le conclusioni alle quali è giunto il panel in questa decisione, sono state
oggetto di critica in particolare riguardo al criterio attraverso il quale ha
interpretato l’art. XX. Il panel, pur richiamando l’art. 31 par. 1, della
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e affermando di voler adottare
un’interpretazione funzionale che tenesse conto del contesto, del concetto e
delle finalità dell’art. XX, ha finito per costituire un ordine gerarchico
all’interno del quale, le eccezioni generali di carattere ambientale, sono state
subordinate agli obiettivi del sistema GATT-OMC. Anche se il panel ha evitato di
affrontare il problema dei non related PPMs, risulta chiara la volontà di
riconoscere esclusivamente eccezioni di carattere ambientale legate al prodotto,
come dimostra la preoccupazione espressa nel rapporto in merito agli effetti di
un’eventuale proliferazione di TERMs, che richiedano l’adozione da parte dei
paesi esportatori di nuovi processi e metodi di produzione. Tale fenomeno,
secondo gli esperti del panel, avrebbe un effetto negativo sul sistema
internazionale degli scambi, restringendo le relazioni commerciali solo a quei
paesi che avessero adottato equivalenti legislazioni ambientali27.
Nella sentenza sui gamberetti, in merito alle TERMs applicate sui metodi
produttivi non direttamente correlati al prodotto, il panel si è limitato dunque
a seguire le conclusioni dei due rapporti sul tonno e i delfini. Il rapporto ha
sostanzialmente affermato, che i membri dell’OMC possono attuare delle
restrizioni commerciali nei riguardi di prodotti nocivi esportati da altri
Stati, ma non possono richiedere ai paesi esportatori di cambiare le loro
politiche produttive. Tale decisione ha comunque riconosciuto astrattamente,
come aveva fatto il secondo panel sul tonno e i delfini28,
la possibilità di misure politiche con effetti extraterritoriali per la difesa
dell’ambiente. L’esito della controversia ha fortemente deluso non solo gli
ambientalisti, ma tutti coloro che avevano visto nel secondo rapporto sul tonno
e i delfini, un iniziale passo in avanti verso il riconoscimento di misure
commerciali da applicare nei confronti non related PPMS. Questa ulteriore
affermazione dei principi di libertà commerciale su quelli per la tutela
ambientale, appare ancor più netta se si guarda alla considerazione che il panel
ha riservato alla tutela dell’ambiente. Infatti, nonostante gran parte del
rapporto illustri le discussioni che sono avvenute in seguito alla
partecipazione di esperti in materia ambientale alle riunioni, non sembra che la
decisione finale ne abbia tenuto conto in modo adeguato. Le indicazioni di
scienziati di diversi paesi hanno rilevato come la preservazione delle
tartarughe marine differisca a seconda delle aree geografiche prese in
considerazione, e come poi siano ancora molti gli aspetti non conosciuti in
merito alle capacità di sopravvivenza delle singole specie. Tali considerazioni
avrebbero dovuto suggerire al panel l’applicazione del cosiddetto “principio
precauzionale29”,
che, come vedremo, non è estraneo al sistema GATT-OMC, in quanto previsto
dall’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, approvato nel corso
dell’Uruguay round30.
3. NUOVE PROSPETTIVE PER L’APPLICAZIONE DELLE ECCEZIONI “AMBIENTALI” E NON
RELATED PPMS
In seguito al rapporto del panel sui gamberetti, gli Stati Uniti il 13 giugno
1998 sono ricorsi all’Organo d’appello, che ha emesso la sua decisione il 12
ottobre 1998, respingendo le eccezioni invocate dagli Stati Uniti. Tuttavia,
nonostante si tratti dell’ennesima bocciatura delle istanze ecologiste, va
sottolineato come questa sentenza costituisca sotto diversi aspetti un passo in
avanti verso l’applicazione delle eccezioni di carattere ambientale, rispetto
alla prassi dei panels precedenti. L’Organo d’appello, infatti, in primo luogo
ha giudicato negativamente il cambiamento nell’approccio metodologico messo in
atto dal panel rispetto al criterio di analisi consolidatosi nei panels
precedenti. I giudici hanno auspicato un ritorno al metodo della three step
analysis, affermando che per giudicare correttamente la conformità delle TERMs
adottate dagli Stati membri dell’OMC ai requisiti richiesti dall’art. XX, sia
indispensabile accertare prima la loro legittima finalità, e solo in seguito
pronunciarsi in merito all’applicazione delle stesse con riferimento a quanto
disposto dal Preambolo. In secondo luogo, l’Organo d’appello ha affermato, che
il panel ha guardato allo scopo generale dell’OMC piuttosto che a quello
specifico, e decisamente più appropriato, delle eccezioni generali. I giudici
hanno valutato negativamente tale approccio, dichiarando che gli obiettivi
dell’art. XX non possono essere pregiudizialmente subordinati al perseguimento
delle finalità generali del libero commercio. Tale approccio condurrebbe,
secondo l’Organo d’appello, alla creazione di un nuovo test a priori per effetto
del quale, ogni misura richiedente al paese esportatore di attenersi a
determinate politiche disposte dal paese importatore, rappresenterebbe un
impedimento al ricorso alle eccezioni generali disposte dall’art. XX31.
L’Organo di appello è giunto a tali conclusioni compiendo una differente
valutazione dei paragrafi b) e g) dell’art. XX, iniziando da quest’ultimo.
Seguendo il criterio della three step analysis, il primo passo è stato quello di
riconoscere le tartarughe marine come appartenenti alle “risorse naturali
esauribili”. Nella seconda fase, l’Organo d’appello ha giudicato positivamente
la misura adottata dagli Stati Uniti, compiendo un’importante innovazione
interpretativa, poiché ha stabilito che per accertare se una misura sia
“relativa alla conservazione (…)”, non è necessario dimostrare che si tratti di
una misura “principalmente diretta alla conservazione”, ma è sufficiente
rilevare l’esistenza di una “vicina e genuina relazione tra finalità e mezzi32”,
e che tale misura sia commisurata all’obiettivo che intende perseguire. Queste
dovrebbero essere le valutazioni da compiere per l’applicazione, per lo meno
provvisoria, del par. g), in modo da assicurare un approccio sicuramente più
flessibile rispetto al precedente criterio. Purtroppo l’Organo d’appello non ha
svolto un’azione altrettanto innovativa sul requisito di “necessità” disposto
dal par. b). Gli Stati Uniti, infatti, avevano invocato il ricorso in via
principale al par. g), e soltanto nel caso in cui la TERMs non fosse stata
giudicata conforme a tale paragrafo, il ricorso in via alternativa al par. b).
Ciò ha consentito all’Organo d’appello di non procedere all’esame del requisito
di necessità relativo al par. b), una volta dichiarata legittima l’adozioni
della TERMs da parte degli USA ai sensi del par. g)33.
Le motivazioni che hanno spinto l’Organo d’appello a giudicare la misura
adottata come “ingiustificabile”, e dunque incompatibile con il Preambolo, sono
derivate in primo luogo dall’eccessiva rigidità del sistema di certificazione
proposto dalla Sez. 609, che richiede un metodo di pesca sostanzialmente
identico a quello applicato dai pescatori statunitensi34.
Tale rigidità risulta dalla impossibilità, per un pescatore che faccia uso di
TEDs, di esportare gamberetti negli gli Stati Uniti se il suo Stato non ha
ottenuto la certificazione per l’esportazione. L’Organo d’appello ha inoltre
giudicato negativamente la scelta degli Stati parti che, invece di intrattenere
negoziati al fine di stipulare accordi bilaterali o multilaterali per la
protezione delle tartarughe marine come prevede la stessa Sez. 609, hanno
preferito ricorrere a misure unilaterali la cui adozione è contraria tra l’altro
a quanto affermato nel Principio 12 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e
sullo sviluppo35. In
base a tali considerazioni quindi l’Organo d’appello ha ritenuto che la misura
adottata dagli Stati Uniti intendeva spingere gli altri Membri dell’OMC
all’adozione del medesimo regime di regolamentazione, più che a raggiungere
l’obiettivo dichiarato di tutela delle tartarughe marine36.
4. RELAZIONE TRA NON RELATED PPMS E IL CONCETTO DI LIKE PRODUCT
Se per quel che concerne in generale l’applicazione dell’art. XX, si sono
registrati dei passi in avanti, soprattutto in merito alla maggiore flessibilità
accordata ai requisiti volti a giustificare l’adozione di TERMs ai sensi del
par. g), tale evoluzione giurisprudenziale appare ancora inidonea a colmare la
distanza esistente tra le esigenze di tutela ambientale e quelle del libero
commercio. Nulla ancora si è fatto per rendere più flessibile il requisito di
“necessità” disposto dal par. b) dell’art. XX nell’accezione di least GATT
inconsistent, che gli è stata attribuita dalla prassi dei panels precedenti, i
quali hanno affermato appunto che una misura può essere giudicata necessaria,
solo se corrisponde alla minore tra le possibili deroghe all’Accordo generale.
L’aspetto maggiormente negativo del rapporto emesso dall’Organo d’appello è
comunque che esso non ha affrontato il problema delle eccezioni adottate nei
confronti dei non related PPMs.
I pericoli legati ai non related PPMs, meriterebbero sicuramente una diversa
considerazione in ambito PMC, ed in primo luogo sarebbe opportuno giungere ad
una più moderna interpretazione del concetto di like product. Questo concetto,
riveste un ruolo fondamentale all’interno dell’Accordo generale e su di esso
poggiano sia il trattamento della nazione più favorita, sia il principio del
trattamento nazionale. La nozione di prodotto similare, cosi come intesa oggi,
appare del tutto inadeguata a fronteggiare i pericoli che derivano dai moderni
processi produttivi. Come abbiamo visto, gli Stati non possono legittimamente
adottare misure restrittive verso il tonno pescato uccidendo delfini o i
gamberetti catturati intrappolando tartarughe marine, che sono considerati del
tutto identici a quelli ottenuti con metodi che rispettano l’ambiente. Il primo
passo da compiere per fronteggiare adeguatamente questa problematica, è una
rielaborazione del concetto di similarità, che non si basi solo sulle
caratteristiche fisiche e gli usi del prodotto, ma prenda in considerazione i
processi e i metodi con i quali è stato ottenuto. In buona sostanza
un’interpretazione del concetto di like product che consenta di classificare
come differenti, due gamberetti identici nel loro aspetto esteriore e nelle loro
qualità intrinseche, se questi sono stati pescati uno con tecniche di pesca che
salvaguardano la vita delle tartarughe marine e l’altro no. Il problema della
definizione di like product non riguarda del resto solo la protezione
ambientale, ma anche quella dei diritti umani, basta pensare ai prodotti
fabbricati con lo sfruttamento minorile che dovrebbero considerarsi prodotti
similari37. Una
interpretazione del concetto di prodotto similare, assente nel GATT 1994, è
stata fornita dal panel sulla tassazione dei prodotti alcolici in Giappone38,
secondo gli esperti del panel un prodotto è similare se risulta “direttamente
competitivo e sostituibile ad un altro”. Tale concetto è stato inteso in maniera
più flessibile dall’Organo d’appello dello stesso caso, il quale ha affermato
che il concetto di similarità, deve essere inteso a seconda di quali siano gli
elementi di rilievo come una sorta di fisarmonica “ (… )that stretches and
squeezes in different placet as different provision of WTO agreement are applied
(…)39”. Tale invito
all’elasticità interpretativa, non sembra sia stato il principio guida dei
panels che hanno sino ad ora giudicato il ricorso a TERMs basate su non related
PPMs40.
Non si può negare che una estensione del concetto di like product, volta a far
rientrare in esso anche le caratteristiche dei metodi produttivi che non seguono
il prodotto nel paese di importazione, appare comunque compito non facile da
portare a termine. Una prima difficoltà è costituita dalle implicazioni
extraterritoriali del problema, con i conseguenti timori degli Stati, o la paura
di molti produttori di veder annullati quei vantaggi acquisiti con pratiche di
“environmental shopping”, in paesi dove esiste una maggiore “libertà di
inquinare”41. La
problematica relativa ai non related PPMs, e alla loro eventuale valutazione nel
considerare la similarità di un determinato prodotto, diviene ancora più
difficile da affrontare se si entra nell’ambito del rapporto tra paesi
industrializzati e PVS42.
Quest’ultimi, infatti, affermano che non si possono stabilire degli standards
sui PPMs identici per tutti, in quanto ogni paese ha un livello di inquinamento
“ottimale”, che deriva dalla valutazione delle sue risorse economiche e
commerciali e dalle caratteristiche ambientali, ed in ultimo dall’equilibrio che
si viene a determinare tra questi due elementi43.
I Paesi in Via di Sviluppo (PVS)44
sostengono che la volontà di assoggettarli ai medesimi standards di paesi con
caratteristiche del tutto differenti, nasconda il desiderio di controllare
tramite l’adozione di TERMS il loro commercio, e di attuare forme di
“imperialismo verde”. Non si può negare del resto che gli standards di tutela
ecologica applicati dai paesi sviluppati possono risultare inadeguati o
comportare costi troppo onerosi, dal punto di vista economico e sociale, per i
PVS45.
L’inapplicabilità di un trattamento uniforme tra PVS e paesi industrializzati,
in materia di tutela ambientale, è stata chiaramente affermata nella
Dichiarazione di Rio sull’ambiente e sullo sviluppo46,
la quale oltre ad accordare “speciale priorità alla situazione ed alle esigenze
specifiche dei PVS” (Principio 6), mediante il principio della responsabilità
comune ma differenziata, riconosce ai paesi sviluppati una maggiore
responsabilità, in ragione del diverso contributo che hanno dato in passato e
che continuano a dare attualmente al degrado ambientale, “date le pressioni che
le loro società esercitano sull’ambiente globale, e le tecnologie e le risorse
finanziarie di cui dispongono”(Principio 7). Da parte di alcuni economisti
vicini ai PVS47, è
stata proposta la compensazione del danno economico che a questi deriverebbe da
un’indistinta applicazione degli standards ambientali sui processi produttivi,
attraverso maggiori concessioni in altri settori commerciali o direttamente con
finanziamenti in denaro. Tale proposta è stata decisamente criticata da parte
degli ambientalisti e dei paesi industrializzati, i quali rifiutano di “pagare”
per delle istanze del tutto legittime, respingendo una soluzione che, secondo la
loro opinione, avrebbe come unico effetto di incoraggiare il protrarsi di
pratiche inquinanti.
La via migliore da seguire per giungere ad una maggiore armonizzazione degli
standards ambientali dei PPMs, appare quindi il trasferimento di moderne
tecnologie e risorse finanziare. Secondo alcuni autori48,
gli Stati industrializzati sarebbero chiamati a realizzare tale forma di
cooperazione, in base ad una ormai affermata regola internazionale generale, che
riconosce non solo il diritto allo sviluppo degli Stati arretrati, ma anche un
corrispondente obbligo degli Stati industrializzati a finanziare tale sviluppo e
a trasferire le conoscenze e le risorse umane a tale scopo49.
Al di là delle basi giuridiche sulle quali deve istaurarsi questa cooperazione
Nord-Sud, essa appare la via più sicura per evitare che i PVS non ripetano in
campo ambientale, gli errori commessi dagli Stati industrializzati nella loro
corsa allo sviluppo.
5. ALTERNATIVA ALL’ART. XX PER CONSENTIRE DELLE ECCEZIONI “AMBIENTALI”
FONDATE SUI NON RELATED PPMS
L’adozione di misure di tutela ambientale relative a non related PPMs attraverso
l’art. XX del GATT, appaiono, dunque, allo stato attuale, praticamente
impossibili da realizzare. Il significato attribuito al concetto di like product,
si basa esclusivamente su quello che alcuni autori hanno definito il product
approach50, ovvero un
approccio basato unicamente sul prodotto, che consente di formulare standards
che riguardino soltanto le sue caratteristiche esterne e la sua composizione,
escludendo la possibilità di adottare qualsiasi standard inerente al metodo di
produzione. Ciò non significa che standards sui non related PPMs non possano
essere fissati, ma che la via da seguire sia un’altra, situata al di fuori del
sistema GATT-OMC, vale a dire quella di accordi multilaterali in materia
ambientale, comunemente indicati con l’acronimo MEAS (Multilateral Enviromental
Agreement), che vincolino le Parti contraenti a mettere in atto metodi
produttivi rispettosi dell’ambiente, disponendo la possibilità di ricorso a
TERMs basate sui non related PPMs. L’adozione di MEAs, per fronteggiare le
problematiche ambientali derivanti dai metodi e processi produttivi, appare
maggiormente appropriata, soprattutto per quelle misure che implicano scelte più
politiche che tecniche, sui metodi di produzione messi in atto da altre nazioni.
Questo può essere il caso di una misura che non miri ad eliminare una situazione
di degrado ecologico, ma a promuovere valori di politica ambientale, come
disincentivare il ricorso a tecniche crudeli di cattura degli animali51.
La stessa sentenza dell’Organo d’appello sui gamberetti e tartarughe marine, ha
elencato tra le motivazioni che hanno ispirato la bocciatura dell’embargo
statunitense, il fatto che gli Stati Uniti non avessero esperito un tentativo di
accordo bilaterale o multilaterale tra le Parti52,
motivazione presente anche nella sentenza del panel sul tonno messicano del 199153.
L’aspetto più interessante dell’introduzione, all’interno di accordi
multilaterali con finalità di protezione ambientale, di disposizioni che
consentano l’adozione di TERMs basate sui metodi di produzione, consiste nella
maggiore “forza” che tali misure acquisiscono grazie al diffuso consenso che sta
alla base degli accordi nei quali sono contenute54.
Una larga base di consenso permette, infatti, di influenzare anche le politiche
produttive di quegli Stati, che ai suddetti MEAs non hanno aderito, ossia i
cosiddetti free-riders. Con questo termine, mutuato dalle discipline economiche,
nell’ambito del diritto internazionale dell’ambiente, si definiscono gli Stati o
i soggetti, che scelgono di non impegnarsi in attività di tutela ambientale che
generano “costi”, nella convinzione che, laddove altri pongano invece in essere
tali attività, anch’essi ne riceveranno un vantaggio senza subire alcun onere55.
Un esempio di come un MEA che poggi su una larga base di consenso, possa
influenzare anche i metodi e le politiche produttive dei free-riders, è fornito
dal Protocollo di Montreal del 16 luglio 1987 sulla tutela della ozonosfera.
Questo accordo obbliga i firmatari, non solo ad eliminare l’importazione di
cloroflorocarburi (CFCs) o prodotti contenenti quest’ultimi, ma anche quella di
prodotti non contenenti (CFCs), ma fabbricati con l’uso di questi56,
e ad estendere tale embargo non solo alle Parti contraenti del trattato, ma
anche agli Stati terzi57.
MEAs fondati su un largo consenso renderebbero, inoltre, i panels meno
preoccupati dallo ”spettro dell’unilateralismo”, che in tutti rapporti è stato
identificato come il più grande pericolo per l’attuale sistema commerciale
internazionale, e ciò è confermato dal fatto che l’applicazione di TREMs
originate da accordi multilaterali non è mai stata contestata in sede GATT-OMC58.
Nel fronteggiare le minacce ambientali derivanti dai non related PPMs, l’invito
a percorrere una via alternativa alle TERMs unilaterali, sembra desumersi anche
dalla mancanza di una presa di posizione sia del panel, che dell’Organo
d’appello nella controversia sui gamberetti, in merito a temi quali la
limitazione territoriale delle eccezioni ambientali, e la differenziazione tra
beni similari ottenuti tramite processi produttivi con minore o maggiore impatto
ambientale.
6. ACCORDO SUGLI OSTACOLI TECNICI AGLI SCAMBI
Se molti appaiono gli elementi ancora da chiarire in sede GATT-OMC, per quel che
riguarda la possibilità di adottare eccezioni “ambientali” sui metodi e i
processi produttivi non direttamente correlati al prodotto esportato, un
importante passo in avanti è stato compiuto per quel che concerne gli standards
sui metodi produttivi che influiscono direttamente sulle caratteristiche dei
prodotti, i cosiddetti product related PPMs.
Tra i diversi Accordi conclusi nel corso dell’Uruguay round59,
due di questi rivestono una particolare importanza ai fini della tutela
ambientale: l’Accordo sulle barriere tecniche al commercio, comunemente indicato
con l’acronimo TBT (Technical Barrier to Trade) e l’Accordo sulle misure
sanitarie e fitosanitarie, in sigla SPM ( Sanitary and Phytosanitary Measures).
Gli Accordi TBT e SPS consentono allo Stato importatore di richiedere a quelli
esportatori che i loro prodotti rispondano agli standards applicati ai prodotti
domestici. L’obiettivo principale di questi due accordi è l’armonizzazione degli
standards tecnici e sanitari, ossia l’eliminazione di quelle differenze tra le
regolamentazioni interne degli Stati membri dell’OMC che ostacolano il normale
svolgimento dei rapporti commerciali internazionali. L’adeguamento degli Stati
parti dell’OMC a standards tecnici e sanitari internazionalmente riconosciuti,
oltre a fornire le condizioni per una competizione economica su basi omogenee60,
riveste un importante ruolo anche nel conciliare gli interessi del libero
commercio e quelli di tutela ambientale, quando tali standards riguardano
l’impatto ambientale dei prodotti o dei relativi processi produttivi.
Il primo Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, è stato concluso nel corso
del Tokio round (1973-1979) per fronteggiare il moltiplicarsi delle normative
concernenti regolamentazioni tecniche sulla qualità dei prodotti e le relative
procedure di controllo e certificazione, adottate con finalità restrittive al
commercio internazionale, in alternativa alle restrizioni quantitative e
tariffarie vietate dall’Accordo generale. Proprio in questo Accordo, per la
prima volta, fu introdotto nel sistema GATT il termine “ambiente”, che come
abbiamo rilevato non figura nell’Accordo generale. L’art. 2 par. 2 dell’Accordo
sugli ostacoli tecnici agli scambi siglato a Tokio prevedeva, infatti, la
possibilità di adottare delle misure derogatorie rispetto agli standards
fissati, qualora la loro adozione fosse giustificata da motivi di protezione
ambientale61. Il
nuovo Accordo TBT concluso nel corso dell’Uruguay round, conferma gli obiettivi
ed il contenuto del precedente, estendendone sotto alcuni aspetti la sfera
d’applicazione. La relazione tra il nuovo Accordo TBT e il GATT 1994 è
sostanzialmente la medesima, che esisteva tra il GATT 1947 e l’Accordo sugli
ostacoli tecnici agli scambi concluso a Tokio. Infatti, l’odierno Accordo
generale, al pari di quello del 1947, non contiene alcun riferimento agli
ostacoli non tariffari, anche se il divieto della loro applicazione potrebbe
desumersi dalla formulazione dell’art. XI che colpisce le restrizioni
quantitative ed “(…) ogni altra misura di ogni altro procedimento (…)62”.
Dunque per la sua natura di accordo speciale riferito solo all’aspetto degli
ostacoli non tariffari, l’Accordo TBT riveste una funzione integrativa del GATT
1994.
Gli standards considerati nell’Accordo TBT stabiliscono delle norme specifiche
riguardo alle caratteristiche del prodotto, quali la qualità, le dimensioni, le
prestazioni, la sicurezza, ma anche caratteristiche non intrinseche al prodotto
stesso, ma inerenti al processo di commercializzazione di quest’ultimo, come
l’imballaggio e l’etichettatura.
Le misure disposte dall’Accordo TBT per conseguire l’obiettivo
dell’armonizzazione delle normative interne dei paesi membri dell’OMC, possono
essere di due tipi: regolamenti tecnici o norme. Mentre i primi hanno un
carattere giuridico vincolante e dunque prevedono una adozione obbligatoria da
parte dei Membri, le seconde non sono vincolanti ed il loro valore è soprattutto
quello di fornire un parametro di riferimento agli Stati membri nell’adozione
delle loro normative tecniche interne63.
Nessuna differenza sussiste, invece, per quel che concerne il campo di
applicazione dei due tipi di disposizioni che riguardano il prodotto ed i metodi
di produzione ad esso correlati64.
I regolamenti tecnici e le norme, debbono essere applicati nel rispetto dei
principi della nazione più favorita e del trattamento nazionale, applicando al
prodotto importato un trattamento analogo a quello di prodotti similari
provenienti da qualsiasi altro paese, o di origine interna65.
L’Accordo TBT intende evitare che i regolamenti e le norme adottati dagli Stati,
abbiano un effetto restrittivo sul commercio internazionale che si riveli
maggiore del necessario. A tal proposito l’art. 2 par. 2, afferma che le
disposizioni relative agli standards interni non debbono essere applicate “in
modo da creare o da conseguire l’effetto di indebiti ostacoli al commercio
internazionale” e per fare in modo che ciò non accada, gli Stati sono chiamati
ad adeguare le loro regolamentazioni agli standards internazionalmente
riconosciuti. In particolare l’accordo TBT contiene un espresso richiamo alla
guida ISO-CEI, formulata appunto dall’ISO (International Organization for
Standardization), un organizzazione internazionale non governativa della quale
fanno parte gli organismi nazionali che elaborano le normative tecniche di
numerosi Stati. L’attribuzione dell’ISO comprende tutti i settori tecnici, ad
eccezione di quello concernente la tecnologia elettrica ed elettronica che
appartiene alla CEI (International Commission of Electrotechnics). I numerosi
comitati ISO elaborano vari documenti denominati dal 1977 standards o norme
internazionali. L’obiettivo dell’armonizzazione è conseguito dal nuovo Accordo
anche nell’ambito delle normative volontarie (quelle cioè che, come accennato,
per essere operanti debbono essere consensualmente accettate dalle parti),
attraverso un apposito codice, che costituisce l’Allegato 3 dell’Accordo TBT,
volto all’elaborazione, alla adozione e alla applicazione delle norme da parte
degli organi che esercitano attività normative nel territorio degli Stati membri
dell’OMC. Aspetto interessante dal punto di vista della tutela ambientale, è che
anche in questo codice sono stati inclusi degli standards riferiti ai processi
produttivi.
L’adeguamento agli standards fissati dagli organismi internazionali riconosciuti
dall’Accordo, costituisce una regola di condotta essenziale per gli Stati. In
tal senso l’art. 2 par. 4, prevede che: “Quando siano necessari regolamenti
tecnici ed esistano o stiano per essere definitivamente elaborate norme
internazionali appropriate, i membri utilizzeranno tali norme o le parti
pertinenti delle stesse come base dei loro regolamenti tecnici”. Nello stesso
articolo, comunque, è prevista per gli Stati la possibilità di adottare
regolamenti o standards differenti da quelli generalmente riconosciuti a livello
internazionale, ove questi siano giudicati “inappropriati o inadeguati per il
conseguimento di obiettivi legittimi, ad esempio a causa di fattori climatici o
geografici fondamentali o di problemi tecnologici”66.
L’Accordo prevede, per l’adozione di misure diverse da quelle riconosciute a
livello internazionale o nel caso in cui non esistano standards internazionali
da seguire, l’obbligo di comunicare agli Stati contraenti e al Segretariato
dell’OMC, la bozza contenente gli obiettivi del nuovo regolamento tecnico e i
prodotti sui quali si intende adottarlo, consentendo così agli Stati esportatori
di prendere previamente in considerazione quali saranno gli standards richiesti,
in modo da poter muovere in anticipo eventuali obiezioni.
Le innovazioni di maggior rilievo per ciò che concerne le prospettive di
protezione ambientale del nuovo TBT, si riscontrano nell’art. 2 par. 2, che
afferma: “(…) i regolamenti tecnici non debbono essere più restrittivi agli
effetti degli scambi di quanto necessario per conseguire un obiettivo legittimo
(…) inter alia sicurezza nazionale; prevenzione di pratiche ingannevoli; la
tutela della salute o della sicurezza delle persone; la protezione della salute
o della vita del mondo animale o vegetale e dell’ambiente. Nel valutare tali
rischi si deve tener conto tra l’altro: dei dati tecnici e scientifici
disponibili, della relativa tecnologia di processo67
e della destinazione finale dei prodotti (…)68”.
L’ambiente è dunque indicato come “obiettivo legittimo”, consentendo, a
differenza del precedente Accordo TBT, una tutela attiva da espletarsi
attraverso l’imposizione di standards, riconosciuti come strumento effettivo per
la protezione ambientale. L’articolo dispone anche un necessity test, volto a
valutare se gli standards adottati siano più restrittivi agli effetti degli
scambi di quanto necessario per conseguire un obiettivo legittimo. Tale verifica
è stata interpretata, da una parte della dottrina, analogamente al requisito di
necessità dell’art. XX del GATT, richiedente che la misura adottata sia tra
quelle possibili la meno restrittiva del commercio internazionale (least trade
restrictive)69,
mentre da altri è stata intesa in maniera meno rigida interpretandola come un
proportionality test70,
vale a dire la prova che la misura adottata sia proporzionata all’obiettivo
legittimo perseguito. Tale interpretazione, secondo alcuni autori, risulta la
via più adeguata per l’equilibrio di interessi configgenti quali quelli
liberisti ed ambientalisti, in quanto maggiormente flessibile71.
L’aspetto più innovativo dell’Accordo TBT risulta comunque essere quello
inerente la valutazione di un eventuale rischio per gli obiettivi legittimi
elencati nell’art. 2 par. 2, che deve prendere in considerazione anche la
“relativa tecnologia di processo”. Quest’ultima disposizione comporta un
considerevole ampliamento della sfera d’azione delle eccezioni “ambientali” già
disposte dai paragrafi b) e g) dell’art. XX del GATT 1994, consentendo eccezioni
relative alla salvaguardia72
della vita, della salute e della conservazione delle risorse esauribili anche
nei confronti di processi e metodi di produzione adottati dallo Stato
esportatore73. Ciò
costituisce un indubbio progresso legislativo, consentendo l’analisi del
prodotto non più solo sulla base delle sue caratteristiche fisiche e
sull’aspetto esteriore, ma anche sulle sue prestazioni, ampliando dunque i
parametri in base ai quali giudicare la similarità dei prodotti, e permettendo
una valutazione di impatto ambientale a lungo termine.
L’articolo in questione non specifica chiaramente se le misure adottate possano
avere un effetto extraterritoriale, vale a dire se per relativa tecnologia di
processo possano intendersi anche processi e metodi che non siano direttamente
correlati ai prodotti, ma parte della dottrina ha ritenuto che la prassi dei
panels in materia non possa far sperare in un’applicazione in tal senso della
norma, almeno per l’immediato futuro74.
Certamente l’inclusione dei related PPMs nell’Accordo TBT è, dal punto di vista
della tutela ambientale, l’innovazione di maggior rilievo rispetto a quello del
1979, che proprio a causa delle difficoltà nell’ammettere dei regolamenti
tecnici con effetti esterni ai confini nazionali, aveva finito per eliminare
qualsiasi menzione relativa ai PPMs, e dunque anche in merito a quelli
direttamente correlati al prodotto.
Nei confronti del nuovo Accordo TBT, nonostante i progressi registrati, non sono
mancate critiche soprattutto da parte di quegli ambientalisti che vi hanno
ravvisato un’eccessiva limitazione dell’autonomia dei singoli Stati nel fissare
degli standards ambientali più rigorosi rispetto a quelli consentiti
dall’Accordo (se non giustificanti da fattori climatici o geografici
fondamentali o di problemi tecnologici). Secondo quest’ultimi le forme di tutela
ambientale si sono realizzate ad un livello troppo basso. Tale fenomeno ha
origine, secondo i critici dell’Accordo TBT, dal principio di equivalenza
introdotto dall’art. 2 par. 7 dell’Accordo75,
procedura di armonizzazione che avviene, secondo loro, senza chiare linee
procedurali, sulla base di confronti soggettivi e senza specificare i fattori
che debbono essere considerati76.
Ulteriori critiche sono state mosse in merito alla natura privata degli istituti
chiamati a formulare le regole tecniche internazionali alle quali gli Stati
debbono adeguarsi, come l’ISO creato nel dopoguerra dalle industrie, con il
compito di armonizzare elementi tecnici dei beni quali i pesi e le misure dei
diversi prodotti e che oggi con le sue normative, riveste grande importanza
anche nel settore ambientale. Ma la critica più incisiva che è stata mossa
all’Accordo TBT, è derivata dalla mancata introduzione nel suo testo del
principio precauzionale77.
Tale accordo consente, infatti, l’adozione di standards per il perseguimento
degli obiettivi legittimi solo in seguito ad una valutazione del rischio che
tenga conto “dei dati tecnici e scientifici disponibili” (art. 2 par. 2), non
consentendo dunque l’adozione di standards più elevati in materia ambientale in
assenza di dati scientifici certi. Secondo alcuni gruppi ambientalisti,
l’adozione di standards più severi dovrebbe essere consentita rovesciando
l’onere della prova in merito alla legittimità delle misure adottate. Il WWF
(World Wide Found for Nature) in uno studio sul nuovo Accordo TBT, ha proposto
che sia attribuito a coloro che contestano l’adozione di un regolamento tecnico
con finalità ambientali, in primo luogo di dimostrare il danno economico
eventualmente derivato da tali misure; in secondo luogo mostrare il legame tra
la regolamentazione applicata dallo Stato importatore ed il danno subito. Solo
in ultima istanza invece si dovrebbe verificare se le regolamentazioni adottate
rispettino un criterio di proporzionalità, che preveda anche la possibilità di
adozione del principio precauzionale78.
In sostanza il panel che si trovasse a dirimere una controversia relativa
all’applicazione dell’Accordo79,
dovrebbe dare maggior attenzione alla valutazione e alla reale esistenza
dell’eventuale danno economico, che al superamento degli standards fissati
dall’Accordo.
Le opinioni in merito all’introduzione del principio di precauzione nel Accordo
TBT non sono comunque del tutto concordi. In particolare, alcuni autori hanno
rilevato come la stessa Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo affermi
la necessità di adottare tale principio “in caso di rischio grave ed
irreversibile”, rischio che sembra connaturato soprattutto al commercio di
animali o vegetali coperti dall’Accordo SPS e dunque alla possibilità del
diffondersi di epidemie, ma che risulta obiettivamente molto meno probabile nel
caso di importazione di prodotti industriali80.
7. ACCORDO SULLE MISURE SANITARIE E FITOSANITARIE
Il nuovo Accordo TBT, a differenza di quello del 1979, non si occupa dei
regolamenti sanitari e fitosanitari (SPS). Tale materia, inizialmente trattata
nel negoziato per la conclusione dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli
scambi, a partire dal 1988 è divenuta oggetto di trattative separate, dando
luogo al termine dell’Uruguay round ad un distinto Accordo sull’applicazione
delle misure sanitarie e fitosanitarie81.
Le misure sanitarie e fitosanitarie sono definite nell’Accordo, provvedimenti
che mirano a proteggere la vita e la salute degli animali, dell’uomo e dei
vegetali dai rischi derivanti dalla diffusione di malattie e dall’utilizzo di
alimenti, bevande e mangimi contenenti sostanze nocive82.
L’Allegato A dell’Accordo, al par. d) dell’art. 1, specifica inoltre che le
misure SPS comprendono: “tutte le leggi, i decreti, i regolamenti, gli obblighi
e le procedure pertinenti, ivi compresi, criteri in materia di prodotti finiti,
processi e metodi di produzione, procedure di prova, ispezione certificazione e
autorizzazione, quarantena ed obblighi pertinenti associati al trasporto degli
animali o dei vegetali, o ai materiali necessari alla loro sopravvivenza durante
il trasporto, disposizioni relative ai metodi statistici, sistemi di
campionamento e metodi di valutazione dei rischi, nonché requisiti in materia di
imballaggio ed etichettatura”. Le materie oggetto delle misure SPS indicate
nell’Allegato A, oltre alla varietà e complessità degli aspetti presi in esame,
rileva come anche in questo Accordo siano stati esplicitamente considerati i
processi e i metodi di produzione, ma analogamente alle conclusioni raggiunte
per l’Accordo TBT, la maggior parte della dottrina ha escluso la possibilità di
un’applicazione delle misure disposte ai non related PPMs. Ciò in quanto
l’adozione delle misure oggetto dell’Accordo SPS è volta a tutelare la salute e
la vita di persone, animali e piante, all’interno del paese nel quale le misure
sono adottate e non possono dunque agire sui metodi produttivi usati al di fuori
di questo a meno che tali processi non trasmettano la loro nocività per
l’ambiente anche ai prodotti esportati83.
L’Accordo rappresenta un’estensione ed una dettagliata regolamentazione delle
eccezioni disposte dall’art. XX par. b) del GATT 1994, espressamente richiamato
all’art. 2 par. 4 dell’Accordo SPS, che contiene l’indicazione dei principi
generali che debbono essere seguiti per l’adozione delle misure necessarie alla
protezione della salute e della vita delle persone, degli animali o della
preservazione delle piante.
L’art. 2 disciplina i diritti e gli obblighi fondamentali degli Stati parti,
affermando al par. 1 che questi possono liberamente adottare misure sanitarie e
fitosanitarie, purché queste non agiscano in senso contrario a quanto previsto
dall’Accordo. L’esercizio da parte degli Stati contraenti del diritto sovrano
della tutela della salute e della vita nell’ambito del proprio territorio,
incontra delle limitazioni nei successivi paragrafi 2 e 3, che subordinano
l’applicazione delle misure SPS alla condizione della loro necessità. Per
soddisfare tale condizione esse devono essere adottate sulla base di criteri
scientifici e non mantenute in assenza di sufficienti prove (par. 2); le misure
applicate non debbono inoltre implicare una discriminazione arbitraria o
ingiustificata tra i membri ove sussistono condizioni analoghe o identiche o,
essere applicate in modo da costituire una restrizione dissimulata al commercio
internazionale (par. 3).
Anche quest’Accordo sancisce che l’armonizzazione delle misure adottate deve
avvenire in conformità a standards internazionali84,
il rispetto dei quali conferisce alle suddette misure una presunzione di
conformità alle disposizioni dell’Accordo. Sotto questo aspetto si riscontra una
maggiore flessibilità rispetto all’Accordo TBT che, infatti, consente uno
scostamento dagli standards internazionali solo in base a “fattori climatici o
geografici o problemi tecnologici fondamentali85”;
l’Accordo SPS invece specifica che i Membri possono “introdurre o mantenere
delle misure sanitarie o fitosanitarie che comportino un livello di protezione
più elevato di quello che si otterrebbe con misure basate su pertinenti norme,
direttive o raccomandazioni internazionali86”.
Lo stesso articolo afferma quindi, che tale comportamento è legittimo qualora
esista una giustificazione scientifica, o un paese ritenga appropriato applicare
un più alto livello di protezione. L’Accordo contiene principi che consentono di
individuare il più appropriato livello di protezione, affermando che gli Stati
debbono tenere conto di differenti elementi: “i fattori economici pertinenti, il
potenziale danno in termini di perdita di produzione o di vendite, in caso di
contatto, insediamento o diffusione di un parassita o di una malattia; i costi
inerenti alla lotta o all’aradicazione nel territorio del Membro importatore, e
la relativa efficienza economica di metodi alternativi per limitare i rischi87”,
gli Stati debbono inoltre tenere conto “ dell’obiettivo di minimizzare gli
effetti negativi per il commercio88”.
La differenza più importante, sotto l’aspetto della tutela ambientale, tra
l’Accordo SPS e quello TBT si riscontra rispetto alle norme contenute nell’art.
5, relative alla valutazione del rischio e alla determinazione del livello di
protezione sanitaria e fitosanitaria adeguata, il cui par. 7 contempla
l’applicazione del principio precauzionale, stabilendo che: “(…)nel caso in cui
le pertinenti prove scientifiche non siano sufficienti un Membro può
temporaneamente adottare misure sanitarie o fitosanitarie sulla base delle
informazioni pertinenti disponibili (…)89”.
La previsione del principio precauzionale rappresenta un’innovazione di
fondamentale importanza nel processo di conciliazione tra gli interessi del
libero commercio internazionale e quelli di tutela ambientale, in quanto sino ad
ora non era stato inserito in nessun Accordo del sistema GATT-OMC.
L’introduzione di tale principio all’interno dell’Accordo sulle misure sanitarie
e fitosanitarie rappresenta, inoltre, una chiara indicazione di quale sarà, o
per lo meno dovrebbe essere, la linea di condotta dell’OMC nei confronti delle
possibili implicazioni ambientali che le innovazioni in campo scientifico, in
particolare in materia di ingegneria genetica possono avere sull’ambiente.
L’importanza del riconoscimento del principio precauzionale da parte dell’OMC,
va al di là della sua applicazione esclusivamente confinata all’interno
dell’Accordo SPS, ed è stata rilevata anche dalla Commissione europea che in
un’apposita comunicazione sul principio precauzionale del 2 febbraio 200090,
nella parte del documento nella quale si dimostra la generale accettazione del
principio precauzionale a livello internazionale, menziona proprio l’art. 5 par.
7 dell’Accordo SPS come esempio della completa integrazione di questo principio
nel sistema giuridico dell’OMC91.
L’importanza del par. 7 dell’art. 5 dell’Accordo SPS, è stata inoltre ribadita
dalla commissione in occasione della nuova escalation dell’epidemia di
encefalopatia bovina spongiforme. Infatti, in seguito agli interrogativi posti
dal Parlamento europeo, in merito alla conformità ai principi GATT-OMC delle
misure commerciali restrittive adottate dall’UE in assenza di certezze
scientifiche, la Commissione ha dichiarato che: “L’art. 5 par.7 dell’accordo SPS
dell’OMC fornisce un contesto normativo per misure regolamentari sanitarie o
fitosanitarie che interessano il commercio internazionale, qualora i dati
scientifici siano insufficienti”. La Commissione ha inoltre aggiunto che: “(…)
gli orientamenti relativi all’applicazione del principio precauzionale proposti
nella comunicazione del 2 febbraio 2000, non solo sono conformi all’art. 5 par.
7, ma rappresentano inoltre uno strumento adeguato all’applicazione di tale
principio. Pertanto, l’adozione di tale principio non dovrebbe contravvenire
agli obblighi comunitari internazionali (…)92”.
L’importanza e l’enorme attualità delle materie di cui si occupa l’Accordo SPS,
appare evidente nei dati che affermano che su sedici procedure di consultazione
avviate dai Membri del’OMC in base all’art. 4 dell’Intesa sulle norme e sulle
procedure che disciplinano le controversie93,
ben quattro concernono l’applicazione del suddetto Accordo, ed in particolare
gli obblighi da questo disposti in materia di armonizzazione, valutazione del
rischio, effetti sugli scambi internazionali e trasparenza. Tale considerazione
rende di speciale interesse l’analisi dell’applicazione da parte dei panels
dell’Accordo SPS, che consentirà di verificare i reali effetti delle misure
sanitarie e fitosanitarie sui principi di libero commercio internazionale. A tal
fine sarà esaminata, tra le varie controversie in merito all’applicazione
dell’Accordo SPS, quella sorta tra Stati Uniti ed Unione europea che per il
volume degli interessi in gioco e per il ruolo nell’ambito del commercio
internazionale che rivestono le parti coinvolte, è stata sicuramente la più
importante disputa relativa all’applicazione delle misure sanitarie e
fitosanitarie.
8. CONTROVERSIA USA-EU IN MERITO DELL’APPLICAZIONE DELL’ACCORDO SPS PANELS
SULLA CARNE DEGLI ORMONI
Questa controversia ha origine nel 1981 con l’adozione da parte della Comunità
europea di alcune direttive volte a limitare la somministrazione di sostanze
ormonali ai bovini solo a scopi terapeutici e zootecnici, ma non finalizzate
alla maggiore e più precoce crescita di quest’ultimi94.
Nel 1996 tale normativa ha esteso il divieto all’importazione e vendita di carni
con tracce di sostanze ormonali, anche se somministrate per scopi terapeutici e
tecnici. Già nel 1987 gli Stati Uniti avevano chiesto la costituzione di un
panel, affermando il contrasto delle direttive comunitarie con l’Accordo TBT
varato a Tokio, dovuto in particolar modo all’applicazione discriminatoria delle
misure previste dalle direttive in questione. La CE obiettò che le direttive
emanate non potevano essere sottoposte ad un giudizio di conformità in relazione
all’Accordo sugli ostacoli tecnici, poiché esse riguardavano il procedimento
produttivo relativo al prodotto che, come abbiamo accennato, non era regolato
nell’Accordo TBT concluso nel Tokio round. Al rifiuto della CE in merito alla
costituzione di un panel di esperti in materia, gli Stati Uniti risposero con
l’imposizione di dazi doganali pari al 100% su alcuni prodotti di origine
comunitaria, applicati al momento dell’entrata in vigore delle direttive. Dopo
un periodo di trattative, nel 1989 la CE decise a sua volta di richiedere la
costituzione di un panel per ottenere un giudizio sulle misure unilaterali
adottate dagli Stati Uniti, ma questa volta furono gli USA ad opporsi alla
richiesta europea95.
Con l’ampliamento della normativa comunitaria in materia avvenuto nel corso
dell’Uruguay round, gli Stati Uniti decisero di avviare nuove consultazioni in
base all’art. 4 dell’Intesa sulla soluzione delle controversie, ma costatata
l’impossibilità di giungere ad un accordo, il 25 aprile 1996, decisero di
richiedere nuovamente al DSB (Dispute Settlement Body)96
la costituzione di un panel.
Nel ricorso gli Stati Uniti sostenevano che per quel che concerne l’Accordo SPS97,
si fosse verificata una violazione degli articoli: 2, 3 e 5, determinata dal
mancato rispetto degli obblighi previsti dall’Accordo, dalla mancata
armonizzazione delle misure europee con gli standards internazionali e
dall’errata condotta comunitaria rispetto agli obblighi per la valutazione del
rischio. Il panel ha valutato in primo luogo la legittimità delle misure
adottate, che come abbiamo accennato, dipende dal rispetto degli standards
internazionali98. In
questa controversia gli standards in questione erano quelli elaborati dalla
Commissione del Codex Alimentarius, organo consultivo dell’Organizzazione per
l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS). Questo organismo è espressamente citato dall’art. 3 dell’Accordo
SPS, il quale afferma che gli Stati debbono attenersi agli standards alimentari
fissati dalla Commissione del Codex alimentarius. In passato gli standards della
Commissione non avevano un carattere vincolante, ed erano soprattutto volti ad
aiutare i paesi poveri a rendere più sicuri i loro alimenti anche al fine di
facilitarne il commercio con l’estero99.
Il fatto che l’attività normativa di questo organismo sia stata espressamente
menzionata dall’Accordo SPS, come elemento di riferimento per gli Stati parti
nel processo di armonizzazione delle legislazioni SPS nazionali, ha
profondamente modificato il suo ruolo attribuendogli grande importanza nella
tutela della salute umana, degli animali e delle piante100.
Il panel nel valutare la relazione tra le misure adottate dalla CE e gli
standards del Codex alimentarius, si è chiesto se entrambe garantissero il
medesimo livello di protezione ed una volta rilevata la differenza esistente, ha
preso in considerazione la possibilità di legittimare il maggior livello di
protezione delle misure comunitarie sulla base dell’eccezione disposta dal terzo
paragrafo dell’art. 3. Tale eccezione deve fondarsi su di una giustificazione
scientifica o, in sua assenza, deve scaturire da una corretta valutazione del
rischio da effettuarsi secondo i criteri indicati dall’art. 5 dell’Accordo. La
valutazione del rischio costituisce dunque, in caso di mancato rispetto degli
standards internazionali, il vero ed unico elemento di giudizio per sancire la
legittimità delle misure SPS101.
Il panel ha affermato che l’analisi per stabilire se la CE avesse proceduto o
meno ad una corretta valutazione del rischio, doveva verificare l’osservanza di
alcune condizioni procedurali. In primo luogo è stata contestata alla CE la
mancanza nei preamboli delle direttive emanate, di un richiamo agli studi
scientifici sulla base dei quali erano state adottate misure più drastiche; in
secondo luogo il panel ha osservato come gli stessi pareri degli esperti che la
Comunità ha prodotto a sostegno delle eccezioni adottate, erano tutti concordi
nell’escludere qualsiasi rischio ove la somministrazione degli ormoni vietati
dalla CE, fosse avvenuta con l’uso di adeguati e coscienziosi criteri di pratica
veterinaria102.
La CE ha sostenuto di aver adottato le misure SPS sulla base del principio
precauzionale affermato nel par. 7 dell’art. 5, alla luce dei pareri
contrastanti espressi dagli esperti, in merito alle conseguenze sulla salute
umana derivanti dalla somministrazione di alimenti contenenti residui di
sostanze ormonali. Il ricorso al principio precauzionale, è stato ritenuto
pienamente legittimo dal panel, in quanto non solo disposto dall’Accordo SPS, ma
anche riconosciuto in ambito internazionale come norma di diritto generale.
Tuttavia il panel ha specificato che il ricorso a tale principio, non esenta
coloro che lo invocano dagli obblighi inerenti alla valutazione del rischio. Nel
suo rapporto il panel ha inoltre effettuato una distinzione tra valutazione e
gestione del rischio, la prima costituita da un esame scientifico dei fatti e
dati a disposizione, la seconda da un esercizio “politico”, nel quale rientrano
valutazioni di carattere sociale applicate da organi politici estranei alla
procedura di valutazione del rischio dell’art. 5. Dopo aver dunque rilevato le
carenze procedurali della Comunità in fase di valutazione del rischio, il panel
è passato ad analizzare la fase successiva inerente alla gestione del rischio,
ossia la fase relativa alla applicazione e alla determinazione delle corrette
politiche di protezione. Riconoscendo la libertà di ogni Membro di decidere
autonomamente il livello di protezione da attuare al suo interno, gli esperti
hanno affermato che ciò deve comunque avvenire nel rispetto delle disposizioni
dei paragrafi 4 e 5 dell’art. 5 dell’Accordo SPS, cioè minimizzando gli effetti
negativi sul commercio internazionale, e soprattutto evitando di attuare
distinzioni arbitrarie o ingiustificate nei livelli di protezione che ritengono
appropriati in situazioni diverse. Gli Stati Uniti hanno contestato proprio la
violazione di queste disposizioni, affermando che la mancata fissazione, da
parte delle direttive comunitarie, di limiti ai residui di ormoni naturali
endogeni (ossia quelli naturalmente prodotti dai bovini) di cui può trovarsi
traccia nelle carni, unita alla mancanza di un analogo divieto di
somministrazione di ormoni per scopi terapeutici o zootecnici per i suini, non
solo costituiscono una discriminazione arbitraria e ingiustificata violando il
par. 5 dell’art. 5, ma si risolvono anche in una restrizione dissimulata al
commercio internazionale vietata dal par. 4 dello stesso articolo. Il panel nel
suo rapporto finale ha completamente accettato tale tesi, affermando che la
mancata osservanza delle disposizioni dell’art. 5 in materia di valutazione e
gestione del rischio, non consentiva alla CE la giustificazione di misure
eccezionali in base al par. 3 dell’art. 3, comportando dunque una violazione
dell’obbligo di armonizzazione disposto dall’art. 3 par.1.
Stati Uniti e Comunità europea sono entrambe ricorsi all’Organo d’appello
rispettivamente un mese e due mesi dopo la sentenza del panel dell’agosto 1997,
per ottenere la modifica di alcune decisioni. L’Organo d’appello, pur
dichiarando egualmente illegittime le misure adottate dalla CE, nel suo giudizio
si è discostato in diversi punti dal rapporto del panel. Il primo punto sul
quale si è trovato in contrasto con il panel, è stato proprio il risultato
finale della sua analisi, vale a dire la violazione degli obblighi di
armonizzazione disposti dall’art. 3 par. 1. L’Organo d’appello ha affermato che
l’obiettivo dell’armonizzazione delle misure SPS non costituisce un obbligo
giuridico, ma piuttosto una disposizione di carattere programmatico e dunque ha
una portata non così strettamente vincolante come quella che deriva
dall’interpretazione del panel. Ciò sembra avvalorato dal fatto che sebbene gli
standards fissati dal Codex alimentarius siano citati dall’Accordo SPS, nel caso
i Membri avessero inteso darvi un valore vincolante lo avrebbero esplicitamente
indicato nel testo dell’accordo, e di conseguenza non sarebbe stata necessaria
la costituzione di un Comitato per l’armonizzazione disposta invece dall’art. 12
par. 1103. In
secondo luogo l’Organo d’appello, ha affermato che la conformità delle misure
SPS adottate dai membri con le normative internazionali, non richiede un
rapporto di identicità ma solo che le misure messe in atto siano ispirate alle
regolamentazioni internazionali in materia.
Molto importante per quel che riguarda l’attribuzione dell’onere della prova, è
stato il giudizio in merito al par. 3 dell’articolo sull’armonizzazione, che non
può, secondo l’Organo d’appello, ritenersi un’eccezione alle disposizioni del
primo paragrafo, in quanto, come abbiamo appena spiegato, questo non comporta
per i Membri nessun obbligo giuridico vincolante. Tale affermazione ha permesso
dunque di rovesciare l’attribuzione dell’onere della prova stabilita dal panel,
che basandosi su una prassi ormai affermata, aveva disposto che dovesse essere
in primo luogo la Comunità europea a motivare le misure adottate, in quanto
derogatorie alle disposizioni dell’Accordo. I giudici hanno sancito che in un
primo momento l’onere della prova ricadesse sugli Stati Uniti, i quali avrebbero
dovuto motivare il loro ricorso, e solo in seguito la CE sarebbe stata chiamata
a rispondere alle accuse, provando la legittimità delle misure adottate in base
all’Accordo SPS104.
Molto importante è stato il giudizio dell’Organo d’appello in merito
all’interpretazione data dal panel della procedura di valutazione del rischio
disposta dall’art. 5. I giudici hanno rigettato la netta distinzione attuata dal
panel tra valutazione e gestione del rischio105,
che aveva definito la prima come una procedura di carattere esclusivamente
scientifico, e la seconda di carattere unicamente politico. L’Organo d’appello
ha affermato nel suo rapporto che la valutazione del rischio non può essere
intesa solo come valutazione di risultati ottenuti in laboratorio in presenza di
condizioni artificialmente ricreate, ma deve prendere in considerazione i
potenziali rischi che si presentano nel mondo reale “dove la gente vive, lavora
e muore106”.
L’importanza di tale affermazione va, a nostro avviso, al di là del singolo caso
della carne agli ormoni, segnando un passo fondamentale nel processo di
acquisizione di quella flessibilità che dovrebbe essere la linea guida di tutte
le decisioni inerenti l’attuazione di politiche commerciali finalizzate alla
tutela ambientale. Tale elasticità di approccio è stata del resto confermata
dall’ulteriore riconoscimento dell’applicazione del principio precauzionale,
contenuto nel rapporto. In esso si afferma che la valutazione del rischio non
deve essere basata sulle opinioni della maggioranza della comunità scientifica,
potendo anche seguire un parere di minoranza, in particolar modo quando tale
rischio rappresenti un “pericolo imminente per la vita o la salute pubblica107”.
Il giudizio conclusivo del panel, infine ha ammesso la validità di misure
differenziate nelle diverse situazioni invocate dagli USA, concludendo dunque
che tali misure non risultano discriminatorie e di conseguenza non costituiscono
una restrizione dissimulata al commercio internazionale.
Contrariamente a quanto tali premesse potrebbero far pensare, l’Organo d’appello
pur non accogliendo le motivazioni del panel inerenti la violazione dell’art. 3
par. 1 in merito agli obblighi di armonizzazione, ha confermato l’illegittimità
delle misure comunitarie. L’Organo d’appello ha motivato la sua decisone con la
mancata osservanza del requisito essenziale dell’attività di valutazione e
gestione del rischio da parte della CE, ossia dell’esistenza di un legame
effettivo delle politiche di protezione messe in atto, con le prove scientifiche
che ne hanno ispirato l’adozione. I giudici hanno contestato alla CE di aver
preso in considerazione, nell’attuare le proprie direttive, solo quella parte di
documentazione inerente ad una somministrazione di ormoni non avvenuta secondo
una buona condotta veterinaria, non mostrando così un legame oggettivo e
razionale tra le misure adottate e la totalità dei dati raccolti in fase di
valutazione del rischio.
Al di là delle considerazioni sul caso di specie, si può sicuramente affermare
che il rapporto dell’Organo d’appello, ha fornito delle precise linee guida, in
merito a quello che abbiamo già indicato come l’elemento fondamentale per il
legittimo ricorso a misure sanitarie e fitosanitarie con livelli di protezione
più elevati di quelli internazionalmente riconosciuti, ossia una equilibrata
valutazione del rischio. Il criterio di flessibilità adottato dai giudici in
materia di valutazione del rischio, ha un’importanza che va al di là del singolo
Accordo SPS, in quanto costituisce senz’altro la via più indicata per ottenere
risultati importanti nel perseguimento del giusto equilibrio tra protezione
ambientale e libertà di commercio internazionale108.
È incoraggiante che tale indicazione sia avvenuta proprio in merito
all’applicazione dell’Accordo SPS, che in futuro, grazie al continuo espandersi
della biotecnologia nella produzione del cibo, potrebbe essere spesso invocato
per giustificare l’adozione di misure commerciali restrittive.
* dott. M. Vita,
cultore della materia in Diritto internazionale e Diritto dell'Unione europea,
Università della Tuscia.
** avv. prof. D. Liakopoulos, prof. a contratto in Diritto
internazionale e Diritto dell'Unione europea, Università della Tuscia
1 Vedi sull’argomento a scelta: COCCIA, voce: GATT, in Digesto
delle discipline pubblicistiche, VII, Torino, 1991, pp. 3 ss. PETERSMANN, The
transformation of the world trading system through the 1994 agreement
establishing the World Trade Organization, in European journal of international
law, 1995, pp.162 ss. DILLON, The World Trade Organization: A new legal order
for world trade?, in Michigan journal of international law, 1995, pp. 404 ss.
QURESHI, The World Trade Orgganization. Implementing international trade norms,
Manchester and New York, 1996. BEVIGLIA ZAMPETTI, Dall’accordo generale sulle
tariffe ed il Commercio all’Organizzazione Mondiale del Commercio, in Giardina,
Tosato (a cura di), Diritto del commercio internazionale, Giuffrè, 1996, pp. 3
ss. RUTTLEY, MACVAY, GEORGTE (ed. By), The WTO and international trade
regulation, London, 1998. JACKSON, The World Trade Organization: Constitution
and jurisprudence, Klondon, 1998. KRUEGER, The WTO as an international
organization, London, 1998. BELLIS, La politique de la concurrence et l’Organisation
Mondiale du Commerce, in Mèlanges en honneur de Michael Waelbroeck, Bruxelles,
Bruylant, 1999, pp. 740 ss. ESPOSITO, L’Organizaciòn Mundial del Commercio y los
particulares, Madrid, Dykinson, 1999. FLORY, L’Organisation mondiale du commerce:
droit institutionnel et substancielle, Paris, 2000. VENTURINI (a cura di),
L’Organizzazione Mondiale del Commercio, Giuffrè, 2000, pp. 113 ss. WTO
SECRETARIAT, From GATT to the WTO: The multilateral trading system in the new
millennium, Den Haag, Kluwer Law International, 2000. O’ROURKE, The
international trading system, globalization and history, Edward Elgar publishing,
2005. SCISO, Appunti di diritto internazionale dell'economia, ed. Giappichelli,
2007.
2 OECD, Conceptual Framework for PPM Measures, in Trade and the
Enviroment: Process and Production Methods, Paris, 1994, p. 149 ss.
3 WTO SECRETARIAT, From GATT to the WTO. The mulitlateral
trading system in the new millennium, op. cit.
4 CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, ultima edizione, pp.
193-199.
5 COMBA, Il neo liberalismo internazionale, Giuffrè, 1995.
6 CARRARO, Governing the global environment, Edward Elgar
publishing, 2003.
7 MARCHISIO, Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto
internazionale, in MARCHISIO, RASPADORI, MANEGGIA (a cura di), Rio cinque anni
dopo, Milano, 1998, pp. 64.
8 RUGMAN, GAVIN, The World Trade Organization in the new global
economy. Trade and investment issues in the new millennium round, Edward Elgar
publishingg, 2001.
9 L’evoluzione verificatasi nel diritto internazionale per quel
che concerne i limiti alla libertà di sfruttamento delle risorse naturali degli
Stati, che debbono essere rispettati alla luce degli obblighi di carattere
intergenerazionale e nell’ottica del principio dello sviluppo sostenibile, può
essere facilmente valutata confrontando il contenuto della norma appena
esaminata, con quello dell’art. 2 par. 1 della Carta dei diritti e doveri
economici degli Stati, adottata con la Risoluzione dell’Assemblea generale n.
3821 (XXIX) del 12 dicembre 1974. Tale articolo afferma, infatti: “(…) ogni
Stato possiede ed esercita liberamente una sovranità completa e permanente su
tutte le sue ricchezze, risorse naturali e attività economiche, compresi il
possesso e il diritto di utilizzarle e di disporne (…)”. Un’applicazione così
rigida del principio della sovranità permanente dello Stato sulle risorse
naturali situate nel suo territorio, appare oggi anacronistica in quanto non
tiene conto di una prassi normativa e giurisprudenziale ormai consolidata, e per
questo motivo è sostenuta solo da un ristretto numero di autori. Cfr. in merito
CONFORTI, Diritto internazionale, op. cit., pp. 239.
10 FRANCIONI, La tutela dell’ambiente e la disciplina del
commercio internazionale, in Atti della S.I.D.I, Napoli, 1998, pp. 160 ss.
11 CHARNOVITZ, Exploring the Enviromental exception in GATT
article XX, in Journal of World Trade, 1991, pp. 39 ss.
12 KLABBERS, Jurisprudence in international trade law, article
XX of GATT, in Journal of World Trade, 1992, pp. 70 ss.
13 “Each contracting party could unilaterally determine the
life or healt protection policies from which other contracting parties could not
deviate without jeopardizing their rights under the GATT”. Par. 5.27 del
rapporto.
14 MIGLIORINO, Le eccezioni “ambientali” ai principi del GATT
nella prassi dei panels, in Diritto del commercio internazionale, 1997, pp. 674
ss.
15 Il rapporto del panel adottato nel giugno 1994, è riprodotto
in International Legal Materials, 1994, pp. 839 ss.
16 Gli esperti hanno indicato lo scopo principale della misura
dottata dagli USA: “(…)to force other countries to change their policies with
respect to person or things within their own jurisdictions, and requiring such
changes in order to be effective (…)”. Par. 5.27 del rapporto.
17 FARINELLI, Sul ricorso a misure di politica commerciale per
la tutela dell’ambiente: Dopo il tonno messicano quello comunitario, in Rivista
di diritto internazionale, 1994, pp. 403 ss.
18 Par. 5.17 del rapporto.
19 Par. 5.20 del rapporto.
20 La CITES (Convention on International Trade in Endagered
Species of Wild Flora and Fauna), è stata conclusa il 6 marzo 1973, ed è entrata
in vigore il 1° luglio 1975.
21 United States Public Law, No. 101-162, Section 609, 1989.
22 KACZKA, A Primer on the Shrimp-Sea Turtles Controversy, in
Review of European Comunity and International Enviromental Law, 1997, pp. 171.
Il testo della Sez. 609 prevede la possibilità della certificazione anche con
altri metodi di pesca che non implichino l’uso di TEDs, come ad esempio i metodi
di pesca artigianale.
23 Le reti per i gamberetti intrappolano ed uccidono ogni anno
fino a 55.000 tartarughe protette. La pesca dei gamberetti costituisce per le
tartarughe il maggior pericolo tra quelli derivanti dall’uomo. SFORZA, WALLACH,
WTO: Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, Milano,
Feltrinelli, 2002.
24 Judgement Earth Island Istitute vs. Warren Christoper et
al., 1995, 913 F. Supp. 559.
25 HOWSE, The Turtles Panels: Another Enviroment Disaster in
Geneva, in Journal of World Trade, 1998, pp. 92 ss.
26 BURGUÉS, MUGURUZA, Case Notes: WTO’s Shrimp-Sea Turtle
Decision, in Review of European Comunity and International Enviromental Law,
1998, p. 309.
27 “(…) We are of the opinion that the chapeau of artiche XX,
interpreted within its context and in the light of object and purpose of GATT
and of WTO Agreement, only allows Members to derogate from GATT provison so long
as , in doing so, they do not undermine the WTO multilateral trading system,
thus also abusing the exceptions contained in article XX.” Par. 7.44 del
rapporto. Riferendosi all’eventuale proliferazione di misure unilaterali sui
PPMS il par. successivo afferma: “(…) it would rapidly lead to the end of the
WTO multilateral trading system” Par. 7.45 del rapporto.
28Par. 7.50 del rapporto.
29 Il Principio di precauzione è parte del diritto ambientale
internazionale. In breve, il principio afferma che, anche quando non vi sia
certezza scientifica, misure precauzionali debbano essere prese specialmente
quando i rischi siano potenzialmente alti e i costi del prendere tali misure
siano relativamente bassi. L’adozione di tale principio è prevista dal Principio
15 della Dichiarazione di Rio che afferma: “Al fine di proteggere l’ambiente,
gli Stati applicheranno largamente il principio precauzionale. In caso di
rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica
assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l’adozione di misure adeguate
ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado
ambientale (…)”. Cfr. SCOVAZZI, Sul principio di precauzionale nel diritto
internazionale dell’ambiente, in Rivista di diritto internazionale,1992, pp.
699-705. TROUWBORST, Evolution and status of the precautionary principle in
international law, Series: International environmental law and policy review,
The Hague, London, Kluwer Law International, 2002.
30 DEMARET, BELLIS JIMENEZ, Regionalism and multilateralism
after the Uruguay Round, Liège, 1997.
31 PARENTI, Restrizioni unilaterali a carattere ambientale e
disciplina dell’OMC: L’embargo statunitense all’importazione di gamberetti, in
Rivista giuridica dell’ambiente, 2000, pp. 384.
32 “The means and the ends relationship between Section 609 and
the legitimate policy of conserving an exaustible, and infact, endangered
species, is observably a close and real one”. Par. 141 del rapporto.
33 PARENTI, Restrizioni unilaterali a carattere ambientale e
disciplina dell’OMC: L’embargo statunitense all’importazione di gamberetti, op.
cit. pp. 385.
34 “(...) requires other WTO Members to adopt a regulatory
program that is not comparable, but rather essentially the same, as that applied
to Unisted States shrimps trawl vessels.” Par. 163 del rapporto.
35 Il Principio 12 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e
lo sviluppo oltre ad affermare che “Le misure di politica commerciale a fini
ecologici non dovranno costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o
ingiustificata o una restrizione dissimulata al commercio”, sancisce che “si
dovrà evitare ogni azione unilaterale diretta a risolvere i grandi problemi
ambientali al di fuori della giurisdizione del paese importatore. Le misure di
lotta ai problemi ecologici transfrontalieri o mondiali dovranno essere basate,
per quanto possibile su un consenso internazionale”. Un medesimo giudizio
negativo sulle TERMS unilaterali è inoltre previsto nel Capitolo 2 (par. 22)
dell’Agenda 21 che si occupa specificamente della relazione tra tutela
dell’ambiente e commercio internazionale. Occorre rilevare come i lavori della
Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 per quel che concerne la tematica libero
commercio-ambiente, e l’attuazione di TERMS unilaterali, sono stati decisamente
influenzati dalla prima sentenza del panel sul tonno messicano, che ha
fermamente respinto l’applicazione di tali misure unilaterali, classificandole
come un pericolo al sistema di libero scambio internazionale. In merito cfr.
FARINELLI, Sul ricorso a misure di politica commerciale, op. cit., 1994, pp.
401.
36 Par. 165 del rapporto.
37 Ad esempio, uno Stato che decidesse di proibire
l’importazione di palloni da calcio prodotti in Pakistan da bambini che lavorano
in condizioni di sopruso, come è stato riconosciuto dall’OIL (Organizzazione
Internazionale del Lavoro), potrebbe vedere la sua decisone sanzionata da un
panel OMC. Cfr.SFORZA, WALLACH, WTO, op. cit., pp. 39.
38 Japan-Custom Duties, Taxes and Labelling Practices on
Imported Wines and Alchohlic Beverages, 10 novembre 1987, GATT B.I.S.D. (Basic
Instruments and Selected Documents) Par. 5.6 del rapporto.
39 Japan-Custom Duties, Taxes and Labelling Practices on
Imported Wines and Alchohlic Beverages, 4 ottobre 1996, Appellate Body Report,
Par. 21 del rapporto.
40 SCHOENBAUM, International Trade and protection of the
environment: The continuing search for reconciliation, in American journal of
international law, 1997, pp. 290 ss.
41 SCHLAGENHOF, Trade Mesures Based on Enviromental Processes
and Production Methods, in Journal of World Trade, 1995, pp. 130.
42 LUCCHINI, La posizione dei paesi in via di sviluppo negli
accordi dell’Uruguay round, in Sacerdoti, Venturini (a cura di), La
liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia,
Giuffrè, 1997, pp. 103 ss.
43 MOTAAL, Trade and Enviroment in the World Trade Organization:
Dispelling Misconceptions, in Review of European Comunity and International
Enviromental Law, 1999, pp. 330.
44 ADHIKARI, ATHUKORALA, Developing countries in the world
trading system. The Uruguay round and beyond, Edward Elgar publishing, 2002.
45 MARCHISIO, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in
Rivista di diritto Internazionale, 1992, pp. 600.
46 Il Principio 11 afferma: “(…)Gli standards applicati da
alcuni paesi possono essere inadeguati per altri paesi, in particolare per i
paesi in via di sviluppo, e imporre loro un costo economico e sociale
ingiustificato”
47 REGE, GATT Law and Environment Related Issues Affecting the
Trade of Developing Countries, in Journal of World Trade, 1994, p. 118. L’autore
riporta una affermazione di Jagdish Bhagwati in un intervista rilasciata
dall’economista nel 1993: “(…) You could certainly compensate the Country whose
trading rights (i.e. access to your market) are being denied or suspendend by
offering other concession or (in the odd manner of GATT procedures) having the
other country withdraw some equivalent concession of her own to you or, better,
through cash compensation for the gains from trade lost by the country (…)”.
48 Cfr. PICONE, SACERDOTI, Diritto internazionale
dell’economia, Milano, pp. 985 ss.
49 Nega l’esistenza di una norma di diritto internazionale
generale in materia, che riconosca ai PVS una situazione giuridica soggettiva di
siffatto contenuto rispetto ai paesi industrializzati MARCHISIO, voce: Sviluppo
(cooperazione per lo), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, pp. 1559.
50 SCHLAGENHOF, Trade Mesures Based on Enviromental Processes
and Production Methods, in Journal of World Trade, 1995, pp. 127.
51 Un esempio di tali misure è fornito dal Regolamento CEE
3254/91 che proibisce l’importazione di pellami o manufatti che provengano da
paesi dove si pratica il metodo di cattura di animali da pelliccia per mezzo di
tagliole. L’adozione di questo regolamento ha suscitato le reazioni di Canada e
Stati Uniti, con la minaccia da parte dei primi di un ricorso al GATT. La
Commissione europea, consapevole delle scarse probabilità di ottenere un
giudizio favorevole sulla questione in ambito GATT, nel 1995 (data prevista per
l’applicazione del Regolamento) ha deciso di concedere una moratoria di un anno,
in seguito rinnovata l’anno successivo. Nel 1997 è stato stipulato un Accordo
con Canada e Russia, mentre nello stesso anno si è giunti, dopo diverse
schermaglie, ad una soluzione di compromesso con gli Stati Uniti, che prevede
l’abolizione del metodo di cattura con tagliole per dodici specie di animali
entro sei anni, durante questo periodo gli USA potranno continuare ad esportare
in Europa. Cfr. SFORZA,WALLACH, WTO, op. cit. pp. 51.
52 PARENTI, Restrizioni unilaterali a carattere ambientale e
disciplina dell’ONC: L’embargo statunitense all’importazione di gamberetti, op.
cit., pp. 388.
53 KACZKA, A Primer on the Shrimp-Sea Turtles Controversy, in
Review of European Comunity and International Enviromental law, 1997, pp. 176.
54 TARULLO, Norms and institutions in global competition
policy, in American journal of international law, 2000, pp. 480 ss.
55 In merito ai vantaggi e gli eventuali svantaggi che posso
derivare dal cosiddetto free riding si veda MUNARI, La libertà degli scambi
internazionali e la tutela dell’ambiente, in Rivista di diritto internazionale,
1994, pp. 412 ss.
56 Un esempio tipico di tale divieto sono i semi-conduttori ed
altri componenti elettronici, i quali pur non contenendo CDCs, vengono puliti
con queste sostanze.
57 CHARNOVITZ, Exploring the Enviromental, op. cit., pp. 54. In
merito all’applicazione delle disposizioni in materia di protezione
dell’ozonosfera v. anche TAMBURELLI, Gli atti internazionali sulla protezione
dell’ozono stratosferico e la loro esecuzione in Italia, in Rivista di diritto
internazionale, 1994, pp. 675-724. LIAKOPOULOS, L’obbligo di informazione e
cooperazione internazionale per la riduzione dell’inquinamento dello strato di
ozono, in Rivista Gazzetta ambiente, 2005. LIAKOPOULOS, La protezione di
ozonosfera secondo le regole internazionali, ed. University Studio Press, 2004,
Thessaloniki, (in lingua greca).
58 PARENTI, Restrizioni unilaterali a carattere ambientale, op.
cit., pp. 389.
59 ADHIKARI, ATHUKORALA, Developing countries in the world
trading system. The Urruguay round and beyond, op. cit. AWUKU, How do the result
of the Uruguay round affect the North-South trade, in Journal of world trade,
1994, pp. 75 ss. LA NASA, Rules of origin and the Uruguay round’s effectiveness
in harmonizing and regulating them, in American journal of international law,
1996, pp. 625 ss. DEMARET, BELLIS, GARCIA JIMENEZ, Regionalims and
multilateralism. After the Uruguay round, Liège, 1997.
60 BERCERO, AMARASINHA, Moving the trade and competition debite
forward, in Journal of international economic law, 2001, pp. 482 ss.
61 CHARNOVITZ, Exploring the Environmental, op. cit., pp. 47.
62 Nega la possibilità di un’interpretazione dell’art. XI del
GATT 1994 che possa comprendere anche il divieto degli ostacoli tecnici, in
quanto si tratta di una formulazione troppo generica COMBA, Il neo liberalismo,
Giuffrè, 1995, pp. 181.
63 Art. 3 dell’Allegato 1 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici
agli scambi.
64 FLORY, L’organisation mondiale du commerce: Droit
istitutionnel et substantielle, Paris, 2000, pp. 84.
65 Art. 2 par.1 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli
scambi.
66 Art. 2 par. 4 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli
scambi.
67 Con il termine relativa tecnologia di processo nell’Accordo
si indicano i processi e i metodi produttivi usati per ottenere il prodotto.
68 Art. 2 par. 2 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli
scambi.
69 REGE, GATT Law and Enviroment Related Issues Affecting the
Trade of Developping Countries, in Journal of World Trade, 1994, pp. 105.
70 La prima versione dell’attuale Accordo sugli ostacoli
tecnici agli scambi prevedeva che l’art. 2.2 dovesse intendersi come contenente
un “proportionality test” volto a determinare se le norme adottate costituissero
degli indebiti ostacoli al commercio. Tale previsione fu stralciata nella parte
finale del negoziato, pur non apportando alcuna modifica all’art. 2.2.
71 MONTINI, The Nature and Function of the Necessity and
Proporcionality Principles in The Trade and Environment Context, in Review of
European Comunity and International Enviromental Law, 1997, pp. 121.
72 BESTAGNO, Le clausole di salvaguardia economica nel diritto
internazionale, Giuffrè, 1998.
73 FRANCIONI, La tutela dell’ambiente e la disciplina del
commercio internazionale, op. cit., pp. 164 ss.
74 SCHLAGENHOF, op. cit., pp. 132. FRANCIONI, La tutela
dell’ambiente, op. cit., pp. 165 ss.
75 L’art. 2.7 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi
stabilisce che: “I Membri dovranno essere disponibili ad accettare i regolamenti
tecnici di altri Membri come equivalenti ai propri, ancorché diversi, purché
siano convinti che tali regolamenti raggiungono adeguatamente gli obiettivi dei
propri.”
76 SFORZA, WALLACH, WTO, op. cit., pp. 82.
77 REGE, GATT Law and Enviroment, op. cit., pp. 106.
78 Cfr. The Uruguay Round’s Technical Barriers to Trade
Agreement, in WWF International Research Report, Ginevra, 1993.
79 L’art. 14 par.1 dell’Accordo rimanda per quel che concerne
la formazione dell’organo preposto alla soluzione delle controversie, agli
articoli XXII (Consultazioni) e XXIII (Protezione delle concessioni e dei
vantaggi) del GATT 1994. Il par. 2 dello stesso articolo prevede la possibilità
che il panel sia affiancato da un gruppo di esperti in materie tecniche, il cui
funzionamento è regolato dall’Allegato 2 dell’Accordo. Cfr. FRANCIONI, LENZERINI,
MONTINI, Organizzazione mondiale del commercio e diritto della Comunità europea
nella prospettiva della risoluzione delle controversie, Giuffrè, 2005.
80 REGE, GATT Law and Enviroment, op. cit., pp. 109.
81 La netta separazione dei campi di applicazione dei due
Accordi TBT e SPS è sancita dall’art.1 par. 5 dell’Accordo sugli ostacoli
tecnici agli scambi che afferma: “Le disposizioni del presente Accordo non si
applicano alle misure sanitarie e fitosanitarie, quali definite nell’allegato A
dell’Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie”.
82 Allegato A, par. 1 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie.
83 “The SPS measures are defined as measures taken for the
protection of animal or plant life or healt within the territory of the country
taking the measure. The Agreement thus makes it clear that a country is not
entlited to adopt SPS measures wich have restrictive effects on trade, where, in
its view, such measures are necessary to protect animal or plant life or healt
in other countries”. REGE, GATT Law and Enviroment, op. cit., pp. 106 ss.
84 Art. 3 par.1 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie.
85 Art. 2 par.4 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli
scambi.
86 Art. 2 par.1 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie.
87 Art. 5 par.3 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie.
88 Art. 5 par.4 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie.
89 Art. 5 par.7 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie.
90 Commission of the European Communities, Communication From
the Commission on the Precautionary Principle, Brussels, 2000, pp. 11-13.
91“Hence, each Member of the WTO has the independent right to
determine the level of environmental or health protection they consider
appropriate. Consequently a member may apply measures, including measures based
on the precautionary principle, which lead to a higher level of protection than
that provided for in the relevant international standard or recommendations. The
Agreement on the Application of Sanitary and Phytosanitary Measures (SPS
Agreement) clearly sanctions the use of the precautionary principle, although
the term itself is not explicitly used”. Commission of the European Communities,
Communication from the Commission on the Precautionary Principle, Brussels,
2000, pp.11.
92 Risposta della Commissione all’interrogazione scritta
E-0321/00 di Dana Scallon (PPE-DE), in GUE del 21 novembre 2000 L. 124.
93 HIPPLER BELLO, The WTO dispute settlement undestanding: Less
is more, in American journal of international law, 1996, pp. 418 ss. JACKSON,
The WTO dispute settlement undestanding-misunderstanding on the nature of legal
obligation, in American journal of international law, 1997, pp. 60 ss.
94 Le direttive contestate sono le seguenti: 81/602 del 31
luglio 1981 (in GUCE del 7 agosto 1981 L. 222, p. 32 ss.), che vieta
l’utilizzazione di sostanze ad azione tireostatica, estrogenica, androgenica e
gestagenica, ad eccezione di tre ormoni naturali (estradiolo-17, testosterone e
progesterone) e due ormoni sintetici (zeranol e trenblone); 88/146 del 7 marzo
1988 (in GUCE del 16 marzo 1988 L. 70, p. 16 ss.), che vieta l’utilizzo anche
delle cinque sostanze indicate; 88/229 del 17 maggio 1988 (in GUCE del 21 maggio
1988 L. 128, p. 36 ss.). Queste tre direttive sono state successivamente
sostituite dalla direttiva unica 96/22 del 29 aprile 1996 (in GUCE del 23 maggio
1996 L. 125, p. 3 ss.), che rafforza il divieto di somministrazione di sostanze
ormonali non solo a scopi alimentari, ma anche zootecnici e terapeutici ed
amplia gli obblighi in materia di controllo e d’esame.
95 Per un esame delle fasi della controversia antecedenti alla
costituzione dell’OMC cfr. MENG, The Hormone Conflict Between the EEC and the
United States Within the Contest of GATT, in Michigan Journal of International
Law, 1990, pp. 816 ss.
96 Il DSB è costituito dal Consiglio generale dell’OMC nella
sua veste di organo per la soluzione delle controversie. A differenza di quanto
avveniva nel GATT 1947, l’Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano
la risoluzione delle controversie conclusa nel corso dell’Uruguay round ha
attribuito al Consiglio generale una competenza generale per tutte le
controversie che si manifestano nell’ambito di applicazione di tutti gli accordi
e le intese previste nell’atto finale dell’Uruguay round. Pertanto tale organo
rimane l’unico organo competente a costituire i gruppi speciali di esperti (panels),
ad adottare i loro rapporti, ed esercitare la sorveglianza per l’esecuzione
delle decisioni e delle raccomandazioni, nonché ad autorizzare le misure
adeguate in caso di mancato adempimento alle obbligazioni contenute nelle
decisioni o raccomandazioni dei panels. Cfr. PERONI, Il commercio internazionale
dei prodotti agricoli nell’accordo WTO e nella giurisprudenza del dispute
settlement body, Giuffrè, 2005.
97 Nel ricorso USA si contestava anche la violazione di
disposizioni contenute in tre altri accordi, in particolare degli articoli III e
XI GATT 1994, dell’art. 2 dell’Accordo TBT, e dell’art 4 dell’Accordo
sull’agricoltura. Cfr. McMAHON, Trade and agricolture, Cameron May, England,
2001. MOTAAL, Trade and environment in the World Trade Organization: Dispelling
misconceptions, in Review of European Community and International Environmental
Law, 1999, pp. 330 ss.
98 Al pari dell’Accodo TBT anche l’Accordo SPS menziona al suo
interno (art. 4 par. 3) gli organismi internazionali riconosciuti autorizzati ad
emanare normative internazionali alle quali gli Stati parti debbono adeguarsi.
Tali organismi sono: la Commissione del Codex alimentarius, l’Ufficio
internazionale delle epizoozie e le organizzazioni nazionali e regionali
operanti nel quadro della Convenzione internazionale per la difesa dei vegetali.
RAO, The World Trade Organization and the environment, Macmillan press, 2000.
99 La Commissione del Codex Alimentarius è stata incaricata
dell’elaborazione di schemi normativi in materia di definizioni e requisiti
alimentari, nel quadro di un progetto di collaborazione tra la FAO e l’OMS per
la formulazione di un programma misto sulle norme alimentari. Il programma di
uniformazione degli standards alimentari persegue il duplice obiettivo di
proteggere la salute dei consumatori, e di favorire il commercio internazionale
dei prodotti alimentari. Tali standards sono adottati in base ad una complessa
procedura che si conclude con l’accettazione o con il rigetto da parte degli
Stati membri della FAO e dell’OMS, e la loro pubblicazione nel Codex “quando la
Commissione lo reputi opportuno”. La produzione normativa della Commissione del
Codex consiste dunque nell’emanazione di atti in se non vincolanti per i
destinatari, ma che, nel caso siano accettati, comportano, per la loro
esecuzione, l’adozione di determinate normative interne. L’emanazione delle
norme interne da parte degli Stati non costituisce in ogni modo l’oggetto delle
raccomandazioni adottate dalla Commissione, e la stessa flessibilità della
procedura di accettazione degli standards, non consente di supporre che le
dichiarazioni degli Stati siano elementi costitutivi di un accordo collettivo,
unica via per la quale si potrebbe ritenere gli Stati vincolati all’esecuzione
degli standards nei rispettivi ordinamenti interni. In merito cfr. MARCHISIO,
voce: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(FAO), in Enciclopedia del diritto, vol. XXXI, Giuffrè, 1981, pp. 311-313.
100 SCHOENBAUM, International trade and protection of the
environment: The continuing search for reconciliation, in American journal of
international law, 1997, pp. 270 ss. ALÁI, Judicial lobbying at the WTO: The
debate over the use of amicus curiae briefs and the U.S experience, in Fordham
international law journal, 2000, pp. 67 ss.
101 GOH, ZIEGLER, A Real World Where People Live and Work and
Die: Australian SPS Measures After the WTO Appellate Body’s Decision in the
Hormon Case, in Journal of World Trade, 1998, pp. 276.
102 ADINOLFI, La soluzione delle controversie nell’OMC ed il
contenzioso eurostatunitense, in VENTURINI (a cura di), L’Organizzazione
Mondiale del Commercio, Milano, 2000, pp. 198.
103 L’Art. 12 par.1 dell’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie stabilisce che: “È istituito un comitato misure sanitarie e
fitosanitarie quale stabile sede di consultazioni. Esso svolge le funzioni
necessarie per attuare le disposizioni del presente accordo e promuovere il
perseguimento dei suoi obiettivi, con particolare riguardo per l’armonizzazione.
Il Comitato prende le sue decisioni per consensus (…)”.
104 GOH, ZIEGLER, A Real World, op. cit., pp. 286 ss.
105 GOH, ZIEGLER, A Real World, op. cit., pp. 287. ADINOLFI,
La soluzione delle controversie nell’OMC ed il contenzioso eurostatunitense, in
Venturini (a cura di), op. cit. pp. 201 ss.
106 Secondo il Par. 187 del rapporto: “the risk that has to be
valutated (...) is not only the risk ascertainable in a science laboratory
operated under strictly controlled conditions, but also risk in human societies
as they actually exist, in other words actual potential for adversew effects on
human health in the real world where people live and work (…)”
107 Par. 194 del rapporto.
108 GOH, ZIEGLER, A Real World, op. cit., pp. 288.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 09/02/2008