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Sulla inderogabilità dei limiti statali da inquinamento elettromagnetico

 

Nota a Cons. Stato n. 1159/2008

AVV. PRIMO MICHELIAN*
 

 



La decisione della Sez. IV del Consiglio di Stato n°1159/08 pone la parola fine sul conflitto "elettromagnetico" tra Stato e Regione Veneto che aveva ad introdurre con la L.R. n°. 27 del 1993 limiti di tutela da campi elettromagnetici generati da elettrodotti di più severa e rigorosa salvaguardia rispetto a quelli stabiliti dallo Stato con D.P.C.M. dell' 8 luglio 2003, in attuazione della legge quadro.
Dopo aver affermato la legittimazione ad intervenire per la prima volta in appello di una ONLUS (precisamente l'associazione CO.NA.CEM.) che aveva la finalità statutaria della tutela della salute da pregiudizio derivante da esposizione a campi elettromagnetici, i giudici di Palazzo Spada premettono, richiamando puntualmente la precedente sentenza della Corte Costituzionale n°. 222/07 secondo cui non era intervenuto alcuno sconfinamento di attribuzione del TAR Veneto a ritenere abrogata la L.R. 27/93, che il novellato art.117 Cost. come pure le disposizioni dell'art.1 della L.131/03 c.d. "legge La Loggia", non ha mutato i rapporti tra Stato e Regioni in materia di legislazione regionale concorrente.
Questa deve sempre adeguarsi ai principi fondamentali delle leggi dello Stato che sono anche quelli desumibili dalle leggi statali vigenti.
Ne consegue l'attuale applicabilità dell'art.10 della L. n°. 62 del 1953 "c.d. legge Scelba", in forza del quale la modifica dei principi fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente comporta la abrogazione delle norme regionali contrastanti, come la L.R. 27/93 e quindi la "cedevolezza di tutte le norme regionali di fronte alle norme di principio che siano fissate dallo stato nella stessa materia" .
Ma quel che appare rilevante nella presente decisione è la statuizione sulla immediata operatività delle norme statali anche se più permissive rispetto ai limiti dettati dalle Regioni in materia valori soglia da elettrodotti ed in particolare dalla L.R. Veneto n°. 27 del 1993.
Il Supremo Collegio Amministrativo si allinea così alla posizione assunta dalla Corte Cost. con le precedenti sentenze n°. 307/2003 e n°. 331/2003, secondo cui è stata ribadita l'esigenza di concreta prevalenza delle norme statali recanti standard di protezione da inquinamento elettromagnetico con fissazione delle soglie di esposizione ammissibili nel "preminente interesse nazionale alla definizione dei criteri unitari e di normative omogenee".
La legge regionale Veneto n°.27 del 1993, pertanto, pur essendo afferente la particolare materia del governo del territorio, come dichiarato con sentenza della Corte Costituzionale n°.382/99, non prevale sulla materia di esclusiva pertinenza statale di protezione da inquinamento elettromagnetico.
L'eventuale sacrificio del libero esercizio di lecite attività economiche ed imprenditoriale non può essere limitato od impedito se non in presenza di superiori e preminenti esigenze di interesse pubblico, che siano state accertate sulla base di dati scientifici generalmente riconosciuti in materia.
Per l'effetto statuisce con fermezza il Consiglio di Stato che sia immediatamente applicabile la disciplina nazionale in vigore in materia di esposizione non solo ai campi elettrici e magnetici ma anche elettromagnetici, come rilevanti per l'elettrodotto in esame.


 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

 

N.1159/2008
Reg. Dec.
N. 6080 Reg. Ric.
Anno 2005
 

DECISIONE


sul ricorso iscritto al NRG 6080/2005 proposto dalla REGIONE VENETO, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Romano Morra e Franca Caprifoglio dell’Avvocatura regionale, nonché dall’avvocato Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;


contro


PANIZZON BRUNO & FIGLI S.N.C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa in giudizio dagli avvocati Primo Michielan e Salvatore Di Mattia ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, Via F. Confalonieri, n. 5;


e nei confronti del
COMUNE DI SCHIO, non costituito;


con l’intervento della
Associazione CO.NA.CEM (ONLUS) Coordinamento Nazionale per la Tutela dai Campi Elettromagnetici, in persona del Presidente legale rappresentante, rappresentata e difesa in giudizio dagli avvocati Francesco Vettori, Enrico Vettori e Mario Alù, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, Via Monte Asolone, n. 8;


per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sezione II, n. 1735 del 21 aprile 2005.


Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio della società intimata;
visto l’atto di intervento dell’associazione suindicata;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 26 febbraio 2008 il consigliere Pier Luigi Lodi e uditi, per le parti, gli avvocati Manzi, Michielan e Vettori;


ritenuto e considerato quanto segue:


FATTO


Con atto notificato il 19 – 22 luglio 2005, ritualmente depositato, la Regione Veneto ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Veneto n. 1735/2005, che aveva respinto il ricorso n. 2804/2001 proposto dalla S.n.c. Panizzon Bruno & Figli, inteso all’annullamento del provvedimento del Comune di Schio in data 13 agosto 2001, relativo al diniego di permesso di costruire; nonché della delibera consiliare del 4 luglio 2001 riguardante una variante generale al P.R.G. relativa alla introduzione di una fascia di rispetto dalla linea elettrica preclusiva delle edificazione; mentre aveva, invece, accolto il ricorso n. 3367/2004 proposto dalla medesima società, inteso all’annullamento del provvedimento del detto Comune in data 26 agosto 2004, relativo al un nuovo diniego di permesso di costruire, nonché del parere espresso in proposito dalla Regione in data 16 agosto 2004.
Il primo giudice aveva respinto il primo ricorso, essendosi ritenuta ancora efficace la normativa regionale applicata nella specie, in attesa del completamento della normativa nazionale dettata in materia dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), come sottolineato anche dalla sentenza della Corte costituzionale 7 ottobre 1999, n. 382.
Il predetto giudice aveva, al contrario, ritenuto illegittimo il successivo diniego in data 26 agosto 2004, basato sulle restrittive prescrizioni regionali in materia di emissioni elettromagnetiche, essendo nel frattempo entrato in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, in attuazione della citata legge n. 36 del 2001, che ha introdotto nuovi valori soglia in proposito, valevoli su tutto il territorio nazionale ed idonei a consentire l’edificazione nel caso in esame.
La Regione appellante, nel contestare queste ultime statuizioni, sostiene che l’anzidetta legge statale prevede soltanto che le Regioni “adeguino” la propria legislazione ai limiti di esposizione, escludendo in tal modo una implicita abrogazione della legislazione regionale, non potendo più trovare applicazione l’art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione, ovvero a seguito dell’entrata in vigore della relativa legge di adeguamento 5 giugno 2003, n. 131.
Si è costituta per resistere in giudizio la summenzionata società ricorrente in primo grado deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Ha spiegato intervento adesivo alle tesi della Regione appellante l’associazione ONLUS CO.NA.CEM (Coordinamento Nazionale per la Tutela dai Campi Elettromagnetici).
Con memoria la società anzidetta ha contestato la legittimazione ad intervenire adesivamente da parte della ONLUS di cui sopra.
L’istanza cautelare presentata dall’Amministrazione regionale è stata respinta, con ordinanza di questa Sezione n. 4509 del 27 settembre 2005, per difetto del requisito del danno.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documenti in vista della discussione del ricorso.
La Regione appellante fa presente, in particolare, che a seguito del ricorso per conflitto di attribuzioni da essa presentato relativamente alla vicenda in questione, la Corte Costituzionale si è pronunciata nel senso che “le doglianze che le parti possono esprimere nei confronti di una pronuncia giurisdizionale dichiarativa dell’avvenuta abrogazione di una norma devono seguire le ordinarie vie predisposte dal sistema delle impugnazioni”.
Da parte della società resistente viene anche riferito che, nel frattempo, il Comune di Schio ha rilasciato il permesso di costruire ed in data 16 maggio 2007 è stato, infine, rilasciato il certificato di agibilità del complesso residenziale realizzato.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 26 febbraio 2008.


DIRITTO


1. - Deve esaminarsi, preliminarmente, l’eccezione sollevata dalla resistente S.n.c. Panizzon Bruno & Figli, relativa alla asserita inammissibilità, per difetto della legittimazione, dell’intervento adesivo della ONLUS CO.NA.CEM (Coordinamento Nazionale per la Tutela dai Campi Elettromagnetici).
L’eccezione si basa sull’assunto secondo cui, in mancanza di una precisa disciplina legislativa in materia, dovrebbe escludersi che l’interesse per legittimare l’intervento del terzo nel giudizio amministrativo si configuri genericamente come finalizzato a perseguire la legittimità dell'azione amministrativa, richiedendosi quanto meno una finalità di tutela di interessi anche di mero fatto, purché oggettivi e concreti. La resistente rammenta, peraltro, che la più recente giurisprudenza amministrativa ha ammesso l'intervento in sede processuale di associazioni, comitati o enti che abbiano per statuto lo scopo della tutela di interessi diffusi o superindividuali, ma sottolinea che occorre, comunque, un collegamento non occasionale con il territorio nel quale si producono gli effetti dell'attività amministrativa considerata, mentre ciò non si verificherebbe nel caso di specie in cui la predetta ONLUS si propone di promuovere genericamente e a livello nazionale la difesa dell'ambiente dalle esposizioni alle emissioni elettromagnetiche, senza tuttavia un radicamento “reale” sul territorio, che potrebbe semmai spettare agli enti “coordinati” con la stessa ONLUS, operanti sul piano locale.


1.1. - La Sezione ritiene che l’eccezione sia da disattendere.
Come sottolineato dalla stessa società resistente la giurisprudenza amministrativa risulta ormai orientata nel senso di ammettere, in effetti, la legittimazione degli organismi associativi ad impugnare (ovvero a contestare in veste di interveniente) atti amministrativi generali, anche a contenuto normativo, ritenuti illegittimi e lesivi degli interessi sostanziali degli associati, in attuazione delle specifiche finalità statutarie di tali organismi; in alcuni casi (come quelli delle associazioni di protezione ambientale) gli organismi in parola, peraltro, proprio ai detti fini di tutela, formano oggetto anche di specifico riconoscimento dell'autorità pubblica (v. tra le tante: Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 2003, n. 2782 ; Sez. IV, n. 14 aprile 2006, n. 2151).
Nel caso di specie è agevole rilevare che le finalità statutariamente perseguite dalla ONLUS in discorso, di tutela della salute e dell'integrità degli esseri viventi nonché dell'ambiente, rispetto al pregiudizio derivante da esposizione a campi elettromagnetici generati artificialmente, costituiscono, invero, idoneo presupposto legittimante per l'attivazione dell’organismo in questione in sede giurisdizionale con riguardo ad una questione che concerne propriamente vicende collegate in modo stretto con tali finalità. Al contrario di quanto affermato dalla società resistente, d'altronde, non trattasi di questioni puramente locali (limitate al territorio del Comune di Schio o della sola Provincia di Vicenza) riguardando, invece, una questione di principio e, comunque, che attiene all'applicazione di una legge regionale, per cui non si vede in qual modo la circostanza che la ONLUS abbia sede in Provincia di Treviso possa incidere negativamente sulla legittimazione della stessa.


2. - Può ora passarsi all'esame del merito delle censure rivolte dall'appellante Regione Veneto nei confronti della decisione del T.A.R. che ha ritenuto superate le prescrizioni della legge regionale 30 giugno 1993, n. 27, relative alle distanze di rispetto dagli elettrodotti, in conseguenza del sopravvenire della nuova disciplina in materia dettata dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici e elettromagnetici) e delle relative norme attuative di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003.


2.1. - Sostiene la Regione che il primo giudice avrebbe esercitato un potere abnorme, disapplicando di fatto la legge regionale per l’affermato contrasto con il citato decreto attuativo, di natura regolamentare; e ciò sull'erroneo presupposto dell'attuale vigenza dell'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in base al quale le leggi statali che modificano i principi fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente, comportano l'abrogazione delle norme regionali che risultino in contrasto con gli anzidetti principi.
Ad avviso dell'appellante, invece, la citata norma della legge n. 62 del 1953 risulterebbe oggi in contrasto con le disposizioni contenute nel titolo quinto della Costituzione - a seguito delle modifiche operate dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - nonché con la normativa ordinaria di adeguamento dettata dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, risultando attualmente ampliata l'autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della vigente Carta costituzionale, che limita la competenza statale, nelle materie di legislazione concorrente, alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina.
Inoltre, l’art. 1 della surricordata legge n. 131 del 2003, al comma 3 prevede espressamente che, nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinate dallo Stato o, in difetto, “quali desumibili dalle leggi statali vigenti”; la stessa legge quadro n. 36 del 2001, d'altronde, all'articolo 4, comma 5, specifica soltanto l'obbligo delle Regioni di adeguare la propria legislazione ai limiti di esposizione alle radiazioni previsti dalle norme attuative, implicitamente escludendo in tal modo che l'antinomia creatasi tra le diverse fonti normative possa risolversi con l'implicita abrogazione della legislazione regionale.


3. - La Sezione non ritiene che le doglianze della Regione siano fondate.


3.1. - Deve in primo luogo ricordarsi che la stessa Regione aveva presentato ricorso per conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale, lamentando “uno sconfinamento assoluto della giurisdizione, in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.” e la conseguente lesione dell’autonomia regionale.
La Corte, tuttavia, con sentenza 21 giugno 2007, n. 222, ha rinviato alle “ordinarie vie predisposte dal sistema delle impugnazioni” il compito di pronunciarsi nei confronti di una decisione giurisdizionale dichiarativa della avvenuta abrogazione di una norma. In detta sentenza si è, altresì, sottolineato che, essendosi nella specie rilevato l’effetto abrogativo della norma regionale in questione, risultava ormai inibita ogni valutazione sulla legittimità costituzionale della norma stessa, divenuta irrilevante nel giudizio.


3.2. - Va poi puntualizzato che il superamento delle norme legislative regionali non può ricondursi alla disciplina di natura secondaria dettata con il ripetuto D.P.C.M. ma piuttosto alla stessa legge quadro n. 36 del 2001 introdotta dal legislatore nazionale per la specifica materia, cui la disciplina secondaria in parola accede, costituendone concreta attuazione ai sensi dell’art. 4, comma 2 della legge in parola.
In proposito il primo giudice ha opportunamente richiamato le diverse posizioni assunte dalla Corte costituzionale la quale, dapprima, con sentenza 7 ottobre 1999, n. 382, proprio con riferimento alla incompletezza della legislazione statale in materia di inquinamento elettromagnetico, non aveva ritenuto la sussistenza di profili di illegittimità della normativa della regione Veneto di cui si tratta, ancora applicabile ai fini di tutela della salute umana da essa perseguiti, per la rilevata inesistenza di un diverso “parametro legale di giudizio” nell’ambito dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri emanati sull’argomento in data 23 aprile 1992 e 28 settembre 1995).
Successivamente, tuttavia, con le sentenze 7 ottobre 2003, n. 307, e 7 novembre 2003, n. 331, la Corte ha riscontrato la illegittimità di normative regionali in contrasto con i valori relativi alle “soglie” di esposizione per la popolazione fissate - in attuazione della legge quadro n. 36 del 2001 - dal predetto decreto attuativo emanato in data 8 luglio 2003.
Tali pronunce postulano chiaramente, quindi, la effettiva riconducibilità alla legge quadro della normativa tecnica di adeguamento, costituendo con essa un testo normativo unitario, non derogabile da parte delle Regioni, come verrà meglio precisato più oltre.


3.3. – Va ulteriormente chiarito che, in punto di fatto, nel caso in esame non sussistono dubbi sulla effettiva discrepanza dei diversi parametri posti, rispettivamente, dalla normativa regionale e nazionale in materia, riguardanti in entrambi casi profili sanitari e di salvaguardia ambientale, assumendo rilievo meramente secondario ed indiretto il profilo urbanistico, contrariamente a quanto affermato dall’associazione interveniente.
A questo riguardo giova rammentare che la predetta legge della Regione Veneto n. 27 del 1993, nel testo scaturito dalle modifiche successivamente intervenute, risulta espressamente preordinata alla prevenzione dei danni derivanti da campi elettromagnetici generati da elettrodotti “al fine di tutelare l’ambiente coordinando le scelte urbanistiche” (art. 1).
Come ripetutamente chiarito dalla Corte costituzionale “la tutela dell’ambiente, più che una ‘materia’ in senso stretto, rappresenta un compito nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste” (Corte cost. 26 luglio 2002, n. 407, 24 giugno 2003, n. 222, n. 307/2003 cit.).
Nella legge regionale in discorso vengono indicate, in particolare all’art. 4, le “distanze di rispetto” dagli elettrodotti sulla base di parametri da calcolarsi con modalità differenti rispetto a quelle ora stabilite dall’art. 6 del citato D.P.C.M. 8 luglio 2003; in tale situazione, suscettibile di influire negativamente sui criteri localizzativi di iniziative costruttive (come nel caso relativo al contenzioso ora in esame) la normativa regionale, pur incidendo indiscutibilmente anche sulla funzione di “governo del territorio” spettante alle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, non può comunque giustificare le ulteriori limitazioni che si pongano in contrasto con regole inderogabili, quali quelle poste dalle norme fondamentali di principio dettate dal Legislatore statale, come di seguito più ampiamente specificato (cfr. Corte cost. n. 331/2003 cit.).


3.4. - Tanto premesso, osserva il Collegio che l’assetto delineato dal nuovo testo dell'art. 117 della Costituzione, pur valorizzando ed ampliando la potestà legislativa regionale, non risulta aver sostanzialmente mutato i rapporti fra Stato e Regioni per quanto riguarda la legislazione regionale concorrente, che deve sempre adeguarsi ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, come chiaramente sottolineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale sopra ricordata. Ciò per evidenti ragioni di uniformità di disciplina per quanto concerne, tra l’altro, i rapporti internazionali e la tutela di esigenze fondamentali attinenti alla salute ed alla sicurezza delle persone ed al corretto espletamento delle diverse attività lecite che si svolgono sul territorio nazionale, come si evince dal terzo comma della norma costituzionale in parola.


3.5. - Né le richiamate disposizioni dell'art. 1 della suddetta legge n. 131 del 2003, che fanno riferimento ai principi fondamentali di legislazione espressamente determinati dallo Stato, nei cui limiti deve essere esercitata la potestà legislativa regionale, inducono a configurare una maggiore rigidità del sistema dei rapporti tra la legislazione statale e quella regionale, dovendosi nuovamente ribadire che è stato altresì esplicitamente e significativamente precisato dalla norma stessa che tali principi fondamentali sono anche quelli “desumibili dalle leggi statali vigenti”.


3.6. - Come sottolineato dalla difesa della società resistente, d’altronde, con la legge in parola non risulta abrogata né esplicitamente, né implicitamente, la disciplina di cui all’art. 10 della legge n. 62 del 1953, relativa ai rapporti tra le legislazioni statali e regionali, e ciò nonostante che in base all’art. 10, commi 9 e 10, della legge n. 131 del 2003 venga disposta la modifica e l’abrogazione proprio di alcune norme della stessa legge n. 62 del 1953.


3.7. - Inoltre, le disposizioni del secondo comma, secondo periodo, del citato art. 1 della legge n. 131 del 2003, recanti la disciplina transitoria relativa alle normative regionali vigenti in materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale, prevedono l’ultrattività di dette normative solo fino al sopravvenire delle norme statati in proposito (con salvezza, naturalmente, degli effetti di eventuali pronunce della Corte Costituzionale). Poiché, peraltro, anche la determinazione di principi fondamentali nelle materie di legislazione regionale concorrente risulta “riservata alla legislazione dello Stato”, può coerentemente concludersi nel senso della cedevolezza di tutte le norme regionali di fronte alle norme di principio che siano fissate dallo Stato nella stessa materia.


3.8. - Con riferimento alle tesi dell’appellante concernenti specificamente il caso di specie, non sembra, poi, corretto dedurre dalla formulazione dell’art. 4 della legge quadro n. 36 del 2001 (il quale, al comma 5, testualmente stabilisce: “Le Regioni adeguano la propria legislazione ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e... agli obiettivi di qualità previsti dai decreti di cui al comma 2 del presente articolo”) che in base a tale norma ogni adeguamento sarebbe rinviato a successive iniziative legislative regionali; ciò in quanto trattasi di una formulazione di tipo astratto attinente al funzionamento “a regime” della disciplina generale dettata dalla legge quadro.


3.7. - Diversa connotazione assume, invero, il problema attinente al regime transitorio, in relazione al quale si impongono preminenti esigenze di tutela non soltanto della salute, ma anche di altri valori e delle attività economiche connesse con l'applicazione dei criteri posti a base dell’anzidetta disciplina generale (come appunto avviene nel caso di specie, riguardante un diniego di permesso di costruzione in conseguenza dell'applicazione delle restrittive norme regionali in materia di distanze dagli elettrodotti).


3.8. – In proposito va sgombrato il campo dalla suggestiva prospettazione - effettuata dall’appellante e dall’interveniente - della maggior tutela che verrebbe assicurata in conseguenza dei diversi criteri seguiti in questo caso dalla normativa regionale, rispetto a quelli unitari stabiliti in sede nazionale.
Deve convenirsi, infatti, sul fatto che il principio della l'immediata operatività delle norme applicabili per l'intero territorio nazionale vale non solo per l'ipotesi in cui queste risultino meno restrittive rispetto a quelle regionali (come nella fattispecie in esame), ma ugualmente anche nel caso in cui la normativa nazionale, che si conforma alle direttive ed alle prescrizioni emanate in sede sopranazionale (cfr. da ultimo: decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 257), risulti volta ad imporre limiti precauzionali di più severa e rigorosa salvaguardia della sicurezza e della salute delle persone, in considerazione di più aggiornate conoscenze scientifiche in materia, rispetto alla normativa regionale preesistente.


3.9. - Quanto ora esposto mette in tutta evidenza la necessità che la norma statale, in ossequio a principi di carattere fondamentale, chiaramente enunciati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, recanti disposizioni inderogabili a tutela della salute e della sicurezza della generalità dei cittadini, non possa in ogni caso essere disattesa sulla base di norme diverse, anche nel caso che risultino in concreto improntate a criteri maggiormente prudenziali.
L’eventuale presenza di norme regionali finalizzate ad una più ampia tutela della salute, come nel caso ora in esame, pur rispondendo ad intenzioni certamente apprezzabili sotto vari profili, comporta tuttavia inevitabilmente il sacrificio di altri valori costituzionalmente tutelati, attinenti ad esempio al libero esercizio di lecite attività economiche ed imprenditoriali, che potrebbero venire limitate od impedite senza la effettiva sussistenza (in base ai dati scientifici generalmente riconosciuti in materia) di superiori e preminenti esigenze di interesse pubblico, ponendo gli interessati in una situazione di ingiustificato pregiudizio e di disparità di trattamento rispetto ai soggetti operanti in altre Regioni.


3.10. - Va altresì sottolineato, sull’argomento, che il surrichiamato articolo 4, comma 5, della legge n. 136 del 2001 non stabilisce alcun termine per il previsto “adeguamento”; pure sotto questo profilo, quindi, sarebbe del tutto irrazionale il mantenimento in sede locale, anche se teoricamente solo in via transitoria, di una disciplina difforme ed eventualmente meno adeguata per assicurare il soddisfacimento di altre legittime aspettative della cittadinanza.


3.11. - In definitiva, dunque, il Collegio ritiene che vada condivisa la posizione chiaramente assunta dalle succitate sentenze della Corte Costituzionale nelle quali, esaminandosi vicende analoghe a quella ora in esame, si è fermamente ribadita l’esigenza di concreta prevalenza delle norme statali recanti “standard” di protezione dall'inquinamento elettromagnetico, con la fissazione delle soglie di esposizione ammissibili, trattandosi di materia di esclusiva pertinenza statale, disciplinata in vista del “preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” nei confronti della quale non possono quindi prevalere altri particolari esigenze attinenti, tra l’altro, alla materia del governo del territorio (v. Corte Cost. n. 307/2203 e n. 331/2003, cit.).


3.12 - Tutto ciò considerato la Sezione ritiene di dover concludere nel senso della correttezza e della conformità alla Costituzione delle statuizioni del primo giudice in ordine alla immediata applicabilità, anche nell’ambito della Regione Veneto, della disciplina nazionale in vigore riguardante le esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.


4 - L’appello, pertanto, deve essere respinto.


5. - Stante la complessità le questioni esaminate, le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.



P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
- respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2008, con la partecipazione di:


Costantino Salvatore - Presidente f.f.
Pier Luigi Lodi Rel. Estensore - Consigliere
Antonino Anastasi - Consigliere
Eugenio Mele - Consigliere
Sandro Aureli - Consigliere

L'ESTENSORE
Pier Luigi Lodi
IL PRESIDENTE F.F.

Costantino Salvatore


IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo


Depositata in Segreteria
Il 18/03/2008
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Il Dirigente
Dott. Giuseppe Testa

 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 02/04/2008

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