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Sulla inderogabilità dei limiti statali da inquinamento elettromagnetico
Nota a Cons. Stato n. 1159/2008
AVV. PRIMO MICHELIAN*
La decisione della Sez. IV del Consiglio di Stato n°1159/08 pone la parola fine
sul conflitto "elettromagnetico" tra Stato e Regione Veneto che aveva ad
introdurre con la L.R. n°. 27 del 1993 limiti di tutela da campi
elettromagnetici generati da elettrodotti di più severa e rigorosa salvaguardia
rispetto a quelli stabiliti dallo Stato con D.P.C.M. dell' 8 luglio 2003, in
attuazione della legge quadro.
Dopo aver affermato la legittimazione ad intervenire per la prima volta in
appello di una ONLUS (precisamente l'associazione CO.NA.CEM.) che aveva la
finalità statutaria della tutela della salute da pregiudizio derivante da
esposizione a campi elettromagnetici, i giudici di Palazzo Spada premettono,
richiamando puntualmente la precedente sentenza della Corte Costituzionale n°.
222/07 secondo cui non era intervenuto alcuno sconfinamento di attribuzione del
TAR Veneto a ritenere abrogata la L.R. 27/93, che il novellato art.117 Cost.
come pure le disposizioni dell'art.1 della L.131/03 c.d. "legge La Loggia", non
ha mutato i rapporti tra Stato e Regioni in materia di legislazione regionale
concorrente.
Questa deve sempre adeguarsi ai principi fondamentali delle leggi dello Stato
che sono anche quelli desumibili dalle leggi statali vigenti.
Ne consegue l'attuale applicabilità dell'art.10 della L. n°. 62 del 1953 "c.d.
legge Scelba", in forza del quale la modifica dei principi fondamentali nelle
materie di competenza legislativa concorrente comporta la abrogazione delle
norme regionali contrastanti, come la L.R. 27/93 e quindi la "cedevolezza di
tutte le norme regionali di fronte alle norme di principio che siano fissate
dallo stato nella stessa materia" .
Ma quel che appare rilevante nella presente decisione è la statuizione sulla
immediata operatività delle norme statali anche se più permissive rispetto ai
limiti dettati dalle Regioni in materia valori soglia da elettrodotti ed in
particolare dalla L.R. Veneto n°. 27 del 1993.
Il Supremo Collegio Amministrativo si allinea così alla posizione assunta dalla
Corte Cost. con le precedenti sentenze n°. 307/2003 e n°. 331/2003, secondo cui
è stata ribadita l'esigenza di concreta prevalenza delle norme statali recanti
standard di protezione da inquinamento elettromagnetico con fissazione delle
soglie di esposizione ammissibili nel "preminente interesse nazionale alla
definizione dei criteri unitari e di normative omogenee".
La legge regionale Veneto n°.27 del 1993, pertanto, pur essendo afferente la
particolare materia del governo del territorio, come dichiarato con sentenza
della Corte Costituzionale n°.382/99, non prevale sulla materia di esclusiva
pertinenza statale di protezione da inquinamento elettromagnetico.
L'eventuale sacrificio del libero esercizio di lecite attività economiche ed
imprenditoriale non può essere limitato od impedito se non in presenza di
superiori e preminenti esigenze di interesse pubblico, che siano state accertate
sulla base di dati scientifici generalmente riconosciuti in materia.
Per l'effetto statuisce con fermezza il Consiglio di Stato che sia
immediatamente applicabile la disciplina nazionale in vigore in materia di
esposizione non solo ai campi elettrici e magnetici ma anche elettromagnetici,
come rilevanti per l'elettrodotto in esame.
R E P U B B L I C A I T A L I A N
A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha
pronunciato la seguente
N.1159/2008
Reg. Dec.
N. 6080 Reg. Ric.
Anno 2005
DECISIONE
sul ricorso iscritto al NRG 6080/2005 proposto dalla REGIONE VENETO, in persona
del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentato e difeso dagli
avvocati Romano Morra e Franca Caprifoglio dell’Avvocatura regionale, nonché
dall’avvocato Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in
Roma, via F. Confalonieri, n. 5;
contro
PANIZZON BRUNO & FIGLI S.N.C., in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentata e difesa in giudizio dagli avvocati Primo Michielan e Salvatore Di
Mattia ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, Via F.
Confalonieri, n. 5;
e nei confronti del
COMUNE DI SCHIO, non costituito;
con l’intervento della
Associazione CO.NA.CEM (ONLUS) Coordinamento Nazionale per la Tutela dai Campi
Elettromagnetici, in persona del Presidente legale rappresentante, rappresentata
e difesa in giudizio dagli avvocati Francesco Vettori, Enrico Vettori e Mario
Alù, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, Via Monte Asolone,
n. 8;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sezione II, n.
1735 del 21 aprile 2005.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio della società intimata;
visto l’atto di intervento dell’associazione suindicata;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 26 febbraio 2008 il consigliere Pier Luigi
Lodi e uditi, per le parti, gli avvocati Manzi, Michielan e Vettori;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO
Con atto notificato il 19 – 22 luglio 2005, ritualmente depositato, la Regione
Veneto ha proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Veneto n. 1735/2005,
che aveva respinto il ricorso n. 2804/2001 proposto dalla S.n.c. Panizzon Bruno
& Figli, inteso all’annullamento del provvedimento del Comune di Schio in data
13 agosto 2001, relativo al diniego di permesso di costruire; nonché della
delibera consiliare del 4 luglio 2001 riguardante una variante generale al
P.R.G. relativa alla introduzione di una fascia di rispetto dalla linea
elettrica preclusiva delle edificazione; mentre aveva, invece, accolto il
ricorso n. 3367/2004 proposto dalla medesima società, inteso all’annullamento
del provvedimento del detto Comune in data 26 agosto 2004, relativo al un nuovo
diniego di permesso di costruire, nonché del parere espresso in proposito dalla
Regione in data 16 agosto 2004.
Il primo giudice aveva respinto il primo ricorso, essendosi ritenuta ancora
efficace la normativa regionale applicata nella specie, in attesa del
completamento della normativa nazionale dettata in materia dalla legge 22
febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici), come sottolineato anche dalla
sentenza della Corte costituzionale 7 ottobre 1999, n. 382.
Il predetto giudice aveva, al contrario, ritenuto illegittimo il successivo
diniego in data 26 agosto 2004, basato sulle restrittive prescrizioni regionali
in materia di emissioni elettromagnetiche, essendo nel frattempo entrato in
vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003, in
attuazione della citata legge n. 36 del 2001, che ha introdotto nuovi valori
soglia in proposito, valevoli su tutto il territorio nazionale ed idonei a
consentire l’edificazione nel caso in esame.
La Regione appellante, nel contestare queste ultime statuizioni, sostiene che
l’anzidetta legge statale prevede soltanto che le Regioni “adeguino” la propria
legislazione ai limiti di esposizione, escludendo in tal modo una implicita
abrogazione della legislazione regionale, non potendo più trovare applicazione
l’art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, a seguito della
riforma del titolo V della Costituzione, ovvero a seguito dell’entrata in vigore
della relativa legge di adeguamento 5 giugno 2003, n. 131.
Si è costituta per resistere in giudizio la summenzionata società ricorrente in
primo grado deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.
Ha spiegato intervento adesivo alle tesi della Regione appellante l’associazione
ONLUS CO.NA.CEM (Coordinamento Nazionale per la Tutela dai Campi
Elettromagnetici).
Con memoria la società anzidetta ha contestato la legittimazione ad intervenire
adesivamente da parte della ONLUS di cui sopra.
L’istanza cautelare presentata dall’Amministrazione regionale è stata respinta,
con ordinanza di questa Sezione n. 4509 del 27 settembre 2005, per difetto del
requisito del danno.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documenti in vista della discussione
del ricorso.
La Regione appellante fa presente, in particolare, che a seguito del ricorso per
conflitto di attribuzioni da essa presentato relativamente alla vicenda in
questione, la Corte Costituzionale si è pronunciata nel senso che “le doglianze
che le parti possono esprimere nei confronti di una pronuncia giurisdizionale
dichiarativa dell’avvenuta abrogazione di una norma devono seguire le ordinarie
vie predisposte dal sistema delle impugnazioni”.
Da parte della società resistente viene anche riferito che, nel frattempo, il
Comune di Schio ha rilasciato il permesso di costruire ed in data 16 maggio 2007
è stato, infine, rilasciato il certificato di agibilità del complesso
residenziale realizzato.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 26 febbraio 2008.
DIRITTO
1. - Deve esaminarsi, preliminarmente, l’eccezione sollevata dalla resistente
S.n.c. Panizzon Bruno & Figli, relativa alla asserita inammissibilità, per
difetto della legittimazione, dell’intervento adesivo della ONLUS CO.NA.CEM
(Coordinamento Nazionale per la Tutela dai Campi Elettromagnetici).
L’eccezione si basa sull’assunto secondo cui, in mancanza di una precisa
disciplina legislativa in materia, dovrebbe escludersi che l’interesse per
legittimare l’intervento del terzo nel giudizio amministrativo si configuri
genericamente come finalizzato a perseguire la legittimità dell'azione
amministrativa, richiedendosi quanto meno una finalità di tutela di interessi
anche di mero fatto, purché oggettivi e concreti. La resistente rammenta,
peraltro, che la più recente giurisprudenza amministrativa ha ammesso
l'intervento in sede processuale di associazioni, comitati o enti che abbiano
per statuto lo scopo della tutela di interessi diffusi o superindividuali, ma
sottolinea che occorre, comunque, un collegamento non occasionale con il
territorio nel quale si producono gli effetti dell'attività amministrativa
considerata, mentre ciò non si verificherebbe nel caso di specie in cui la
predetta ONLUS si propone di promuovere genericamente e a livello nazionale la
difesa dell'ambiente dalle esposizioni alle emissioni elettromagnetiche, senza
tuttavia un radicamento “reale” sul territorio, che potrebbe semmai spettare
agli enti “coordinati” con la stessa ONLUS, operanti sul piano locale.
1.1. - La Sezione ritiene che l’eccezione sia da disattendere.
Come sottolineato dalla stessa società resistente la giurisprudenza
amministrativa risulta ormai orientata nel senso di ammettere, in effetti, la
legittimazione degli organismi associativi ad impugnare (ovvero a contestare in
veste di interveniente) atti amministrativi generali, anche a contenuto
normativo, ritenuti illegittimi e lesivi degli interessi sostanziali degli
associati, in attuazione delle specifiche finalità statutarie di tali organismi;
in alcuni casi (come quelli delle associazioni di protezione ambientale) gli
organismi in parola, peraltro, proprio ai detti fini di tutela, formano oggetto
anche di specifico riconoscimento dell'autorità pubblica (v. tra le tante: Cons.
Stato, Sez. V, 23 maggio 2003, n. 2782 ; Sez. IV, n. 14 aprile 2006, n. 2151).
Nel caso di specie è agevole rilevare che le finalità statutariamente perseguite
dalla ONLUS in discorso, di tutela della salute e dell'integrità degli esseri
viventi nonché dell'ambiente, rispetto al pregiudizio derivante da esposizione a
campi elettromagnetici generati artificialmente, costituiscono, invero, idoneo
presupposto legittimante per l'attivazione dell’organismo in questione in sede
giurisdizionale con riguardo ad una questione che concerne propriamente vicende
collegate in modo stretto con tali finalità. Al contrario di quanto affermato
dalla società resistente, d'altronde, non trattasi di questioni puramente locali
(limitate al territorio del Comune di Schio o della sola Provincia di Vicenza)
riguardando, invece, una questione di principio e, comunque, che attiene
all'applicazione di una legge regionale, per cui non si vede in qual modo la
circostanza che la ONLUS abbia sede in Provincia di Treviso possa incidere
negativamente sulla legittimazione della stessa.
2. - Può ora passarsi all'esame del merito delle censure rivolte dall'appellante
Regione Veneto nei confronti della decisione del T.A.R. che ha ritenuto superate
le prescrizioni della legge regionale 30 giugno 1993, n. 27, relative alle
distanze di rispetto dagli elettrodotti, in conseguenza del sopravvenire della
nuova disciplina in materia dettata dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (legge
quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici e
elettromagnetici) e delle relative norme attuative di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 8 luglio 2003.
2.1. - Sostiene la Regione che il primo giudice avrebbe esercitato un potere
abnorme, disapplicando di fatto la legge regionale per l’affermato contrasto con
il citato decreto attuativo, di natura regolamentare; e ciò sull'erroneo
presupposto dell'attuale vigenza dell'art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n.
62, in base al quale le leggi statali che modificano i principi fondamentali
nelle materie di competenza legislativa concorrente, comportano l'abrogazione
delle norme regionali che risultino in contrasto con gli anzidetti principi.
Ad avviso dell'appellante, invece, la citata norma della legge n. 62 del 1953
risulterebbe oggi in contrasto con le disposizioni contenute nel titolo quinto
della Costituzione - a seguito delle modifiche operate dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - nonché con la normativa ordinaria di
adeguamento dettata dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, risultando attualmente
ampliata l'autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni, ai sensi
dell'articolo 117, terzo comma, della vigente Carta costituzionale, che limita
la competenza statale, nelle materie di legislazione concorrente, alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina.
Inoltre, l’art. 1 della surricordata legge n. 131 del 2003, al comma 3 prevede
espressamente che, nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le
Regioni esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei principi fondamentali
espressamente determinate dallo Stato o, in difetto, “quali desumibili dalle
leggi statali vigenti”; la stessa legge quadro n. 36 del 2001, d'altronde,
all'articolo 4, comma 5, specifica soltanto l'obbligo delle Regioni di adeguare
la propria legislazione ai limiti di esposizione alle radiazioni previsti dalle
norme attuative, implicitamente escludendo in tal modo che l'antinomia creatasi
tra le diverse fonti normative possa risolversi con l'implicita abrogazione
della legislazione regionale.
3. - La Sezione non ritiene che le doglianze della Regione siano fondate.
3.1. - Deve in primo luogo ricordarsi che la stessa Regione aveva presentato
ricorso per conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte Costituzionale,
lamentando “uno sconfinamento assoluto della giurisdizione, in violazione degli
artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.” e la conseguente lesione dell’autonomia
regionale.
La Corte, tuttavia, con sentenza 21 giugno 2007, n. 222, ha rinviato alle
“ordinarie vie predisposte dal sistema delle impugnazioni” il compito di
pronunciarsi nei confronti di una decisione giurisdizionale dichiarativa della
avvenuta abrogazione di una norma. In detta sentenza si è, altresì, sottolineato
che, essendosi nella specie rilevato l’effetto abrogativo della norma regionale
in questione, risultava ormai inibita ogni valutazione sulla legittimità
costituzionale della norma stessa, divenuta irrilevante nel giudizio.
3.2. - Va poi puntualizzato che il superamento delle norme legislative regionali
non può ricondursi alla disciplina di natura secondaria dettata con il ripetuto
D.P.C.M. ma piuttosto alla stessa legge quadro n. 36 del 2001 introdotta dal
legislatore nazionale per la specifica materia, cui la disciplina secondaria in
parola accede, costituendone concreta attuazione ai sensi dell’art. 4, comma 2
della legge in parola.
In proposito il primo giudice ha opportunamente richiamato le diverse posizioni
assunte dalla Corte costituzionale la quale, dapprima, con sentenza 7 ottobre
1999, n. 382, proprio con riferimento alla incompletezza della legislazione
statale in materia di inquinamento elettromagnetico, non aveva ritenuto la
sussistenza di profili di illegittimità della normativa della regione Veneto di
cui si tratta, ancora applicabile ai fini di tutela della salute umana da essa
perseguiti, per la rilevata inesistenza di un diverso “parametro legale di
giudizio” nell’ambito dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri
emanati sull’argomento in data 23 aprile 1992 e 28 settembre 1995).
Successivamente, tuttavia, con le sentenze 7 ottobre 2003, n. 307, e 7 novembre
2003, n. 331, la Corte ha riscontrato la illegittimità di normative regionali in
contrasto con i valori relativi alle “soglie” di esposizione per la popolazione
fissate - in attuazione della legge quadro n. 36 del 2001 - dal predetto decreto
attuativo emanato in data 8 luglio 2003.
Tali pronunce postulano chiaramente, quindi, la effettiva riconducibilità alla
legge quadro della normativa tecnica di adeguamento, costituendo con essa un
testo normativo unitario, non derogabile da parte delle Regioni, come verrà
meglio precisato più oltre.
3.3. – Va ulteriormente chiarito che, in punto di fatto, nel caso in esame non
sussistono dubbi sulla effettiva discrepanza dei diversi parametri posti,
rispettivamente, dalla normativa regionale e nazionale in materia, riguardanti
in entrambi casi profili sanitari e di salvaguardia ambientale, assumendo
rilievo meramente secondario ed indiretto il profilo urbanistico, contrariamente
a quanto affermato dall’associazione interveniente.
A questo riguardo giova rammentare che la predetta legge della Regione Veneto n.
27 del 1993, nel testo scaturito dalle modifiche successivamente intervenute,
risulta espressamente preordinata alla prevenzione dei danni derivanti da campi
elettromagnetici generati da elettrodotti “al fine di tutelare l’ambiente
coordinando le scelte urbanistiche” (art. 1).
Come ripetutamente chiarito dalla Corte costituzionale “la tutela dell’ambiente,
più che una ‘materia’ in senso stretto, rappresenta un compito nell’esercizio
del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi
validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste” (Corte cost. 26 luglio
2002, n. 407, 24 giugno 2003, n. 222, n. 307/2003 cit.).
Nella legge regionale in discorso vengono indicate, in particolare all’art. 4,
le “distanze di rispetto” dagli elettrodotti sulla base di parametri da
calcolarsi con modalità differenti rispetto a quelle ora stabilite dall’art. 6
del citato D.P.C.M. 8 luglio 2003; in tale situazione, suscettibile di influire
negativamente sui criteri localizzativi di iniziative costruttive (come nel caso
relativo al contenzioso ora in esame) la normativa regionale, pur incidendo
indiscutibilmente anche sulla funzione di “governo del territorio” spettante
alle Regioni ai sensi dell’art. 117, comma 3, della Costituzione, non può
comunque giustificare le ulteriori limitazioni che si pongano in contrasto con
regole inderogabili, quali quelle poste dalle norme fondamentali di principio
dettate dal Legislatore statale, come di seguito più ampiamente specificato
(cfr. Corte cost. n. 331/2003 cit.).
3.4. - Tanto premesso, osserva il Collegio che l’assetto delineato dal nuovo
testo dell'art. 117 della Costituzione, pur valorizzando ed ampliando la potestà
legislativa regionale, non risulta aver sostanzialmente mutato i rapporti fra
Stato e Regioni per quanto riguarda la legislazione regionale concorrente, che
deve sempre adeguarsi ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello
Stato, come chiaramente sottolineato dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale sopra ricordata. Ciò per evidenti ragioni di uniformità di
disciplina per quanto concerne, tra l’altro, i rapporti internazionali e la
tutela di esigenze fondamentali attinenti alla salute ed alla sicurezza delle
persone ed al corretto espletamento delle diverse attività lecite che si
svolgono sul territorio nazionale, come si evince dal terzo comma della norma
costituzionale in parola.
3.5. - Né le richiamate disposizioni dell'art. 1 della suddetta legge n. 131 del
2003, che fanno riferimento ai principi fondamentali di legislazione
espressamente determinati dallo Stato, nei cui limiti deve essere esercitata la
potestà legislativa regionale, inducono a configurare una maggiore rigidità del
sistema dei rapporti tra la legislazione statale e quella regionale, dovendosi
nuovamente ribadire che è stato altresì esplicitamente e significativamente
precisato dalla norma stessa che tali principi fondamentali sono anche quelli
“desumibili dalle leggi statali vigenti”.
3.6. - Come sottolineato dalla difesa della società resistente, d’altronde, con
la legge in parola non risulta abrogata né esplicitamente, né implicitamente, la
disciplina di cui all’art. 10 della legge n. 62 del 1953, relativa ai rapporti
tra le legislazioni statali e regionali, e ciò nonostante che in base all’art.
10, commi 9 e 10, della legge n. 131 del 2003 venga disposta la modifica e
l’abrogazione proprio di alcune norme della stessa legge n. 62 del 1953.
3.7. - Inoltre, le disposizioni del secondo comma, secondo periodo, del citato
art. 1 della legge n. 131 del 2003, recanti la disciplina transitoria relativa
alle normative regionali vigenti in materie appartenenti alla legislazione
esclusiva statale, prevedono l’ultrattività di dette normative solo fino al
sopravvenire delle norme statati in proposito (con salvezza, naturalmente, degli
effetti di eventuali pronunce della Corte Costituzionale). Poiché, peraltro,
anche la determinazione di principi fondamentali nelle materie di legislazione
regionale concorrente risulta “riservata alla legislazione dello Stato”, può
coerentemente concludersi nel senso della cedevolezza di tutte le norme
regionali di fronte alle norme di principio che siano fissate dallo Stato nella
stessa materia.
3.8. - Con riferimento alle tesi dell’appellante concernenti specificamente il
caso di specie, non sembra, poi, corretto dedurre dalla formulazione dell’art. 4
della legge quadro n. 36 del 2001 (il quale, al comma 5, testualmente
stabilisce: “Le Regioni adeguano la propria legislazione ai limiti di
esposizione, ai valori di attenzione e... agli obiettivi di qualità previsti dai
decreti di cui al comma 2 del presente articolo”) che in base a tale norma ogni
adeguamento sarebbe rinviato a successive iniziative legislative regionali; ciò
in quanto trattasi di una formulazione di tipo astratto attinente al
funzionamento “a regime” della disciplina generale dettata dalla legge quadro.
3.7. - Diversa connotazione assume, invero, il problema attinente al regime
transitorio, in relazione al quale si impongono preminenti esigenze di tutela
non soltanto della salute, ma anche di altri valori e delle attività economiche
connesse con l'applicazione dei criteri posti a base dell’anzidetta disciplina
generale (come appunto avviene nel caso di specie, riguardante un diniego di
permesso di costruzione in conseguenza dell'applicazione delle restrittive norme
regionali in materia di distanze dagli elettrodotti).
3.8. – In proposito va sgombrato il campo dalla suggestiva prospettazione -
effettuata dall’appellante e dall’interveniente - della maggior tutela che
verrebbe assicurata in conseguenza dei diversi criteri seguiti in questo caso
dalla normativa regionale, rispetto a quelli unitari stabiliti in sede
nazionale.
Deve convenirsi, infatti, sul fatto che il principio della l'immediata
operatività delle norme applicabili per l'intero territorio nazionale vale non
solo per l'ipotesi in cui queste risultino meno restrittive rispetto a quelle
regionali (come nella fattispecie in esame), ma ugualmente anche nel caso in cui
la normativa nazionale, che si conforma alle direttive ed alle prescrizioni
emanate in sede sopranazionale (cfr. da ultimo: decreto legislativo 19 novembre
2007, n. 257), risulti volta ad imporre limiti precauzionali di più severa e
rigorosa salvaguardia della sicurezza e della salute delle persone, in
considerazione di più aggiornate conoscenze scientifiche in materia, rispetto
alla normativa regionale preesistente.
3.9. - Quanto ora esposto mette in tutta evidenza la necessità che la norma
statale, in ossequio a principi di carattere fondamentale, chiaramente enunciati
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, recanti disposizioni
inderogabili a tutela della salute e della sicurezza della generalità dei
cittadini, non possa in ogni caso essere disattesa sulla base di norme diverse,
anche nel caso che risultino in concreto improntate a criteri maggiormente
prudenziali.
L’eventuale presenza di norme regionali finalizzate ad una più ampia tutela
della salute, come nel caso ora in esame, pur rispondendo ad intenzioni
certamente apprezzabili sotto vari profili, comporta tuttavia inevitabilmente il
sacrificio di altri valori costituzionalmente tutelati, attinenti ad esempio al
libero esercizio di lecite attività economiche ed imprenditoriali, che
potrebbero venire limitate od impedite senza la effettiva sussistenza (in base
ai dati scientifici generalmente riconosciuti in materia) di superiori e
preminenti esigenze di interesse pubblico, ponendo gli interessati in una
situazione di ingiustificato pregiudizio e di disparità di trattamento rispetto
ai soggetti operanti in altre Regioni.
3.10. - Va altresì sottolineato, sull’argomento, che il surrichiamato articolo
4, comma 5, della legge n. 136 del 2001 non stabilisce alcun termine per il
previsto “adeguamento”; pure sotto questo profilo, quindi, sarebbe del tutto
irrazionale il mantenimento in sede locale, anche se teoricamente solo in via
transitoria, di una disciplina difforme ed eventualmente meno adeguata per
assicurare il soddisfacimento di altre legittime aspettative della cittadinanza.
3.11. - In definitiva, dunque, il Collegio ritiene che vada condivisa la
posizione chiaramente assunta dalle succitate sentenze della Corte
Costituzionale nelle quali, esaminandosi vicende analoghe a quella ora in esame,
si è fermamente ribadita l’esigenza di concreta prevalenza delle norme statali
recanti “standard” di protezione dall'inquinamento elettromagnetico, con la
fissazione delle soglie di esposizione ammissibili, trattandosi di materia di
esclusiva pertinenza statale, disciplinata in vista del “preminente interesse
nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” nei
confronti della quale non possono quindi prevalere altri particolari esigenze
attinenti, tra l’altro, alla materia del governo del territorio (v. Corte Cost.
n. 307/2203 e n. 331/2003, cit.).
3.12 - Tutto ciò considerato la Sezione ritiene di dover concludere nel senso
della correttezza e della conformità alla Costituzione delle statuizioni del
primo giudice in ordine alla immediata applicabilità, anche nell’ambito della
Regione Veneto, della disciplina nazionale in vigore riguardante le esposizioni
ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
4 - L’appello, pertanto, deve essere respinto.
5. - Stante la complessità le questioni esaminate, le spese del giudizio possono
essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
- respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di
giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 febbraio 2008, con la
partecipazione di:
Costantino Salvatore - Presidente f.f.
Pier Luigi Lodi Rel. Estensore - Consigliere
Antonino Anastasi - Consigliere
Eugenio Mele - Consigliere
Sandro Aureli - Consigliere
L'ESTENSORE
Pier Luigi Lodi
IL PRESIDENTE F.F.
Costantino Salvatore
IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo
Depositata in Segreteria
Il 18/03/2008
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Il Dirigente
Dott. Giuseppe Testa
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 02/04/2008