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La nuova fattispecie del reato di omessa bonifica e il distinto reato di omessa comunicazione

 

TRIBUNALE DI MILANO – ordinanza 17 dicembre 2007

 

LUCA PRATI - PIERLUIGI VARISCHI*
 

 


TRIBUNALE DI MILANO – ordinanza 17 dicembre 2007

Nel caso di omessa comunicazione dell’evento di inquinamento, prevista dal comma 1 dell’art. 242, è sempre applicabile la meno grave sanzione di cui all’art. 257 comma 1, secondo periodo, che prevede la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro, a prescindere dalla natura pericolosa o meno delle sostanze che abbiano generato l’obbligo di bonifica, stante la chiara volontà del legislatore di differenziare le condotte produttive di danno dalla meno grave condotta di pericolo derivante dalla omessa comunicazione.


La nuova fattispecie del reato di omessa bonifica e il distinto reato di omessa comunicazione

L’ordinanza sopra estesa affronta la questione della oblazionabilità della nuova fattispecie del reato omessa comunicazione dell’evento di inquinamento, ipotesi correlata a quella di c.d. “omessa bonifica”, fattispecie precedentemente riunite nella (parzialmente) omologa previsione dell’abrogato art. 51 bis del D. Lgs. 22/1997.
Il sistema della bonifica dei siti contaminati è stato infatti, fin dalla sua prima introduzione in via generalizzata operata con il Decreto Ronchi, assistita da sanzione penale.
L’inquadramento dogmatico della fattispecie prevista e punita dall’art. 51 bis dell’abrogato decreto Ronchi, non era stato scevro di difficoltà. Secondo tale norma, “Chiunque cagiona l'inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento, previsto dall'articolo 17, comma 2, è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all'articolo 17. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da lire diecimilioni a lire centomilioni se l'inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi".
Va detto che l’esatto inquadramento dogmatico della norma non rappresenta certo, nel vecchio come nel nuovo regime, una questione puramente teorica, avendo, al contrario, implicazioni pratiche sulla concreta applicazione del reato di grande rilievo.
In merito alla fattispecie prevista dell’art. 51 bis la dottrina appariva schierata su due contrapposti fronti.
Un primo orientamento riteneva infatti il reato contravvenzionale in questione di natura puramente omissiva, (in particolare, un reato omissivo proprio, privo di evento in senso naturalistico), in quanto lo stesso sarebbe stato realizzato semplicemente dalla inottemperanza all’obbligo di bonifica secondo le cadenze e la procedura stabilite dall'art. 17 del D. lgs. 22/97 (mentre l’inquinamento od il pericolo concreto ed attuale di inquinamento avrebbero rappresentato soltanto un presupposto di fatto della fattispecie di reato, ma non un elemento essenziale della stessa1).
Il secondo invece riteneva che l’aver cagionato l’inquinamento od il pericolo concreto ed attuale di inquinamento rientrasse a pieno titolo tra gli elementi costitutivi del fatto tipico di reato (anzi, di due distinte ipotesi di reato), costituendo la mancata bonifica soltanto una condizione obiettiva di punibilità, od una causa di non punibilità2.
In base ai principi generali, l'adesione all'una piuttosto che all'altra delle due tesi dottrinali comportava una serie di differenze rimarchevoli.
In primis, l’adesione alla tesi che vedeva nella adozione degli interventi di bonifica una causa di non punibilità, od una condizione obiettiva (negativa) di punibilità, portava a ritenere punibile solo chi avesse cagionato l’inquinamento od il pericolo concreto ed attuale di inquinamento con dolo o colpa. Infatti, come tutti gli elementi essenziali del reato, anche l’inquinamento od il suo pericolo devono essere necessariamente abbracciati da detti coefficienti di colpevolezza3 mentre, al contrario, non sarebbero punibili quei fatti in cui l'inquinamento sia stato cagionato in modo non riconducibile ad alcun comportamento doloso o colposo dell'inquinatore.
Aderendo invece alla tesi che vedeva nel reato ex art. 51 bis una fattispecie puramente omissiva, anche la causazione incolpevole dell'inquinamento avrebbe potuto costituire valido presupposto del reato, purché fosse stata dolosa o colposa la successiva omissione di intervento ai sensi dell'art. 17 D.lgs. 22/97 (essendo l’omissione il fatto tipico sanzionato penalmente)4.
La Cassazione aveva dichiarato la propria adesione all'orientamento che considerava il reato previsto dall’art. 51 bis un reato omissivo proprio, il cui presupposto era sì l'aver cagionato l'inquinamento od il suo pericolo attuale e concreto, ma in cui il disvalore penale punito era prevalentemente incentrato sul pericolo (presunto ex lege, e distinto dal pericolo di inquinamento concreto ed attuale presupposto quale elemento esterno al fatto punito) derivante dal non aver ottemperato all'obbligo di attivare e rispettare la procedura ex art. 17 del D. lgs. 22/97.
In pratica, secondo questa ricostruzione, una volta accertata la situazione di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento, l’ordinamento attribuiva alla mancata attivazione del procedimento ex art. 17 una presunzione di pericolosità, che esonerava il giudice dallo svolgere indagini ulteriori, essendo la semplice condotta omissiva di per sé soggetta alla sanzione penale. Essendo il disvalore penale concentrato sull’omessa attivazione del procedimento di bonifica, è soltanto in relazione a detta omissione che doveva essere valutata la colpevolezza dell’agente.
Ciò tuttavia poteva valere solo ove si ritenesse che l’aver cagionato l’inquinamento non contribuisse in modo rilevante al disvalore del fatto punito, dovendo altrimenti ritenersi, dopo le sentenze n. 364/88 e n. 1085/1988 della Corte Costituzionale, che anche detto elemento dovesse essere coperto quantomeno dalla colpa.
La ricostruzione dogmatica della fattispecie in termini di reato omissivo proprio incideva altresì direttamente sulla applicabilità della fattispecie a situazioni in cui l’inquinamento od il suo pericolo di inquinamento fossero stati realizzati anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 17 e 51 bis del D. lgs. 22/97, o o dopo di essi ma comunque prima del DM 471/1999, recante i valori massimi di contaminazione accettabili.
Seguendo la tesi che ricostruisce l’art. 51 bis in termini di reato di evento, per il principio di irretroattività della sanzione penale, questo non avrebbe mai trovato applicazione con riferimento a fatti di inquinamento pregresso, e cioè realizzati prima dell’entrata in vigore delle succitate norme6.
Viceversa, la configurazione dell’art. 51 bis quale reato omissivo proprio accettata dalla Corte ne consentiva l’applicazione anche a fatti di inquinamento pregresso, dato che la condotta punita (e cioè la mancata attivazione del procedimento ex art. 17 del D. lgs. 22/1997) si sarebbe realizzata interamente dopo l’entrata in vigore, e la piena operatività, della norma incriminatrice.

Il reato di omessa bonifica nel Codice dell’ambiente.

Il Codice dell’ambiente prevede ora all’art. 257 che “Chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio e' punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore e' punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro.
Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento e' provocato da sostanze pericolose.

La procedura operativa e amministrativa per la bonifica dei siti è ora disciplinata dall’articolo 242 D. Lgs 152/06 con regole che, come ha rilevato la Corte di Cassazione in un recente sentenza (Cass. Pen. 8 marzo 2007, n. 9794) non sono completamente sovrapponibili con quelle stabilite dal previgente articolo 17 D.Lgs 22/97.
Afferma infatti tra l’altro la Corte che “il presupposto generalmente previsto per l’apertura della procedura, secondo la normativa previgente, consisteva nel superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione stabiliti con DM 471/99, ovvero nel pericolo concreto e attuale del superamento dei medesimi limiti (articolo 17 cit., comma 2); mentre, secondo la normativa vigente, l’anzidetto presupposto consiste nell’accertamento di più precise concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) al di sopra delle quali si apre un procedimento di caratterizzazione e di analisi rischio sito specifica, in esito al quale, se è accertato il superamento di concentrazione soglia di rischio (CSR), è richiesta la messa in sicurezza e la bonifica del sito (articolo 242 cit., in relazione all’articolo 240)”.
Secondo la Corte di Cassazione, la struttura del reato contravvenzionale di cui all’articolo 51bis D. Lgs 22/1997 è stata ora riprodotta nella fattispecie prevista dall’articolo 257 D.Lgs 152/06, giacché entrambe le norme puniscono chiunque cagiona l’inquinamento del sito se non provvede alla bonifica secondo la relativa procedura prevista. L’evento tuttavia sarebbe diversamente configurato nelle due fattispecie: in quella previgente, desumibile dal combinato disposto degli articoli 17 e 51bis, l’evento consisteva nell’inquinamento, definito come superamento dei limiti di accettabilità previsti dal DM 471/99, o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento, in qualche modo definibile come avvicinamento ai quei limiti di accettabilità, mentre nella fattispecie vigente prevista dall’articolo 257 D.Lgs 152/06, l’evento è esclusivamente di danno, perché consiste solo nell’inquinamento (non nel pericolo di inquinamento) ed è definito come superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).
Ne deriva che secondo la fattispecie vigente l’evento del reato è diverso sotto un duplice profilo: a) perché è previsto solo come evento di danno, ossia come inquinamento; b) perché l’inquinamento è definito come superamento delle CSR, che è un livello di rischio superiore ai livelli di attenzione individuati dalle CSC e quindi ai livelli di accettabilità già definiti dal DM 471/99. In altri termini, secondo la Corte l’inquinamento che perfezioni il reato di cui all’articolo 257 D.Lgs 152/06 è più grave dell’inquinamento che perfezionava il reato di cui all’articolo 51bis D.Lgs 22/1997.
La Cassazione recentemente ha peraltro modificato anche il proprio orientamento circa la struttura della fattispecie, inquadrando il fatto tipico nell’aver cagionato l’inquinamento, e il completamento di una procedura di bonifica opera, a tutto concedere, come causa di non punibilità.
Con una sentenza del 2006 (Cass. pen., sez. I, n. 29855 del 13.6.2006) la Corte ha infatti affermato che “La struttura del reato di cui d'art. 257 è del tutto corrispondente a quella del precedente reato di cui d'art. 51 bis…poiché continua a prevedere la punibilità del fatto di inquinamento se l'autore "non provvede alla bonifica in conformità" al progetto di cui all'art. 242 (in precedenza era previsto che la bonifica dovesse avvenire secondo il procedimento del corrispondente art. 17). Il che significava e significa che la bonifica, se integralmente eseguita escludeva ed esclude la punibilità del fatto anche secondo la precedente normativa”. Ed ancora: “In sostanza il Legislatore…ha strutturato il reato di cui si tratta come reato la cui permanenza persiste fino alla bonifica ovvero fino alla sentenza di condanna, ma la cui punibilità può essere fatta venire meno…attraverso la condotta riparatoria, in tal modo creando un particolare interesse per l’autore dell’inquinamento – che non può invocare la prescrizione se non ha provveduto alla bonifica – ad attuare le condotte riparatorie, onde eliminare la punibilità del reato”.
La già citata sentenza dell’8 marzo 2007 ha egualmente inquadrato il fatto tipico del reato come incentrato sulla causazione dell’inquinamento piuttosto che come condotta meramente omissiva.
La Cassazione, con la ricostruzione da ultimo proposta, da un lato abbandona quindi il concetto di reato omissivo (non è più l’omissione della bonifica ad essere punita, venendo la bonifica ad essere considerata una mera condizione di non punibilità), ma bensì l’aver cagionato l’inquinamento, e dall’altro afferma come la nuova fattispecie sarebbe un reato di evento di danno, e non di pericolo, con ciò che ne consegue anche sul piano probatorio.
Quanto al trattamento sanzionatorio, l’articolo 51bis D.Lgs 22/1997 prevedeva la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, mentre l’articolo 257 D.Lgs 152/06 prevede la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. Solo nel caso in cui l’inquinamento sia provocato da sostanze pericolose, sia la norma previgente che quella vigente prevedono la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda. Pertanto, nell’ipotesi di inquinamento da sostanze non pericolose la fattispecie è oblazionabile ai sensi dell’art. 162 bis del C.P., ove sussistano i presupposti previsti da detta norma.
euro.

L’autonoma fattispecie di omessa comunicazione

L’autonoma fattispecie di cui all’art. 257, comma 1, secondo periodo, prevede però anche una autonoma e distinta fattispecie di reato, precedentemente inglobata nella più generale previsione dell’art. 51 bis
Tale fattispecie dispone che “In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore e' punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila
La comunicazione cui si riferisce la norma penale riguarda la previsione di cui all’art. 242 comma 1 del D. Lgs. 152/2006, secondo la quale al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all'articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
Nell’ordinanza che si commenta il Tribunale, disattendendo il parere del Pubblico Ministero, ha ritenuto che tale autonoma fattispecie, oblazionabile ex art. 162 bis, sia applicabile ogni volta che via sia stato il solo ritardo nella comunicazione, quando sia poi seguita l’effettuazione della bonifica. Ciò a prescindere dalla natura pericolosa o meno delle sostanze che abbiano generato l’obbligo di bonifica, stante la chiara volontà del legislatore di differenziare le condotte produttive di danno dalla meno grave condotta di pericolo derivante dalla omessa comunicazione.
Concludendo, si deve mettere in evidenza che la nuova fattispecie penale, pur avendo la stessa struttura di quella precedente, è meno grave, perché riduce l’area dell’illecito (restringendola alla condotta di chi cagiona inquinamenti più invasivi) e attenua il trattamento sanzionatorio.
L’evento inquinamento è perciò richiesto come “elemento essenziale” della nuova figura criminosa, ed il suo accertamento è imprescindibile per l’affermazione di responsabilità.
Esso inoltre dovrà necessariamente essere stato posto in essere con dolo o colpa, in quanto elemento essenziale della fattispecie, sul quale si incentra il disvalore penale oggetto della pretesa punitiva.
Infine, la sola omessa comunicazione prevista dall’art. 242 comma 1 costituisce, nel nuovo regime, una fattispecie autonoma di reato, punito con pena oblazionabile ex art. 162 bis a prescindere dalla pericolosità delle sostanze che abbiano determinato l’inquinamento ed il conseguente obbligo di bonifica.

 


* Avvocati


1 F. Anile, Bonifica dei siti contaminati, in Ambiente 1999, n. 2, pag 125.
2 Cfr., F. Giampietro, Bonifica dei siti inquinati: dal D. lgs. “Ronchi” al “Ronchi bis, in Ambiente, 1998, p. 69; P. Severino di Benedetto, I profili penali connessi alla bonifica dei siti inquinati, in Ambiente 2000, n. 5, pag. 417  Aderisce alla tesi della condotta mista, costituita, nella parte attiva, dall’aver cagionato l’inquinamento o il pericolo di inquinamento, seguita dalla condotta omissiva relativa alla mancata bonifica, P. Pagliara, Bonifica dei siti inquinati: dibattito ancora aperto (II) in Ambiente, 1998, n.9, pp. 743 ss. Per la ricostruzione dei diversi orientamenti, si veda S. Beltrame, Gestione dei rifiuti e sistema sanzionatorio, Padova, 2000, op. cit., p. 386
3 Vedi C. Cost. 13 dicembre 1999, n. 1085, in Foro it. 1989, I, 1378, secondo cui tutti gli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore penale della fattispecie devono essere investiti dal dolo o dalla colpa dell'agente.
4 Cfr. F. Anile, op. cit., p. 126 .
5 secondo cui "è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agente (siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati",
6 La sentenza in questione sembra in realtà suggerire la possibilità di una continuità, e quindi di una successione di norme penali tra l’art. 51 bis e l’art. 32 del D.P.R 915/82. Detta continuità è stata sostenuta, in modo francamente azzardato, anche da Cassazione penale, sez. III, 13 gennaio 1999, in Ambiente, 1999, p. 563 ss., con nota di F. Anile. Accedendo alla tesi dell’art. 51 bis come reato omissivo, deve invece escludersi in radice ogni continuità tra le due fattispecie (in ogni caso estremamente forzata), stante la profonda disomogeneità che le fattispecie succedutesi (l’una relativa all’aumento dell’inquinamento, l’altra alla omissione della sua rimozione) verrebbero a rivestire. Quando infatti le leggi penali succedutesi, sebbene riferibili ad un medesimo fatto concreto, ne prendano in considerazione elementi differenti, non si ha successione di leggi, ma abolitio criminis a cui segue una nuova fattispecie incriminatrice, inapplicabile retroattivamente (cfr. T. Padovani, R. it. d. proc. Pen., 1982, pag. 1354 ss.).
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 30/04/2008

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