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RIFIUTI, SOTTOPRODOTTI E M.P.S. NELLA NUOVA DIRETTIVA CE
(testo approvato il 17 giugno 2008)
PASQUALE GIAMPIETRO
1. Principi e linee-guida nelle prime bozze (2005) della nuova direttiva CE,
relativa ai rifiuti.
Dopo più di un quarto di secolo - ove si consideri che la prima definizione
di rifiuto (e, argomentando, contrario sensu, di non rifiuto)
risale alla direttiva 75/442/CEE…- il legislatore comunitario torna sui suoi
passi, mostrando una certa coerenza nel ratificare la prima, consolidata,
nozione di “rifiuto”, anche se in modo più stringato ed essenziale1;
ma, soprattutto, molto coraggio, nel cimentarsi in un nuovo, e per molti versi,
rischioso impegno.
Quello di definire, esplicitamente e fomalmente, la categoria giuridica (e,
prima ancora, merceologica-commerciale) di sottoprodotto (v. art. 5) e di
materie prima secondaria (secondo varianti lessicali multiple: “prodotti,
materiali, sostanze o oggetti”, ex artt. 6, sulla “Cessazione della qualifica di
rifiuto” e 3, p. 17, sul “riciclaggio”).
Mettendo a frutto, come ogni buon legislatore - e ratificando nella forma
cogente della norma giuridica (anche se posta da fonte secondaria, non
autoapplicativa) – la densa, risalente e spesso disomogenea e ripetitiva
esperienza giurisprudenziale della Corte di Giustizia europea e delle corti
nazionali, oltre che i contributi della Commissione2
e degli studiosi europei.
Di tale vasto patrimonio culturale, prima che giuridico - già riversato nei
meditati suggerimenti e negli specifici obiettivi così ben formulati dalla
Commissione CE, nel 2007- si rintraccia un puntuale riscontro nelle precedenti
bozze della nuova direttiva, ed in particolare:
A) bozza del Parlamento europeo e del Consiglio,
contrassegnata come proposta 2005/0281 (COD)3
del 21 dicembre 2005 - nella cui “Relazione introduttiva” già si metteva in
luce, quali profili significativi del suo dettato:
▪ la determinazione dei criteri per definire quando un rifiuto
cessa di essere tale. Ciò consentirà di adottare i criteri per specifici
flussi di rifiuti, in modo da garantire che i materiali riciclati non
danneggino l’ambiente e di ridurre l’onere amministrativo per gli
operatori che producono materiali riciclati conformi a tali criteri;
▪ chiarimento dei concetti di “recupero” e “smaltimento”;
▪ introduzione, per determinati flussi di rifiuti, di una procedura per chiarire
quando un rifiuto cessa di essere tale;
▪ la definizione di “rifiuto” rimane invariata, ma nel capo III viene previsto
un meccanismo che consente di chiarire il momento in cui un determinato
rifiuto cessa di essere tale, grazie all’adozione, tramite la procedura di
comitato, di appositi criteri per i flussi di rifiuti che soddisfano le
condizioni di cui all’articolo 11.
Nell’art. 5 della Bozza, in oggetto, dedicata al “recupero” (cui si invitano gli Stati membri di sottoporre “tutti i rifiuti”) le “operazioni di recupero” sono indicate come quelle che risultano idonee - in base a “criteri di efficienza da adottare da parte della Commissione (v. comma 2) - ad ottenere dai rifiuti “. prodotti, materiali o sostanze secondarie (v. art. 11) , che abbiano un loro “utile impiego in sostituzione di altre risorse che avrebbero dovuto essere utilizzate al tal fine, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale…” (cioè, per essere chiari, commercializzate e vendute a terzi)4
Il Capitolo III della bozza, titolato “Cessazione della qualifica di
rifiuto”, ribadiva che:
a) “alcuni rifiuti non siano più tali dopo le operazioni di recupero” (o di
riutilizzo, riciclaggio);
b) che, in tal caso, essi vanno riclassificati come “prodotti, materiali o
sostanze secondarie”, a condizione che:
c) la riclassificazione non comporti impatti ambientali complessivamente
negativi;
d) esista un mercato per essi.
Sul piano procedimentale, di esecuzione del disposto, ex art. 36, par. 2,
la Commissione è investita del compito di adottare misure (prescrizioni)
esecutive:
1) per tipologie specifiche di rifiuti da individuare in base ai prodotti,
materiali o sostanze che li compongono e, per ciascuna categoria specifica:
2) precisare (e fissare) “i criteri ambientali e di qualità da soddisfare”5
perché “il rifiuto in questione”, dopo le operazioni di recupero indicate, possa
essere “considerato” (cioè giuridicamente qualificato) come “materiale, sostanza
o prodotto secondario”.6
B) Merita altresì segnalare, in argomento, gli interessanti approfondimenti
forniti dalla successiva “Risoluzione legislativa del parlamento europeo
sulla proposta di direttiva sui rifiuti, in esame, del 13.2.2007
(COM(205)067 – C6- 0009/2006 -2005/0281 (COD), che, sulle questioni in esame,
segnala le seguenti esigenze:
- di definizione
della nozione di “riutilizzo” da formulare in modo da comprendere tutte le
operazioni definite come “riutilizzo” sui rifiuti7
derivanti da prodotti specifici;
- di definizione del termine “riciclaggio”, per precisare la portata di
questo concetto e di modifica delle definizioni di “recupero” e “smaltimento”
per garantire una netta distinzione tra questi due concetti, fondata su una vera
differenza in termini di impatto ambientale e sulla salute, sul fatto che
l’operazione porti o meno alla sostituzione di risorse naturali nell’economia
che sarebbe l'alternativa preferita;
- di chiarire alcuni aspetti della definizione di “rifiuto”,
specificando, categoria per categoria, in quale momento si ritiene che
determinati rifiuti cessino di essere tali e diventino materiali o sostanze
secondari. La Commissione dovrebbe presentare proposte legislative sui
criteri per tale riclassificazione e per determinare se taluni flussi di rifiuti
rientrano nell'ambito della presente direttiva;
- di specificazione del momento in cui un materiale o una sostanza, risultato di un processo di produzione o di estrazione (che non ha come obiettivo principale la sua produzione) e che il detentore intende sfruttare e di cui non intende disfarsi, diventa un sottoprodotto. La Commissione dovrebbe predisporre linee guida interpretative: 1) sulla base della giurisprudenza in vigore. Qualora ciò dovesse rivelarsi insufficiente, la Commissione dovrebbe, se del caso, e avendo prestato particolare attenzione alle questioni collegate all’ambiente e alla salute, nonché alle condizioni definite nella giurisprudenza; 2) presentare proposte legislative con criteri chiari per determinare, caso per caso, quando si possa ritenere che tali materiali e sostanze non rientrino nell’ambito della definizione di rifiuto. In mancanza di tali misure adottate a livello comunitario o di una giurisprudenza europea applicabile: 3) i materiali o le sostanze in questione dovrebbero continuare ad essere considerati rifiuti;
- di sollecitazione degli Stati membri, a garantire opzioni di gestione adeguate e redditizie per i rifiuti provenienti da operazioni di riciclaggio, riconoscendo così il contributo essenziale degli impianti di riciclaggio ai fini della riduzione dello smaltimento finale. Tali rifiuti residui rappresentano un ostacolo non indifferente per un ulteriore aumento delle capacità di riciclaggio e le autorità competenti dovrebbero prendere le misure necessarie, con l'obiettivo di realizzare la società del riciclaggio.
2. La versione definitiva della Direttiva del 17 giugno 2008.
Da ultimo, nel testo definitivo della nuova direttiva, nella versione
oggetto della risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 17 giugno 2008,
tali esigenze e sollecitazioni sono fatte proprie e rielaborate in disposizioni
che, con riferimento ai temi che interessano la presente nota, mirano a:
- una più rigorosa
nozione di gestione di rifiuto, nelle forme del riutilizzo, trattamento,
recupero, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio (v. art. 3, par. 12/16);
- una più dettagliata individuazione della categoria dei “sottoprodotti”
(art. 4) nonché della “fase e/o momento” in cui cessa la qualifica di
rifiuto e viene ad esistenza giuridica la nozione di “sostanza od oggetto“
derivante dalle operazioni di recupero (art. 5) in cui può farsi, certamente,
rientrare la “materia prima secondaria” da recupero;
In estrema sintesi, riteniamo essenziale evidenziare, per una visione d’insieme,
in cui riportare le singole questioni che si prospetteranno nella prassi, i
seguenti profili salienti del provvedimento.
2.1. Sostanze escluse.
A) l’allargamento e una più chiara individuazione delle sostanze
che sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva rifiuti (ex
art. 1), quali: il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato
non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno; il suolo non
contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività
di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di
costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato;
materie fecali, paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non
pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la
produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non
danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana; sottoprodotti di
origine animale;
2.2. La nozione di rifiuto.
B) l’esplicitazione e definizione della nozione di riutilizzo –
riferita a prodotti o componenti di prodotti che non sono qualificati rifiuti
– reimpiegati per la loro originaria funzione, in questi termini: “
riutilizzo”: qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o
componenti che non sono rifiuti8
vengono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”
(se ne veda la conferma, ragionando a contrario, dall’art. 6, comma 1, il quale
indica come operazioni di recupero il riclaggio ma non il riutilizzo).
Merita peraltro rilevare, che l’utilizzazione è fatta precedere da una distinta
operazione di “preparazione per il riutilizzo”, costituita da “.
operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o
componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter
essere reimpiegati senza altro pretrattamento” (v. art. 3, p. 16).
Il quesito, allora, si sposta al distinto interrogativo afferente la
necessità o meno di richiedere l’autorizzazione per lo svolgimento delle
attività di “preparazione” di sostanze “diventati rifiuti”.
In favore della tesi dell’esclusione militano i seguenti rilievi:
a) la specificità/tassatività, modestia e non pericolosità delle operazioni
compiute: controllo, pulizia, riparazione;
b) la loro qualificazione, da parte della stessa direttiva, come “pretrattamento
e non trattamento” (completo di tipo recuperatorio);
c) la sottolineatura lessicale secondo cui, almeno nella versione italiana,
si impiega l’espressione “operazioni di controllo, pulizia, ecc.” e non “operazioni
di recupero costituite dal controllo, pulizia, ecc.”;
d) l’assenza, anche sul piano sostanziale, di vere e proprie
operazioni di recupero, le quali, pertanto, non rientrerebbero nella
previsione dell’art. 23 (autorizzazione) che richiama le operazioni di
“trattamento” comprensive di “recupero o smaltimento”, ex art. 3, p. 14;
e) l’omessa menzione delle “operazioni per il riutilizzo” nell’art. 6, comma 1,
come operazioni di recupero che fa cessare la qualifica di rifiuto.
In favore della tesi contraria (dell’assoggettamento ad autorizzazione)
si pongono, però, due rilevanti considerazioni:
a) nella versione inglese, per es, dette operazioni di “controllo, pulizia
riparazione” sono definite espressamente come operazioni di recupero (e
dunque da autorizzare). Questo il testo: "preparing for re-use"
means checking, cleaning or repairing recovery operations, by which
products or components of products that have become waste are prepared so that
they will be re-used without any other preprocessing”;9
b) ma, in tal senso, milita una ragione ben più dirimente e cioè che questa ”preparazione
per il riutilizzo riguarda, per espressa indicazione del legislatore
comunitario “prodotti e componenti di prodotti diventati rifiuti”.
Se quindi, questi ultimi “rifiuti”, dopo la preparazione, diventano
“prodotti o componenti che non sono rifiuti”, oggetto di riutilizzo” (v.
sopra l’art. 3, p. 13), appare logicamente e giuridicamente consequenziale
dedurne (e qualificare) tale “preparazione” coma una sorta – anche se minima -
di attività di recupero (ex art. 3, n. 15), rientrante nella nozione di
“trattamento” o pre-trattamento recuperatorio, da assentire10,
ex art. 23, par. 1:
c) una conferma testuale di tale ultima conclusione si ricava dal punto 14
dell’art. 3, che estende il significato di “trattamento” fino a
ricomprendere - oltre alla operazione di recupero e smaltimento anche - “la
preparazione prima del recupero o smaltimento”.
L’obiettivo di potenziamento, a livello organizzativo degli Stati membri,
dell’utilizzo del rifiuto, viene espressamente enfatizzato dall’art. 11
della direttiva proprio con espresso riferimento al riutilizzo.
Esso detta:
“Gli Stati membri adottano le misure necessarie per promuovere il riutilizzo
dei prodotti e le misure di preparazione per le attività di riutilizzo, in
particolare favorendo la preparazione e il sostegno di reti di riutilizzo e di
riparazione, l’uso di strumenti economici e, di criteri in materia di appalti,
di obiettivi quantitativi e di altre misure”.
2.3. Il recupero e
la m.p.s.
C) una riflessione a parte - e una doverosa distinzione – riguarda le
operazioni di “recupero” (nozione di genere, comprensiva anche di
quella specifica di riciclaggio, ex art. 3, p. 17) - in posizione
gerarchicamente superiore rispetto allo smaltimento, ma inferiore in
relazione alla “prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, ex
art. 4, lett. d).
Se per il diritto italiano vigente, le operazioni di recupero conducono, nel
rispetto delle relative condizioni, alla produzione di “materie sostanze
e prodotti secondari” (ex art. 181 bis, con la conseguenza che, ai
sensi dell’art. 181, comma 3, “ La disciplina in materia di gestione
dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero”),
nella nuova direttiva11
la stessa vicenda del recupero si risolve (o sembra risolversi) in due
possibili alternative:
a) quella di intervenire sul rifiuto (con trattamenti) al fine di permettergli –
ancora come rifiuto - di assolvere la funzione di sostituire (o
prepararlo a sostituire) altri materiali che sarebbero stati altrimenti
utilizzati in sua vece (presumibilmente materia prima), giusta la previsione
dell’art. 3, p. 15;
b) la seconda, regolata dall’art. 6, di trattamento “di taluni rifiuti
specifici” (come nel caso di riciclaggio), per ottenere sostanze od
oggetti che non sono più qualificabili come rifiuti, in quanto
trasformate in merce, ricorrendo certe condizioni (m.p.s., sostanze o
prodotti secondari12).
In tale ultimo caso, si realizza un “trattamento dei materiali dei rifiuti….per
ottenere prodotti materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione
originaria o per altri fini” (tale descrittiva appartiene alla definizione
di riciclaggio, ex art. 3, p. 17 ma, a nostro avviso, ricomprende anche
le attività di recupero segnate da tutto l’ambito di operatività dell’art.
6, titolato” Cessazione della qualifica di rifiuto”).
In conclusione, nel primo senso, l’art. 3, p. 15, definisce il recupero”, nelle sue tortuose circonlocuzioni, come:
- ”qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai
rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che
sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o
di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o
nell’economia in generale.13
L’allegato I! riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero”.
Nel secondo significato, il recupero è riferito ad operazioni che
trasformano, merceologicamente (e giuridicamente) determinate tipologie di
rifiuti (quindi non tutte14),
in materie, sostanze o prodotti (secondari) a certe, predeterminate (e già note)
condizioni.15
Da rilevare che la “sostanza o l’oggetto ottenuto” può essere “utilizzato” tanto
dal suo produttore–recuperatore quanto venduto (esitato) sul mercato a terzi,
con o senza intermediari in quanto, una volta cessata la qualifica di rifiuto,
dette sostanze circolano come “prodotto” (di cui devono rispettare gli standard
merceologici).
L’art. 6 non fa neppure cenno di un (obbligatorio) utilizzo diretto presso il recuperatore, secondo principi giuridici ormai consolidati perché, si ripete, la sostanza o l’oggetto è diretto al mercato, tanto che:
- una delle condizioni per il suo riconoscimento giuridico è appunto “l’esistenza
di un mercato o di una domanda” (v. art. 6, paragrafo 1, lett. b); ne
deriva, da tale destinazione mercantile che:
- essi devono soddisfare “la normativa e gli standard esistenti
applicabili ai prodotti” (v. lett. c) oltre ai valori limite per le
sostanze inquinanti che possano contenere (come per le merci pericolose);
- si dà per scontato che essi circolino all’interno e all’estero e pertanto si
pretende che si tenga conto “… di tutti i possibili effetti negativi
sull’ambiente” (specificazione sub lett. d).
2.4. IL sottoprodotto.
D) Benché non inserita nell’ambito delle disposizioni riferite alle
“Definizioni” (art. 3) ovvero alle “Esclusioni dall’ambito di applicazione”
(art. 2, salvo il richiamo di comma 2, lett. b) al sottoprodotto di origine
animale), la nozione di “Sottoprodotti” compare, per la prima volta, in
termini formali ed ufficiali, nell’art. 5 della nuova direttiva (mentre,
come è noto, era assente nelle precedenti)16.
Unitamente all’art. 6 (“titolato “Cessazione della qualifica di rifiuto”) le due
previsioni costituiscono un connotato comune (in termini di esclusione) e
caratterizzante l’intero impianto della direttiva del 2008 la quale, nell’ambito
dell’annosa ed intricata distinzione fra residui-rifiuti e residui-sottoprodotti
– che tanto aveva affaticato le giurisdizioni, nazionali e comunitarie, ed
altrettanto fortemente sollecitato l’esegesi, spesso disomogenea e
contraddittoria degli studiosi, opera una scelta di politica legislativa
netta e coraggiosa.
Sceglie cioè di sottrarre al pesante regime dei rifiuti, per affidarla alle
leggi del commercio, l’ampio e fiorente mercato di quei prodotti che, pur
non costituendo “lo scopo primario delle produzione”, ne formano arte
integrate; possono essere e sono ulteriormente e legalmente utilizzati
per sé o per altri, senza trattamento ulteriore o con un trattamento che
rientra nella “normale pratica industriale” (come quello cui sono sottoposte
anche le materie prime).
Le condizioni poste dalla direttiva sono già note, perché elaborate dalla
giurisprudenza comunitaria e tradotte poi in leggi nazionali (come nel caso
dell’ordinamento italiano che ha, da ultimo, definito il sottoprodotto nella
lett. n) del comma 1, dell’art. 183, del T.U., poi modificato dal
nuovo art. 183 comma 1, lett. p), del “secondo correttivo”17.
Di tale definizione merita segnalare che:
1) L’ulteriore utilizzo è certo (sub a) e senza ulteriore trattamento
(lett. b). Le due condizioni costituiscono una logica conseguenza della
nozione di rifiuto. Il sottoprodotto se fosse (di fatto) smaltito,
abbandonato o sottoposto ad un trattamento di recupero dovrebbe qualificarsi
residuo produttivo-rifiuto, in quanto oggetto di
un’attività di “disfarsi” (e dunque non ancora immediatamente utilizzabile
secondo la definizione di sottoprodotto).
Ma la “certezza del suo ulteriore utilizzo” pone anche un problema di
sicurezza circa il suo destino (di impiego come prodotto), che sta
particolarmente a cuore alle Autorità di controllo. Le quali devono verificare
perché detta qualifica non venga attribuita pretestuosamente per dissimulare una
sostanza che verrà, invece, destinata, per es., allo smaltimento. La certezza
del successivo riutilizzo pone, dunque, produttore/detentore del
sottoprodotto un problema di (predisporre e) disporre di prove che
forniscano, il più agevolmente e convincentemente possibile, tale certezza
in sede di controllo amministrativo e di polizia giudiziaria (per dimostrare la
assenza di possibili elusioni o violazioni della normativa sui rifiuti).
2) L’ulteriore utilizzo non è riferito, né esplicitamente né
implicitamente, al ”processo produttivo di provenienza” o, come impone la lett.
p), n. 2 dell’art. 183 novellato “il loro impiego sia certo… e
avvenga direttamente nel corso del processo di produzione”.
Tale irragionevole e restrittiva condizione, contraddice la direttiva
2008 la quale si limita a richiedere, senza alcun limite spaziale o di processo,
che la “sostanza o l’oggetto” sia “ulteriormente utilizzato” – ma non
nello stesso processo produttivo o nel corso del processo produttivo - e
dunque anche presso imprese terze del mercato nazionale, comunitario e non,
secondo le leggi del libero mercato cui ricade, per definizione, il
sottoprodotto-merce.
La genericità e conseguente onnicomprensività della formula “ulteriormente
utilizzato” autorizza l’interpretazione indicata proprio in ragione dell’assenza
(altrimenti doverosa) di ogni limitazione spaziale, personale o tecnologica
riferibile al riutilizzo.
Tale lettura trova ulteriore conferma nella precedente formulazione
dell’articolo 4, che, nella testo oggetto della Risoluzione del Parlamento
europeo del 13.2.2007, riferiva il riutilizzo ulteriore al processo di
produzione di provenienza (questo il precedente dettato della lett. c:
“ l’ulteriore utilizzo della sostanza o dell’oggetto forma parte
integrante di un processo di produzione”) mentre nell’attuale
lett. c), - il sottoprodotto viene correlato alla produzione e non
all’utilizzazione: “”la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte
integrante di un processo di produzione” (non di utilizzazione!).
Sul tema è ancora da aggiungere che, se nella precedente dizione dell’art. 183
lett. n), accanto all’ipotesi “dei sottoprodotti impiegati direttamente
dall’impresa che li produce” veniva posta, chiaramente, la seconda evenienza
dei “sottoprodotti commercializzati a condizioni economicamente favorevoli
per l’impresa stessa direttamente per i consumo o per l’impiego”; nella
nuova dizione del correttivo 2008, la seconda alternativa è più oscura e quindi
dal significato equivoco: “ . avvenga direttamente nel corso del processo di
produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito”.
Risulta, infatti, ancora incerto il senso della successiva e alternativa “utilizzazione”: se presso il produttore o, assai più verosimilmente, presso terzi (per differenziare il caso, dal precedente dell’utilizzo “nel corso del processo di produzione”).
2/a) La direttiva pretende che sia “certo” che la sostanza “sarà ulteriormente
utilizzata” senza porre un limite cronologico e tecnologico come quello
imposto dal correttivo: “il loro impiego sia certo fin dalla fase della
produzione”…. e sia preventivamente individuato e definito”: potrebbe
infatti sorgere una occasione di riutilizzo dopo la fase della produzione del
sottoprodotto!
Perché chiudere il mercato a questa evenienza con un limite non preteso dalla U.E.?
Perché imporre “un impiego. integrale”? La direttiva non lo chiede: il mercato potrebbe acquistare una parte dei sottoprodotti ottenuti e non tutti. La quota invenduta sarà destinata, se del caso, al recupero o allo smaltimento, come rifiuto!
3) Se il riutilizzo deve essere certo, appare altrettanto vero che esso si verificherà in un momento successivo alla produzione del sottoprodotto (che “sarà ulteriormente utilizzato”). La direttiva non pone limiti di tempo al reimpiego come invece prevede per i rifiuti destinati al recupero fatti oggetto di deposito preliminare (o messa in riserva). Tutto ciò appare coerente con la natura, del sottoprodotto come merce fin dall’origine.
4) E’ ben vero che il sottoprodotto deve essere impiegato “direttamente”
cioè senza operazioni di trattamento in senso tecnico-giuridico (a fini di
recupero) ma, a differenza di quanto previsto dalla lett. p) n. 2 dell’art. 183
novellato, e in conformità all’insegnamento della C.G.C.E. sono previsti
espressamente e consentiti quei trattamenti propri della normale pratica
industriale, come peraltro sostenuto, da chi scrive, da tempo ormai remoto18.
Questo il significato della espressione della direttiva ex art. 5, comma 1, lett. b), volta al positivo: “ senza alcun trattamento diverso dalla normale pratica industriale” (ci si riferisce a quei trattamenti cui è sottoposta anche la materia prima in funzione del processo produttivo seguito per la realizzazione di un determinato prodotto).
I “trattamenti”, in assenza di qualsivoglia previsione contraria, possono essere compiuti tanto dal produttore che dal terzo “utilizzatore” (per es. acquirente) del sottoprodotto purché siano riconducibili “alla normale pratica industriale”.
L’attributo “diretto”
va correlato all’utilizzo e non alle operazioni di trasferimento del
sottoprodotto. Il quale, pertanto, può essere riutilizzato tanto dal primo
destinatario, cui viene trasferito (primo e utilizzatore), quanto da
utilizzatori terzi, cui il sottoprodotto perverrà, dopo uno i più scambi (per es
grazie ad intermediari, titolari di centri di deposito, ecc).
Come, infatti, ci sono commercianti e intermediari di rifiuti (v. art. 3, punti
7 ed 8 della direttiva), a maggior ragione è del tutto coerente e legittimo
consentire, secondo le necessità del mercato, interno ed estero, che i
sottoprodotti (come per i “prodotti, materiali e sostanze”, che provengono dal
riciclaggio, ex art. 3, p. 17, o dal recupero, ex art. 6, lett. b, per i quali
esiste “un mercato e una domanda” nazionale europea e internazionale) possano
liberamente circolare.
5) la legalità dell’utilizzo risulta correttamente connessa alla
ricorrenza dei requisiti merceologici (o specifiche tecniche), che
il sottoprodotto deve possedere, oltre che alla ricorrenza delle caratteristiche
necessarie ai fini della tutela della salute e dell’ambiente (v. lett. d).
6) merita, da ultimo, considerare contestualmente i parr. 2 degli artt. 5 e 6
(rispettivamente dedicati ai sottoprodotti e alla cessazione della qualifica di
rifiuti) nei quali, al fine di apportare modifiche, “non essenziali alla
direttiva”, si prevede l’adozione di misure volte a fissare dei criteri da
soddisfare perché – rispettivamente - “sostanze od oggetti specifici” siano
considerati sottoprodotti (ex art. 5) ovvero per definire quando
gruppi o categorie specifiche di rifiuti, cessino di essere tali per
diventare prodotti, materiali o sostanze” (secondarie).
I due paragrafi rinviano alla “Procedura di Comitato” di cui all’art.
39, par. 2, indicando, in particolare – per i rifiuti da recuperare ex art.
6 - l’opportunità di dare la precedenza “ agli aggregati, ai
rifiuti di carta e di vetro, ai metalli, ai pneumatici, ai rifiuti
tessili”.
Un’ultima considerazione di principio. Tutte le tematiche appena accennate
formeranno oggetto di doverosi, assai più meditati approfondimenti, per
attingere una interpretazione affidabile e condivisa dai più. Ma attenzione a
non insistere in una pervicace illusione. Quella di credere di poter risolvere i
tanti e spinosi problemi, posti dalla realtà, con sempre nuove normative, anche
se tecnicamente più avanzate. (per es., nella specie, rispetto alla recentissima
direttiva 5 aprile 2006, n. 12, CE, “relativa ai rifiuti”, sfuggita
all’attenzione di molti….).
L’instabilità normativa nuoce, sovente, al momento applicativo assai più della
vetustà e/o inadeguatezza di persistenti discipline la cui stabilità, nel tempo,
risulta, però, in grado di assicurare, di fatto, il radicarsi di univoche
interpretazioni e consolidate prassi amministrative. Che, poi, è quello che
conta!
* Prof. Avv.
Pasquale GIAMPIETRO
già Consigliere di Cassazione. e Componente dell’Ufficio Studi del C.S.M.
Docente universitario Fondatore di “AMBIENTE” Ipsoa (Mi)
info@giampietroambiente.it
1 L’art. 3 della
bozza di direttiva CE, approvata definitivamente dal Parlamento europeo, il 17
giungo scorso, detta: “Ai fini della presente direttiva si intende per “rifiuto”
qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia intenzione o
l’obbligo di disfarsi”, facendo giustamente cadere il richiamo alle categorie di
rifiuti indicate negli allegati che contenevano indicazioni non costitutive
della nozione ma con finalità statistiche e di armonizzazione, normativa e
lessicale .
2 Mi riferisco, in specie, al più recente contributo della
“Comunicazione interpretativa” della nozione di rifiuto della Commissione CE del
21 febbraio 2007.
3 L’obiettivo
principale della direttiva è la protezione dell’ambiente. La proposta è pertanto
basata sull’articolo 175 del trattato CE, così come la precedente modifica della
direttiva quadro sui rifiuti.
4 Questo il testo, non perspicuo, della norma, che crea qualche
residuo equivoco in quanto “l’utile reimpiego” viene sintatticamente riferito
ancora ai rifiuti anziché, come avrebbe dovuto essere e come si capisce leggendo
in successione l’art. 11, ai “prodotti, materiali e sostanze secondarie”:
1.“ Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che tutti i
rifiuti siano sottoposti a operazioni (di seguito “operazioni di recupero”) che
permettano un loro utile impiego in sostituzione, all’interno dell’impianto o
nell’economia in generale, di altre risorse che avrebbero dovuto essere
utilizzate a tal fine, o che permettano di renderli atti a tale impiego. Gli
Stati membri considerano come operazioni di recupero almeno le operazioni di cui
all’allegato II. 2. La Commissione può, secondo la procedura di cui all’articolo
36, paragrafo 2, adottare misure di esecuzione al fine di definire criteri di
efficienza in base ai quali poter considerare che le operazioni dell’allegato II
abbiano dato origine a un utile impiego dei rifiuti ai sensi del paragrafo 1”
(sul tema, v. oltre).
5 Il terzo comma del
precetto prevede che: “ I criteri definiti a norma del paragrafo 2 sono tali da
garantire che il materiale, la sostanza o il prodotto secondario soddisfi le
condizioni necessarie per l’immissione in commercio.
I criteri tengono conto del possibile rischio di danni all’ambiente derivante
dall’utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto
secondario e sono fissati in modo da garantire un elevato livello di protezione
della salute umana e dell’ambiente.
6 Questo è il testo integrale dell’art. 11 che soffre ancora di
qualche approssimazione e reticenza: “ Al fine di determinare se sia opportuno
ritenere che alcuni rifiuti non siano più tali dopo un'operazione di riutilizzo,
riciclaggio o recupero, e di riclassificare tali rifiuti come prodotti,
materiali o sostanze secondari, la Commissione verifica che siano soddisfatte le
seguenti condizioni:
a) l’eventuale riclassificazione non comporta impatti ambientali
complessivamente negativi;
b) esiste un mercato per tali prodotti, materiali o sostanze secondari.
2. Sulla base della valutazione di cui al paragrafo 1, la Commissione adotta,
secondo la procedura di cui all’articolo 36, paragrafo 2, misure di esecuzione
per categorie specifiche di rifiuti classificate in base ai prodotti, ai
materiali o alle sostanze che li compongono, precisando i criteri ambientali e
di qualità da soddisfare affinché il rifiuto in questione possa essere
considerato come materiale, sostanza o prodotto secondario.”
7 Come si vedrà, nell’ultima versione, il riutilizzo non
riguarda più i rifiuti ma già dei prodotti: v. par. 2, sub B).
8 Nella bozza di direttiva del 21.12.2005, lo stesso passo recitava: “ qualsiasi operazione di recupero attraverso la quale prodotti o componenti che erano divenuti rifiuti, sono reimpiegati per la stessa finalità… “ (qualificando il riutilizzo come operazione di “recupero di rifiuti” essa era sottoposta ad autorizzazione ex art. 23. Oggi, invece, il riutilizzo riguardando prodotti non rifiuti, non è gravata dall’obbligo autorizzatorio.
9 Mentre per
l’utilizzo si intende: “ "re-use" means any operation by which products or
components that are not waste are used again for the same purpose for which they
were conceived”
10 Benché il trattamento (p. 14) riguardi solo “le operazioni
di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello
smaltimento. Nel caso, invece, la preparazione, di cu a p. 16, riguarda invece,
il riutilizzo che è attività assai diversa, come chiarito, dallo smaltimento al
recupero.
11 Rispetto alle due precedenti: 91/156 e 12/2006 CE, nelle
quali (v. art. 3, comma 1, lett. b), i, si faceva espressa menzione di “ogni
altra operazioni” (di recupero) “intesa ad ottenere materie prime secondarie”,
in alternativa (“o”) al “recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego,
riutilizzo”. In tale ultima espressione non si chiariva affatto se “il recupero
dei rifiuti” si esauriva nel loro diretto utilizzo in sostituzione della materia
prima (vergine), come indica abbastanza chiaramente l’attuale art. 3, punto 15
(“il recupero. operazione il cui principale risultato sia di permettere ai
rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali“). Peraltro, la
stessa attività di recupero, nella forma specifica del (e secondo la distinta
espressione di) “riciclaggio” indica l’operazione di “ritrattamento dei
materiali di rifiuto per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare
per la loro funzione originaria o per altri fini”.
Altrettanto può ripetersi, per quelle operazioni di recupero (“controllo,
pulizia, riparazione), che vanno sotto la denominazione “preparazione per il
riutilizzo” (v. punto 16) che sono destinate a trasformare i rifiuti in
“prodotti o componenti di prodotti”, senza altro pretrattamento a fini di
recupero (tale non essendo il “riutilizzo” : come si desume dal punto 13, atteso
che il riutilizzo ha per oggetto già prodotti o componenti di prodotto), per le
stesse finalità per le quali erano stati concepiti.
12 Così espressamente si legge nell’art. 14 della “Risoluzione
legislativa del Parlamento europeo sulla proposta della nuova direttiva”, in
esame, del 13.2.2007
13 Tale lettura, trova conforto nel dettato dell’art. 3, lett.
j) della Risoluzione legislativa del Parlamento europeo sulla proposta della
nuova direttiva del 13.2.2007 che detta: “recupero”: un’operazione di
trattamento dei rifiuti che risponda ai seguenti criteri:
i) permetta ai rifiuti di sostituire altre risorse che sarebbero state impiegate
per assolvere tale funzione o di subire un trattamento in vista di tale
utilizzo;
ii) consenta ai rifiuti di svolgere un’utile funzione mediante tale
sostituzione;
iii) soddisfi taluni criteri di efficienza, definiti a norma dell’articolo 8,
paragrafo 2;
iv) diminuisce gli impatti globali negativi sull’ambiente impiegando rifiuti
quali sostituti di altre risorse,
V. anche l’art. 8, par. 1, secondo capoverso che detta. ecc.”,
14 Questa
sottolineatura rafforza la tesi secondo cui l’art. 3, punto 15, fa riferimento
ad un recupero diretto di rifiuti e non ad un loro trattamento per ricavarne
prodotti o m.p.s.
15 Questo è il testo dell’art. 6:
“1. Taluni rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3,
punto 1, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il
riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle
seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici
e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi
negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e
tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza
o dell’oggetto.
2. Le misure che riguardano l’adozione di tali criteri e specificano i rifiuti,
intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva,
integrandola, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con
controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2. Criteri volti a definire quando
un rifiuto cessa di essere tale dovrebbero essere considerati, tra gli altri,
almeno per gli aggregati, i rifiuti di carta e di vetro, i metalli, i pneumatici
e i rifiuti tessili.
3. I rifiuti che cessano di essere tali conformemente ai paragrafi 1 e 2 cessano
di essere tali anche ai fini dei traguardi di recupero e riciclaggio stabiliti
nelle direttive 94/62/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2006/66/CE e nell’altra
normativa comunitaria pertinente quando i requisiti in materia di riciclaggio o
recupero di tale legislazione sono soddisfatti.
4. Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della
procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per
caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della
giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in
conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del
22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme
e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della
società dell’informazione(1), ove quest’ultima lo imponga.
16 L’art. 5 (Sottoprodotti) recita: “Una sostanza od oggetto
derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione
di tale articolo può non essere considerato rifiuto ai sensi dell’articolo 3,
punto 1, bensì sottoprodotto soltanto se sono soddisfatte le seguenti
condizioni:
a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà ulteriormente utilizzata/o;
b) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzata/o direttamente senza alcun
ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di
produzione e d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto
soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i
prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti
complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
2. Sulla base delle condizioni previste al paragrafo 1, possono essere adottate
misure per stabilire i criteri da soddisfare affinché sostanze o oggetti
specifici siano considerati sottoprodotti e non rifiuti ai sensi dell’articolo
3, punto 1. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della
presente direttiva, integrandola, sono adottate secondo la procedura di
regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2.
17 E’ appena il caso di rilevare che la prima versione di
sottoprodotto è più vicina alla nuova direttiva rispetto a quella modificata,
attualmente vigente di cui alla lett. p) cit., per le ragioni indicate nel
testo.
18 V., da ultimo,
l’intelligente e assai documentato lavoro di V. Paone, La tutela dell’ambiente e
l’inquinamento da rifiuti, Giuffrè, 2008 (con ampio corredo bibliografico a pag.
263 e ss.)
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 30/06/2008