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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Tutela del paesaggio: tra garanzie partecipative e potere sostitutivo del giudice.
GERARDO GUZZO*
Sommario: 1. Premessa. 2. L’art. 21 - octies L. 241/90 e la giurisprudenza
amministrativa. 3. La comunicazione di inizio del procedimento prevista
dall’art. 159, comma 1, d.lgs. n. 42/04 e l’art. 21 - octies L. 241/90. 4. La
posizione del Consiglio di Stato. 5. Considerazioni finali.
1. Premessa.
La più recente casistica giurisprudenziale svela la palpabile tendenza del
giudice amministrativo ad esercitare poteri attribuiti dal legislatore alla P.A..
Ciò è facilmente riscontrabile soprattutto in materia di tutela del paesaggio.
In particolare, si registra un numero sempre più crescente di dicta
orientati a salvaguardare provvedimenti assunti dalla P.A. in aperta violazione
delle norme sul procedimento contenute negli articoli 7 e seguenti della Legge
n. 241/90. Gli arresti in parola fondano la propria architettura motivazionale
sull’errato presupposto dell’ininfluenza dell’apporto partecipativo del soggetto
interessato, quasi che, in materia di tutela del paesaggio, il decreto
ministeriale (o soprintendizio) di annullamento fosse un atto a contenuto
vincolato. Il fenomeno, dunque, merita un approfondimento, attesa l’importanza
degli interessi in gioco: il rispetto delle garanzie partecipative, da un lato,
e il rapporto tra poteri dello Stato, dall’altro. A tal proposito, è agevole
registrare come buona parte delle sentenze dei giudici amministrativi,
segnatamente di quelli di prime cure, appaiano per certi versi “eversive”
rispetto all’ormai consolidato trend giurisprudenziale del Consiglio di
Stato, graniticamente orientato a preservare la effettiva partecipazione del
privato nel procedimento di secondo grado che si svolge innanzi
all’Amministrazione statale o delegata e teso a verificare la legittimità
dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalle autorità comunali. Troppo
spesso succede che i TT.AA.RR. nazionali, ricorrendo all’assorbente censura del
deficit motivazionale - di cui irrimediabilmente risulterebbe affetto il
provvedimento gravato - cerchino di ricondurre nell’alveo
dell’”amministrativamente irrilevante” il vizio consistente nell’omessa
comunicazione di avvio del procedimento, pure espressamente richiesta dall’art.
159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e int.. Così facendo, un po’
irresponsabilmente, finiscono per produrre un doppio effetto negativo: 1) lo
svuotamento di contenuto delle garanzie partecipative codificate dal Capo III
della Legge n. 241/90 e s. m. e int.; 2) il consolidamento della pericolosa
deriva dello stravolgimento del rapporto tra potere del Giudice amministrativo e
potere della Pubblica Amministrazione. In estrema sintesi, a parere di chi
scrive, certa giurisprudenza ha messo in moto un vero e proprio mutamento
genetico della ratio dell’art. 21 - octies della Legge n. 241/90,
introdotto dall’art. 14 della Legge n. 15/05, che, da condivisibile norma
procedimentale, sta lentamente trasformandosi in iniqua norma processuale. A
sostegno dell’assunto milita la costante attrazione a sé operata dai giudici
amministrativi di poteri spettanti alle P.A. che si risolve, sovente, in
valutazioni sempre più acritiche e formali della non infrequente prassi
consistente nella mancata verifica da parte dell’organo statale preposto al
controllo di legittimità dell’avvenuta comunicazione di avvio del procedimento
al destinatario del provvedimento finale. Ora, giacché la comunicazione di avvio
del procedimento alimenta la congruità e la consistenza della trama
motivazionale, ed è particolarmente importante soprattutto in quei casi in cui
il provvedimento terminale non ha un contenuto vincolato, ne discende che
l’incisione della possibilità di fornire alla PA procedente un significativo
apporto difensivo e probatorio finisce per assumere una valenza sostanziale
capace di assorbire lo stesso difetto di motivazione che ne è la naturale
conseguenza e, dunque, per scatenare delle ricadute, in termini di legittimità,
sul provvedimento da ultimo adottato.
2. L’art. 21 octies L. 241/90 e la giurisprudenza amministrativa.
Le modifiche apportate alla L. 241/90, rispettivamente dalle leggi n. 15/05
e n. 80/05, hanno introdotto nel sistema ordinamentale italiano una esaustiva
disciplina della invalidità del provvedimento amministrativo. Le norme cardine
sono costituite dagli articoli 21 septies1
e 21 - octies2.
Particolarmente importante, ai fini della presente trattazione, appare il
precetto contenuto nell’art. 21-octies che, dopo aver elencato, al comma
1, le “canoniche” patologie invalidanti il provvedimento amministrativo
(violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza), introduce alcune
eccezioni. In sostanza, il legislatore del 2005 ha codificato il concetto di
vizi non invalidanti rinvenibile proprio nel comma 2 del citato articolo 21 –
octies. Più nel dettaglio. Secondo la lettera del precetto in parola un
provvedimento amministrativo non sarebbe annullabile a causa della mancata
comunicazione dell’inizio del procedimento, di cui all’art. 7 L. 241/903,
tutte le volte in cui il provvedimento finale abbia un contenuto vincolato
oppure, nel caso di provvedimento a contenuto discrezionale, in tutti quei casi
in cui l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto di quest’ultimo
non avrebbe potuto essere in concreto diverso nonostante l’apporto partecipativo
del destinatario dell’atto. La ratio della norma sembra doversi rinvenire
nell’esigenza di rendere meno precaria e più stabile l’azione amministrativa
altrimenti esposta eccessivamente a rischi di frequenti censure determinate da
violazioni di carattere formale o procedimentale. In definitiva, l’intento più o
meno dichiarato della riforma è quello di privilegiare sindacati sostanziali di
legittimità riducendo l’incidenza delle violazioni meramente formali e,
pertanto, ininfluenti sul dispositivo dell’atto. Il rischio che si annida in una
scelta del genere è proprio quello di “autorizzare”, per certi versi, il giudice
amministrativo a sostituirsi alla P.A.. Ciò accade in tutti quei casi in cui il
giudicante compie una sorta di “prognosi postuma”, vale a dire ritiene
autonomamente che la P.A. avrebbe adottato quel provvedimento anche se
“sterilizzato” del vizio formale di natura procedimentale. Si tratta di una
conseguenza di non poco conto dal momento che essa di fatto solleva la P.A.
dall’onere di fornire in giudizio una prova stringente in merito alla
circostanza che il contenuto del provvedimento finale sarebbe stato identico a
quello adottato indipendentemente dalla violazione delle norme sul procedimento.
Com’è facile intuire, la norma in parola, pur concepita nell’ottica di una
“stabilizzazione” dell’azione amministrativa, rischia, quasi fosse una sorta di
effetto collaterale, di “destabilizzare” non poco il delicato rapporto di poteri
tra Giudice amministrativo e P.A. con inevitabili ricadute sulla credibilità
dell’intero sistema giustizia. Del resto, proprio una recente sentenza del
TT.AA.RR. Valle d’Aosta4,
nell’affermare la non comprimibilità delle garanzie partecipative, ha
evidenziato l’intimo collegamento che sussiste tra il procedimento
amministrativo e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti diritti civili e sociali i quali, come sancisce l’art. 117, comma 2,
lett. m) della Costituzione, devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale. Il corollario che ne discende è che le garanzie procedimentali sono
da considerarsi a tutti gli effetti prestazioni essenziali o, per dirla con
parole dei giudici valdostani, “prestazioni di garanzia”5.
Questo comporta che la sostituzione del giudice alla P.A. nella valutazione di
incidenza della violazione procedimentale sulla legittimità del provvedimento
finale deve essere agganciata necessariamente a stringenti situazioni di fatto e
di diritto di cui la stessa Amministrazione, peraltro, deve fornire rigorosa
prova, pena la vulnerazione di valori costituzionalmente protetti quali le
garanzie partecipative. In questa direzione sembra muoversi la stessa
giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con un importante arresto della VI
sezione, rubricato n. 6194, risalente al 17 ottobre 20066,
ha escluso che l’art. 21 – octies costituisca una sorta di “fattispecie
esimente” in grado di impermeabilizzare il provvedimento amministrativo e
renderlo immune nel caso di violazioni delle norme del Capo III della L. 241/90.
In definitiva, la più attuale giurisprudenza amministrativa sembra muoversi
decisamente in una direzione “garantista” nel senso di considerare “ordinario”
il potere del giudice di sostituirsi alla P.A. soltanto in quelle occasioni in
cui quest’ultima fornisca in giudizio una prova rigorosa tesa a dimostrare che
indipendentemente dalla partecipazione del privato al procedimento
amministrativo il contenuto del provvedimento adottato sarebbe stato lo stesso.
Tale posizione appare in linea con l’ermeneusi letterale del comma 2 dell’art.
21 – octies e, dunque, contraria alla frequente prassi giurisprudenziale
rappresentata dalla non sporadica interferenza di taluni TT.AA.RR.
nell’esercizio di compiti propri della P.A..
La comunicazione di inizio del procedimento prevista dall’art. 159, comma 1,
d.lgs. n. 42/04 e l’art. 21 - octies L. 241/90.
Il fenomeno descritto nel paragrafo che precede è particolarmente diffuso in
materia di tutela del paesaggio in particolare con riferimento alla
partecipazione del privato nel procedimento di secondo grado che si svolge
innanzi al Ministero ovvero all’organo regionale delegato: la Soprintendenza.
Com’è noto, l’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04, a seguito delle modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 157/06, ha previsto che della trasmissione del nulla
osta paesaggistico al Ministero per i Beni e le Attività Culturali ovvero alla
Soprintendenza ne venisse data comunicazione al privato e che tale notizia
costituisse a tutti gli effetti comunicazione di inizio del procedimento ai
sensi dell’art. 7 L. 241/90 . Dal che ne discende che in questa ulteriore fase
procedimentale il legislatore delegato ha inteso fare salve le garanzie
partecipative dell’interessato. Se si considera per un attimo la circostanza che
il potere di annullamento del Ministero o della Soprintendenza è un potere
ampiamente discrezionale, caratterizzato dal fatto che la legge si è limitata ad
indicare obiettivi e criteri lasciando all’amministrazione il compito di
individuare il contenuto dispositivo del provvedimento finale, se ne trae
agevolmente la conclusione della rilevante importanza assunta dalla
partecipazione dell’interessato in una prospettiva di orientamento della
decisione della P.A. procedente. Consapevole di ciò, il legislatore del 2005 ha
previsto all’art. 21 – octies, comma 2, che nel caso in cui il potere
esercitato dall’Amministrazione non sia vincolato la stessa P.A. debba
dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento sarebbe stato lo
stesso anche se l’interessato avesse partecipato proficuamente al procedimento
producendo documenti, memorie, osservazioni e altri scritti difensivi. La
ratio della norma, come già si è avuto modo di accennare, è proprio quella
di assicurare un effetto deflattivo del contenzioso cristallizzando e risolvendo
nella fase procedimentale eventuali contrasti tra la P.A. e l’interessato,
garantendo, di guisa, stabilità all’azione amministrativa. Tuttavia, le
aspettative riposte dalla riforma del 2005 nel comma 2 dell’art. 21 - octies
rischiano di andare in fumo proprio per l’atteggiamento “invasivo” assunto da
taluni TT.AA.RR. che sembrano privilegiare sistematicamente le scelte censorie
dell’Amministrazione preposta al controllo di legittimità in danno del privato
inciso, senza troppo badare al fatto che questi sia stato messo in condizione o
meno di partecipare al procedimento. In conclusione, nella prassi
giurisprudenziale si assiste troppo spesso ad un disinvolto intervento
sostitutivo dei giudici amministrativi in valutazioni spettanti al Ministero o
alla Soprintendenza senza che le Amministrazioni in parola abbiano fornito in
giudizio alcuna prova stringente o, in taluni casi, addirittura alcun indizio in
merito al fatto che il provvedimento finale sarebbe stato comunque di taglio
negativo anche se vi fosse stata una utile partecipazione del privato nel corso
del procedimento.
3. La posizione del Consiglio di Stato.
Contrariamente alle posizioni di alcuni TT.AA.RR. nazionali, il supremo
organo di giustizia amministrativa sembra graniticamente attestato su posizioni
decisamente in linea con l’ermeneusi della lettera dell’art. 21 – octies,
L. 241/90. In particolare, per quanto in questa sede rileva, il magistrati di
Palazzo Spada hanno sistematicamente censurato gli atteggiamenti debordanti dei
giudici di prime cure in tutti quei casi in cui è stata registrata un’arbitraria
sostituzione di questi alla P.A. nel compimento di valutazioni ad essa spettanti
senza che fosse fornita in giudizio alcuna prova in ordine alla circostanza che
il provvedimento finale sarebbe stato lo stesso anche se vi fossa stata la
effettiva partecipazione dell’interessato al procedimento. Circoscrivendo
l’indagine al tema trattato, vale la pena annotare la recente sentenza della VI
Sezione del Consiglio di Stato, n. 5684, del 2 novembre 2007. I giudici di
seconda istanza, in quella occasione, riformando una sentenza del T.A.R. Puglia,
Sezione I di Lecce, hanno avuto modo di chiarire che la prova che
l’Amministrazione deve fornire in giudizio - nello specifico la Soprintendenza
B.A.P.P.S.A.D. delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto – in ordine alla
circostanza che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato, “deve intendersi in modo rigoroso”8.
Questo significa, in altri termini, che non sono consentiti interventi
sostitutivi dei giudici di tipo disinvolto, vale a dire completamente
indifferenti all’attività probatoria svolta in giudizio dall’amministrazione9.
Del resto, sempre il Consiglio di Stato con la già ricordata sentenza della VI
Sezione, rubricata n. 6194, depositata il 17 ottobre 2006, aveva chiarito come
la seconda parte dell’art. 21 – octies, comma 2, L. 241/90 imponga
alla P.A. di fornire in corso di causa una prova che sia particolarmente
rigorosa nel senso che il provvedimento non poteva essere diverso10
da quello alla fine adottato, con questo lasciando intendere che è precluso al
giudice amministrativo compiere valutazioni di merito fondate sulle sole censure
del privato e non sull’attività probatoria cui rigorosamente è tenuta
l’Amministrazione. In conclusione, è lecito affermare che la costante
giurisprudenza del Consiglio di Stato rappresenti, al momento, un’assoluta
garanzia in grado di arginare e neutralizzare il fenomeno l’applicazione
impropria dell’art. 21 – octies, comma 2, L. 241/90 soprattutto in
materia di partecipazione al procedimento previsto dall’art. 159, comma 1, del
d.lgs. n. 42/04 e s. m. e int.
4. Considerazioni finali.
Le applicazioni giurisprudenziali segnalate pongono il problema generale
della reale importanza riconosciuta dal legislatore italiano all’effettiva
partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo. Si ritiene di
poter affermare che le norme contenute nel Capo III della L. 241/90 non siano
teleologicamente orientate a conferire all’apporto partecipativo una valenza
meramente istruttoria quanto piuttosto ad esaltare la dialettica procedimentale
tra P.A. e cittadino nell’ottica dell’esercizio democratico del potere
autoritativo.
Appare evidente, allora, che in una cornice del genere il compito cui sono
chiamati i giudici amministrativi appare tutt’altro che agevole, dal momento che
si tratta di scrutinare con estrema attenzione e scrupolo le dinamiche
procedimentali per come esse effettivamente si sono svolte, proprio al fine di
garantire la correttezza della decisione finale. In questo senso, non appaiono
condivisibili quelle sentenze dei TT.AA.RR. nazionali che, senza verificare la
completezza del contraddittorio, “salvano” il provvedimento gravato
indipendentemente dal fatto che la P.A. non abbia fornito in giudizio alcuna
rigorosa prova in merito alla circostanza che l’apporto dell’interessato non
avrebbe comunque potuto modificare il contenuto dell’atto poi adottato. Come
cennato, arresti del genere finiscono per minare lo stesso rapporto tra potere
del Giudice e potere della P.A. a discapito della credibilità del sistema
giustizia nel suo complesso. Sarebbe auspicabile, pertanto, che la
giurisprudenza di alcuni T.AA.RR., correggendo il proprio trend
decisorio, restituisse alla partecipazione al procedimento il suo ruolo di
garante della democrazia della decisione facendo in modo che le norme del
procedimento amministrativo diventino davvero “prestazioni essenziali”
riconducibili nell’alveo dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione.
Infine, non è marginale che la tutela delle garanzie in parola, oltre ad essere
ad essere espressione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa,
di dignità costituzionale, finisce per alimentare anche altri valori altrettanto
incomprimibili quali, in primo luogo, quello della deflazione delle controversie
e dell’efficienza dell’agere pubblico. In definitiva, il corretto
funzionamento della macchina amministrativa dipende in buona parte dal grado di
effettività che sarà garantito alla partecipazione del privato al “procedimento
decisorio” e questo, già di per sé, costituisce elemento sufficiente a
pretendere che i giudici amministrativi verifichino con estrema attenzione e
diligenza se la P.A. ha fornito in corso di causa una rigorosa prova in merito
all’immutabilità del provvedimento finale anche in caso di effettiva e proficua
partecipazione del privato alla sequenza procedimentale. Tale esigenza risulta
particolarmente sentita in tutti quei casi in cui vi sono in gioco valori
costituzionali quali, appunto, la tutela del paesaggio,il diritto di proprietà,
non essendo certamente un caso che l’art. 159, comma 1, d.lgs. n. 42/04, abbia
previsto espressamente la (com)partecipazione del privato nella formulazione del
giudizio di legittimità spettante all’Amministrazione centrale o periferica.
___________________
* Professore di
Organizzazione Aziendale presso l’Unical e partner dello studio legale
“Cristofano, Guzzo & Associates” (guzzo@cgaalaw.com).
1 L’art. 21 - septies della L. 241/90, rubricato “Nullità del
provvedimento”, stabilisce che “1. È nullo il provvedimento amministrativo che
manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di
attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato,
nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in
violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo”.
2 L’art. 21 – octies L. 241/90, rubricato “Annullabilità del
provvedimento”, dispone che” 1. È annullabile il provvedimento amministrativo
adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da
incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul
procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo
non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento
qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
3 L’art. 7 della Legge n. 241/90, rubricato “Comunicazione di
avvio del procedimento”, stabilisce che: ” 1. Ove non sussistano ragioni di
impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento,
l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste
dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono
intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette,
qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati
o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari,
l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia
dell'inizio del procedimento.
2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione
di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al
medesimo comma 1, provvedimenti cautelari”.
4 Il T.A.R. Valle d’Aosta, con sentenza n. 106 del 12 luglio
2007, ha avuto modo di chiarire che “ (…)Il mancato esplicito richiamo al
procedimento amministrativo nell’elenco delle materie attribuite alla competenza
legislativa statale o a quella concorrente, non è decisivo nel senso di
escludere una competenza statale. La soluzione interpretativa da preferire è
quella che – facendo leva sull’assonanza del limite fissato dall’art. 29 della
legge n. 241/90 (“nel rispetto delle garanzie del cittadino nei riguardi
dell’azione amministrativa”) con la materia indicata dalla lettera m) del comma
2 dell’art. 117 – ritiene che vi sia un collegamento tra il procedimento
amministrativo e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale”(…)”.
5 Lo stesso T.A.R. Valle d’Aosta, molto incisivamente, ha
aggiunto che “(…) Non v’è dubbio che nell’ambito di tali servizi vanno
ricompresi anche i procedimenti amministrativi oggetto di interessi pretensivi o
comunque idonei ad attribuire i beni della vita cui hanno diritto i singoli,
nonché quelli oggetto di interessi oppositivi, volti a difendere analoghi beni.
In altre parole, il termine “prestazioni” – ex art. 117, comma 2, lett. m),
della Costituzione – deve essere interpretato, oltre che nel senso di
prestazioni materiali, anche nel senso di attività svolta dai pubblici uffici a
favore dei cittadini, pure attraverso un’attività procedimentalizzata. E dunque
le garanzie procedimentali – in quanto operano a favore dei cittadini – sono da
ritenersi prestazioni essenziali (appunto prestazioni di garanzia) (…)”.
6 In particolare i Giudici di Palazzo Spada hanno “(….) rilevato
che l’art. 21 – octies non determina alcuna degradazione di un vizio di
legittimità a mera irregolarità, né integra una “fattispecie esimente” che
affranca ab initio il provvedimento amministrativo dalle violazioni vizianti
contemplate dall’art. 21 – octies; mentre l’irregolarità opera ex ante e in
astratto, per cui il provvedimento amministrativo affetto da vizio formale
minore è un atto ab origine meramente irregolare, nel caso dell’art. 21-octies,
comma 2, la violazione continua ad integrare un vizio di legittimità, che non
comporta l’annullabilità dell’atto a causa di valutazioni, attinenti al
contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice, che accerta che il
provvedimento non poteva essere diverso (…)”. I magistrati del Supremo Consesso
amministrativo ritengono, dunque, che al giudice non sono consentite
“valutazioni di merito sostitutive dell’operato della p.a.” in tutti quei casi
in cui la prova che il contenuto del provvedimento finale sarebbe stato lo
stesso non viene fornita in giudizio dalla amministrazione.
7 In particolare l’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04
stabilisce che “1. Fino alla scadenza del termine previsto dall'articolo 156
ovvero, se anteriore, all'approvazione o all'adeguamento dei piani
paesaggistici, l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione da'
immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate,
trasmettendo la documentazione prodotta dall'interessato nonché le risultanze
degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata
contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di
procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Nella comunicazione alla soprintendenza il Comune attesta di avere eseguito il
contestuale invio agli interessati”.
8 Più nel dettaglio, i Giudici del Consiglio di Stato hanno
affermato che “ (…) Tale prova deve, infatti, intendersi in senso rigoroso, come
specifica confutazione dei rilievi di fatto e di diritto operati con le censure
dedotte nel ricorso giurisdizionale a sostegno dell’accoglibilità dell’istanza
del privato e relative a profili non introdotti ed esaminati nel procedimento
amministrativo (…)”.
9 Particolarmente sintomatica è una recente ordinanza
incidentale del T.A.R. Campania, Sezione di Salerno, rubricata nr. 997/07. I
giudici campani con tale decisum hanno rigettato l’istanza di sospensione
cautelare sul presupposto della “rilevata carenza motivazionale nell’atto di
autorizzazione paesaggistica e nel propedeutico parere della Commissione”,
nonostante fosse stato accertato in corso di causa che non vi era stata la
ricezione da parte dell’interessato della comunicazione di avvio del
procedimento e che la Soprintendenza non avesse fornito alcuna prova in giudizio
in merito alla circostanza che il provvedimento finale sarebbe stato lo stesso
anche se il privato vi avesse proficuamente partecipato. Tale macroscopico
errore è stato emendato dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, con propria
ordinanza n.r. 315/08, che ha riportato nei giusti termini la questione della
indispensabilità dell’apporto partecipativo privato e, dunque, della
partecipazione al procedimento, nei casi in cui la P.A. è chiamata ad esercitare
un potere discrezionale bocciando l’intervento sostitutivo del T.a.r. campano.
10 Particolarmente significativo appare lo snodo argomentativo
della sentenza in parola nella parte in cui i Giudici del Consiglio di Stato
affermano che non si può parlare di prova rigorosa fornita dalla P.A. “(…)
quando gli elementi che il privato intendeva introdurre nel procedimento (e che
ha indicato in giudizio) non siano facilmente risolvibili se non con valutazioni
di merito che appaiono precluse al giudice amministrativo (che peraltro si
fonderebbero su una risposta alle osservazioni del privato resa in giudizio
dalla p.a., o meglio dal suo difensore, sulla base di ulteriori elementi
rispetto a quelli emersi in sede procedimentale, con l’effetto di squilibrare
ancor più la posizione del cittadino rispetto all’amministrazione)”.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 12/02/2008