AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 Vedi altra: DOTTRINA
 

 

Tutela del paesaggio: tra garanzie partecipative e potere sostitutivo del giudice.

 

GERARDO GUZZO*
 

 


Sommario: 1. Premessa. 2. L’art. 21 - octies L. 241/90 e la giurisprudenza amministrativa. 3. La comunicazione di inizio del procedimento prevista dall’art. 159, comma 1, d.lgs. n. 42/04 e l’art. 21 - octies L. 241/90. 4. La posizione del Consiglio di Stato. 5. Considerazioni finali.



1. Premessa.
La più recente casistica giurisprudenziale svela la palpabile tendenza del giudice amministrativo ad esercitare poteri attribuiti dal legislatore alla P.A.. Ciò è facilmente riscontrabile soprattutto in materia di tutela del paesaggio. In particolare, si registra un numero sempre più crescente di dicta orientati a salvaguardare provvedimenti assunti dalla P.A. in aperta violazione delle norme sul procedimento contenute negli articoli 7 e seguenti della Legge n. 241/90. Gli arresti in parola fondano la propria architettura motivazionale sull’errato presupposto dell’ininfluenza dell’apporto partecipativo del soggetto interessato, quasi che, in materia di tutela del paesaggio, il decreto ministeriale (o soprintendizio) di annullamento fosse un atto a contenuto vincolato. Il fenomeno, dunque, merita un approfondimento, attesa l’importanza degli interessi in gioco: il rispetto delle garanzie partecipative, da un lato, e il rapporto tra poteri dello Stato, dall’altro. A tal proposito, è agevole registrare come buona parte delle sentenze dei giudici amministrativi, segnatamente di quelli di prime cure, appaiano per certi versi “eversive” rispetto all’ormai consolidato trend giurisprudenziale del Consiglio di Stato, graniticamente orientato a preservare la effettiva partecipazione del privato nel procedimento di secondo grado che si svolge innanzi all’Amministrazione statale o delegata e teso a verificare la legittimità dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalle autorità comunali. Troppo spesso succede che i TT.AA.RR. nazionali, ricorrendo all’assorbente censura del deficit motivazionale - di cui irrimediabilmente risulterebbe affetto il provvedimento gravato - cerchino di ricondurre nell’alveo dell’”amministrativamente irrilevante” il vizio consistente nell’omessa comunicazione di avvio del procedimento, pure espressamente richiesta dall’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e int.. Così facendo, un po’ irresponsabilmente, finiscono per produrre un doppio effetto negativo: 1) lo svuotamento di contenuto delle garanzie partecipative codificate dal Capo III della Legge n. 241/90 e s. m. e int.; 2) il consolidamento della pericolosa deriva dello stravolgimento del rapporto tra potere del Giudice amministrativo e potere della Pubblica Amministrazione. In estrema sintesi, a parere di chi scrive, certa giurisprudenza ha messo in moto un vero e proprio mutamento genetico della ratio dell’art. 21 - octies della Legge n. 241/90, introdotto dall’art. 14 della Legge n. 15/05, che, da condivisibile norma procedimentale, sta lentamente trasformandosi in iniqua norma processuale. A sostegno dell’assunto milita la costante attrazione a sé operata dai giudici amministrativi di poteri spettanti alle P.A. che si risolve, sovente, in valutazioni sempre più acritiche e formali della non infrequente prassi consistente nella mancata verifica da parte dell’organo statale preposto al controllo di legittimità dell’avvenuta comunicazione di avvio del procedimento al destinatario del provvedimento finale. Ora, giacché la comunicazione di avvio del procedimento alimenta la congruità e la consistenza della trama motivazionale, ed è particolarmente importante soprattutto in quei casi in cui il provvedimento terminale non ha un contenuto vincolato, ne discende che l’incisione della possibilità di fornire alla PA procedente un significativo apporto difensivo e probatorio finisce per assumere una valenza sostanziale capace di assorbire lo stesso difetto di motivazione che ne è la naturale conseguenza e, dunque, per scatenare delle ricadute, in termini di legittimità, sul provvedimento da ultimo adottato.


2. L’art. 21 octies L. 241/90 e la giurisprudenza amministrativa.
Le modifiche apportate alla L. 241/90, rispettivamente dalle leggi n. 15/05 e n. 80/05, hanno introdotto nel sistema ordinamentale italiano una esaustiva disciplina della invalidità del provvedimento amministrativo. Le norme cardine sono costituite dagli articoli 21 septies1 e 21 - octies2. Particolarmente importante, ai fini della presente trattazione, appare il precetto contenuto nell’art. 21-octies che, dopo aver elencato, al comma 1, le “canoniche” patologie invalidanti il provvedimento amministrativo (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza), introduce alcune eccezioni. In sostanza, il legislatore del 2005 ha codificato il concetto di vizi non invalidanti rinvenibile proprio nel comma 2 del citato articolo 21 – octies. Più nel dettaglio. Secondo la lettera del precetto in parola un provvedimento amministrativo non sarebbe annullabile a causa della mancata comunicazione dell’inizio del procedimento, di cui all’art. 7 L. 241/903, tutte le volte in cui il provvedimento finale abbia un contenuto vincolato oppure, nel caso di provvedimento a contenuto discrezionale, in tutti quei casi in cui l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto di quest’ultimo non avrebbe potuto essere in concreto diverso nonostante l’apporto partecipativo del destinatario dell’atto. La ratio della norma sembra doversi rinvenire nell’esigenza di rendere meno precaria e più stabile l’azione amministrativa altrimenti esposta eccessivamente a rischi di frequenti censure determinate da violazioni di carattere formale o procedimentale. In definitiva, l’intento più o meno dichiarato della riforma è quello di privilegiare sindacati sostanziali di legittimità riducendo l’incidenza delle violazioni meramente formali e, pertanto, ininfluenti sul dispositivo dell’atto. Il rischio che si annida in una scelta del genere è proprio quello di “autorizzare”, per certi versi, il giudice amministrativo a sostituirsi alla P.A.. Ciò accade in tutti quei casi in cui il giudicante compie una sorta di “prognosi postuma”, vale a dire ritiene autonomamente che la P.A. avrebbe adottato quel provvedimento anche se “sterilizzato” del vizio formale di natura procedimentale. Si tratta di una conseguenza di non poco conto dal momento che essa di fatto solleva la P.A. dall’onere di fornire in giudizio una prova stringente in merito alla circostanza che il contenuto del provvedimento finale sarebbe stato identico a quello adottato indipendentemente dalla violazione delle norme sul procedimento. Com’è facile intuire, la norma in parola, pur concepita nell’ottica di una “stabilizzazione” dell’azione amministrativa, rischia, quasi fosse una sorta di effetto collaterale, di “destabilizzare” non poco il delicato rapporto di poteri tra Giudice amministrativo e P.A. con inevitabili ricadute sulla credibilità dell’intero sistema giustizia. Del resto, proprio una recente sentenza del TT.AA.RR. Valle d’Aosta4, nell’affermare la non comprimibilità delle garanzie partecipative, ha evidenziato l’intimo collegamento che sussiste tra il procedimento amministrativo e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali i quali, come sancisce l’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Il corollario che ne discende è che le garanzie procedimentali sono da considerarsi a tutti gli effetti prestazioni essenziali o, per dirla con parole dei giudici valdostani, “prestazioni di garanzia”5. Questo comporta che la sostituzione del giudice alla P.A. nella valutazione di incidenza della violazione procedimentale sulla legittimità del provvedimento finale deve essere agganciata necessariamente a stringenti situazioni di fatto e di diritto di cui la stessa Amministrazione, peraltro, deve fornire rigorosa prova, pena la vulnerazione di valori costituzionalmente protetti quali le garanzie partecipative. In questa direzione sembra muoversi la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con un importante arresto della VI sezione, rubricato n. 6194, risalente al 17 ottobre 20066, ha escluso che l’art. 21 – octies costituisca una sorta di “fattispecie esimente” in grado di impermeabilizzare il provvedimento amministrativo e renderlo immune nel caso di violazioni delle norme del Capo III della L. 241/90. In definitiva, la più attuale giurisprudenza amministrativa sembra muoversi decisamente in una direzione “garantista” nel senso di considerare “ordinario” il potere del giudice di sostituirsi alla P.A. soltanto in quelle occasioni in cui quest’ultima fornisca in giudizio una prova rigorosa tesa a dimostrare che indipendentemente dalla partecipazione del privato al procedimento amministrativo il contenuto del provvedimento adottato sarebbe stato lo stesso. Tale posizione appare in linea con l’ermeneusi letterale del comma 2 dell’art. 21 – octies e, dunque, contraria alla frequente prassi giurisprudenziale rappresentata dalla non sporadica interferenza di taluni TT.AA.RR. nell’esercizio di compiti propri della P.A..


La comunicazione di inizio del procedimento prevista dall’art. 159, comma 1, d.lgs. n. 42/04 e l’art. 21 - octies L. 241/90.
Il fenomeno descritto nel paragrafo che precede è particolarmente diffuso in materia di tutela del paesaggio in particolare con riferimento alla partecipazione del privato nel procedimento di secondo grado che si svolge innanzi al Ministero ovvero all’organo regionale delegato: la Soprintendenza. Com’è noto, l’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 157/06, ha previsto che della trasmissione del nulla osta paesaggistico al Ministero per i Beni e le Attività Culturali ovvero alla Soprintendenza ne venisse data comunicazione al privato e che tale notizia costituisse a tutti gli effetti comunicazione di inizio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/90 . Dal che ne discende che in questa ulteriore fase procedimentale il legislatore delegato ha inteso fare salve le garanzie partecipative dell’interessato. Se si considera per un attimo la circostanza che il potere di annullamento del Ministero o della Soprintendenza è un potere ampiamente discrezionale, caratterizzato dal fatto che la legge si è limitata ad indicare obiettivi e criteri lasciando all’amministrazione il compito di individuare il contenuto dispositivo del provvedimento finale, se ne trae agevolmente la conclusione della rilevante importanza assunta dalla partecipazione dell’interessato in una prospettiva di orientamento della decisione della P.A. procedente. Consapevole di ciò, il legislatore del 2005 ha previsto all’art. 21 – octies, comma 2, che nel caso in cui il potere esercitato dall’Amministrazione non sia vincolato la stessa P.A. debba dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento sarebbe stato lo stesso anche se l’interessato avesse partecipato proficuamente al procedimento producendo documenti, memorie, osservazioni e altri scritti difensivi. La ratio della norma, come già si è avuto modo di accennare, è proprio quella di assicurare un effetto deflattivo del contenzioso cristallizzando e risolvendo nella fase procedimentale eventuali contrasti tra la P.A. e l’interessato, garantendo, di guisa, stabilità all’azione amministrativa. Tuttavia, le aspettative riposte dalla riforma del 2005 nel comma 2 dell’art. 21 - octies rischiano di andare in fumo proprio per l’atteggiamento “invasivo” assunto da taluni TT.AA.RR. che sembrano privilegiare sistematicamente le scelte censorie dell’Amministrazione preposta al controllo di legittimità in danno del privato inciso, senza troppo badare al fatto che questi sia stato messo in condizione o meno di partecipare al procedimento. In conclusione, nella prassi giurisprudenziale si assiste troppo spesso ad un disinvolto intervento sostitutivo dei giudici amministrativi in valutazioni spettanti al Ministero o alla Soprintendenza senza che le Amministrazioni in parola abbiano fornito in giudizio alcuna prova stringente o, in taluni casi, addirittura alcun indizio in merito al fatto che il provvedimento finale sarebbe stato comunque di taglio negativo anche se vi fosse stata una utile partecipazione del privato nel corso del procedimento.


3. La posizione del Consiglio di Stato.
Contrariamente alle posizioni di alcuni TT.AA.RR. nazionali, il supremo organo di giustizia amministrativa sembra graniticamente attestato su posizioni decisamente in linea con l’ermeneusi della lettera dell’art. 21 – octies, L. 241/90. In particolare, per quanto in questa sede rileva, il magistrati di Palazzo Spada hanno sistematicamente censurato gli atteggiamenti debordanti dei giudici di prime cure in tutti quei casi in cui è stata registrata un’arbitraria sostituzione di questi alla P.A. nel compimento di valutazioni ad essa spettanti senza che fosse fornita in giudizio alcuna prova in ordine alla circostanza che il provvedimento finale sarebbe stato lo stesso anche se vi fossa stata la effettiva partecipazione dell’interessato al procedimento. Circoscrivendo l’indagine al tema trattato, vale la pena annotare la recente sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato, n. 5684, del 2 novembre 2007. I giudici di seconda istanza, in quella occasione, riformando una sentenza del T.A.R. Puglia, Sezione I di Lecce, hanno avuto modo di chiarire che la prova che l’Amministrazione deve fornire in giudizio - nello specifico la Soprintendenza B.A.P.P.S.A.D. delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto – in ordine alla circostanza che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, “deve intendersi in modo rigoroso”8. Questo significa, in altri termini, che non sono consentiti interventi sostitutivi dei giudici di tipo disinvolto, vale a dire completamente indifferenti all’attività probatoria svolta in giudizio dall’amministrazione9. Del resto, sempre il Consiglio di Stato con la già ricordata sentenza della VI Sezione, rubricata n. 6194, depositata il 17 ottobre 2006, aveva chiarito come la seconda parte dell’art. 21 – octies, comma 2, L. 241/90 imponga alla P.A. di fornire in corso di causa una prova che sia particolarmente rigorosa nel senso che il provvedimento non poteva essere diverso10 da quello alla fine adottato, con questo lasciando intendere che è precluso al giudice amministrativo compiere valutazioni di merito fondate sulle sole censure del privato e non sull’attività probatoria cui rigorosamente è tenuta l’Amministrazione. In conclusione, è lecito affermare che la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato rappresenti, al momento, un’assoluta garanzia in grado di arginare e neutralizzare il fenomeno l’applicazione impropria dell’art. 21 – octies, comma 2, L. 241/90 soprattutto in materia di partecipazione al procedimento previsto dall’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04 e s. m. e int.


4. Considerazioni finali.
Le applicazioni giurisprudenziali segnalate pongono il problema generale della reale importanza riconosciuta dal legislatore italiano all’effettiva partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo. Si ritiene di poter affermare che le norme contenute nel Capo III della L. 241/90 non siano teleologicamente orientate a conferire all’apporto partecipativo una valenza meramente istruttoria quanto piuttosto ad esaltare la dialettica procedimentale tra P.A. e cittadino nell’ottica dell’esercizio democratico del potere autoritativo.
Appare evidente, allora, che in una cornice del genere il compito cui sono chiamati i giudici amministrativi appare tutt’altro che agevole, dal momento che si tratta di scrutinare con estrema attenzione e scrupolo le dinamiche procedimentali per come esse effettivamente si sono svolte, proprio al fine di garantire la correttezza della decisione finale. In questo senso, non appaiono condivisibili quelle sentenze dei TT.AA.RR. nazionali che, senza verificare la completezza del contraddittorio, “salvano” il provvedimento gravato indipendentemente dal fatto che la P.A. non abbia fornito in giudizio alcuna rigorosa prova in merito alla circostanza che l’apporto dell’interessato non avrebbe comunque potuto modificare il contenuto dell’atto poi adottato. Come cennato, arresti del genere finiscono per minare lo stesso rapporto tra potere del Giudice e potere della P.A. a discapito della credibilità del sistema giustizia nel suo complesso. Sarebbe auspicabile, pertanto, che la giurisprudenza di alcuni T.AA.RR., correggendo il proprio trend decisorio, restituisse alla partecipazione al procedimento il suo ruolo di garante della democrazia della decisione facendo in modo che le norme del procedimento amministrativo diventino davvero “prestazioni essenziali” riconducibili nell’alveo dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione. Infine, non è marginale che la tutela delle garanzie in parola, oltre ad essere ad essere espressione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, di dignità costituzionale, finisce per alimentare anche altri valori altrettanto incomprimibili quali, in primo luogo, quello della deflazione delle controversie e dell’efficienza dell’agere pubblico. In definitiva, il corretto funzionamento della macchina amministrativa dipende in buona parte dal grado di effettività che sarà garantito alla partecipazione del privato al “procedimento decisorio” e questo, già di per sé, costituisce elemento sufficiente a pretendere che i giudici amministrativi verifichino con estrema attenzione e diligenza se la P.A. ha fornito in corso di causa una rigorosa prova in merito all’immutabilità del provvedimento finale anche in caso di effettiva e proficua partecipazione del privato alla sequenza procedimentale. Tale esigenza risulta particolarmente sentita in tutti quei casi in cui vi sono in gioco valori costituzionali quali, appunto, la tutela del paesaggio,il diritto di proprietà, non essendo certamente un caso che l’art. 159, comma 1, d.lgs. n. 42/04, abbia previsto espressamente la (com)partecipazione del privato nella formulazione del giudizio di legittimità spettante all’Amministrazione centrale o periferica.

 

___________________

* Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical e partner dello studio legale “Cristofano, Guzzo & Associates” (guzzo@cgaalaw.com).


1 L’art. 21 - septies della L. 241/90, rubricato “Nullità del provvedimento”, stabilisce che “1. È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
2. Le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.

2 L’art. 21 – octies L. 241/90, rubricato “Annullabilità del provvedimento”, dispone che” 1. È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

3 L’art. 7 della Legge n. 241/90, rubricato “Comunicazione di avvio del procedimento”, stabilisce che: ” 1. Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.
2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari”.

4 Il T.A.R. Valle d’Aosta, con sentenza n. 106 del 12 luglio 2007, ha avuto modo di chiarire che “ (…)Il mancato esplicito richiamo al procedimento amministrativo nell’elenco delle materie attribuite alla competenza legislativa statale o a quella concorrente, non è decisivo nel senso di escludere una competenza statale. La soluzione interpretativa da preferire è quella che – facendo leva sull’assonanza del limite fissato dall’art. 29 della legge n. 241/90 (“nel rispetto delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa”) con la materia indicata dalla lettera m) del comma 2 dell’art. 117 – ritiene che vi sia un collegamento tra il procedimento amministrativo e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”(…)”.


5 Lo stesso T.A.R. Valle d’Aosta, molto incisivamente, ha aggiunto che “(…) Non v’è dubbio che nell’ambito di tali servizi vanno ricompresi anche i procedimenti amministrativi oggetto di interessi pretensivi o comunque idonei ad attribuire i beni della vita cui hanno diritto i singoli, nonché quelli oggetto di interessi oppositivi, volti a difendere analoghi beni. In altre parole, il termine “prestazioni” – ex art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione – deve essere interpretato, oltre che nel senso di prestazioni materiali, anche nel senso di attività svolta dai pubblici uffici a favore dei cittadini, pure attraverso un’attività procedimentalizzata. E dunque le garanzie procedimentali – in quanto operano a favore dei cittadini – sono da ritenersi prestazioni essenziali (appunto prestazioni di garanzia) (…)”.


6 In particolare i Giudici di Palazzo Spada hanno “(….) rilevato che l’art. 21 – octies non determina alcuna degradazione di un vizio di legittimità a mera irregolarità, né integra una “fattispecie esimente” che affranca ab initio il provvedimento amministrativo dalle violazioni vizianti contemplate dall’art. 21 – octies; mentre l’irregolarità opera ex ante e in astratto, per cui il provvedimento amministrativo affetto da vizio formale minore è un atto ab origine meramente irregolare, nel caso dell’art. 21-octies, comma 2, la violazione continua ad integrare un vizio di legittimità, che non comporta l’annullabilità dell’atto a causa di valutazioni, attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice, che accerta che il provvedimento non poteva essere diverso (…)”. I magistrati del Supremo Consesso amministrativo ritengono, dunque, che al giudice non sono consentite “valutazioni di merito sostitutive dell’operato della p.a.” in tutti quei casi in cui la prova che il contenuto del provvedimento finale sarebbe stato lo stesso non viene fornita in giudizio dalla amministrazione.


7 In particolare l’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 42/04 stabilisce che “1. Fino alla scadenza del termine previsto dall'articolo 156 ovvero, se anteriore, all'approvazione o all'adeguamento dei piani paesaggistici, l'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione da' immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall'interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nella comunicazione alla soprintendenza il Comune attesta di avere eseguito il contestuale invio agli interessati”.

8 Più nel dettaglio, i Giudici del Consiglio di Stato hanno affermato che “ (…) Tale prova deve, infatti, intendersi in senso rigoroso, come specifica confutazione dei rilievi di fatto e di diritto operati con le censure dedotte nel ricorso giurisdizionale a sostegno dell’accoglibilità dell’istanza del privato e relative a profili non introdotti ed esaminati nel procedimento amministrativo (…)”.


9 Particolarmente sintomatica è una recente ordinanza incidentale del T.A.R. Campania, Sezione di Salerno, rubricata nr. 997/07. I giudici campani con tale decisum hanno rigettato l’istanza di sospensione cautelare sul presupposto della “rilevata carenza motivazionale nell’atto di autorizzazione paesaggistica e nel propedeutico parere della Commissione”, nonostante fosse stato accertato in corso di causa che non vi era stata la ricezione da parte dell’interessato della comunicazione di avvio del procedimento e che la Soprintendenza non avesse fornito alcuna prova in giudizio in merito alla circostanza che il provvedimento finale sarebbe stato lo stesso anche se il privato vi avesse proficuamente partecipato. Tale macroscopico errore è stato emendato dalla VI Sezione del Consiglio di Stato, con propria ordinanza n.r. 315/08, che ha riportato nei giusti termini la questione della indispensabilità dell’apporto partecipativo privato e, dunque, della partecipazione al procedimento, nei casi in cui la P.A. è chiamata ad esercitare un potere discrezionale bocciando l’intervento sostitutivo del T.a.r. campano.

10 Particolarmente significativo appare lo snodo argomentativo della sentenza in parola nella parte in cui i Giudici del Consiglio di Stato affermano che non si può parlare di prova rigorosa fornita dalla P.A. “(…) quando gli elementi che il privato intendeva introdurre nel procedimento (e che ha indicato in giudizio) non siano facilmente risolvibili se non con valutazioni di merito che appaiono precluse al giudice amministrativo (che peraltro si fonderebbero su una risposta alle osservazioni del privato resa in giudizio dalla p.a., o meglio dal suo difensore, sulla base di ulteriori elementi rispetto a quelli emersi in sede procedimentale, con l’effetto di squilibrare ancor più la posizione del cittadino rispetto all’amministrazione)”.
 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 12/02/2008

^