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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
V.I.A., opere pubbliche e infrastrutture: una convivenza difficile.
ANDREA FUSARO°
È di recente pubblicazione, in una rivista specialistica nazionale1, il
commento di un autorevole giurista sulla “riforma” del T.U. Ambientale, in virtù
della quale il Decreto Legislativo del 16 gennaio 2008, n. 4, apporta notevoli
modifiche, tra le altre, alla seconda parte del Codice che disciplina la
procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e la Valutazione
Ambientale Strategica (V.A.S.).
L’intervento richiama alcune importanti correzioni introdotte nel regime della
V.I.A., tra le quali spiccano il riconoscimento dell’efficacia sostitutiva e di
coordinamento del provvedimento finale di compatibilità ambientale, il carattere
preclusivo al rilascio di autorizzazioni e permessi, e la sanzione della
sospensione dei lavori e della rimessione in pristino stato dei luoghi a cura e
spese del responsabile in caso di inosservanza delle prescrizioni dettate dal
provvedimento.
Quelle brevi ma importanti considerazioni stimolano ulteriori ed utili
riflessioni, perchè è indubbio che la riforma del Codice abbia contribuito a
stabilizzare, in un testo normativo rinnovato e finalmente caratterizzato da
linearità e chiarezza espositiva, i principi cardine sui quali si innesta la
procedura di verifica e di assoggettamento degli interventi a V.I.A..
Ma c’è da chiedersi se l’emendamento contribuisca a risolvere i problemi
applicativi della V.I.A., riguardanti per lo più limiti di carattere procedurale
che rendono vane le garanzie istruttorie apprestate dalla direttiva 85/337/CE
nell’ambito delle opere pubbliche in genere, ed in particolare per i progetti di
infrastrutture strategiche.
Il presente scritto si propone, con l’illustrazione di un caso concreto oggetto
di una consulenza, di evidenziare le persistenti contraddizioni riscontrabili
nella disciplina della V.I.A. relativa alla costruzione delle opere pubbliche e
delle infrastrutture strategiche.
° L’autore si assume la responsabilità degli errori, omissioni ed
imprecisioni riscontrabili nel presente saggio.
Premessa.
È indubbio che le direttive comunitarie in campo ambientale siano ormai
orientate a una disciplina sistematica della prevenzione degli inquinamenti e
della gestione delle risorse naturali. Si assiste, infatti, allo sviluppo del
fenomeno delle direttive quadro, con le quali le istituzioni comunitarie
intendono orientare gli Stati Membri verso il governo dell’impatto ambientale di
talune attività antropiche, non più sulle singole fonti di inquinamento ma sugli
ecosistemi2. Il tentativo di operare, nel nostro sistema giuridico, un riordino
delle principali norme che recepiscono le direttive più importanti in materia
ambientale, per il tramite dell’approvazione di un Testo Unico Ambientale, è
oggi il probabile sintomo positivo di una maggiore attenzione verso questa
tendenza sia sotto il profilo sostanziale sia dal punto di vista procedurale.
Assecondando questa nuova impostazione, il legislatore ha integrato la procedura
di verifica di assoggettabilità (screening) nella procedura di V.I.A. (art. 5,
comma 1, lett. b), rendendo così difficile alle amministrazioni sfuggire
all’obbligo di controllo preventivo dei progetti. Con la conseguenza che la
procedura di V.I.A. possa eseguirsi su progetti, anche non contemplati dagli
allegati, qualora per dimensioni, natura e localizzazione siano suscettibili di
creare modifiche rilevanti sull'ambiente e sui beni culturali (art. 6, comma 5). L’efficacia preclusiva
al rilascio delle autorizzazioni, pareri e assensi, corollario del
riconoscimento del carattere provvedimentale della V.I.A., determina, inoltre,
nell’amministrazione competente ad approvare i progetti ed i programmi degli
interventi proposti, obblighi più tassativi di controllo del rispetto delle
prescrizioni alle quali subordinare l’esecuzione del progetto. Le nuove norme
sulla V.I.A. appaiono, inoltre, maggiormente orientate verso un approfondimento
della fase istruttoria dell’intero procedimento, che si traduce in un più
incisivo obbligo delle amministrazioni di adottare il provvedimento di
compatibilità integrando i pareri delle amministrazioni interessate con quanto
emerso dalla consultazione del pubblico, secondo l’art. 8 della direttiva.
Nonostante quest’opera di riforma meriti apprezzamento, si deve sottolineare
come l’approccio sistematico della disciplina ambientale Comunitaria non sarebbe
sufficiente a superare le diverse impostazioni procedurali alla V.I.A.3 e
l’eccesso di discrezionalità decisionale delle amministrazioni degli Stati
Membri nel processo di implementazione4. L’analisi che segue dimostra, infatti,
nel quadro dell’esperienza empirica delle opere pubbliche, come l’omissione
della verifica di assoggettabilità a V.I.A. dei progetti (screening), il
frazionamento della procedura di approvazione dei progetti delle opere
pubbliche, e le carenze istruttorie interne ed esterne al procedimento
vanifichino le garanzie istruttorie apprestate dalla direttiva comunitaria.
La “via” della V.I.A. comunitaria.
La Valutazione di Impatto Ambientale è stata concepita, nel diritto statunitense
(dal testo del CERCLA), come una procedura il cui scopo è di rendere
intelligibile, alle amministrazioni competenti ad approvare progetti e programmi
di opere ed impianti suscettibili di avere impatti ambientali rilevanti, i
rischi di danno che conseguirebbero all’esecuzione. Tale impostazione è stata
mutuata, dopo circa venti anni, nel sistema comunitario. La V.I.A. ha, quindi,
assunto la funzione di strumento decisionale grazie al quale le amministrazioni
europee sono in grado di discernere i rischi dell’esecuzione di un’opera dalle
opportunità e, quindi, di prevenire ovvero mitigare i danni.
La direttiva Comunitaria n. 337 sulla V.I.A. è stata adottata nel 1985, con il
fine di uniformare tutte le leggi degli Stati Membri agli obiettivi della
prevenzione e della mitigazione dei danni all’ambiente dovuta all’esecuzione di
programmi di sviluppo o di progetti contemplati negli allegati I e II.
L’impostazione per allegati (c.d. shopping list), alla quale gli Stati
Membri avrebbero dovuto conformarsi entro il 1988, avrebbe richiesto alle
rispettive amministrazioni di approntare adeguate istruttorie per l’approvazione
dei progetti e dei programmi, perché sebbene non vi fossero dubbi che la V.I.A.
fosse obbligatoria per tutte le opere descritte nell’allegato I, gli Stati
Membri tendevano a non sottoporre ad esame i progetti di minore rilevanza
classificati nell’allegato II. Il fenomeno era indotto da un eccesso di
discrezionalità manifestato dalle amministrazioni degli Stati Membri che, in
seguito alla revisione dell’applicazione della norma Comunitaria, eseguita da
alcuni esperti di fama internazionale su incarico della Commissione a partire
dal 1990, si realizzò fosse dovuta in parte al combinato disposto dell’articolo
2 con l’articolo 4 della direttiva5.
L’interpretazione del combinato disposto, secondo cui “[...]i progetti per i
quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro
natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una
valutazione del loro impatto[...]” “quando gli Stati membri ritengono che
le loro caratteristiche lo richiedano” sulla base di criteri di soglia
adottati da ciascuno Stato Membro riferibili ai progetti di cui all’allegato II,
determinava gli Stati Membri e le rispettive amministrazioni, a ridurne le
soglie dimensionali o a prevenirne l’inserimento negli allegati delle leggi o
dei regolamenti di attuazione, ovvero a scinderne l’esecuzione in più progetti
non assoggettabili ma appartenenti al medesimo comparto. Acquisiva credito, in
Europa, la tesi secondo la quale questi sotterfugi avrebbero inficiato il
potenziale valutativo e tecnico della V.I.A6, in quanto avrebbero consentito
alle amministrazioni degli Stati Membri di escludere dal vaglio tecnico
istruttorio aspetti rilevanti dei progetti suscettibili di impatto ambientale
significativo.
L’apporto decisivo della CGE che la Commissione riportò la procedura di V.I.A.
degli Stati Membri nella giusta direzione. Nelle pronunce Kraaijeveld7,
Commissione/Repubblica d’Irlanda8 e WWF/Autonome Provinz Bozen9, infatti,
l’interpretazione di stretto diritto delle norme citate veniva riconosciuta
esplicitamente quale freno alla discrezionalità degli Stati Membri nello
stabilire, con provvedimenti nazionali, i criteri di assoggettabilità a V.I.A.
dei progetti elencati nell’allegato II. Le sentenze sancivano definitivamente il
sussistere di un divieto, valido nei confronti di tutte le amministrazioni
europee, di dimezzare i progetti delle opere di un medesimo comparto per
sfuggire all’obbligo di V.I.A., e di sottoporre comunque a verifica preliminare
(screening) tutti i progetti ed i programmi, anche se non assimilabili a
quelli descritti nell’allegato II della direttiva, per appurarne o meno
l’assoggettabilità.
Le sentenze Comunitarie, ed il contributo degli esperti internazionali di cui si
è già detto, fornirono un impulso decisivo anche ad una riforma complessiva
della direttiva. L’emenda, intervenuta con la direttiva 97/11, ebbe il merito di
abrogare il generico inciso dell’art. 4, comma 2 “I progetti appartenenti
alle classi elencate nell'allegato II formano oggetto di una valutazione [...]
quando gli Stati membri ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano”,
al quale si aggiunse il criterio delle valutazioni caso per caso alternativo
alle soglie dimensionali. Si chiarì, inoltre, quale fosse la scansione
necessaria delle fasi in cui si deve sostanziare l’intera procedura di V.I.A.,
ritenendosi, pertanto, che lo screening e lo scoping, cioè
l’istruttoria che coinvolge le amministrazioni interessate dalla realizzazione
del progetto o del programma, finalizzata alla redazione dello studio di impatto
ambientale (S.I.A.), e l’adozione del parere conclusivo dovessero realizzarsi
nei confronti di un progetto non più suscettibile di modificazione (progetto
definitivo)10. Ciò in quanto l’esperienza di implementazione della V.I.A. da
parte di Stati Membri, quali Francia e Olanda, avevano dimostrato che
l’esperimento della V.I.A. successivamente all’approvazione del progetto
esecutivo delle infrastrutture, avrebbe reso vana oppure troppo onerosa
l’imposizione di prescrizioni.
Le lacune procedurali Italiane.
Gli avanzamenti Comunitari, tuttavia, non trovavano un immediato riscontro negli
Stati Membri e, in maniera più evidente, in Italia. Non solo nel nostro paese
gli evidenti ritardi di trasposizione della direttiva avrebbero limitato la
portata applicativa della V.I.A.11 ma si accompagnavano ad un’impostazione
procedurale poco coerente con gli obiettivi della norma sovranazionale. Una
lettura coordinata dei regolamenti di recepimento Italiani, coeva e successiva
agli interventi di riforma citati, farebbe pertanto emergere un’impostazione
procedurale dell’istruttoria della procedura di V.I.A. per tutte le opere
pubbliche, anche strategiche, contrastante con l’impostazione comunitaria.
Occorre, dunque, procedere ad una breve disamina introduttiva delle norme.
Un primo riferimento è alla abrogata L. 11 febbraio 1994, n. 109, “Legge Quadro
in materia di lavori pubblici”, modificata da più interventi legislativi, e dal
vigente D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 “Regolamento di attuazione della legge
quadro in materia di lavori pubblici”. I rassegnati interventi normativi,
riconoscono una collocazione autonoma della procedura di V.I.A. all’interno del
procedimento di approvazione dei progetti di opere pubbliche. La legge quadro,
in particolare, all’articolo 7, comma 8, e agli articoli 14, comma 6 e 16, comma
4, richiedevano che il S.I.A. fosse accompagnato al progetto preliminare, ove
richiesto dalla legge nazionale e dalle disposizioni comunitarie. Il comma 3
dell’articolo 16 statuiva inoltre che “il progetto preliminare definisce le
caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da
soddisfare e delle specifiche prestazioni [...]anche con riferimento ai profili
ambientali”. Dispone quindi il regolamento di attuazione che la verifica di
prefattibilità ambientale ( 21, comma 2 ) e lo screening siano svolti sul
progetto preliminare delle opere e che, in particolare, ques’ultima
sub-procedura venga effettuata in sede di convalida progettuale da parte del
responsabile del procedimento (art. 47, comma 1, lett. h)). Le norme testé
citate operavano, inoltre, un implicito rimando alla disciplina nazionale. A tal
proposito si rileva che anche il regolamento n. 377/88, consentiva un
“arretramento”12 dell’esame valutativo al progetto di massima delle
infrastrutture, prima di essere inoltrato alle autorità competenti per i pareri
(articolo 2, comma 1), mentre al D.P.R. del 12 aprile 1996 (“regolamento di
coordinamento”) si doveva imputare, in via interpretativa, l’adeguamento alle
leggi quadro citate. Questa impostazione è, ad oggi, rimasta invariata per le
opere pubbliche e strategiche. In virtù degli art. 3, comma 7 del D.lgs. n.
190/2002, ed attualmente dell’art. 165, comma 7 D.lgs. n. 163/2006, il CIPE
approva il progetto preliminare di un’opera pubblica determinandone
contestualmente la compatibilità ambientale.
Come si dirà più avanti, le ragioni per ravvisare un contrasto con gli obiettivi
comunitari non traggono spunto da meri rilievi normativi. La giurisprudenza
della CGE, lo studio pre-riforma della direttiva citato in precedenza, e gli
osservatori internazionali hanno, infatti, evidenziato come lo schema in esame
favorirebbe in astratto un deficit valutativo nell’esame tecnico del progetto
operato dalle amministrazioni. Dalle motivazioni delle sentenze pronunciate nei
confronti dell’Italia13 Lotto Zero, Santa Caterina Valfurva e del
Porto Turistico di Fossacesia, emerge, infatti, che le amministrazioni
italiane persistono nel non censurare il mancato
svolgimento dello screening dei progetti preliminari, esentandone di fatto la
V.I.A.14. La
sentenza Santa Caterina Valfurva dimostra che anche nelle ipotesi in cui venissero imposte
prescrizioni sui progetti preliminari, le modifiche eseguite sui progetti
definitivi, senza la rinnovazione della procedura di V.I.A., ne renderebbero
vano il rispetto nella fase esecutiva. L’Organizzazione Giuridica Internazionale
per l’Ambiente e lo Sviluppo ha, peraltro, rimarcato in un report del 2003, che
sebbene la legge c.d. Obiettivo non abbia esentato la V.I.A. obbligatoria per le
opere pubbliche, abbia di fatto ridotto le garanzie istruttorie delle procedura
previste dalla direttiva Comunitaria15.
Contrariamente a questi orientamenti, taluni commentatori16 hanno, tuttavia
ritenuto, prendendo spunto dai principi interpretativi emersi in alcune sentenze
amministrative, che l’arretramento delle valutazioni (screening e V.I.A.)
nel regime delle opere pubbliche e, successivamente, delle infrastrutture
strategiche di cui alla L. 443/2001 sia comunque compensato dal maggior
dettaglio del progetto preliminare e da ragioni di semplificazione
amministrativa17. Questa affermazione, benché in teoria rispondente alle
aspettative dell’articolo 16, comma 3 dell’abrogata legge quadro dei lavori
pubblici, e dell’articolo 14-bis della L. 241/90, può essere messa in crisi col
raffronto di un caso in concreto oggetto dell’analisi che segue.
Un caso concreto: la Tangenziale Ovest di Lecce
Le lacune procedurali illustrate si rinvengono nel caso in commento, oggetto di
una consulenza “postuma” sull’approvazione di una variante in viadotto di un
tracciato in rilevato, passante attraverso la proprietà boscata di una villa
storica soggetta a vincolo naturalistico ambientale. Il percorso era stato già
precedentemente approvato nel 1983, in variante ad un tracciato originario che
non avrebbe interferito con la villa.
Il progetto preliminare del tracciato della Tangenziale Ovest, fu redatto
dall’A.N.A.S. di Bari su incarico del Comune di Lecce. Accadeva che la
Sovrintendenza dei Lavori Pubblici (S.LL.PP.) della Regione Puglia, non avesse
mai sottoposto allo screening e, successivamente, alla V.I.A, i procedimenti di
approvazione, compiutisi in circa venti anni, delle varianti degli stralci del
primo lotto.
E fu solo nel 1996, quando divenne evidente che l’opera avrebbe interferito con
la villa storica oggetto di vincolo, che le richieste di chiarimenti
sull’assoggettabilità a V.I.A. dell’opera vennero avanzati. Tra l’A.N.A.S. e la
S.LL.PP., ci fu una corrispondenza di meri riscontri negativi, che non si
basavano sulle previsioni di impatto ambientale di quello stralcio, ma sul vuoto
della disciplina nazionale sulla V.I.A.18. Ciò fu possibile anche grazie ad un
escamotage progettuale.
Il progetto definitivo del primo lotto dell’opera, infatti, descriveva un anello
di sole due corsie. Le caratteristiche del progetto, quindi, non soddisfacevano
i limiti di soglia minimi stabiliti nel regolamento 377/88, in base
all’interpretazione operata dalla Circolare del Ministero dell’Ambiente del 1
dicembre 1992, che imponeva la V.I.A. per le sole strade extraurbane principali
a due corsie per ogni senso di marcia suddivise da spartitraffico19.
Successivamente l’A.N.A.S. proponeva varianti progettuali plano-altimetriche e
strutturali in corso d’opera che, a partire dal 1998, venivano approvate in sede
di conferenza di servizi20. Una variante in viadotto in alternativa al rilevato
venne proposta dalla Sovrintendenza dei BB.AA.AA.CC. alla S.LL.PP. Regionale per
il rilascio del provvedimento di deroga, al vincolo apposto sulla villa
limitatamente alla superficie occupata dalla sede stradale. La costruzione di un
ponte a campata unica e con pilastri veniva addotto a presupposto per il
rilascio del provvedimento di deroga21. Il dipartimento di Studi Ambientali
dell’Università di Lecce condivise la proposta, sul rilievo che la soluzione
configurata avrebbe consentito di mantenere intatta la continuità biologica del
bosco.
Anche il progetto di variante venne proposto in assenza di screening,
nonostante al tempo dell’istruttoria della conferenza, indetta per
l’approvazione del progetto preliminare della variante del viadotto, la
giurisprudenza nazionale e comunitaria22 ne avessero sancito l’obbligo e sebbene
nel gennaio 1996 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nell’esaminare lo
schema di riforma del regolamento 377/88, puntualizzava la necessità di
ammettere, tra le opere oggetto di V.I.A. obbligatoria, tutte le strade
extraurbane, comprese quelle secondarie, con due corsie per ogni senso di marcia
separate da spartitraffico23. Convocata nel febbraio 2000, la conferenza dei
servizi approvava la variante del viadotto passante sulla villa. I lavori dello
stralcio terminarono nel 2004 con l’espianto di quasi mille individui di specie vegetazionali di altissimo pregio.
È degno di nota rilevare che, prima che il passante venisse realizzato in
corrispondenza del bosco, nel 2001, le balaustre per il contenimento della sede
stradale erano state costruite per contenere una strada a due corsie per ogni
senso di marcia: cioè quattro in totale. Questo escamotage progettuale venne
svelato con l’inserimento del progetto nell’allegato 2 della Delibera CIPE n.
121/2001. Fu allora evidente che la variante esterna della tangenziale Ovest di
Lecce si componeva di quattro corsie e non di due. Sullo stralcio dell’opera già
costruito interveniva, come su un “vecchio morente”, il parere della commissione
speciale V.I.A. del Ministero dell’Ambiente che, nel novembre 2004, ne sanciva
la compatibilità ambientale, congiuntamente al secondo lotto in via di
realizzazione.
Discussione.
Il caso appena illustrato descrive, è vero, una condotta “estrema” delle
amministrazioni, ma comprova le contraddizioni della procedura della V.I.A. per
le opere pubbliche e per le infrastrutture strategiche. Si evidenzia, infatti,
come la violazione del principio di legalità del procedimento, resti in secondo
piano, rispetto alla totale mancanza di una condotta conforme al principio di
leale collaborazione, buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, come
richiesta dalla giurisprudenza comunitaria, e che garantisca l’efficace
svolgimento dell’istruttoria tecnica sul progetto degli interventi24.
L’analisi fattuale ha, quindi, consentito di configurare un nodo critico nella
procedura di V.I.A. per le opere pubbliche in genere: quello di non rendere
agevole un’istruttoria della procedura che tenga effettivamente conto delle
esigenze istruttorie di progetti spesso molto complessi e, alla luce di quelle,
la necessità dell’amministrazione di identificare, in maniera adeguata, gli
opposti interessi alla loro realizzazione. L’evidenza acquista maggiore peso
quando si constata che la direttiva sulla V.I.A. appresti solo uno strumento di
rappresentazione del rischio ambientale per le amministrazioni al fine delle
decisioni, che non impone agli Stati Membri di esprimere il diniego
all’approvazione di un progetto o di un programma nell’ipotesi di valutazione
negativa25. Quest’ultimo rilievo metterebbe in crisi l’esperimento della V.I.A.
per le opere pubbliche e per le opere strategiche, rendendo vano il tentativo
del legislatore di integrare la disciplina della V.I.A. nel nuovo T.U. degli
appalti dei lavori pubblici (D.Lgs. 163/2006).
L’integrazione “forzata” della V.I.A. nel regime delle opere strategiche.
Le considerazioni da ultimo esposte vengono validate dall’esame dal vigente
regime sulle opere pubbliche strategiche e dal raffronto con la nuova procedura
di V.I.A. del T.U. Ambientale. La disciplina dell’approvazione dei progetti di
infrastrutture strategiche, dettata dal D.Lgs 163/2006 (T.U. Lavori Pubblici), è
strutturata su due schemi fondamentali. Il primo dispone che la dichiarazione di
compatibilità ambientale dell’opera, espresso successivamente al raggiungimento
dell’intesa con le regioni e le province autonome sulla localizzazione delle
opere, sia contestuale all’approvazione del progetto preliminare da parte del
CIPE (art. 165, c. 7 T.U. Lavori Pubblici) e che, in caso di parere negativo del
Ministero dell’Ambiente, espresso sul S.I.A. previa consultazione con la
commissione speciale V.I.A., e dei BB.AA.CC., nel caso di opere ricadenti su
aree soggette a vincolo paesaggistico, intervenga l’approvazione del
Consiglio dei Ministri (art. 183, comma 6 T.U. Lavori Pubblici). Il secondo
prevede che per i progetti di infrastrutture strategiche di carattere
internazionale, interregionale e di preminente interesse nazionale, il parere
negativo rilasciato dalle regioni e dalle province autonome sul SIA sia superato con il parere reso dal
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sul quale si innesta l’approvazione del
CIPE, la cui composizione è integrata dai presidenti delle regioni e delle
province autonome. Nell’ipotesi di dissenso dei rappresentanti degli enti citati
anche in questa sede, il progetto viene approvato con d.P.R. previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri sentita la commissione parlamentare per
le questioni regionali (art. 165, comma 7 T.U. Lavori Pubblici).
Lo schema in commento parrebbe, in definitiva, integrare aspetti valutativi di
tipo tecnico-discrezionale in un ambito di pianificazione e aggiudicazione delle
opere caratterizzato da un esercizio del potere amministrativo finalizzato al
contemperamento di interessi pubblici tra loro configgenti. Devono, pertanto,
respingersi quei rilievi critici che intravedono nella procedura di V.I.A. per
le opere pubbliche il prevalere di, considerazioni politiche26.
Un’interpretazione più aderente alla realtà interpretativa delle norme, così
come tracciata negli ultimi anni dalla Corte Costituzionale, muove, al
contrario, dalla pregiudiziale dell’applicazione flessibile del principio di
sussidiarietà, deducibile dall’art. 117 e 118 della costituzione che, per
addivenire alla necessità di rendere uniformi gli obiettivi di sviluppo
socio-economico nel nostro paese, è inteso ad attrarre le competenze
amministrative in ambito della V.I.A. alla sfera statale onde soddisfarne le
relative esigenze27. Il limite fondamentale della procedura di V.I.A.,
nell’ambito dell’approvazione dei progetti per le opere strategiche, che rimane
irrisolto, è semmai ancora riscontrabile in un gap del tutto procedurale, tale
da ridurre le garanzie istruttorie approntate dalla direttiva e dal T.U.
Ambiente recentemente emendato.
Il progetto di riforma del
ll T.U. Ambiente, anteriore all'approvazione definitiva del D.Lgs. n. 4/2008, all’articolo 26,
comma 8 disponeva che “La procedura di valutazione d'impatto ambientale delle
opere relative a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi di cui al
Decreto legislativo n.163 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni, si
conclude, previa consultazione condotta ai sensi dell'art .24, con un
provvedimento, espresso e motivato, che ha per oggetto il progetto definitivo”.
Già da quella proposta, si desume che il tentativo di integrazione delle due
discipline si sarebbe esposto ad una prima evidente ed intrinseca
contraddizione. Si specificava, difatti, che “La procedura [...] si conclude, [...]
con un provvedimento, espresso e motivato, che ha per oggetto il progetto
definitivo”. La proposta, ritirata in sede di approvazione
definitiva del D.lgs. 4/2008 di emenda, farebbe legittimamente pensare che il
legislatore non è riuscito a rendere coerente il procedimento della VIA,
alimentando confusione sulle modalità di svolgimento e ridestando
l’interesse della Commissione nei confronti dell’Italia, che ha già intrapreso
una nuova procedura di infrazione nei confronti del nostro paese28.
La critica è decisiva con riguardo alle garanzie istruttorie apprestate dalla
direttiva. Da una prospettiva meramente interna al procedimento, emerge,
infatti, che il provvedimento di compatibilità ambientale per le opere
strategiche, non assumerebbe quella efficacia sostitutiva espressamente
riconosciuta dal T.U. Ambiente per altri progetti, e che, peraltro,
consentirebbe di ravvisare un momento di sintesi coerente tra la valutazione
tecnica, in sé considerata, e le prescrizioni che trovano compiuta realizzazione
in un progetto non più soggetto a modifiche qual è quello definitivo. Nel
procedimento di V.I.A. per le opere strategiche si ravviserebbe, al contrario,
una frattura tra il momento valutativo e quello prescrittivo. E non è certo,
però, che gli enti locali e gli uffici tecnici competenti possano sempre avere
un peso decisionale determinante in quello spazio, al fine di rimediare, con le
garanzie dell’imparzialità, buon andamento e leale collaborazione del
procedimento amministrativo, alla violazione delle prescrizioni imposte dalla
commissione tecnica in sede di V.I.A. con la redazione del progetto definitivo29.
A tal proposito, costituisce un ragguardevole avanzamento che la sentenza
303/2003 della Corte Costituzionale abbia riconosciuto che le regioni e le
province autonome non godrebbero più di un ruolo meramente consultivo in seno al
CIPE nell’approvazione dei progetti definitivi30. È, tuttavia, degno di
attenzione rilevare che ai sensi dell’art. 166, comma 3 del T.U. Lavori Pubblici
le proposte di adeguamento, le prescrizioni sul progetto definitivo possano
rivelarsi effettive in sede di approvazione CIPE, solo qualora non comportino
una diversa localizzazione dell’opera e rispettino i limiti di spesa, le
caratteristiche prestazionali e funzionali. In ogni caso, l’art. 166, comma 5
dispone che sia rimessa alla discrezionalità del predetto comitato integrare o
meno quelle proposte in sede di approvazione del progetto definitivo che avviene
con il voto della maggioranza dei componenti.
Dovendo, quindi, azzardare un bilancio, tra le garanzie riconoscibili nella
procedura di approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo, si
può osservare il sussistere di un paradosso. In sede di approvazione di un
progetto preliminare di interesse strategico di carattere internazionale o
interregionale, le regioni interessate possono sempre censurare in sede
giurisdizionale amministrativa il d.P.R. di approvazione del progetto con il
quale si è superato il loro dissenso, qualora leda il principio di leale
collaborazione. Nell’ipotesi dei progetti di infrastrutture strategiche di
interesse concorrente, inoltre, il CIPE può procedere all’approvazione per
d.P.R. o alla sospensione dell’infrastruttura, previa una nuova valutazione del
programma delle opere, solo dopo avere raggiunto l’intesa con la/le regioni
dissenzienti31. Al contrario, in sede di approvazione del progetto definitivo, è
pur sempre attribuita alla discrezionalità del solo Ministero dell’Ambiente,
previa consultazione con la commissione speciale VIA, la facoltà di sospendere
l’esecuzione dell’opera o il rinnovo dell’istruttoria, ma solo qualora le
differenze con il progetto preliminare o la violazione delle prescrizioni
espresse in sede di V.I.A. siano suscettibili di una “significativa”
modificazione dell’impatto ambientale globale, lasciando la determinazione
dell’entità delle conseguenze derivanti dall’esecuzione dell’opera ancora ad un
giudizio meramente discrezionale privo di appigli tecnici opponibili dai
controinteressati.
Sempre da un punto di vista interno alla procedura, si rileva che la procedura
di V.I.A. regolata dal T.U. Ambiente, conformemente agli articoli 5, paragrafi 2
e 4, e 6, paragrafo 1 della direttiva 85/337, agevola il coinvolgimento del
soggetto proponente l’opera nella fase istruttoria, con la facoltà di
determinare, nel corso dell’attività di progettazione e di screening, le
modalità di redazione ed il contenuto del S.I.A. attivando un <<dialogo>> non
solo con l’amministrazione procedente, ma anche con altre amministrazioni
interessate e competenti negli ambiti di intervento dell’opera.
Nel quadro della V.I.A. per le opere pubbliche e strategiche, la procedura di
scoping è rinvenibile nell’articolo 21, comma 2 del regolamento di
esecuzione della legge quadro lavori pubblici. La norma, tuttavia, fa solo
riferimento generico a “le informazioni necessarie allo svolgimento della fase
di selezione preliminare dei contenuti dello studio di impatto ambientale” che,
in relazione agli articoli 47 e 48 devono essere integrate e verificate, con
l’ausilio dell’ufficio ovvero degli organismi di controllo. La disposizione in
rassegna non prevede, quindi, un obbligo del responsabile del procedimento di
istruire lo S.I.A. raccogliendo le informazioni utili in possesso di altri
uffici esterni al proprio ambito operativo, riducendo di fatto l’efficacia dello
scoping.
La procedura di V.I.A. per le opere strategiche sconta anche limiti procedurali
che ne inficiano le garanzie istruttorie verso l’esterno. La procedura di
approvazione dei progetti preliminari delle infrastrutture strategiche si deve
svolgere entro un range temporale di 180 giorni dalla presentazione dei
progetti da parte dei soggetti (pubblici o privati) aggiudicatari delle offerte
relative alle opere sulle quali si è raggiunta l’intesa Stato-Regione. Si
sarebbe, quindi, in presenza di uno stretto margine temporale, per cui la metà
del procedimento verrebbe dedicata al rilascio dei pareri tecnici sulle
infrastrutture da parte delle regioni e delle province autonome ed eventualmente
allo svolgimento dello screening e dello scoping della V.I.A. di
loro competenza per infrastrutture e impianti spesso molto complessi.
Nell’ulteriore termine di novanta giorni il Ministero dell’Ambiente, di concerto
con il Ministerro dei BB.AA.CC., deve pronunciare il parere non vincolante per
il CIPE sulla compatibilità ambientale dell’opera. Si aggiunga che il tentativo,
operato dall’articolo 24, comma 5 del T.U. Ambiente in combinato con l’articolo
165, comma 3 del D.Lgs. n. 163/2006, di integrare la partecipazione del pubblico
nella fase istruttoria per l’approvazione del progetto preliminare rischierebbe
di essere del tutto vanificato dai tempi ristretti della procedura di
approvazione e condizionato dal rischio dell’ aggravarsi dei costi di
realizzazione. L’osservazione sarebbe pregnante, anche laddove il Ministero
dell’Ambiente imponesse all’aggiudicatario dell’opera l’adeguamento del progetto
definitivo alle prescrizioni o alle modifiche determinate sul preliminare.
Nel T.U. Ambiente, il termine di 60 giorni previsto dall’articolo 24, comma 4,
e commi da 6 a 9 entro il quale il pubblico interessato può prendere visione del progetto e della
relazione di I.A., è sì discrezionalmente definito dall’ufficio competente, ma
consente di attivare uno spazio conoscitivo verso l’esterno proporzionato alla
complessità dell’opera e grazie al quale, nelle ipotesi in cui le osservazioni
del pubblico possano determinare un condizionamento nell’esecuzione dell’opera,
il termine a disposizione dell’amministrazione per approvare il progetto
potrebbe ampliarsi.
Conclusioni.
L’avere commentato le problematiche relative alla disciplina della V.I.A. per le
opere pubbliche e le infrastrutture strategiche, con l’illustrazione di un caso
concreto, ha reso agevole evidenziarne le perduranti contraddizioni che la
sottrarrebbero alle garanzie istruttorie della direttiva comunitaria, nonostante
la maggiore attenzione alla prevenzione dei danni agli ecosistemi manifestata
dal legislatore nazionale.
L’approvazione dei progetti di opere pubbliche, da sempre oggetto di un’intensa
attività di sorveglianza della Commissione, è stata da taluni Stati Membri
considerata sotto un rigore normativo diverso rispetto ad altri interventi.
L’Italia, tuttavia, non ha saputo approfittare degli avanzamenti
giurisprudenziali e normativi in materia esponendosi a nuove procedure di
infrazione. La disciplina dei lavori pubblici ed oggi, in maniera più evidente,
quella delle infrastrutture strategiche appare troppo ispirata all’esigenza di
semplificazione amministrativa tesa ad accelerare l’esecuzione di
infrastrutture, limitando le garanzie apprestate dalla direttiva comunitaria
85/337. Tale caratteristica rende il momento valutativo frazionato rispetto
all’approvazione del progetto definitivo, perché eseguito solo sul progetto
preliminare. Con la conseguenza che l’applicazione delle prescrizioni sul
progetto definitivo, ed il conseguente controllo del rispetto delle prescrizioni
si rivelerebbe in alcuni casi troppo oneroso e dispendioso, ovvero soggetto alla
censura discrezionale del Ministero dell’Ambiente che potrebbe disporre la
sospensione dei lavori o il rinnovo dell’istruttoria solo nel caso di modifiche
che implichino una significativa modificazione o variazione dell’impatto globale
dell’opera.
Il T.U. Ambiente, di recente modifica, mostra, rispetto alla disciplina per le
infrastrutture strategiche, un approccio alla valutazione di progetti non
emendabili, con un’implementazione delle prescrizioni non limitata alla
discrezionalità degli enti competenti ed al budget dei lavori. La V.I.A. del
T.U. favorisce un’attenzione maggiore all’integrazione, nel procedimento, di
istanze provenienti dal pubblico, dei pareri, delle autorizzazioni e degli
ulteriori permessi rilasciati dalle amministrazioni competenti, tanto da
assorbirle e coordinarle con il provvedimento di compatibilità ambientale. Con
l’ulteriore, è più importante, possibilità di configurazione di un dialogo
istruttorio, tra amministrazioni e soggetti proponenti, finalizzato alla
determinazione del contenuto del S.I.A. redatto dal proponente.
Il contrasto tra due impostazioni, così diverse tra loro, denota come il
tentativo di integrare la disciplina della V.I.A. nell’ambito delle opere
pubbliche, apprestato dalla proposta di inserimento dell’articolo 26, comma 4
nel progetto di D.lgs. n. 4/08, poi stralciato in sede di approvazione
definitiva, sia
contraddittorio già a partire dal tenore letterale della norma. Ed anche
escludendo che lo schema procedurale della V.I.A. per le opere pubbliche
favorirebbe una valutazione degli interessi in gioco basato esclusivamente su
considerazioni politiche, è pur vero, però, che un’impostazione che non consenta
un più ampio controllo delle amministrazioni competenti a gestire le risorse e
gli impatti ambientali (attraverso le competenze delle regioni e degli uffici
tecnici provinciali e comunali in coordinamento tra loro), nel rispetto del
principio di sussidiarietà applicato flessibilmente, è, evidentemente, contraria
ad un approccio integrato alla prevenzione degli inquinamenti e della perdita
degli ecosistemi, che richiede alle amministrazioni competenti di sottoporre a
controllo tutte le fasi di implementazione del progetto. Se ne deve dedurre,
quindi, che l’implementazione della disciplina della V.I.A., caratterizzata oggi
da un approccio ecosistemico, nell’ambito dell’approvazione di progetti di opere
strategiche, si scontri con un limite di ispirazione essenzialmente procedurale,
tale da mettere in crisi, proprio in considerazione degli impatti ambientali
rilevanti, quel disegno comunitario unitario.
Bibliografia
Autori
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<<Obiettivo>>. La V.I.A. sulle infrastrutture e gli insediamenti produttivi
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Giurisprudenza:
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Consiglio di Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917;
Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2002, n. 3917;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 10 giugno 2004, causa
C-87/02;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 11 agosto 1995, causa
C-431/92;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 16 settembre 1999, causa
C-435/97;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 20 settembre 2007, causa
C-304/05;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 21 settembre 1999, causa
C-392/96;
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C-72/1995;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 2 giugno 2005, causa
C-83/03;
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 9 agosto 1994, causa
C-396/92;
T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, sentenza n. 710, 9 maggio 2002;
T.A.R. Lazio - Roma, sezione III, 8 agosto 2006, n. 7098;
T.A.R. Lazio - Roma, sezione III-ter, 4 gennaio 2006, n. 82;
Altri documenti
Circolare 1 dicembre 1992, n. 8840/VIA/A.O.13.1, G.U. n. 104 del 6 maggio 1993;
COM(93) 575 final, 16.3.94: Report from the Commission of the Implementation of
Directive 85/337/CE;
Commission report shows inadeguate implementation of environment Directive,
IP/03/876, 2003;
Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 4 giugno 2003,
dichiarazione di notevole interesse pubblico del parco di Villa Tuzzo sito nel
comune di Lecce (in gazz. uff., 27 febbraio, n. 48);
Ministero dei Lavori Pubblici, Lettera Not. Prot. n. 2801, 13 dicembre 1996;
A.N.A.S.,
Lettera Prot. n. 12054 del 17 dicembre 1995;
Procedura di Infrazione 2002/5170.
* Consulente ambientale e patrocinatore - andreafus74@yahoo.it
1 Butti, L.,
Ambiente. Rifiuti, bonifiche, V.I.A., acque: la riforma del D.Lgs. n. 152 apre
una nuova stagione, in Ambiente&Sicurezza, n. 4, 2008, pagg. 56-59;
2 Così Fonderico, F., Sesto Programma d’Azione UE per l’Ambiente
e << Strategie Tematiche >>, Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 5, 2007,
Milano, Giuffrè editore;
3 Commission report shows inadeguate implementation of
environment Directive, IP/03/876, 2003
4 Fonderico, F., ibidem;
5 Macrory, R., Environmental Assessment: Critical Legal Issues
on Implementation, in Vaughan, D. (Ed.), Environment and Planning Law, 1991,
pagg. 31-43;
6 Lambrechts, C., Environmental Impact assessment, in Winter, G.
(Ed.), European Environmental Law: A Comparativge Perspective, 1996, pag. 74-76;
7 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 24
ottobre 1996, causa C-72/1995;
8 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 21
settembre 1999, causa C-392/96;
9 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza del 16
settembre 1999, causa C-435/97;
10 Sheate, W.R., Amending the E.C. Directive (85/337/EC) on
Environmental Impact Assessment, Environmental Law Network International
Newsletter, n. 2, 1994, 17-18; COM(93) 575 final, 16.3.94: Report from the
Commission of the Implementation of Directive 85/337/CE;
11 Milone, A., Valutazione di Impatto Ambientale Regionale.
Impianto di Gestione Rifiuti e Porto Turistico, in Rivista Giuridica
dell’Edilizia, n. 12, 2003, note 33-35; L’adeguamento della normativa Italiana,
iniziato con il regolamento 377/88, e seguito con il regolamento di
coordinamento si è, infatti, realizzato dopo più di dieci anni e altrettante
procedure di infrazione promosse dalla Commissione nei confronti del nostro
paese.
12 Così con un’espressione suggestiva, Tamburino, M.L., in
AA.VV, Codice dei Contratti Pubblici - Commentario al D.lgs. 12 aprile 2006, n.
163 - Codice dei Contratti Pubblici relativi a Lavori, Servizi e Forniture in
attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, 2007, Giuffrè, pag. 1454;
13 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Commissione delle
Comunità europee contro Repubblica Italiana, sentenza del 10 giugno 2004, causa
C-87/02; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Commissione delle Comunità
europee contro Repubblica Italiana, sentenza del 20 settembre 2007, causa
C-304/05; Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Commissione delle Comunità
europee contro Repubblica Italiana, sentenza del 2 giugno 2005, causa C-83/03;
14 Cfr. anche Gratani, A., La VIA deve precedere i
provvedimenti nazionali autorizzativi e dichiarativi di P.U., in Rivista
Giuridica dell’Ambiente, n. 2, 2004: l’autrice, commentando una recente sentenza
della CGE, aderisce all’interpretazione finalistica e di stretto diritto che la
Commissione ha costantemente mantenuto sull’art. 2(1) della Direttiva.
15 Sikabonyi, M.E., Country Report. Italy, in European
Environmental Law Review, n. 12 pag. 227;
16 Tamburino, M.L., cit., pag. 1460-1461; Gratani, A., AA.VV,
Codice dei Contratti Pubblici - Commentario al D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163,
cit., pag 1609-1610;
17 Consiglio di Stato, sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917; T.A.R.
Lazio - Roma, sezione III, 8 agosto 2006, n. 7098; T.A.R. Lazio - Roma, sezione
III-ter, 4 gennaio 2006, n. 82;
18 Ministero dei Lavori Pubblici, Lettera Not. Prot. n. 2801,
13 dicembre 1996; A.N.A.S., Lettera Prot. n. 12054 del 17 dicembre 1995;
19 Circolare 1 dicembre 1992, n. 8840/VIA/A.O.13.1, G.U. n. 104
del 6 maggio 1993;
20 I progetti erano approvati con conferenze di servizio
indette ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.P.R: 18 aprile 1994, n. 383
“Regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere
di interesse statale” i cui provvedimenti finali erano caratterizzati da
contenuto sostitutorio, poiché derogavano i piani urbanistici comunali.
21 Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 4
giugno 2003, dichiarazione di notevole interesse pubblico del parco di Villa
Tuzzo sito nel comune di Lecce (in gazz. uff., 27 febbraio, n. 48);
22 T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, sentenza n. 710, 9
maggio 2002;
23 Consiglio di Stato, Parere n. 2757/95, 25 gennaio 1996,
9-10;
24 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Bund Naturschutz
in Bayern eV, Richard Stahnsdorf e altri contro Freistaat Bayern, sentenza del 9
agosto 1994, causa C-396/92;
25 Davies, P., European Union Environmental Law. An
Introduction to Key Selected Issues, Ashgate, 2004, pag. 167;
26 Cfr. Basile, F., Decisionalità politica e snellimento
procedimentale nel nuovo modello di conferenza di servizi, Rivista Giuridica
dell’Edilizia, n. 2, 1998, pagg. 442-443; Iannello, C., cit., pagg. 1124 e ss.;
Lenzi, S., La pianificazione dei trasporti e il Primo programma delle
infrastrutture strategiche, in
www.peraltrestrade.it/download/La_pianificazione_dei_trasporti__lenzi_sett_06.pdf,
pag. 1;
27 Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, Sentenza 25
settembre - 1° ottobre 2003, n. 303, pubblicata su G.U. 8/10/2003, rinvenibile
in http://www.cortecostituzionale.it;
28 Procedura di Infrazione 2002/5170.
29 Così Ponte, D., Sulla <<Via>> la disciplina diventa
unitaria, in Guida al Diritto, n. 3, pag. 160;
30 Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, cit., par.
6.2 motivazione;
31 Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, cit., par.
24 motivazione;
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 13/06/2008