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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
TRIBUNALE DI NAPOLI, SEZIONE DISTACCATA DI ISCHIA, ORDINANZA 21 AGOSTO 2008 (R.G. ESEC. NUMERI 26/08 ED ALTRI) – G.M. DI SALVO.
1. EDILIZIA ED URBANISTICA – CONDONO EDILIZIO – EX D.L. N. 269
DEL 2003 – COSTRUZIONI ABUSIVE REALIZZATE IN AREA ASSOGGETTATE A VINCOLO. NON
SONO SANABILI SECONDO IL DIRITTO VIVENTE.
2. EDILIZIA ED URBANISTICA – CONDONO EDILIZIO. INTERPRETAZIONE RESTRITTIVA PER
LE AREE ASSOGGETTATE A VINCOLO IMPOSTO A TUTELA DEGLI INTERESSI PAESISTICI (ART.
32, COMMA 26, D.L. N. 269 DEL 2003). ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE PER
VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 42, 81, 117 E 119 DELLA COSTITUZIONE.
1. Non è manifestamente infondata – ed è rilevante ai fini della
decisione dell’incidente di esecuzione dell’ordine giudiziale di demolizione ex
art. 31, nono comma, del D.P.R. n. 380 del 2001 - la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 32, comma 26, del D.L n. 269 del 2003, convertito
nella L. n. 326 del 2003 ( condono ter ), in quanto il non sempre univoco –
e poco chiaro – orientamento della Corte di Cassazione in materia di oblazione
collegata al condono edilizio, la cui atipicità è stata evidenziata dalla Corte
Costituzionale già con sentenza n. 369 del 31 marzo 1988, da un lato, e la
rigida interpretazione “additiva” - ad opera della stessa Corte di Cassazione -
del citato comma 26, dall’altro, hanno determinato nel diritto vivente
dissonanze interpretative ed applicative che minano alla base anche il
principio di ragionevolezza, con ciò violando gli artt. 3, 42, 81, 117 e 119
della Costituzione, a causa della impossibilità, per il giudice, di provvedere
alla revoca dell’ordine di demolizione per opere realizzate in zona assoggettata
a vincolo paesistico, pur in presenza di regolare presentazione di domanda di
condono e di pagamento dell’oblazione in misura che l’autorità comunale ha
certificato essere congrua.
CONDONO “BERLUSCONI”
LA CORTE COSTITUZIONALE CHIAMATA A SCIOGLIERE IL NODO DELLE AREE VINCOLATE
BRUNO MOLINARO*
SOMMARIO: 1. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE.
2. LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE IN RELAZIONE ALLA
DUBBIA POSSIBILITA’ DI SOSPENDERE ORDINI GIUDIZIALI DI DEMOLIZIONE PER NUOVE
COSTRUZIONI IN AREE VINCOLATE, OGGETTO DI DOMANDA DI CONDONO EX D.L. N. 269 DEL
2003, STANTE LA RIGIDA INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA AD OPERA DEL
DIRITTO VIVENTE, SECONDO CUI, IN TALI AREE, E’ POSSIBILE OTTENERE LA SANATORIA
SOLO PER GLI INTERVENTI EDILIZI “MINORI”. 3. LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA
QUESTIONE SOLLEVATA IN QUANTO L’ERMENEUSI RESTRITTIVA DEL CONDONO TER INVESTE IL
PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA, CONFONDE GLI EFFETTI PENALI ED AMMINISTRATIVI DELLA
SANATORIA ED IGNORA IL CONTRARIO ORIENTAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
(SENTENZE N. 196 DEL 2004 E N. 49 DEL 2006). 4. L’INFELICE FORMULAZIONE DEL
COMMA 26. 5. LE INCONGRUENZE DELLA SENTENZA “BATTINELLI” SULLA INSANABILITA’
“TIPIZZATA” (CASS., SEZ. III, N. 10202 DEL 23.3.2006) RISPETTO ALLA SENTENZA
“MAZZOLA” (CASS., SEZ. III, N. 10512 DEL 20.11.1997) SUI PRESUPPOSTI DELLA
ESTINZIONE, PER OBLAZIONE SPECIALE, DEI REATI URBANISTICI ED EDILIZI. 6. CONSIDERAZIONI FINALI.
* * *
1. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE.
Con l’ordinanza che si annota, il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi
su 140 ricorsi per incidente di esecuzione, tutti riuniti per connessione e
finalizzati alla revoca dell’ordine giudiziale di demolizione di altrettanti
immobili realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed oggetto di
istanze di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003,
convertito nella legge n. 326 del 2003, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale della suindicata disposizione, in particolare del comma 26, per
contrasto con gli artt. 3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione, nella parte in
cui prevede, secondo il diritto vivente, che nelle aree sottoposte a vincolo ex
art. 32 della legge n. 47 del 1985 è possibile ottenere la sanatoria soltanto
per gli interventi edilizi minori (corrispondenti alle tipologie di illecito
indicate ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1: restauro, risanamento conservativo
e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell’autorità
preposta alla tutela del vincolo stesso.
2. LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE IN RELAZIONE
ALLA DUBBIA POSSIBILITA’ DI SOSPENDERE ORDINI GIUDIZIALI DI DEMOLIZIONE PER
NUOVE COSTRUZIONI IN AREE VINCOLATE, OGGETTO DI DOMANDA DI CONDONO EX D.L. N.
269 DEL 2003, STANTE LA RIGIDA INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA AD
OPERA DEL DIRITTO VIVENTE, SECONDO CUI, IN TALI AREE, E’ POSSIBILE OTTENERE LA
SANATORIA SOLO PER GLI INTERVENTI EDILIZI “MINORI”.
Il Tribunale ha ritenuto la questione rilevante, ai fini del decidere, dopo che
il Pubblico Ministero aveva espressamente richiamato, a conferma della
insanabilità delle opere da demolire, la sentenza della Corte Suprema di
Cassazione n. 6431 del 15 febbraio 20071.
Tale sentenza, sia pure con argomentazioni differenti, si inserisce nel solco
già tracciato da altre decisioni della medesima Corte di Cassazione contrarie
alla sanatoria delle nuove costruzioni in zona vincolata ( si vedano, fra le
tante, Cass., Sez. III, 1.10.2004, n. 38694; Cass., Sez. III, 24.9.2004, n.
37865; Cass., Sez. III, 21.12.2004, n. 48954; Cass., Sez. III, 21.12.2004, n.
48956; Cass., Sez. III, 12.1.2005, n. 216)2.
“Si è dunque in presenza di un diritto vivente, ovvero di una sufficiente
certezza sul significato della disposizione considerata – si legge nella
motivazione dell’ordinanza – dalla quale il Tribunale non potrebbe agevolmente
discostarsi.
Facendo, quindi, applicazione del suesposto principio di diritto affermato dal
diritto vivente, questo Tribunale dovrebbe rigettare tutti gli incidenti di
esecuzione in esame, non potendo revocare i relativi ordini di demolizione,
aventi ad oggetto, appunto, nuove costruzioni in zona assoggettata a vincolo
paesistico, per le quali, nonostante la pendenza di 140 procedure di cd.
<<condono edilizio ter>>, tutte corredate del rispettivo <<parere di congruità>>
espresso dalle competenti amministrazioni comunali, relativamente agli oneri
versati dai ricorrenti, non sarebbe in nessun caso possibile ottenere la
sanatoria, ostandovi il disposto dell’art. 32, comma 26, lett. a), del D.L. n.
269 del 2003.
A tale conclusione questo Tribunale sarebbe costretto a pervenire sebbene la
Corte Costituzionale, con sentenza n. 70 del 12 marzo 2008, abbia dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 36, del D.L. n. 269 del 2003
nella parte in cui non prevede che gli effetti di cui all’articolo 38, comma 2,
della legge n. 47 del 1985 si producono anche allorchè, anteriormente al decorso
dei 36 mesi dal pagamento della oblazione, sia intervenuta l’attestazione di
congruità da parte dell’autorità comunale, come verificatosi in tutte le 140
fattispecie in esame.”
3. LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE SOLLEVATA IN QUANTO L’ERMENEUSI
RESTRITTIVA DEL CONDONO TER INVESTE IL PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA, CONFONDE GLI
EFFETTI PENALI ED AMMINISTRATIVI DELLA SANATORIA ED IGNORA IL CONTRARIO
ORIENTAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE (SENTENZE N. 196 DEL 2004 E N. 49 DEL
2006).
Nel motivare anche in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, il
Tribunale ha, tuttavia, ritenuto che la rigida interpretazione, in malam
partem, dell’art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003 fornita dal diritto
vivente sia in contrasto innanzitutto con l’art. 3 della Costituzione,
investendo il principio di ragionevolezza e finendo con lo snaturare la stessa
volontà del legislatore, sul versante degli effetti penali della sanatoria nelle
aree assoggettate a vincolo paesistico.
Infatti, il legislatore non avrebbe avuto necessità di predisporre un così
complesso procedimento per l’acquizione del parere paesistico, ove la sua
intenzione fosse stata effettivamente quella – come affermato dal diritto
vivente - di escludere sempre, in ogni caso, la possibilità di sanatoria per le
opere di cui alle tipologie 1, 2 e 3 nelle zone assoggettate a vincolo.
Tale articolato corpus normativo, in aderenza al principio di non
aggravamento dei procedimenti amministrativi, non era di certo richiesto per
sanare le sole tipologie 4, 5 e 6, cui, peraltro, la vigente legislazione già
ricollega un’autonoma possibilità di legittimazione, sia ex ante (art.
149 d.lgs. n. 42/04) sia ex post, attraverso il c.d. <<accertamento di
compatibilità paesaggistica>> previsto dall’art. 167 del d.lgs n. 42/04,
relativamente alle opere di natura manutentiva, nonché a quelle che non abbiano,
in concreto, determinato incrementi planovolumetrici.
Sul punto è stato sollevato in dottrina un duplice interrogativo3.
Il primo riguarda la circostanza se sia ragionevole prescrivere l’obbligo della
acquisizione del preventivo parere per colui che non abbia incrementato in alcun
modo il proprio edificio, ma si sia limitato a spostare una finestra, se ciò è
esplicitamente escluso per interventi che, invece, hanno provocato incrementi
sia di altezza che di volumetria, ancorchè contenuta nel limite del 2%.
Il secondo, che risulta molto più rilevante, riguarda la circostanza di come
possa conciliarsi una disposizione che prevede che siano ammessi a condono
edilizio abusi che abbiano comportato innovazioni planovolumetriche nelle zone
assoggettate a vincolo, con esclusione perfino dell’obbligo del parere
paesaggistico, con l’affermazione secondo cui l’intero contesto normativo
escluderebbe l’applicabilità del condono agli abusi riconducibili alle tipologie
1, 2 e 3 ed eseguiti nelle zone assoggettate a vincolo paesistico.
Secondo il Tribunale, l’incoerenza logica della tesi sostenuta dal diritto
vivente è dimostrata, a ben vedere, dai precedenti insegnamenti della stessa
Corte Suprema di Cassazione, anche a Sezioni Unite (cfr., ex plurimis,
Cass. SS.UU. n. 22 del 1999), che aveva escluso la possibilità di porre sullo
stesso piano gli effetti penali ed amministrativi del condono.
Peraltro, con la sentenza n. 196 del 2004 la Corte Costituzionale aveva
avvertito l’esigenza di chiarire che la nuova normativa di condono “si
ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono
succeduti dall’inizio degli anni ottanta, il che è reso del tutto palese dai
molteplici rinvii contenuti nell’art. 32 alle norme concernenti i precedenti
condoni, con una tecnica normativa che crea una esplicita saldatura tra il nuovo
condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo
straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni”.
Sempre in tale pronuncia, la Corte Costituzionale aveva rimarcato con maggior
vigore rispetto al passato il rapporto (e la non necessaria coesistenza) tra
effetti amministrativi ed effetti penali della sanatoria, chiarendo, altresì,
come permanga anche con il nuovo condono edilizio la caratteristica fondamentale
di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa, in
quanto l’integrale pagamento dell’oblazione, oltre a costituire il presupposto
per l’estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di
esecuzione delle sanzioni amministrative e costituisce uno dei requisiti per il
rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, commi 32 e 37,
del d.l. n. 269 del 2003).
Peraltro, ciò non escluderebbe che, pagata interamente l’oblazione, ai sensi
dell’art. 39 della legge n. 47 del 1985 (applicabile – come gli artt. 38 e 44 –
in virtù del richiamo operato dal comma 25 dell’art. 32 cit. agli interi capi IV
e V della legge n. 47 del 1985), pur in presenza di diniego di sanatoria, si
estinguano i reati edilizi e si riducano in misura pari all’oblazione versata le
sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro.
In altri termini, il potere del giudice penale di non applicare la speciale
causa estintiva prevista dalla sanatoria straordinaria (e naturalmente anche di
non sospendere il giudizio per i reati ai quali la stessa si riferisce) può
essere esercitato nella sola ipotesi in cui dagli atti emerga verosimilmente la
violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici
nella esecuzione delle opere e non anche quando tali opere non appaiano
suscettibili di sanatoria sul piano strettamente amministrativo.
A tali fini, persino il diniego di sanatoria della P.A. rappresenta un elemento
neutro e del tutto inidoneo a determinare l’esclusione della operatività della
causa estintiva, ricollegata al solo pagamento dell’oblazione in misura congrua
secondo quanto previsto dal richiamato art. 39 della legge n. 47 del 1985.
Del resto, sempre sul versante amministrativo, il diritto vivente non spiega
perché nelle aree vincolate maggiormente sensibili, come quelle demaniali, sulle
quali siano state eseguite opere abusive, il legislatore del 2003 (art.32, comma
17) si sia accontentato di subordinare la disponibilità alla cessione dell’area
al solo rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo, perché rimuovibile ad
opera della competente autorità, e non assoluto).
Né appare di rilievo la circostanza addotta dalla Corte di Cassazione nella
sentenza n. 6431/2007, per la quale “tale disposizione, riferita alle opere
eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio
statale, è significativamente limitata dall’esclusione (posta dal precedente
comma 14) del demanio marittimo lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati
da diritti di uso civico (immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege),
dovendosi tener conto “dell’ampia nozione di vincolo” che l’art. 32 della legge
n. 47/1985 presuppone.
Anche qui la norma – nel prevedere una fattispecie di sanatoria a condizione – è
sufficientemente chiara e non può essere manipolata con interpretazioni additive
in malam partem.
Non spiega, infatti, il diritto vivente perché il controverso comma 26 arrivi a
ritagliare un’eccezione all’ambito oggettivo di applicabilità della sanatoria
per i soli abusi realizzati su immobili dichiarati monumento nazionale,
omettendo di menzionarne altri.
La norma prevede, infatti, che sono suscettibili di sanatoria edilizia (tutte)
le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell’ambito
dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto dalla lettera
e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo
di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985.
La sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da 1 a 3 (opere
nuove senza titolo edilizio o in difformità, in contrasto con gli strumenti
urbanistici o conformi agli strumenti urbanistici; ristrutturazioni senza titolo
o in difformità dal titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive
realizzate su immobili assoggettati a vincolo storico – artistico ai quali si
riferisce il comma 27, lettera e).
Nel rispetto del canone di ragionevolezza, il legislatore non avrebbe avuto
alcuna necessità – ove la disposizione del comma 26 fosse effettivamente da
interpretare, come ritenuto dal diritto vivente, nel senso che nelle aree
vincolate sono sanabili solo gli interventi edilizi minori – di collegare agli
abusi maggiori le opere eseguite senza titolo su immobili dichiarati monumento
nazionale, per giunta vincolati in individuo.
E lo stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in quanto in esso
si fa riferimento a tutti i vincoli riconducibili all’ambito di applicazione
dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Privo di giustificazione sul piano logico sarebbe stato anche prevedere, come in
effetti è avvenuto, con la formulazione della lettera d), che la mancata
dimostrazione della conformità delle opere alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici determina l’insanabilità delle opere
per le quali è stato richiesto il beneficio del condono.
Di tali perplessità si è fatta carico indirettamente anche la Corte
Costituzionale nella sentenza n.49 del 2006, sempre in materia di condono ter,
la quale sembra rafforzare – sul piano interpretativo – la tesi secondo cui
l’unico parametro normativo da considerare per delimitare l’ambito oggettivo di
applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo è
rappresentato non già dal comma 26 ma piuttosto dal comma 27, lettera d), del
d.l. n. 269 del 2003.
La Consulta, infatti, non solo omette ogni riferimento al suindicato comma 26,
ma, anzi, finisce per offrire una lettura più ampia dello stesso comma 27,
lettera d), laddove precisa che i soli vincoli di inedificabilità assoluta e
non anche quelli di inedificabilità relativa possono essere considerati ostativi
alla sanabilità.
In altri termini, secondo il Tribunale, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre
che non si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta, le opere abusive
potranno essere sanate, secondo l’insegnamento del Giudice delle leggi, laddove
si dimostri la conformità delle stesse alla normativa urbanistica, previo parere
favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal
nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/85, nella formulazione introdotta dal
comma 43 del decreto – legge n. 269 del 2003 (che prevede una conferenza di
servizi cui partecipa necessariamente anche la Soprintendenza territorialmente
competente, il cui parere è vincolante).
A tale conclusione osta, tuttavia, il difforme indirizzo del Giudice di
legittimità.
Da tanto consegue che <<la rigida interpretazione – da parte del diritto
vivente – del comma 26, oltre a porsi in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto
l’illogica restrizione dell’ambito applicativo della disciplina statale del
condono edilizio comporta la violazione del principio di uguaglianza, si pone in
contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., relativamente
alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal
momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceve nell’intero
territorio nazionale, per effetto dell’applicazione – conforme al diritto
vivente – della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario, a seconda
della natura vincolata o meno dell’area oggetto dell’intervento e, per giunta,
senza distinguere tra vincolo di inedificabilità relativa e vincolo di
inedificabilità assoluta, come – viceversa – ritenuto decisivo dalla Corte
Costituzionale con la ricordata sentenza n. 49 del 2006.
L’interpretazione restrittiva in malam partem del diritto vivente si discosta,
inoltre, dall’art. 32, comma 25, del D.L. n. 269 del 2003 e, pertanto, riducendo
irrazionalmente l’ambito degli interventi ammessi al condono edilizio, contrasta
anche con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in quanto riduce il gettito
finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo
incidendo su materie di competenza statale esclusiva (“rapporti dello Stato con
l’Unione Europea”, “moneta”) e concorrente “coordinamento della finanza
pubblica”).
La suddetta interpretazione fornita dal diritto vivente vulnera, altresì, l’art.
81 Cost. in quanto ha effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di
spesa che fanno affidamento sul gettito del condono edilizio, determinando
un’indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del paese nel suo insieme.
La contestata interpretazione della norma in questione genera, infine, radicali
incertezze in ordine agli effetti dell’oblazione corrisposta per la sanatoria
delle opere abusive, con ciò vulnerando, sotto ulteriore profilo, sia l’art. 3
(canone di ragionevolezza) che l’art. 42 Cost.>>.
4. L’INFELICE FORMULAZIONE DEL COMMA 26.
L’ordinanza del Tribunale, sorretta da lucida trama argomentativa, ha il merito
di sottoporre all’esame della Consulta un tema fra i più complessi, quale è,
appunto, quello dei rapporti tra effetti penali ed effetti amministrativi
derivanti da ogni sanatoria straordinaria, tema la cui difficoltà si è
accentuata ancor di più con l’ultimo condono edilizio, introdotto con un decreto
legge “omnibus” che ha risentito fortemente anche dell’incidenza del
rapporto conflittuale tra Stato e Regioni.
Si è sostenuto, in proposito, che l’infelice formulazione del comma 26 dell’art.
32 fa a pugni, in primo luogo, con l’italiano4.
Anzi, a voler essere pignoli, la disposizione in esame, se presa alla lettera,
significherebbe esattamente il contrario, e cioè che è condonabile tutto (tutte
le tipologie di abuso) nell’intero territorio nazionale, nonchè le tipologie di
abuso minori (i numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1) nelle (sole !) aree vincolate.
Ma questa lettura porta a un significato chiaramente inutile e illogico.
Se però fosse vera l’interpretazione logica data dalla Cassazione penale non si
spiegherebbe la precisazione, contenuta nella norma, fermo restando quanto
previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo.
Il comma 27, lettera e), infatti, stabilisce che non sono comunque suscettibili
di sanatoria le opere abusive realizzate su immobili dichiarati monumento
nazionale o di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7
del testo unico sui beni culturali del 1999. E poiché tra i vincoli contemplati
dall’articolo 32 della legge n. 47 del 1985 vi è sicuramente anche il vincolo
storico-artistico della legge n. 1089 del 1939 (Titolo I del testo unico di cui
al d.lgs. n. 490 del 1999) emerge evidente la contraddizione tra una regola
generale (esclusione delle tipologie di abuso maggiori nell’ambito degli
immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47, e l’eccezione, di cui all’inciso in questione, che del tutto
inutilmente escluderebbe dal condono gli abusi maggiori commessi su
determinati beni vincolati (quelli storico-artistici e archeologici) già esclusi
in forza della regola generale.
Salvo a non voler sottilizzare, ascrivendo alla locuzione nell’ambito degli
immobili soggetti a vincolo adoperata dalla disposizione il senso di essere
riferita alle sole aree (paesaggistiche o naturalistiche, o rilevanti sotto il
profilo idrogeologico) e non anche agli immobili in senso stretto (nel senso
della dicotomia aree ed immobili introdotta dal codice dei beni culturali
e del paesaggio, articolo 134, dove per immobili si fa riferimento alle
tipologie di cui ai numeri 1 e 2 dell’articolo 1 della legge n. 1497 del 1939,
cioè alle cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di
singolarità geologica e alle ville, ai giardini e ai parchi, intendendosi
designare con il termine immobili determinati beni giuridicamente e
catastalmente - tendenzialmente - unitari)5.
5. LE INCONGRUENZE DELLA SENTENZA “BATTINELLI” SULLA INSANABILITA’ “TIPIZZATA”
(CASS., SEZ. III, N. 10202 DEL 23.3.2006) RISPETTO ALLA SENTENZA “MAZZOLA”
(CASS., SEZ. III, N. 10512 DEL 20.11.1997) SUI PRESUPPOSTI DELLA ESTINZIONE, PER
OBLAZIONE SPECIALE, DEI REATI URBANISTICI ED EDILIZI.
Consapevole delle incertezze generate dalla ermeneusi restrittiva del comma 26,
la Cassazione penale, con sentenza della Sezione III n.10202 del 23.3.2006, ha,
per un verso, ribadito che:
“Secondo la giurisprudenza di questa sezione, il D.L. 30.9.2003 n. 269,
convertito in legge 24.11.2003 n. 326, in relazione alle opere realizzate senza
titolo abilitativo su immobili soggetti a vincolo:
1) ai sensi dell'art. 32, comma 26, lett. a), consente la sanatoria solo delle
opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria
(tipologie 4, 5 e 6 dell'Allegato 1); per conseguenza, non prevede la sanatoria
delle altre opere, conformi o non conformi alle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (tipolgie 1, 2 e 3 dell'Allegato 1);
2) ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), non consente la sanatoria neppure
delle opere di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria,
quando si tratti di immobili soggetti a vincoli imposti, prima della
realizzazione delle opere, da leggi statali o regionali a tutela di interessi
idrogeologici, di interessi ambientali o paesaggistici, nonché di parchi e aree
protette;
3) ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. e), non consente la sanatoria neppure
delle opere di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria,
quando siano realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale o di
interesse particolarmente rilevante>>.
Per altro verso, la Corte ha inteso precisare che:
<<In tutti questi casi, difettando "tipicamente" la sanabilità delle
opere, ovvero mancando il presupposto legale della sanatoria, non si può far
luogo alla sospensione c.d. automatica del processo prevista dall'art. 44 e
neppure a quella prevista dall'art. 38 della legge 47/1985.
Siccome la ratio della sospensione del processo penale è quella di consentire
l'esaurimento della procedura amministrativa del condono (iniziata o soltanto
possibile), in considerazione degli effetti che possono derivarne sulla sentenza
del giudice penale, la sospensione non ha senso quando l'opera non è per legge
sanabile e quindi l'esaurimento della procedura amministrativa non può avere
effetti sull'esito del processo penale.
Proprio perché la sanabilità delle opere è il presupposto implicito di entrambe
le sospensioni processuali (ex art. 44 o art. 38), si comprende per quale
ragione anche dopo la presentazione di una domanda di sanatoria e il pagamento
della prima rata di oblazione il giudice non è obbligato a sospendere il
processo anche nel caso in cui le opere non sono astrattamente sanabili.
A questa conclusione non osta la norma di cui all'art. 39 legge 47/1985,
richiamata in via generale dall'art. 32, comma 25, legge 326/2003.
Secondo detta norma, il pagamento dell'oblazione, qualora le opere non possano
conseguire la sanatoria, estingue i reati contravvenzionali di cui all'art. 38
della stessa legge 47/1985. Ma - come ha ben spiegato Cass. Sez. III, del
20.11.1997, ud. 15.10.1997, P.M. in proc. Mazzola, ampiamente riportata nella
memoria del difensore - essa riguarda gli effetti penali e non quelli
urbanistici della procedura di oblazione; e soprattutto attiene alla possibilità
che un'opera astrattamente condonabile non ottenga concretamente la sanatoria,
ad esempio per difetto dei requisiti soggettivi di cui al comma 29 dell'art. 32
legge 326/2003 (non aver riportato condanna definitiva per uno dei delitti di
cui agli artt. 416 bis, 648 bis e 648 ter c.p.) o per mancanza di una delle
condizioni oggettive imposte dal comma 37 dello stesso art. 32 (pagamento degli
oneri di concessione, presentazione della prescritta documentazione
sull'edificio abusivo, denuncia in catasto, denuncia ai fini dell'I.C.I., e -
ove dovute - denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei r.s.u. e ai fini
dell'occupazione del suolo pubblico).
La norma, invece, non riguarda - ad avviso di questo collegio - le diverse
ipotesi in cui la sanatoria è "tipicamente" esclusa dal legislatore.
In altri termini, la disposizione dell'art. 39, col suo effetto di estinzione
dei reati, si applica quando è stata avanzata domanda di sanatoria per un'opera
astrattamente sanabile e la sanatoria non è stata conseguita per difetto di
condizioni soggettive od oggettive; non si applica, invece, quando le opere non
sono sanabili neppure astrattamente, anche se è stata presentata la relativa
domanda ed è stata versata l'oblazione autodeterminata>>.
Tale conclusione, in disparte ogni altro rilievo, è, però, smentita dalla stessa
sentenza “Mazzola” (n. 10512 del 1997) invocata dall’estensore, nella
quale si sottolinea, fra l’altro, che anche i vincoli di inedificabilità
assoluta ex art. 33 della legge n. 47/85 non precludono la declaratoria di
estinzione del reato ai sensi dell’art. 39 della legge n. 47/85.
Infatti, con tale pronuncia, la Corte, in ordine alla argomentazione secondo cui
la estinzione del reato urbanistico prevista nel capo IV della legge n. 47 del
1985 presuppone un atto amministrativo (la concessione in sanatoria rilasciata
dal Comune), aveva espressamente ritenuto che:
“Tale argomentazione ignora la distinzione tra il profilo amministrativo e
quello penale del cosiddetto condono edilizio, quale risulta evidente dalla
interpretazione sistematica della disciplina contenuta nel capo IV della legge
28.2.1985 n. 47, e in particolare dalla interpretazione letterale e logica
dell’art. 39 della stessa legge (…), secondo cui, qualora le opere non possano
conseguire la sanatoria, l’effettuazione della oblazione estingue i reati
contravvenzionali indicati nell’art. 38. Se ne deve concludere che quando la
domanda di sanatoria non può essere accolta, l’abuso amministrativo resta, ma
l’illecito penale viene estinto ove l’imputato abbia versato l’intero importo
dell’oblazione, congruamente e fedelmente determinato.
Da questo articolato sistema normativo l’estinzione dei reati urbanistici ed
edilizi non presuppone necessariamente la formazione di un atto amministrativo
di sanatoria, né espresso, né tacito. Presuppone soltanto una regolare domanda
di sanatoria e il versamento completo dell’oblazione da parte dell’imputato
ovvero da parte di un comproprietario dell’immobile abusivo, ai sensi dell’art.
38 legge 47-1985). 5 – Ulteriore conseguenza che ne deriva è che il giudice
penale, per dichiarare l’estinzione dei reati, deve verificare solo i
presupposti legali dell’oblazione speciale come sopra disciplinata; mentre
spetta alla autorità comunale competente accertare tutte le condizioni stabilite
dalla legge per la concessione in sanatoria.
Più in particolare spetta al giudice penale verificare i presupposti temporali,
personali e oggettivi della disciplina sulla oblazione speciale, cioè a) la
tempestività della domanda; b) la riferibilità della domanda agli imputati o ai
comproprietari dell’immobile abusivo ex art. 38 legge 47-1985; c) la
riferibilità della domanda all’immobile abusivo contestato nel capo di
imputazione; d) – la ultimazione dei lavori entro il termine di legge; infine
per il condono disciplinato da ultimo con l’art. 39 della legge 724-1994, e) i
requisiti volumetrici dell’immobile costruito. Il giudice penale deve anche
verificare f) la congruità quantitativa dell’oblazione versata: solo che in
questo caso, se può accertare direttamente l’entità delle somme versate,
attraverso le (copie delle) ricevute di versamento, non può direttamente
verificare la congruità delle stesse rispetto ai parametri previsti, giacchè
molti di questi sono conosciuti solo dall’autorità comunale (basti pensare ad
esempio all’esistenza di convenzioni stipulate con il comune per la applicazione
di prezzi di vendita o di canoni di locazione determinati, che costituisce
titolo per la riduzione dell’oblazione al 50%; ovvero alla utilizzazione
dell’edificio abusivo come prima abitazione del richiedente, che è titolo per la
riduzione di un terzo: commi terzo e quarto dell’art. 34 legge 47-1985) e
giacchè – coerentemente – la legge attribuisce al sindaco il compito di
determinare in via definitiva l’importo dell’obalzione (comma 15 dell’art. 35
legge 47-1985). Quest’ultima verifica, quindi, è compiuta dal giudice penale
solo indirettamente, attraverso l’acquisizione del certificato di congruità
rilasciato dal sindaco competente.
Deriva infine dal sistema normativo come sopra riassunto che il giudice
penale, per dichiarare la estinzione dei reati urbanistici ed edilizi, non deve
previamente accertare l’inesistenza di cause ostative alla sanatoria
amministrativa, appunto per il disposto dell’art. 39 legge 47-1985, che dispone
la estinzione dei reati contravvenzionali (anche) quando le opere abusive non
possono essere sanate.
In particolare, non rileva ai fini penali la insanabilità assoluta di opere
soggette a vincoli determinati, di cui all’art. 33 legge 47-1985, come
modificato dal ventesimo comma dell’art. 39 legge 724-1994; così come non
rileva la sanabilità condizionata delle opere costruite in aree vincolate, di
cui all’art. 32 legge 47-1985, che è subordinata al parere favorevole delle
amministrazioni preposte al vincolo.
Quanto alla insanabilità delle opere per cui è stata presentata domanda
dolosamente infedele, di cui all’art. 40, primo comma, legge 47-1985, il rilievo
penale deriva solo dal fatto che la infedeltà della domanda può influire sulla
congruità della oblazione. In altri termini, il giudice penale, al fine di
dichiarare la estinzione per oblazione speciale dei reati urbanistici ed
edilizi, non deve previamente accertare né l’inesistenza di una causa di
insanabilità assoluta di cui all’art. 33 legge 47-1985, né l’inesistenza di una
causa di insanabilità relativa di cui all’art. 32 della stessa legge.
Infine, non deve neppure accertare che la domanda di sanatoria non sia
dolosamente infedele, giacchè questo accertamento è implicitamente contenuto
nella certificazione che il sindaco rilascia circa la congruità della oblazione
versata”.
6. CONSIDERAZIONI FINALI.
Alla Corte Costituzionale il compito di sciogliere il nodo, giacchè, come
evidenziato dal Tribunale di Napoli, il rigido indirizzo della Corte Suprema
ratifica una vera e propria antinomia interpretativa degli effetti del condono
sul versante penale ed amministrativo rispetto all’univoco orientamento del
Giudice delle leggi.
Di tale problematica, sia pure sotto diversa angolazione, si è fatta carico di
recente anche la Regione Marche che, con legge di interpretazione autentica del
27 maggio 2008, n.11, ha stabilito che «la lettera a) del comma 1 dell'art. 2
della legge regionale n. 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli
abusi edilizi), deve essere interpretata nel senso che i vincoli di cui
all'art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie) ed all'art. 32, comma 27, lettera d), della legge 24 novembre 2003, n.
326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento dei conti pubblici) impediscono la sanatoria delle opere
abusive solo qualora comportino inedificabilita' assoluta e siano stati imposti
prima della esecuzione delle opere».
Ma tale legge è stata prontamente avversata dalla Avvocatura dello Stato,
nell’interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha proposto
ricorso alla Corte Costituzionale sul rilievo che la legge “tende ad
attribuire una portata limitata alle previsioni dell'art. 32, comma 27, lettera
d), del d.l. n. 269 del 2003 ed a rendere inapplicabili, nel territorio della
regione, disposizioni che, limitando consapevolmente la possibilita' di condono
nelle aree vincolate, incidono sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici,
vale a dire su materia riservata alla potesta' esclusiva dello Stato, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione e nel cui ambito si
sogliono inscrivere i vincoli di inedificabilita' diversi da quelli «assoluti»
(questi ultimi essendo in genere riferiti, secondo una distinzione dalla portata
applicativa peraltro dubbia e controversa, ad interessi propri della materia
urbanistica).
E' pertanto evidente, oltre la violazione di norme statali di principio,
l'invasione della sfera di potesta' legislativa esclusiva statale”.
L’Avvocatura erariale ha rilevato, al riguardo, che la situazione, benche'
apparentemente analoga, “è ben diversa da quella sulla quale la Corte si e'
pronunciata con sentenza n. 49 del 2006.
In tale circostanza, la Corte si e', tra l'altro, occupata dell'art. 3, comma 1,
della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, secondo il quale «nelle aree
soggette a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela
degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonche' dei beni
ambientali e paesaggistici, le opere abusive non sono comunque suscettibili di
sanatoria, qualora il vincolo comporti inedificabilita' assoluta e sia stato
imposto prima dell'esecuzione delle opere» (enfasi aggiunta).
Come si evince dalla lettura della sentenza, secondo la difesa della Regione
Lombardia la norma voleva limitarsi a «ribadire e consacrare, anche in un testo
legislativo regionale, quanto previsto dalla legislazione statale».
Questa lettura e' stata accolta dalla Corte, che ha chiarito che la
disposizione «si limita, effettivamente, a recepire la normativa statale
concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza
introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal
decreto-legge n. 269 del 2003».
In buona sostanza, la legge regionale lombarda si risolveva in una, forse
inutile, ripetizione della previsione statale, secondo la quale l'esistenza di
un vincolo di inedificabilita' assoluta esclude certamente il condono, ma
l'assenza di un vincolo di questo tipo non e' condizione sufficiente per
affermare il diritto alla sanatoria.
Per questo motivo la legge della Regione Lombardia e' stata giudicata non
incostituzionale, peraltro con il risultato utile, proprio dell'interpretazione
adeguatrice, di avere escluso per cio' stesso l'ammissibilita' di altre e
fuorvianti interpretazioni ampliative della norma.
Una simile conclusione non sembra pero' percorribile nel caso della legge
regionale delle Marche qui impugnata, in quanto l'utilizzo dell'avverbio «solo»,
riferito ai vincoli di inedificabilita' assoluta (in luogo dell'avverbio
«comunque» usato dalla legge lombarda), attribuisce alla norma l'inequivoco
significato di ammettere il condono in tutti gli altri casi, cioe' in tutti i
casi in cui non si versi nell'ipotesi dell'assoluta inedificabilita' ex art. 33
della legge n. 47 del 1985 (il che non e' quanto afferma la normativa statale,
secondo l'interpretazione fornita della prevalente giurisprudenza, penale e
amministrativa)”.
L’auspicio di chi scrive è che almeno la Corte Costituzionale faccia chiarezza,
una volta per tutte, sulla sorte del terzo condono nelle aree vincolate, vera e
propria “babele delle lingue”.
Negare la condonabilità delle opere in tali aree, se solo “relativamente”
vincolate, era l’effettivo intento del legislatore dal momento che buona parte
dell’intero territorio nazionale è sottoposta a vincolo paesaggistico?
* Avvocato
1 Sia consentito
rinviare, sul punto, al commento di Bruno Molinaro, “Nuovo alt della Cassazione
al condono edilizio nelle zone vincolate…ma restano i dubbi sulla ermeneusi
restrittiva della norma”, in Lexitalia.it n.6/2007).
2 Fra le più recenti, si vedano anche Cass., Sez. III, Cass.
Sez. III, 12.1.2007, n. 6415; Cass., Sez. III, 26.4.2007, n. 24451; Cass., Sez.
II, 15.2.2008, n. 11132).
3 Vedasi S. Conte, in “Terzo Condono edilizio e vincolo
paesaggistico. Riflessioni e commenti a margine di un orientamento prevalente,
in Lexitalia.it, n.10/2006!.
4 Così P. Carpentieri, “Il ruolo delle aree vincolate; le
recenti innovazioni normative”, in avvocatiamministrativisti.it del 19.2.2005.
5 Nel suo contributo (op. cit.), P. Carpentieri aggiunge: <<Chi
scrive - che ha in qualche modo partecipato alla discussione preparatoria del
decreto legge n. 269, insieme ai Ministeri proponenti, Economia e Infrastrutture
- non aveva escluso in radice la plausibilità di questa interpretazione logica -
quella restrittiva della Cassazione, per intendersi - in luogo di quella
strettamente letterale, ma l’aveva scartata poiché l’ipotesi, pure in linea
ipotetica di studio della norma, ivi da taluni prospettata, di escludere dal
nuovo condono le aree vincolate, era stata nettamente “bocciata” sulla
considerazione che una simile limitazione avrebbe praticamente dimezzato gli
introiti attesi del condono (posto che metà del territorio nazionale è
sottoposto a vincolo paesaggistico, senza contare gli altri vincoli).
E’ curioso vedere, oggi, che l’incauto “tecnico” del Ministero delle
Infrastrutture che ha materialmente redatto il testo del decreto legge è
riuscito, sia pur scrivendo in “non italiano”, a dire esattamente quello che non
si voleva dire, e cioè che fossero in definitiva lasciate fuori le aree
vincolate dal nuovo condono edilizio (se non per gli abusi “minori”, non
introduttivi di nuovi volumi e superfici).
E’ quindi evidente che l’incauto estensore della disposizione non intendeva
certo dire quello che la Cassazione penale ha poi voluto leggere nel testo
normativo.
In realtà il significato della norma, nella mente di chi l’ha scritta, era un
altro. Esso si ricava dal combinato disposto delle lettere a) e b) del comma 26
in esame, e può sintetizzarsi nel seguente concetto: la disciplina del condono è
riservata alla legge statale per gli abusi “maggiori” (tipologie nn. 1, 2 e 3
dell’allegato 1), nonché per gli abusi “minori” (tipologie nn. 4, 5 e 6 del
predetto allegato) se ed in quanto gravanti su aree vincolate; è invece
riservata alla legge regionale per gli abusi “minori” (tipologie nn. 4, 5 e 6
del predetto allegato) se ed in quanto non incidenti su aree vincolate (per
questa ricostruzione cfr. anche l’ultimo periodo del par. 17 della motivazione
in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004).
Ma l’errata formulazione della norma ha reso, a questo punto, come si è visto,
seriamente sostenibile una ricostruzione talmente restrittiva della disposizione
da escludere la sanabilità di abusi “maggiori” (conformi o difformi, solo
formali o anche sostanziali) se ed in quanto ricadenti su aree vincolate. Ed il
problema è che questa linea interpretativa pare abbracciata proprio dal massimo
giudice penale, dal cui orientamento dipenderà in ultima analisi la definizione
dell’effettivo ambito oggettivo di applicabilità del condono del 2003.
Peraltro, la lettura più ampliativa ora suggerita attribuisce alla disposizione
una funzione di norma sul riparto di competenza normativa (la legge nazionale
disciplinerebbe il condono degli abusi maggiori, nonché di quelli minori su aree
vincolate; la legge regionale disciplinerebbe quelli relativi ai soli abusi
minori su aree non vincolate) che contrasta con l’incipit del comma 26, ove si
dichiara di voler (con la norma) delimitare l’ambito oggettivo di applicabilità
del condono (Sono suscettibili di sanatoria edilizia...).
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 20/02/2009