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Testata registrata - Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562

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Ordine giudiziale di demolizione e riserva amministrativa.

 

A Comuni l'accesso al fondo per le demolizioni.

BRUNO MOLINARO*
 

 


SOMMARIO:

 

1. LA SENTENZA “BRUNI” DEL 1987 E LA FIGURA DEL GIUDICE “SUPPLENTE”. 2. LA SENTENZA “MONTERISI” DEL 1996 ED IL DEFINITIVO SUPERAMENTO DELLA FIGURA DEL “GIUDICE SUPPLENTE”. 3. NATURA DI SANZIONE AMMINISTRATIVA DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE, SUA EVENTUALE EMENDABILITÀ MEDIANTE LA PROCEDURA DI CORREZIONE DELL’ERRORE MATERIALE E REVOCABILITÀ IN CASO DI INCOMPATIBILITÀ CON ATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. 3.1. I CONTRARI INDIRIZZI MINORITARI. 3.2. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SENTENZA DI PATTEGGIAMENTO. 3.3. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE, L’AMNISTIA E L’INDULTO. 3.4. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA. 3.5. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E IL DECRETO PENALE DI CONDANNA. 3.6. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA PRESCRIZIONE. 3.7. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SUA EVENTUALE EMENDABILITÀ MEDIANTE LA PROCEDURA DI CORREZIONE DELL’ERRORE MATERIALE. 3.8. LE CAUSE DI INCOMPATIBILITÀ. 3.8.1. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE, LA DOMANDA DI CONDONO, GLI EFFETTI DELL’OBLAZIONE E IL RILASCIO DELLA CONCESSIONE IN SANATORIA. 3.8.2. GLI EFFETTI DELL’OBLAZIONE. 3.8.3. LO “SPATIUM TEMPORIS” NECESSARIO PER L’ESAME DELLA DOMANDA DI CONDONO. 3.8.4. L’INSUSSISTENZA DI CAUSE DI NON CONDONABILITÀ. 4. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E L’ACQUISIZIONE GRATUITA DELLA “RES ABUSIVA” AL PATRIMONIO COMUNALE. 4.1. L’INTERVENTO DEL CONDANNATO SU “COSA ALTRUI”. 4.2. L’ACQUISIZIONE AL PATRIMONIO COMUNALE E GLI ABUSI REALIZZATI NELLE ZONE VINCOLATE. 5. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA. 5.1. LA POSSIBILE RILEVANZA DEL “FUMUS BONI IURIS” POSITIVAMENTE VALUTATO DAL GIUDICE AMMINISTRATIVO NELLA FASE INCIDENTALE CAUTELARE. 5.2. IL RICORSO AL GIUDICE AMMINISTRATIVO AVVERSO IL SILENZIO – DINIEGO DELLA CONCESSIONE IN SANATORIA, EX ART. 13 DELLA LEGGE N. 47 DEL 1985, E L’EVENTUALE SOSPENSIONE DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE. 5.3. IL RICORSO AL T.A.R. AVVERSO IL PROVVEDIMENTO DI DEMOLIZIONE “IUSSU IUDICIS” ED IL DIFETTO DI GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO. 6. L’ESECUZIONE DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E GLI ASPETTI ECONOMICO - FINANZIARI. 6.1. LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE DEL PUBBLICO MINISTERO. 6.2. LA CONTROVERSIA SULLE MODALITÀ DI ESECUZIONE E LA COMPETENZA DEL GIUDICE DELLA ESECUZIONE. 6.3. LA CIRCOLARE MINISTERIALE DEL 29.11.1997 E L’APPLICABILITÀ, IN VIA ANALOGICA, DEGLI ARTT. 612 E 613 C.P.C.. 6.4. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LE OPERE NON COPERTE DAL TITOLO ESECUTIVO. 7. IL RICORSO ALLE STRUTTURE TECNICO – OPERATIVE DEL MINISTERO DELLA DIFESA O ALLE IMPRESE PRIVATE PER LA MATERIALE ESECUZIONE DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE. 7.1. LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL D.P.R. DEL 30 MAGGIO 2002, N. 115. 7.2. LA CONVENZIONE INTERMINISTERIALE DEL 15 DICEMBRE 2005. 7.3. IL GIUDIZIO COMPARATIVO SUI COSTI. 7.4. LA COPERTURA FINANZIARIA. 7.5. LE CIRCOLARI DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI S.P.A. REGOLANTI LA MATERIA. 8. CONCLUSIONI.

 

 


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1. LA SENTENZA “BRUNI” DEL 1987 E LA FIGURA DEL GIUDICE “SUPPLENTE”.


Con la sentenza “Bruni” del 10 ottobre 1987, le Sezioni Unite della Cassazione stabilirono che, anche a seguito della modifica dell’art. 165 c.p., introdotta dalla legge n. 689 del 1981, il giudice non può ordinare la demolizione del fabbricato abusivo, seppure quale condizione del beneficio della sospensione condizionale della pena: invero, tale potere è attribuito dall’art. 165 c.p. al giudice <<salvo che la legge disponga altrimenti>> ed appunto nella materia edilizia la legge dispone altrimenti, perché riserva all’autorità comunale ogni tipo di intervento, compreso il ripristino coattivo dello stato dei luoghi.
Rilevarono, inoltre, che “l’art. 7 della legge n. 47 del 1985 ( oggi art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 ), laddove prevede, all’ultimo comma, che il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 17, lett. b), legge 28 gennaio 1977, n. 10, come modificato dall’art. 20 ( legge n. 47 cit. ), ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”, è norma di chiusura del procedimento amministrativo sanzionatorio, come appare manifesto dalle cadenze degli interventi del sindaco, del presidente della giunta regionale e dell’autorità giudiziaria, sicchè, quando vi sia stata inerzia del sindaco e del presidente della giunta, interviene l’autorità giudiziaria che ordina la demolizione a seguito di condanna.
Con tale pronuncia venne, dunque, a delinearsi la figura di un “giudice supplente” dell’autorità amministrativa cui compete istituzionalmente la cura degli interessi urbanistici.
La Corte, coerentemente con il principio affermato, precisò che questo intervento dell’autorità giudiziaria, proprio perché di supplenza dell’autorità amministrativa, deve essere coordinato con gli interventi propri di detta autorità e, pertanto, “la demolizione non potrà essere ordinata quando l’opera sia stata acquisita dal Comune che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici, mentre dovrà essere ordinata quando l’opera sia stata acquisita dal Comune e in assenza di detta delibera non sia stata demolita e, a maggior ragione, quando nessun provvedimento sia stato adottato, sia stata, cioè, inerte non solo l’autorità comunale ma anche quella regionale competente a sostituirsi ad essa”.

 


2. LA SENTENZA “MONTERISI” DEL 1996 ED IL DEFINITIVO SUPERAMENTO DELLA FIGURA DEL “GIUDICE SUPPLENTE”.


Nel tempo, la concezione di un giudice supplente, che esercita eventualmente e residualmente un potere ripetuto dalla sfera di attribuzioni proprie della pubblica amministrazione., diretto ad ovviare all’inerzia di quest’ultima, sembrò contraddetta da una più attenta lettura dell’art. 7, comma ult., legge n. 47 del 1985 e dal disegno di legge complessivo del capo I della stessa legge.
Con la ormai nota sentenza “Monterisi” del 19 giugno 2006, le Sezioni Unite rivisitarono il precedente orientamento, attribuendo la natura di provvedimento giurisdizionale all’ordine di demolizione ed ammettendo il definitivo superamento della visione di un giudice supplente dell’amministrazione pubblica e, quindi, di garante del rispetto delle regole edilizie da parte dei privati.
Riconobbero, in particolare, che: a) il potere conferito al giudice in materia non è omologabile ai poteri di governo del territorio e di controllo delle trasformazioni urbanistiche di spettanza delle regioni, delle province e dei comuni; b) il giudice penale ha solo il potere di ordinare misure a tutela di un interesse correlato a quello di giustizia, a ristoro cioè dell’offesa del territorio e, quindi, di impartire un ordine accessivo alla condanna principale; c) può condividersi la definizione di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione disposto dal giudice penale, sempreché sia chiaro che si tratta non di potere affidato al giudice penale per il soddisfacimento di fini della pubblica amministrazione; d) l’art. 7 non pone alcuna regola di condizionamento o di residualità del potere attribuito al giudice, ma prevede soltanto, per motivi di economicità processuale e di razionalità, che la demolizione dell’opera abusiva, comunque avvenuta, anche per iniziativa del privato, renda non utile l’adozione della misura sanzionatoria; e) il potere – dovere del giudice di ordinare la demolizione dell’opera abusiva deve essere ricompreso in quel complesso meccanismo di deterrenza che per la commissione dell’illecito urbanistico – ad un tempo amministrativo e penale – è stato predisposto dalla legge n. 47 del 1985; f) essendo il titolo esecutivo costituito dalla sentenza irrevocabile, comprensiva dell’ordine di demolizione, l’organo promotore dell’esecuzione va identificato nel pubblico ministero ( ex art. 665 c.p.p. ).
Con la sentenza “Grignano” dell’11 gennaio 1993, la stessa Cassazione, Sez. III, anticipando tale ultima conclusione, affermò che, se lo scopo dell’intervento giudiziale è quello di rendere ineludibile “ab externo” la tutela dell’assetto del territorio, attribuire alla P.A., in via esclusiva, il compito di attuare l’ordine di demolizione potrebbe dar luogo ad una “inoffensiva esibizione di muscoli giudiziari (…), visto che l’arma della materiale demolizione rimarrebbe pur sempre nelle mani del Sindaco contro la cui inerzia la misura è, invece, apprestata”.

 


3. LA NATURA DI SANZIONE AMMINISTRATIVA DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SUA REVOCABILITÀ IN CASO DI INCOMPATIBILITÀ CON ATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.


Tutta la giurisprudenza successiva, con orientamento ampiamente consolidato ( si vedano, fra le tante, Cass. Sez. III, 9 agosto 2002 n. 29667, Arrostito; Sez. III, 17 aprile 2002, n. 21406, Cacace; Sez. V, 21 ottobre 1999, n. 12050, Sodini; Sez. III, 18 giugno 1999, n. 2294, Neri; Sez. III, 16 febbraio 1998, n. 4100; Sez. III, 25 ottobre 1997, n. 3107, Di Maro), ha ribadito che l’ordine giudiziale di demolizione è una sanzione amministrativa caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo competente ad emetterla.
Si è, in particolare, ritenuto che:
<<In tema di reati edilizi, l’ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate previsto dall’art. 7 l. 28 febbraio 1985, n. 47, ha natura di sanzione amministrativa, non di pena accessoria>> (Cass., Sez. III, 22 giugno 1994).
<<In tema di reati edilizi, poiché l’ordine di demolizione previsto dall’art. 7, ultimo comma, L. 28 febbraio 1985, n. 47 ha natura di sanzione amministrativa, esso ‘’sopravvive’’ al trattamento sanzionatorio previsto per il reato continuato: invero, il principio in base al quale la pena relativa al reato più grave è quella destinata a costituire la “base”, sulla quale viene calcolato l’aumento, fino al triplo, per i “reati satelliti”, si applica esclusivamente alle pene principali (nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato, che, rilevando che tra il reato ex art. 20, lett. C), L. 47/85 e quello ex art. 483 c.p., quest’ultimo era stato ritenuto più grave ed era stato, pertanto, assunto come il reato in base al quale calcolare l’aumento per la continuazione, aveva dedotto la inapplicabilità della sanzione amministrativa della demolizione ex art. 7 L. 47/85, perché conseguente al solo illecito penale edilizio, assorbito nel reato continuato, ai sensi dell’art. 81 c.p.)>>
(Cass., Sez. V, 15 luglio 1999, Sodini).
<<In tema di costruzione abusiva, l’ordine di abbattimento dell’opera è previsto dalla legge tra i compiti del giudice, in assenza di analogo comportamento da parte dell’autorità amministrativa; trattandosi di un provvedimento tra le pene di natura amministrativa, può essere comminato anche dal giudice dell’appello, non rientrando tra le pene accessorie, e non violandosi, quindi, il principio della “reformatio in peius”>> (Cass. 7 aprile 1989, in Riv. Pen., 1990, 386).
<<L’ordine di demolizione dell’opera abusiva si configura come una sanzione amministrativa e, pertanto, non è iscrivibile nel novero delle pene accessorie, tassativamente previste; ne consegue che la sospensione condizionale della pena, estendendo i propri effetti solo alle pene accessorie, non è applicabile all’ordine di demolizione>> (Cass., Sez. III, 18 giugno 1999, Neri).

 


3.1. I CONTRARI INDIRIZZI MINORITARI.


In alcune isolate decisioni era stata, in effetti, attribuita all’ordine giudiziale di demolizione natura di pena accessoria ( Cass., SS.UU., 23 settembre 1987, Lofonso; Cass., Sez. III, 20 gennaio 1988; Trib. Roma, 2 dicembre 1987; Pret. Chieti, 22 gennaio 1988; Pret. Sapri, 17 aprile 1988 ) e talvolta anche quella di misura di sicurezza patrimoniale (Cass., Sez. VI, 13 giugno 1991 e Pret. Bari, 7 ottobre 1987).
Alla interpretazione secondo cui l’ordine di demolizione ha natura di pena accessoria aveva aderito anche il Consiglio di Stato, Sez. I, con parere del 16 ottobre 1987, n. 1599.
A tali indirizzi minoritari sono state opposte, in sintesi, le seguenti obiezioni, in linea con il dettato normativo:
a ) – le pene accessorie e le misure di sicurezza debbono ritenersi regolate dal principio di tassatività (artt. 19 e 199 c.p.);
b ) – l’ordine di demolizione si caratterizza per la sua “accidentalità” ( dovendo essere impartito se la demolizione “… ancora non sia stata altrimenti eseguita” ), carattere che risulta inconciliabile con quello dell’indefettibilità rispetto alla condanna propria delle pene accessorie ( che conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa, ex art. 20 c.p. );
c) la sanzione demolitoria non “incide” direttamente sulla “persona, mentre tale “incidenza” costituisce connotato “normale” di tutte le pene accessorie, che “incidono” sullo status del condannato, comportando una limitazione della sua sfera giuridica, ma non aggrediscono il suo patrimonio.

 


3.2. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SENTENZA DI PATTEGGIAMENTO.


L’ordine di demolizione va emesso anche in caso di sentenza applicativa di pena concordata ex art. 444 c.p.p. ( c.d. patteggiamento ), in quanto: a) la decisione pronunziata sull’accordo delle parti è equiparata alla sentenza di condanna ( cfr. Cass., SS.UU., 27 maggio 1998, Basio; 25 marzo 1998, Giangrasso; 28 maggio 1997, Lisuzzo; 27 marzo 1992, Di Benedetto );
b ) – l’ordine di demolizione, per la sua natura di sanzione amministrativa, costituisce atto dovuto, sempre che vi sia stata inerzia della pubblica amministrazione, non essendo riconducibile al regime pattizio e non ostandovi, altresì, il disposto di cui all’art. 445, 1° comma, c.p.p., che vieta, tra l’altro, l’applicazione, con la sentenza pronunciata sull’accordo delle parti, di pene accessorie e di misure di sicurezza ( cfr., in tal senso, ex plurimis, Cass., Sez. III, 3 luglio 2000, Pusateri; 18 febbraio 1998, n. 64, Corrado; 28 ottobre 1997, n. 2207, Del Prete ).
E’ stato, inoltre, affermato che “l’ordine di demolizione della costruzione abusiva previsto dall’art. 7, ultimo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47, avendo natura di sanzione amministrativa la cui applicazione è eccezionalmente demandata ( ove non abbia già provveduto l’autorità amministrativa ) al giudice penale, e non essendo, quindi, qualificabile come sanzione penale accessoria o come effetto della condanna, resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, 2° comma, c.p.p.” ( Cass., Sez. III, 12 gennaio 2000, Giusta, e 6 luglio 2000, Callea ).

 


3.3. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE, L’AMNISTIA E L’INDULTO.


Non essendo una sanzione penale, l’ordine giudiziale di demolizione non può essere revocato in conseguenza dell’applicazione degli istituti dell’amnistia e dell’indulto ( Cass., Sez. III, 1 aprile 1994, Galotta, e 30 agosto 1990, n. 14665, Di Gennaro ).

 


3.4. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA.


La sospensione condizionale della pena, estendendo i propri effetti solo alle pene accessorie, non è applicabile all’ordine di demolizione, che ha natura di sanzione amministrativa ( Cass., Sez. III, 18 giugno 1999, Neri ).

 


3.5. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E IL DECRETO PENALE DI CONDANNA.


L’ordine giudiziale di demolizione va adottato anche con il decreto penale di condanna e in tal senso il giudice deve provvedere anche d’ufficio e, quindi, a prescindere da una specifica istanza del P.M. nella richiesta di decreto penale (Cass., Sez. III, 19 giugno 2007, n. 32287, G.).

 


3.6. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA PRESCRIZIONE.


L’estinzione per prescrizione del reato di costruzione abusiva per difetto del preventivo rilascio del permesso di costruire non consente al giudice l’emanazione, ex art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dell’ordine di demolizione del manufatto, atteso che lo stesso ha natura di sanzione amministrativa di tipo ablatorio catalogabile tra i provvedimenti giurisdizionali esclusivamente per la sua accessorietà ad una sentenza di condanna (Cass., Sez. III, 18 ottobre 2005, n. 44245; negli stessi sensi, Cass., Sez. III, 12 dicembre 2003, n. 3991; Cass. Sez. III, 3 febbraio 2004, n. 3991; Cass. Sez. III, 12 dicembre 2006, n. 40438; Cass. Sez. III, 2 febbraio 2006, n. 10209; Cass. Sez. III, 28 febbraio 2007, n. 8409).

 


3.7. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA SUA EVENTUALE EMENDABILITÀ MEDIANTE LA PROCEDURA DI CORREZIONE DELL’ERRORE MATERIALE.


Con una recente decisione del 13 dicembre 2007, n. 4751, la Corte di Cassazione, Sez. III, ha escluso la possibilità di ricorrere al rimedio della correzione dell’errore materiale allorquando il giudice penale non abbia, per una qualsiasi ragione, ordinato la demolizione dell’opera abusiva contestualmente alla sentenza di condanna.
La Corte ha così motivato sul punto: <<L’ordine di demolizione del fabbricato abusivamente costruito, già previsto dal comma nono dell’articolo 7 della legge n. 47 del 1985 ed ora dal comma nove dell’articolo 31 del testo unico sull’edilizia approvato con D.P.R. n. 380 del 2000, può essere pronunciato solo dal giudice della cognizione con la sentenza di condanna alla quale è parificata quella pronunciata a norma dell’articolo 444 c.p.p..
Ove siffatta pronuncia venga omessa, all’omissione non si può porre rimedio né con la procedura degli errori materiali di cui all’articolo 130 c.p.p., perché non si tratta di errore materiale (Così la giurisprudenza più recente cass. 21022 del 2004, 33936 del 2006; Cass. n. 17380 del 2007), né da parte del giudice dell’esecuzione non rientrando tale competenza tra quelle attribuite al giudice dell’esecuzione dall’articolo 676 c.p.p.. L’unico rimedio esperibile è costituito dall’impugnazione del pubblico ministero. L’affermazione contraria contenuta in una recente sentenza di questa sezione (la n. 21894 del 2007) non va condivisa giacchè, fatta eccezione per le ipotesi espressamente previste (continuazione, dichiarazione di falsità di un documento, ecc.), in sede di esecuzione, non si può porre rimedio ad errori od omissioni che avrebbero dovuto essere fatti valere in sede di cognizione poiché il giudicato copre il dedotto e il deducibile ed il giudice dell’esecuzione, pur avendo una competenza particolarmente ampia in merito alla regolarità formale e sostanziale del titolo esecutivo, deve pur sempre rispettare il principio dell’intangibilità del giudicato. Di conseguenza, come ribadito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 14 del 2000, il giudice dell’esecuzione non può intervenire per correggere gli errori in iudicando o in procedendo commessi dal giudice della cognizione. L’ordine di demolizione, che peraltro può essere pronunciato, in caso di condanna, solo se non risulti eseguito dalla pubblica amministrazione, incide sulla situazione complessiva dell’imputato ed in special modo sulla sua situazione patrimoniale. Di conseguenza, la sua omissione, incidendo sul nucleo della decisione, configura un vitium in iudicando non rettificabile con la procedura di cui all’articolo 130 c.p.p. e non emendabile in sede esecutiva. In questa materia al giudice dell’esecuzione competono solo le controversie sull’eseguibilità dell’ordine di demolizione già impartito dal giudice della cognizione. Per giustificare l’ammissibilità della pronuncia dell’ordine di demolizione da parte del giudice dell’esecuzione non potrebbe farsi riferimento alla sua natura obbligatoria in caso di condanna o alla giurisprudenza di questa Corte, in forza della quale l’ordine di demolizione può essere disposto dalla stessa Cassazione proprio perché non comporta alcun potere discrezionale, trattandosi di situazioni diverse (cfr per tutte Cass. 3467 del 1999). Anzi dalla giurisprudenza di questa Corte in materia si trae la conferma che l’ordine di demolizione può essere pronunciato solo dal giudice della cognizione, altrimenti i pubblici ministeri, come spesso avviene, non impugnerebbero la sentenza al solo fine di fare dichiarare la demolizione. Invero la Corte è investita della questione nel corso del giudizio di cognizione a seguito d’impugnazione del pubblico ministero, proprio perché l’omissione non è emendabile in sede di esecuzione, e deve limitarsi a stabilire se l’ordine di demolizione debba essere pronunciato da essa stessa, senza necessità di rinvio al giudice del merito, o dal giudice del rinvio. In tali casi, per ragioni di economia processuale, applicando il principio di cui alla lettera l) dell’articolo 619 c.p.p., si ritiene superfluo il rinvio al giudice del merito allorchè anche alla Corte di Cassazione risulti che la demolizione non sia stata ancora eseguita. A tal fine non è necessario che dagli atti del processo risulti la prova della non avvenuta demolizione, essendo sufficiente che agli stessi manchi la prova che l’ordine di demolizione, eventualmente impartito dall’autorità amministrativa, sia stato eseguito, posto che l’eseguita demolizione, costituendo un fatto impeditivo dell’applicazione della misura, deve essere quanto meno dedotta da chi ha interesse ad evitare la demolizione (Cass. 8534 del 1992)
”.
La stessa Corte Suprema, in precedenza, con sentenza dell’8 marzo 2007, n. 17380, pur dando atto di un contrasto con altre decisioni sul tema, aveva categoricamente escluso la possibilità della correzione, “atteso che un rimedio del genere modificherebbe un elemento essenziale della sentenza, quale è quello della destinazione del corpo del reato, non essendo la demolizione una conseguenza automatica, specie nei casi – in astratto – di nulla osta paesaggistico, ambientale, idrogeologico, ecc., e di sanatoria, per cui occorre una specifica motivazione circa la presenza o l’assenza di presupposti del genere” ( cfr, negli stessi sensi, Cass., Sez. III, 4 luglio 2006, n. 33939, e Cass., Sez. III, 14 aprile 1992, n. 841, Pergola ).

 


3.8. LE CAUSE DI INCOMPATIBILITÀ.


Pur escludendosi la sussistenza di una pretesa pregiudizialità amministrativa in materia urbanistica, come affermato anche dalla Corte Costituzionale ( ord. 26 gennaio 1990, n. 34, e sent. 31 marzo 1988, n. 370 ), si è ritenuto che l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, costituendo un’autonoma statuizione sanzionatoria giurisdizionale che ha natura amministrativa, non è suscettibile di passare in giudicato, ma può essere revocato dal giudice dell’esecuzione quando l’opera abusiva divenga “ex post” amministrativamente lecita, per effetto di successivi atti amministrativi rilasciati dalla competente p.a. ( Cass., Sez. III, 27 settembre 2006, n. 40188; 12 dicembre 2003, n. 3992; 13 ottobre 2005, n. 37120, Morelli; 4 febbraio 2000, n. 3682, Puglisi; 4 luglio 2000, n. 702, Cucinella ).
Il giudice dell’esecuzione, pertanto, deve revocare l’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento quando siano già sopravvenuti atti amministrativi del tutto incompatibili con esso e può, altresì, sospendere tale ordine quando sia concretamente prevedibile e probabile l’emissione, entro brevissimo tempo, di atti amministrativi siffatti ( Cass., Sez. III, 27 settembre 2006, n. 40188 ).
Da tanto consegue che la c.d. riserva amministrativa, riferita ovviamente al previgente quadro di riserva istituzionale all’autorità comunale della competenza in materia, sensibilmente depotenziata dalla sentenza “Monterisi”, rivive in qualche modo, sia pure in forma attenuata, quantomeno sul piano della inopportunità della repressione penale allorchè gli interessi urbanistici siano stati, comunque, composti.
La incompatibilità dell’ordine giudiziale di demolizione con situazioni di fatto o giuridiche sopravvenute, quali atti amministrativi della competente autorità, che abbia conferito all’immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria, oltre che assoluta, deve essere, peraltro, già esistente ed insanabile e non invece futura e meramente eventuale ( Cass., Sez. III, 17 dicembre 2001, Musumeci ed altra; 30 marzo 2000, Ciconte; 14 febbraio 2000, Cucinella; 4 febbraio 2000, Le Grottaglie; 7 marzo 1994, Iannelli, e 7 marzo 1994, Acquafredda ).

 


3.7. LA DOMANDA DI CONDONO, GLI EFFETTI DELL’OBLAZIONE E IL RILASCIO DELLA CONCESSIONE IN SANATORIA.


3.7.1. LA DOMANDA DI CONDONO.


Non vi è dubbio che la presentazione di una domanda di condono edilizio, accompagnata dal versamento dell'oblazione autodeterminata, possa determinare, nella fase esecutiva, la sospensione dell'attuazione concreta dell'ordine di demolizione.
Il rilascio della concessione sanante, invero, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, mentre non ha effetto estintivo dei reati e delle pene, può comportare invece l'inapplicabilità ed anche la revoca dell'ordine di demolizione disposto ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della stessa legge (cfr, fra le tante, Cass., Sez. III, 20 gennaio 2003, n. 2406, Gugliandolo; 20 giugno 1997, n. 2475, Coppola; 20 giugno 1997, n. 2474, Morello; 20 giugno 1997, n. 2472, Filieri; 28 novembre 1996, Ilardi; 15 marzo 1996, n. 1264, Larosa; 5 febbraio 1996, Vanacore; 2 marzo 1995, Francavilla).
Quanto all'applicabilità della normativa di "condono edilizio", introdotta dagli artt. 31 e segg. della legge n. 47 del 1985, dall’art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dall’art. 32 del d.l. 30.9.2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24.11.2003, n. 326, è stato affermato che spetta al giudice penale verificare la sussistenza dei presupposti affinché detta normativa possa essere applicata (cfr Cass., Sez. III, 5 marzo 2002, n. 14625, Colao).
Nell'ambito di tale potere di controllo, il giudice deve accertare:
- il tipo di intervento realizzato e le dimensioni volumetriche dell'immobile;
- la effettiva "ultimazione" dei lavori (secondo la nozione fornita dall'art. 31 della legge n. 47/1985) entro il termine previsto per accedere al condono;
- la insussistenza di cause di non condonabilità assoluta dell'opera;
- la tempestività della presentazione, da parte dell'imputato (o di eventuali altri soggetti legittimati) di una domanda di sanatoria, riferita puntualmente alle opere abusive contestate nel capo di imputazione, avente tutti i requisiti di proponibilità e procedibilità;
- l'avvenuto "integrale versamento" della somma dovuta ai fini dell'oblazione, ritenuta congrua dall'amministrazione comunale;
- l'eventuale rilascio di una concessione in sanatoria (legittima, valida ed efficace);
- l'eventuale sussistenza di una concessione in sanatoria c.d. "tacita", tenendo presente che, comunque, il silenzio-assenso non può formarsi in carenza della documentazione obbligatoria per legge.
Trattasi di compiti propri dell'autorità giurisdizionale - conformi al dettato degli artt. 101, 2^ comma, 102, 104, 1^ comma, e 112 Cost. - che non possono essere demandati neppure con legge ordinaria all'autorità amministrativa in un corretto rapporto delle sfere specifiche di attribuzione.
Il giudice dell'esecuzione penale, nell'eventualità in cui i presupposti anzidetti (o anche uno solo di essi) siano inesistenti, deve dichiarare non integrata la fattispecie comportante l'inapplicabilità (ovvero la revoca) dell'ordine di demolizione disposto ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della legge n. 47/1985 ed adottare le conseguenti determinazioni.

 


3.7.2. GLI EFFETTI DELL’OBLAZIONE.


Va segnalato, sul punto, che la Corte Costituzionale, con ordinanza del 12 marzo 1998, n. 56, ha stabilito che “il combinato disposto degli artt. 38, commi secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede, tra gli effetti tassativi della oblazione e della concessione in sanatoria, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative ( purchè non sia ancora intervenuta la completa ed integrale esecuzione )”.
Sempre il giudice delle leggi, con sentenza del 12 marzo 2008, n.70, relativa al “terzo condono”, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 36, del decreto – legge 30 settembre 2003, n. 269, “nella parte in cui non prevede che gli effetti di cui all’art. 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico – edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) si producono anche allorchè, anteriormente al decorso dei 36 mesi dal pagamento dell’oblazione, sia intervenuta l’attestazione di congruità da parte dell’autorità comunale dell’oblazione corrisposta”.
La disposizione censurata – per la Corte – risulta manifestamente irragionevole dal momento che, allorchè l’autorità comunale abbia verificato la congruità dell’oblazione versata, il decorso di un tempo ulteriore non assolve più ad alcuna funzione ed è, pertanto, privo di ogni ragionevole giustificazione.
La stessa Cassazione penale, Sez. III, con sentenza del 24 marzo 1993, Farinelli, ha affermato che l’oblazione “estingue, altresì, i reati di cui all’art. 20 l. 20 febbraio 1974, n. 64, nonché i procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative, dovendosi a tale disposizione attribuire carattere speciale rispetto alla disciplina generale stabilita dall’art. 183, comma 1, c.p.” ( in senso conforme, vedasi Cass. SS.UU. 12 ottobre 1993, Pulerà, nonché Cass., Sez. III, 15 gennaio 1997, n. 4065, Ilardi, secondo cui – nella concorrenza del procedimento di condono, ai fini della sospensione del procedimento di esecuzione dell’ordine di demolizione - deve ritenersi sufficiente la presentazione di tempestiva domanda, accompagnata dall’attestazione del versamento parziale o integrale della somma dovuta a titolo di oblazione da parte del soggetto legittimato ).
In senso contrario è stato, tuttavia, osservato che la normativa sul condono edilizio non prevede alcuna estinzione della pena nell’ipotesi di condanna con sentenza definitiva, ma solo particolari effetti stabiliti dall’art. 38, 3° comma, della legge n. 47 del 1985 ( annotazione dell’oblazione nel casellario giudiziale e irrilevanza della condanna ai fini dell’applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena).
Effetti estintivi della pena e della sua esecuzione non possono farsi derivare né da una volontà implicita del legislatore, orientata, invece, nel senso di limitare l’efficacia estintiva del condono edilizio fino alla sentenza definitiva ( cfr., sul punto, Cass., Sez. III, 27 novembre 1998, n. 3196, Sacchetti; 15 marzo 1996, n. 1110, Nostro, nonché 15 febbraio 1996, Vanacore ), né dalla normativa stabilita dal codice di rito in tema di estinzione del reato o della pena in sede esecutiva, perché gli articoli 672 e 673 c.p.p. concernono ipotesi ben individuate ( amnistia, indulto ed abolizione del reato ), mentre l’art. 676, 1° comma, c.p.p. attiene a fattispecie fra le quali non è possibile ricondurre la presentazione della domanda di rilascio di concessione in sanatoria in base al capo IV della legge n. 47 del 1985 ed il versamento dell’oblazione dovuta ( così Matteucci Chiari, in “Le tematiche esecutive ed i rapporti tra azione giudiziaria e procedimento amministrativo”, par. G. 1, Roma, 3 – 5 marzo 2003, Incontro di studio sul tema Urbanistica e Paesaggio ).
Va, comunque, segnalato che, secondo Cass., Sez. III, 11 settembre 2007, “la revoca dell’ordine di demolizione può essere emessa dal giudice dell’esecuzione, solo quando si sia verificata l’estinzione del reato, ossia quando sia stato emanato il provvedimento di condono o siano passati 36 mesi dalla data del pagamento, sempre ovviamente che si tratti di opere condonabili, mentre la sospensione dell’ordine di demolizione può essere disposta solo quando sia in concreto prevedibile che entro breve tempo si verificherà la causa estintiva del reato”.
Sempre la Corte Suprema ha statuito, sul punto, che “non sembra definibile <<ingiustificata>> la non ottemperanza all’ordine di demolizione, qualora si sia in costanza di una legittima procedura volta alla sanatoria dell’abuso e della successiva emanazione del relativo provvedimento da parte del Comune” ( così, testualmente, Cass. pen., III sez., n. 21889/07, Conte, CC. 11.5.2007, dep. 8.6.2007).
Ed ancora: “In tema di reati edilizi, ai fini della revoca o sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive (art.7, ultimo comma, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, oggi previsto dall’art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) in presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell’esecuzione investito delle questione è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare: a) ad accertare il possibile risultato dell’istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso” (Cass. pen., Sez. III, n. 38997, CC. 26.9.2007, dep. 23.10.2007, Di Somma).
Nella motivazione di tale ultima decisione, la Corte di Cassazione ha ritenuto che “in epoca successiva alla sentenza di condanna, la Pubblica Amministrazione è libera di agire e di portare a termine il suo procedimento e tale attività non può essere ignorata, ove l’esecuzione dell’ordine deve essere coordinata con le determinazioni prese in sede amministrativa.
Pertanto, la sanzione in esame sfugge alla regola del giudicato ed è riesaminabile nella fase esecutiva, nella quale può subire modificazioni e, per incompatibilità con provvedimenti susseguenti della Pubblica Amministrazione, può ritenersi inutiliter data.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che il giudice della esecuzione debba revocare l’ordine di demolizione se nuovi atti amministrativi si pongano in contrasto con lo stesso, oppure lo debba sospendere quando sia ragionevolmente prospettabile che, nell’arco di brevissimo tempo, la Pubblica Amministrazione adotterà un provvedimento incompatibile con l’abbattimento dell’opera (…) senza rinviare a tempo indefinito la tutela degli interessi urbanistici che l’ordine di demolizione mira a reintegrare.
Questi principi cercano di salvaguardare, in un armonico equilibrio, due interessi meritevoli di tutela: quello pubblico alla rapida riparazione del bene violato e quello del privato ad evitare un danno irreparabile, in pendenza di una situazione giuridica che potrebbe risolversi a suo favore (ex plurimis, Cass. pen., III sez., 43878/2004).
In tale contesto, il Giudice della esecuzione è chiamato ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura di sanatoria:
- accertare il possibile risultato della richiesta sanatoria e se esistano cause ostative alla sua concessione;
- nel caso di insussistenza di tali cause, valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione .. in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso”
.

 


3.7.3. LO “SPATIUM TEMPORIS” NECESSARIO PER L’ESAME DELLA DOMANDA DI CONDONO.


Come già accennato in precedenza, la semplice presentazione della domanda di condono può giustificare la sospensione della esecuzione dell’ordine di demolizione solo quando “sia razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di brevissimo tempo, sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un valido provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di demolizione, restando escluso che, a tal fine, sia sufficiente la semplice pendenza della procedura di sanatoria o la mera presentazione della domanda di condono edilizio, sia pure accompagnata dal versamento della congrua somma dovuta a titolo di oblazione” ( Sez. III, 30 marzo 2000, Ciaravella; Sez. III, 26 maggio 2004, Cena; Sez. III, 28 settembre 2006, Mariani; Sez. III, 22 febbraio 2007, Faralla ).
Ciò anche tenendo presente che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza del 24 maggio 2007, ha ritenuto che <<il rifiuto o l’omissione delle autorità locali di demolire una costruzione abusiva non abbia alcuna base giuridica nella legge nazionale, implicando – anzi – la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, secondo cui ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni – nulla può essere privato della sua proprietà se non per utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non violano il diritto che gli stati posseggono di applicare le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle tasse o altre contribuzioni o delle multe>>.
Il ricorrente, proprietario limitrofo danneggiato dall’opera abusiva per la quale era stata in seguito presentata domanda alla Corte, aveva, appunto, lamentato la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, in relazione alla mancata attuazione da parte delle autorità italiane di un ordine giudiziale di demolizione emesso dal giudice penale e delegato al sindaco per la esecuzione. La Corte ha ritenuto illegittimo il comportamento del comune inadempiente sul rilievo che erano trascorsi inutilmente più di dodici anni senza che le autorità municipali si fossero pronunciate al riguardo e sebbene il sindaco avesse comunicato che la richiesta di sanatoria non poteva essere accolta tenuto conto della legislazione vigente in materia.
Con tale pronuncia la Corte ha anche condannato l’Italia ( che aveva resistito in giudizio, deducendo, fra l’altro, “l’assenza di un diritto individuale del richiedente alla demolizione” ed assumendo, altresì, che “l’ordine di demolizione non costituisce una misura di cui la messa in esecuzione è un dovere inevitabile per i suoi destinatari, siccome l’amministrazione può, in certe condizioni, previste dalla legge, soprassedere dalla sua esecuzione e persino ignorarla” ) al risarcimento del danno morale e al pagamento.
In ordine ai tempi occorrenti per la definizione del procedimento di sanatoria, che anche per la Suprema Corte – lo si ripete - debbono essere brevi e non dilatabili oltre ogni limite di ragionevolezza, non può sfuggire che tali tempi sono scanditi con precisione dalla legge statale n. 326 del 2003 ( come integrata dalla legge 27.12.2004, n. 304, di conversione del d.l. n. 282 del 2004 ) e, per quanto riguarda la Campania, dalla legge regionale n. 10 del 18.11.2004 ( in una parte immune dalla pronunzia di illegittimità costituzionale del giudice delle Leggi ): tempi che influiscono, all’evidenza, anche sulla attivazione e definizione del sub – procedimento relativo al parere di compatibilità paesaggistica per le opere realizzate in zone assoggettate a vincolo di tutela.
Il legislatore nazionale ed il legislatore regionale hanno previsto, per l’esame complessivo della domanda di sanatoria un termine ultimo per la presentazione della domanda (10.12.2004), un termine per il versamento dei residui oneri concessori (24 mesi dall’istanza), uno per il pagamento della seconda rata dell’oblazione (31 maggio 2005), altro per il pagamento della terza rata dell’oblazione (30 settembre 2005), altro, ancora, per il deposito degli ulteriori documenti richiesti (31 ottobre 2005): da tale ultima data, maturano, infine, ulteriori effetti ai sensi del comma 36 dell’art. 32 legge n. 326 del 2003.
Alla scadenza del termine complessivo per la definizione del procedimento principale scatta l’intervento sostitutivo dell’amministrazione provinciale secondo la procedura fissata dall’art. 4 della legge regionale della Campania n. 19 del 2001.
È evidente che il termine risponde ad una esigenza di efficienza e funzionalità degli uffici, avendo il legislatore previsto (come in effetti è avvenuto) l’inoltro di un numero rilevante di domande ed avendo la stessa legge stabilito la priorità delle domande di sanatoria edilizia presentate ai sensi delle legislazioni condonistiche precedenti.
In questo ambito, la novella dell’art. 32 della legge 47 del 1985 è particolarmente significativa.
Ne consegue quindi che pure il parere paesaggistico è tutto inscritto, quale segmento sub-procedimentale, nell’ambito del procedimento principale di sanatoria; si tratta di parere da acquisire, come meglio si vedrà in seguito, in forma espressa, avendo valore preclusivo solo ove l’autorità competente al vincolo escluda la sanabilità dell’opera.
Gli esiti di tale sub-procedimento sono costituiti o dal rilascio del titolo abilitativo in sanatoria sulla base della espressa compatibilità paesistica, ovvero, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005), dalla comunicazione del parere negativo della autorità competente alla tutela del vincolo.
Decorso il termine di 240 giorni, assegnato complessivamente per la definizione della pratica di condono, si forma il silenzio-diniego che può essere impugnato dall’interessato in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento, senza che però possano ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti, quali difetti di procedura e, tanto meno, mancanza di motivazione ( così T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VI, 22 maggio 2006, n. 8046 ).
Nello stesso senso, d’altra parte, si è pronunciato il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa, affermando che “il silenzio dell’Amministrazione a fronte di un’istanza di sanatoria costituisce una ipotesi di silenzio significativo, al quale vengono pertanto collegati gli effetti di un provvedimento di rigetto dell’istanza, così determinandosi una situazione del tutto simile a quella che si verificherebbe in caso di provvedimento espresso; ne consegue che tale provvedimento, in quanto tacito, è già di per sé privo di motivazione – tant’è che l’art. 13 della legge n. 47/1985 attribuisce al silenzio serbato dalla P.A. il valore di diniego vero e proprio - ed è impugnabile non per difetto di motivazione, bensì per il contenuto reiettivo dell’atto” (C.d.S., Sez.V, 11 febbraio 2003, n.706, nonchè C.G.A.R.S., 21 marzo 2001, n.142).
Tale ipotesi di silenzio – diniego è, tuttavia, venuta meno almeno in Campania, in quanto l’art. 7 della richiamata legge regionale n. 10 del 2004 prevede espressamente che:
Le domande di sanatoria sono definite dai Comuni competenti con provvedimento esplicito da adottarsi entro ventiquattro mesi dalla presentazione delle stesse. Il termine può essere interrotto una sola volta se il Comune richiede all’interessato integrazioni documentali e decorre per intero dalla data di presentazione della documentazione integrativa.
Decorso il termine di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui alla legge regionale 28 novembre 2001, n. 19, articolo 4, che disciplinano l’esercizio dell’intervento sostitutivo da parte dell’amministrazione provinciale competente
”.

 


3.7.4. L’INSUSSISTENZA DI CAUSE DI NON CONDONABILITÀ.


Una breve riflessione si impone in ordine all’obbligo – per il giudice dell’esecuzione di accertare, fra le altre condizioni richieste, al fine di pronunciarsi sulla sospensione dell’esecuzione stessa ( a seguito dell’avvenuta presentazione della domanda di condono edilizio ex art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 ), quella della “insussistenza di cause di non condonabilità”, come si verifica, ad es., nel caso in cui dagli atti emerga verosimilmente la violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici nella esecuzione delle opere.
Per quanto attiene alle aree sottoposte a vincolo, sempre che non si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta, come chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 49 del 2006, le opere saranno sanabili solo laddove si dimostri la conformità delle stesse alla normativa urbanistica ( comma 27, lett. d, art. 32 cit. ), previo parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, nella formulazione introdotta dal comma 43 del decreto – legge n. 269 del 2003, che prevede una conferenza di servizi cui partecipa necessariamente anche la soprintendenza territorialmente competente, il cui parere è vincolante.

 


4. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E L’ACQUISIZIONE GRATUITA DELLA “RES ABUSIVA” AL PATRIMONIO COMUNALE.


Secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte, l’acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio indisponibile del comune non è incompatibile con l'ordine di demolizione emesso dal giudice penale ed eseguito dal pubblico ministero, potendosi ravvisare un'ipotesi di incompatibilità soltanto se la deliberazione consiliare abbia statuito di non dover demolire l'opera acquisita ravvisando l'esistenza di prevalenti interessi pubblici alla sua conservazione (ex plurimis, Cass., Sez. III, n. 37120 dell’8 luglio 2003; n. 26149 del 9 giugno 2005; n. 37120 dell’11 maggio 2005).
Con la sentenza n. 37120 del 2005, da ultimo richiamata, sono stati affermati, in particolare, i seguenti principi:
1. L'ordine di demolizione impartito dal giudice penale ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, della legge n. 47/1985 (attualmente previsto dell'art. 31, ultimo comma, del T.U. n. 380/2001), assolvendo ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, ha natura di provvedimento accessorio rispetto alla condanna principale e costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell'autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (cfr., Cass., Sez. Unite, 24.7.1996, n. 15, ric. PM in proc. Monterisi).
2. L'acquisizione gratuita, in via amministrativa, è finalizzata essenzialmente alla demolizione, per cui non si ravvisa alcun contrasto con l'ordine demolitorio impartito dal giudice penale, che persegue lo stesso obiettivo: il destinatario di tale ordine, a fronte dell'ingiunzione del P.M., allorquando sia intervenuta l'acquisizione amministrativa a suo danno, non potrà ottemperare all'ingiunzione medesima ove il Consiglio Comunale abbia già ravvisato (ovvero sia sul punto di deliberare) l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive.
Ove il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell'opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell'abuso.
3. Nella fase di esecuzione dovranno risolversi le questioni riguardanti i rapporti con i provvedimenti concorrenti della pubblica amministrazione e potrà disporsi la revoca dell'ordine di demolizione (statuizione sanzionatoria giurisdizionale, che, avendo natura amministrativa, non è suscettibile di passare in giudicato) che risulti non compatibile con situazioni di fatto o giuridiche sopravvenute, quali atti amministrativi della competente autorità, che abbia conferito all'immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria.
4. Tale incompatibilità, come già detto, oltre che assoluta, deve essere già esistente ed insanabile e non invece futura e meramente eventuale (Cass., Sez. III, 17 dicembre 2001, Musumeci; 30 marzo 2000, Ciconte; 14 febbraio 2000, Cucinella; 4 febbraio 2000, Le Grottaglie; 7 marzo 1994, Iannelli, e 7 marzo 1994, Acquafredda).
In dettaglio si è precisato ( Cass., Sez. III, 29 settembre 2005, n. 43294) che:
Il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo, dell'area di sedime e dell'area di pertinenza urbanistica si verifica ope legis alla scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione sindacale di demolire (a differenza che nella disciplina previgente); cosicché l'atto di accertamento della inottemperanza colpevole e la trascrizione nei registri immobiliari hanno natura semplicemente dichiarativa (cfr. la giurisprudenza prevalente ed in particolare Cass. Sez. III n. 3755 del 29 dicembre 2000, Mereu, rv. 218004; Cass. Sez. III, n. 33297 del 6 agosto 2003, P.G. in proc. Brullo, rv. 226155);
- più esattamente, l'accertamento dell'inottemperanza, regolarmente notificato all'interessato, è titolo per l'immissione del comune nel possesso ed è necessario per opporre il trasferimento al proprietario responsabile dell'abuso; mentre la trascrizione nei registri immobiliari è invece necessaria per opporre il trasferimento ai terzi ex art. 2644 cod. civ. (cfr. sentenza Brullo citata);
- ne deriva che soltanto con la concreta presa di possesso dell'immobile da parte dell'autorità comunale il responsabile dell'abuso è privato della possibilità materiale di ottemperare all'ordine di demolizione;
- tuttavia anche l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale e l'immissione del comune nel possesso dell'immobile sono indubbiamente finalizzate all'obiettivo della demolizione, sicché non sono affatto incompatibili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione emanato dal giudice. Unica eccezione all'esito demolitorio è - si ripete - la delibera del consiglio comunale che decida la conservazione delle opere abusive, ravvisando l'esistenza di interessi pubblici prevalenti su quelli urbanistici o ambientali;
- prima di questa delibera consiliare, quindi, i due procedimenti sanzionatori, quello attivato dall'autorità comunale e quello attivato dall'autorità giudiziaria" sono non soltanto compatibili ma addirittura convergenti. Sicché "non si comprende perché il condannato non possa chiedere al Comune (divenuto nel frattempo proprietario) l'autorizzazione a procedere ad una ineludibile demolizione a propria cura e spese, ovvero perché, indipendentemente dalla proposizione o dalla sorte di una richiesta siffatta, l'autorità giudiziaria non possa provvedere a quella demolizione che autonomamente ha disposto, a spese del condannato, restando comunque costui spogliato della proprietà dell'area già acquisita al patrimonio disponibile comunale e con l'ulteriore conseguenza che i materiali risultanti dall'attività demolitoria (es. porte, impianti igienici, infissi, serrande etc.) spetteranno al Comune" (così Cass., Sez. III, n. 641 dell’11.5.2005, Morelli).
Accedendo alla tesi contraria, secondo cui l'acquisizione dell'immobile abusivo al patrimonio comunale impedirebbe l'esecuzione dell'ordine di demolizione impartito dal giudice, si arriverebbe alla inaccettabile vanificazione, o alla fraudolenta elusione, dello spirito e della portata normativa della disciplina voluta dal legislatore del 1985, perché il procedimento giurisdizionale, pensato per completare e rafforzare l'apparato sanzionatorio, tradizionalmente affidato al procedimento amministrativo, finirebbe per essere ostacolato proprio dallo svolgimento di quest'ultimo.
Per queste ragioni, nonostante qualche pronuncia contraria (Sez. III n. 141 dell'11 gennaio 1997, Vitantonio, rv. 206556, Sez. III n. 22743 del 12 maggio 2004, Maffongelli, rv. 228721), si deve concludere che in caso di condanna per opere edilizie eseguite in assenza di concessione (ora permesso di costruire), in totale difformità o con variazioni essenziali, l'ordine giudiziale di demolizione delle opere stesse, di cui all'art. 7, ult. comma, legge 47/1985 e ora all'art. 31, comma 9, d.P.R. 380/2001, deve essere sempre emanato e mantenuto, a meno che non risulti a) che la demolizione sia già avvenuta, b) che l'abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico, c) che il consiglio comunale territorialmente competente abbia deliberato che le opere devono essere conservate in funzione di interessi pubblici ritenuti prevalenti sugli interessi urbanistici (in tali sensi, cfr., ex plurimis, anche Sez. III, n. 7571 del 27 giugno 1992, Raho, Sez. III n. 6169 del 26 maggio 1994, Di Guardo; Sez. III n. 3489 del 29 dicembre 2000, P.M. in proc. Mosca, rv. 217999)”.

 


4.1. L’intervento del condannato su “cosa altrui”.


Si pone, a questo punto, il problema di stabilire se, una volta esauritasi la procedura ablatoria in conseguenza dell’avvenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale, il condannato sia o meno nella impossibilità di eseguire l’ordine giudiziale di demolizione.
Secondo Cass., Sez. III, n. 1904 del 23 gennaio 2007, “dopo l’acquisizione del bene al patrimonio comunale, viene di regola meno per il condannato l’interesse a sospendere o paralizzare l’esecuzione dell’ordine di demolizione in quanto, nel frattempo, è il Comune ad essere divenuto proprietario del bene “( negli stessi sensi, cfr. Cass., Sez. III, 15 aprile 2004, n. 22743 ).
Tale conclusione è in linea, peraltro, con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui:
L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, prevista dall’art. 7, 3° comma, l. 28 febbraio 1985, n. 47, è atto dovuto, senza alcun contenuto discrezionale, ed è subordinato unicamente all’accertamento della inottemperanza e del decorso del termine di legge ( novanta giorni ) fissato per la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi; pertanto, la tardiva demolizione di un’opera abusiva rispetto al termine suddetto va considerata illegittima, oltre che illecita, in quanto non solo riguarda un bene non più proprio ma esclude anche la possibilità da parte dell’amministrazione di utilizzare l’opera in presenza dei presupposti richiesti dalla legge” ( Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7030; 26 gennaio 2000, n. 341, e 23 gennaio 1991, n. 66 ).
Nel sistema delineato dall’art. 7 l. 28 febbraio 1985, n. 47, l’inottemperanza all’ordine di demolire determina allo scadere del termine l’effetto acquisitivo automatico del bene, rispetto al quale il provvedimento sindacale di acquisizione ha carattere meramente dichiarativo: è, pertanto, irrilevante – e può addirittura configurare una responsabilità per intervento su cosa altrui – la eventuale ottemperanza alla diffida a demolire nelle more tra la scadenza del termine e la dichiarazione di acquisizione” ( T.A.R. Lombardia, Sez. II, 26 ottobre 1991, n. 66 ).
Per concludere sull’argomento ( e richiamando, sul punto, B. Delfino, L’ordine di demolizione impartito dal giudice penale, in Riv. Giur. Edilizia 1998, n. 197 ), va ricordata la disposizione contenuta nella legge 14 ottobre 1993 della Regione Sicilia, per la quale è possibile concedere il diritto di abitazione sul bene acquisito al patrimonio comunale allorquando l’immobile risulti adibito a “dimora abituale e principale del responsabile dell’abuso e del suo nucleo familiare, anche di fatto”.
Tale normativa ha beneficiato di un favorevole scrutinio di legittimità ad opera della Corte Costituzionale, che ha qualificato l’atto costitutivo del diritto reale di abitazione come un provvedimento discrezionale tanto in riferimento all’”an” che al “quid”, sottolineando, altresì, che l’art. 4, comma 2, della predetta leggecontiene un bilanciamento non irrazionale tra l’esigenza di disciplinare il grave problema dell’abusivimo edilizio e l’esigenza ( di rilievo anche costituzionale: v. sent. n. 49 del 1987 ) di assicurare un’abitazione ai bisognosi” ( Corte Costituzionale, 5 maggio 1994, n. 169 ).

 


4.2. L’ACQUISIZIONE AL PATRIMONIO COMUNALE E GLI ABUSI REALIZZATI NELLE ZONE VINCOLATE.


Quanto detto in tema di acquisizione non vale ovviamente per le opere iniziate ed eseguite senza titolo in zone assoggettate a vincoli di tutela ( rectius: di inedificabilità ).
Per queste ultime, infatti, trova applicazione l’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale stabilisce che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale “provvede (in tali casi) alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi”.
E’ evidente che, per gli abusi commessi in aree meritevoli di una particolare e rafforzata tutela, il legislatore ha inteso attribuire all’amministrazione il potere – dovere di ripristinare senza indugio la legalità violata, senza, peraltro, distinguere in relazione alla natura assoluta o relativa del vincolo ( cfr, T.A.R. Campania – Napoli, Sez. IV, 12 aprile 2005, n. 3780 ).
In dette aree non può, dunque, trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 31 dello stesso d.P.R., che prevede, come è noto, una più complessa sequela procedimentale.
Tale ultima disposizione potrà, anche nelle aree vincolate, essere applicata nei soli casi in cui siano state accertate opere edilizie eseguite in totale difformità da un permesso di costruire, ovvero con variazioni essenziali, ma non anche allorquando non risulti rilasciato alcun titolo preventivo.

 


5. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA.


Anche tale problematica risente dell’incerto confine tra l’ambito applicativo dell’esercizio del potere sanzionatorio spettante alla pubblica amministrazione e quello proprio dell’ordine di demolizione impartito dal giudice penale.
Se, infatti, da un lato si sostiene che l’ordine di demolizione deve considerarsi emanazione di un potere dispositivo autonomo, spettante per legge all’autorità giurisdizionale, rispetto a quello analogo e simmetrico dell’autorità amministrativa, dall’altro si riconosce, come già detto, che la sanzione in esame sfugge alla regola del giudicato ed è riesaminabile in fase esecutiva, nella quale può subire modifiche sino a ritenersi caducata per effetto di sopravvenuti provvedimenti dell’autorità amministrativa che si pongono, rispetto ad esso, in una situazione di incompatibilità.
In base a tale ultimo orientamento assumono rilevanza, più o meno significativa, i “dicta” del giudice amministrativo perché è evidente che non può esservi inerzia della pubblica amministrazione laddove è la sua stessa “potestà” ad essere temporaneamente paralizzata nel suo esercizio, per effetto di un’eventuale sospensiva dell’efficacia del provvedimento, o caducata in conseguenza di una pronuncia di annullamento, nel merito, del provvedimento medesimo.
Secondo i fautori della tesi – ormai superata – per la quale il potere del giudice penale di ordinare la demolizione avrebbe carattere di supplenza per ovviare all’inerzia della P.A., “l’ordine del supplente ( giudice penale ) non ha possibilità di attuarsi, poiché l’esercizio del potere del titolare (p.a.), cui è demandato di procedere all’esecuzione dell’ordine di demolizione, è sospeso: non è ( in tal caso ) l’ordine del giudice ad essere oggetto della sospensione ma la potestà stessa dell’amministrazione ad essere temporaneamente paralizzata nel suo esercizio” ( Cass., Sez. III, 12 novembre 1992, Vanello ).
I fautori della tesi opposta ( c.d. “dominante” ) sostengono che poiché l’ordine di demolizione ex art. 31 d.p.r. n. 380 del 2001 è attribuito al giudice autonomamente e non in via di supplenza rispetto al corrispondente potere dell’autorità comunale, “la contestuale emanazione di un ordine di demolizione da parte di quest’ultima non provoca evidentemente alcuna incompatibilità tra i due provvedimenti e, per converso, la sospensiva ad opera del T.A.R. dell’ordine del Comune non determina automaticamente la sospensione dell’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna” ( Cass., Sez. III, 28 aprile 1999, n. 10747 ).
Parallelamente, l’esercizio da parte dell’autorità comunale del potere di demolizione è censurabile ad opera del giudice amministrativo ma non dal giudice ordinario, anche se questi con la sentenza di condanna ha emesso analogo provvedimento ( Cass., Sez. III, 12 luglio 1997, n. 2169 ).
Tale orientamento appare, per un verso, coerente con l’affermazione di principio secondo cui il giudice penale è titolare di un potere autonomo e non di mera supplenza, residuale o surrogatorio rispetto a quello esercitato dal Comune, sicchè – da tale angolazione – l’eventuale sospensiva del giudice amministrativo è del tutto irrilevante, in quanto pur sempre riferita ad attività provvedimentale riconducibile alla paternità e responsabilità dell’ente territoriale, per altro verso appare viziato da aporia logica, laddove denuncia l’esigenza di un coordinamento ( e velatamente i rischi che il mancato coordinamento comporta ) tra l’attività della p.a. e quella dell’a.g.o. e tra quest’ultima e quella del giudice amministrativo.
Tale esigenza di coordinamento “non esige e non si realizza al livello del processo di cognizione, seguendo il criterio della pregiudizialità del provvedimento amministrativo, ma nel momento terminale delle due procedure, allorquando la reciproca interferenza dei provvedimenti amministrativo e giurisdizionale effettivamente si verifica, e si risolve mediante la ricerca da parte del giudice penale del coordinamento con il più ampio governo del territorio assegnato dalla legge all’amministrazione in vista della comune finalità” ( Cass., Sez. III, 28 aprile 1999, n. 10747 ).

 


5.1. LA POSSIBILE RILEVANZA DEL “FUMUS BONI IURIS” POSITIVAMENTE VALUTATO DAL GIUDICE AMMINISTRATIVO NELLA FASE INCIDENTALE CAUTELARE.


In presenza di una sospensiva del giudice amministrativo il giudice penale deve pur sempre verificare preliminarmente se l’ordine di demolizione da emettere sia o meno correttamente compatibile con il suo provvedimento, atteso che “solo l’intervenuta sospensiva concessa con riferimento al fumus boni iuris di possibili vizi relativi a violazioni sostanziali della normativa urbanistica, non riparabili in sede di autotutela dall’autorità amministrativa, è da ritenersi influente, mentre, se il provvedimento cautelare trova la sua giustificazione in vizi meramente formali, esso non è incompatibile con l’ordine di demolizione posto in essere dal giudice per la reintegrazione dell’interesse urbanistico sostanziale” (Cass., Sez. III, 20 giugno 1996, n. 2702).
Anche la provvisoria sospensione disposta dal T.A.R. è, di regola, ininfluente a meno che non sia stata motivata con l’esistenza del c.d. “fumus” di vizi relativi a violazioni sostanziali della normativa urbanistica.
La sospensione si prospetta irrilevante se concessa per ragioni non comportanti un preliminare giudizio di disvalore dell’atto amministrativo
” ( Cass., Sez. III, 16 marzo 2004, n. 23992 ).
La cautela che ispira l’orientamento dei giudici di legittimità in materia scaturisce probabilmente dalla consapevolezza che, sia pure nella sede esecutiva e non anche in quella di cognizione, non appare conforme a legge ignorare del tutto le statuizioni anche cautelari ( nonostante qualche “distinguo” in relazione al tipo di delibazione sul “fumus”) del giudice amministrativo.
Precisa la Corte in fattispecie relativa ad un contrasto su tematiche edilizie dibattute con esiti contrastanti in sede penale ed in sede giurisdizionale amministrativa che “non vale accampare a questo riguardo la autonomia decisionale del giudice penale rispetto al giudice amministrativo. Questa autonomia è incontestabile ed appare esattamente confermata dal sistema normativo risultante dagli artt. 2 e 3 c.p.p..
Ma implica anche la posizione reciproca, cioè l’autonomia decisionale dei giudici amministrativi rispetto ai giudici ordinari ( salva ovviamente la funzione regolatrice della Corte di Cassazione per le questioni attinenti alla giurisdizione ex art. 111, ult. comma, Cost. ).
Ed è propria questa autonomia della giurisdizione amministrativa che deve “impedire non solo di ritenere macroscopicamente illegittima una sentenza del T.A.R. coperta da giudicato, ma soprattutto di escludere il legittimo e incolpevole affidamento dell’interessato in questa sentenza. Escludere questa buona fede, e quindi ritenere l’astratta configurabilità oggettiva e soggettiva del reato di lavori senza concessione amministrativa equivale a negare al cittadino la possibilità di tutelare per via giurisdizionale i suoi diritti ed interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione.
In altri termini, anche a voler condividere la tesi che esclude la buona fede dell’agente davanti a un atto amministrativo “macroscopicamente illegittimo” ( ma ci sono molte ragioni per non condividerla, considerata la indeterminatezza del concetto di macroscopicità, che confligge col principio di legalità e tassatività dei reati ), sicuramente questa tesi non sarebbe applicabile davanti a una sentenza del giudice amministrativo, passata in giudicato: sia perché l’a.g.o. non può arrogarsi il potere di valutare la conformità a legge – macroscopica o meno – di un arret di un’altra giurisdizione, sia perché il cittadino – pena la vanificazione del suoi diritti civili – non può essere privato dalla facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall’ordinamento
” ( Cass., Sez. III, 11.1.1996, n. 54, Ciaburri ).

 


5.2. IL RICORSO AL GIUDICE AMMINISTRATIVO AVVERSO IL SILENZIO – DINIEGO DELLA CONCESSIONE IN SANATORIA, EX ART. 13 DELLA LEGGE N. 47 DEL 1985, E L’EVENTUALE SOSPENSIONE DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE.


Sempre in sede di giurisdizione nomofilattica è stato affermato che, nel caso di ricorso giurisdizionale contro il diniego della concessione edilizia in sanatoria di cui all'art. 13 legge n. 47 del 1985 ( ora art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 ), “deve trovare applicazione il secondo comma del successivo art. 22, secondo cui l'udienza viene fissata d'ufficio dal presidente del tribunale amministrativo regionale per una data compresa entro il terzo mese dalla presentazione del ricorso.
Deve quindi ritenersi che, decorsi tre mesi dalla presentazione del ricorso senza che l'udienza si sia già tenuta e, comunque, senza che l'interessato ne abbia sollecitato la fissazione, la mera pendenza del detto ricorso giurisdizionale non può costituire causa di sospensione dell'esecuzione dell'ordine di demolizione disposto dal giudice penale.
Certamente non può ravvisarsi una ipotesi di sospensione in un caso in cui l'udienza non sia stata ancora fissata dopo ben tre anni e mezzo dalla presentazione del ricorso
” ( così Cass., Sez. III, 30 marzo 2000, n. 1388 ).
Giova ricordare, in proposito, che la Corte Costituzionale, con decisione del 1° aprile 1998, n. 85, ha dichiarato infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità della l. n. 724 del 1994, art. 39, comma 9, nella parte in cui non prevede la sospensione dell'azione penale in pendenza dell'impugnazione giurisdizionale del provvedimento di diniego sulla richiesta di condono edilizio e di autorizzazione paesaggistica per opere abusive in zona sottoposta a vincolo.
Per interventi abusivi siffatti l'effetto del condono -sanatoria si verifica solo quando l'autorità preposta al vincolo, mediante una valutazione di compatibilità con le esigenze sostanziali di tutela, abbia ritenuto l'opera già eseguita suscettibile di conseguire l'autorizzazione in sanatoria e l'autorità comunale abbia rilasciato la concessione edilizia sanante.
In tal caso, in cui gli effetti dell'oblazione-condono e della sanatoria debbono necessariamente coincidere, la Consulta ha rilevato che non è prevista una specifica sospensione del procedimento penale qualora la domanda di sanatoria abbia avuto esito negativo in via amministrativa e sia sorta contestazione avanti al giudice amministrativo sulla legittimità del rifiuto.
Ed il giudice delle leggi ha evidenziato che "sul piano costituzionale non si pone per il legislatore, come soluzione obbligata, la sospensione del procedimento penale, quando sia pendente avanti ad un altro giudice una controversia che debba risolvere una questione su un atto, pregiudiziale alla definizione del primo processo.
Anzi in sede di disciplina positiva si è andato affermando il principio della separazione dei giudizi e della autonomia ed indipendenza delle giurisdizioni civile, amministrativa e tributaria da un lato e penale dall'altro, con le sole previsioni di ipotesi derogatorie tassativamente previste dalla legge, ritenendosi di privilegiare, anche in sede penale, l'esigenza di sollecita definizione del processo.
La scelta di sospensione del corso dell'azione penale fino alla definizione della controversia giurisdizionale amministrativa, fermi tutti i poteri di autonoma vantazione del giudice penale, è tutt'altro che obbligata e razionalmente il legislatore non ha inteso effettuarla
” (cfr, Cass., Sez. 3^, 5/11/1999, Barbieri).

 


5.3. IL RICORSO AL T.A.R. AVVERSO IL PROVVEDIMENTO DI DEMOLIZIONE “IUSSU IUDICIS” ED IL DIFETTO DI GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO.
Per completezza va detto che allorquando l’ordine di demolizione dell’autorità comunale sia stato emesso in esecuzione di sentenza di condanna contenente la sanzione della demolizione dell’opera edilizia abusiva, quest’ultima “deve considerarsi statuizione sanzionatoria giurisdizionale soggetta alle regole sulla esecuzione contenute negli artt. 665 e ss. c.p.p.” ( Cass. SS.UU., 24 luglio 1996, n. 15; Cass., Sez. III, 14 febbraio 2000; Sez. III, 22 gennaio 2001; Circolare Ministero della Giustizia, 20 novembre 1997, prot. n. 62/4/13-2186 ).
Consegue che, a fronte di un ricorso proposto per l’annullamento di detto provvedimento, emesso “iussu iudicis”, il giudice amministrativo difetta di giurisdizione ( T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I, 19 settembre 2005, n. 1409; T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 21 giugno 2007, n. 8744 ).

 


6. L’ESECUZIONE DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E GLI ASPETTI ECONOMICO - FINANZIARI.


6.1. LA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE DEL PUBBLICO MINISTERO.


L’organo promotore della esecuzione dell’ordine giudiziale di demolizione va identificato, ai sensi dell’art. 665 c.p.p., nel pubblico ministero, il quale deve anche stabilire le modalità più opportune per il raggiungimento dello scopo.
Tali modalità possono comprendere “non solo il ricorso al genio militare o ad altri organi indicati nelle circolari ministeriali emanate al riguardo, ma anche il preavviso all’esecutato o ad altri eventuali interessati ( per esempio terzi occupanti dell’immobile abusivo ) al fine di informarli della concreta esecuzione della demolizione e di metterli in grado di collaborare alla stessa, ovvero di ricorrere al giudice della esecuzione nell’ipotesi in cui ritenessero di contestare le modalità stabilite dallo stesso P.M.; solo in caso di controversia sul titolo o sulle modalità esecutive si attiva la competenza del giudice dell’esecuzione” ( Cass., Sez. III, 18 maggio 1999, Strambi ).

 


6.2. LA CONTROVERSIA SULLE MODALITÀ DI ESECUZIONE E LA COMPTENZA DEL GIUDICE DELLA ESECUZIONE.


La richiesta volta ad attivare questa funzione giurisdizionale deve avere ad oggetto la controversia da risolvere e deve presentare i caratteri propri della domanda giudiziale, nelle sue essenziali componenti di “petitum” e “causa petendi” ( Cass., Sez. III, 12 maggio 2000, Masiello; Sez. III, 24 febbraio 1999; Sperandio; Sez. III, 13 novembre 2000, Rollo ).
Con la sentenza “Monterisi” del 24.7.1996, le Sezioni Unite precisavano, invece, che gli organi del procedimento sono “il pubblico ministero e il giudice dell’esecuzione” e che la procedura si articola essenzialmente in due fasi:
La prima, necessaria, prende avvio dalla diffida rivolta dal P.M. al condannato di demolire l’opera abusiva; se il condannato non adempie all’ingiunzione e non vi ottempera completamente si apre una seconda fase eventuale, che vede il P.M. rivolgersi al giudice dell’esecuzione per la fissazione delle modalità e delle prescrizioni, previa instaurazione del contraddittorio ai sensi degli artt. 665 e 666 c.p.p.”.
Sotto altro profilo si è affermato che:
All’esecuzione dell’ordine di demolizione deve provvedere il P.M. al quale non è, a tal fine, consentito, quando sul punto non sia intervenuto alcun contrasto, chiedere preliminarmente al giudice dell’esecuzione l’indicazione delle modalità con le quali l’operazione deve essere effettuata”.
“Correttamente viene dichiarata inammissibile dal giudice dell’esecuzione la richiesta del p.m. che, in assenza di qualsiasi controversia circa la legittimità o l’eseguibilità dell’ordine di demolizione di una costruzione abusiva, emesso con la sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 7, ultimo comma, l. 28 febbraio 1985, n. 47, sia finalizzata ad ottenere che il detto giudice definisca le modalità con le quali la demolizione, non avendovi provveduto il condannato, debba essere coattivamente effettuata”
( Cass., Sez. III, 23 marzo 1999, Crisafulli ).
“La mera inottemperanza all’ordine di demolizione non è idonea a costituire, né ad instaurare un procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione, ma rappresenta esclusivamente il presupposto per l’esecuzione coattiva del suddetto ordine di competenza del p.m., al quale spetta pure provvedere alla previa determinazione delle prescrizioni all’uopo necessarie”
( Cass., Sez. III, 19 marzo 1999, Sartor ).

 


6.3. LA CIRCOLARE MINISTERIALE DEL 29.11.1997 E L’APPLICABILITÀ, IN VIA ANALOGICA, DEGLI ARTT. 612 E 613 C.P.C..


Con circolare del 29.11.1997, il Ministero della giustizia ha precisato, fra l’altro, che, “in caso di ricorso ad impresa privata, non può escludersi che, dovendosi fissare modalità, prescrizioni e scelte di natura largamente discrezionale sull’affidabilità e capacità delle imprese, l’Autorità giudiziaria ritenga che alle incombenze di cui si parla debba provvedere il giudice dell’esecuzione all’esito della procedura di cui agli artt. 665 e 666 c.p.p.”.
In tale ipotesi, in mancanza di un’espressa disciplina al riguardo, considerato che il giudice dell’esecuzione deve essere posto in grado di eseguire i provvedimenti demolitori contenuti nella sentenza del giudice di cognizione, potrebbero applicarsi le norme del codice di procedura civile in analogia con le disposizioni che regolano l’esecuzione forzata degli obblighi di fare ( artt. 612 e 613 c.p.c. ).
Ciò in quanto queste ultime – e tra esse quella che concerne “le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta ( art. 612 cpv., ult. parte, c.p.c. ) hanno carattere di generalità, per cui appare possibile e corretto, in conformità alla lettera e alla ratio dell’art. 14 delle preleggi, il ricorso all’istituto dell’analogia per colmare l’eventuale lacuna rilevabile nell’ordinamento processuale penale”.

 


6.4. L’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE E LE OPERE NON COPERTE DAL TITOLO ESECUTIVO.


Potrebbe verificarsi che alla esecuzione dell’ordine di demolizione si frappongano opere aggiunte in prosecuzione per le quali non si è ancora formato il titolo giudiziale che ne legittima la rimozione.
In tal caso, qualora solo uno dei due processi, non riuniti per connessione davanti a un unico giudice, sia definito con sentenza di condanna o a seguito di patteggiamento e passata in giudicato, “l'esecuzione dell'ordine di demolizione non resta automaticamente paralizzata per la pendenza dell'altro processo riguardante la parte dell'opera proseguita, ma rientra nella competenza del giudice dell'esecuzione, investito dal pubblico ministero in seguito all'inadempimento della diffida a demolire, a provvedere in coordinamento con gli eventuali provvedimenti emessi, oltre che in sede amministrativa, anche nel processo penale parallelo.
Allo stesso modo, sotto il profilo oggettivo, il solo fatto che resti in corso l'accertamento giurisdizionale in merito alla parte successiva e ulteriore della costruzione non è di per sè di ostacolo all'esecuzione dell'ordine di demolizione, considerando, da un canto, che l'opera è unitaria e non può essere solo in parte legittima, e, dall'altro, che il giudice penale, ove ne ricorrano i presupposti, ha la possibilità di ordinarne il sequestro probatorio, del quale il giudice dell'esecuzione dovrà ugualmente tener conto
” ( così Cass., Sez. III, 14 febbraio 2000, n. 700; negli stessi sensi, Cass., Sez. III, 18 gennaio 2001, n. 10248 ).
In senso parzialmente (ed apparentemente) difforme, vedasi, però, Cass., Sez. III, 14 febbraio 2000, Vaccaro, secondo cui:
“.Allorchè due procedimenti si instaurino in ordine alla medesima costruzione abusiva, avendo per oggetto le singole articolazioni di essa, successivamente realizzate, qualora uno solo dei due processi sia definito con sentenza passata in giudicato, l’ordine di demolizione non resta automaticamente paralizzato per la pendenza dell’altro processo riguardante la parte dell’opera proseguita; in tal caso, rientra nella competenza del giudice dell’esecuzione, investito dal p.m. in seguito all’inadempimento della diffida a demolire, provvedere in coordinamento con gli eventuali provvedimenti emessi nel processo penale parallelo”

 


7. IL RICORSO ALLE STRUTTURE TECNICO – OPERATIVE DEL MINISTERO DELLA DIFESA O ALLE IMPRESE PRIVATE PER LA MATERIALE ESECUZIONE DELL’ORDINE GIUDIZIALE DI DEMOLIZIONE.


Di quali strutture tecnico – operative si avvarrà il magistrato procedente per la materiale esecuzione dell’ordine di demolizione o dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi previsto dall’art. 181, comma 2, del d.lge n. 42 del 2004?

 


7.1. LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL D.P.R. DEL 30 MAGGIO 2002, N. 115.


Il d.p.r. n. 115 del 30 maggio 2002 in materia di spese di giustizia ha stabilito, all’art. 61, che “1. Il magistrato che cura l'esecuzione di sentenze recanti ordine di, o aventi ad oggetto la, demolizione di opere abusive e di riduzione in pristino dello stato dei luoghi chiede, tramite i provveditorati alle opere pubbliche, l'intervento delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, o affida l'incarico ad imprese private, ai sensi dell'articolo 41, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, quando reputa più oneroso, sulla base di valutazioni oggettive, l'intervento delle prime”.
Lo stesso d.P.R. n. 115 ha previsto che:
“1. Con apposita convenzione organizzativa fra il Ministero della giustizia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero della difesa sono disciplinate le procedure per l'intervento delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa e per la quantificazione preventiva e successiva delle spese, nonché gli eventuali acconti e le necessarie regolazioni contabili, anche con riferimento all'esito dell'eventuale recupero delle spese nei confronti del soggetto obbligato” ( art. 62 ).
“1. L'importo da corrispondere alle imprese private cui è affidato l'incarico è determinato utilizzando come parametro di riferimento, anche in analogia, il prezzario per le opere edili e impiantistiche dei provveditorati alle opere pubbliche delle Regioni. 2. L'importo da corrispondere alle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa è quello risultante ai sensi della convenzione di cui all'articolo 62”
(art. 63).
“1. La liquidazione dell'importo dovuto alle imprese private o alle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa, che hanno eseguito la demolizione di opere abusive e di riduzione in pristino dei luoghi, è effettuata con decreto di pagamento motivato dal magistrato che procede.
2. Il decreto di pagamento alle imprese private è comunicato al beneficiario e alle parti processuali, compreso il pubblico ministero” ( art. 169 ).

 


7.2. LA CONVENZIONE INTERMINISTERIALE DEL 15 DICEMBRE 2005.


La convenzione in esame contiene, all’art. 1, le definizioni della espressione “demolizione di opera abusiva”, individuata nell’attività’ diretta all’ abbattimento totale o parziale dei volumi edilizi e di ogni altro manufatto realizzato in violazione delle norme urbanistico-edilizie, in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice, ai sensi dell’art. 31, comma 9, del testo unico di cui al d.P.R. n.380 del 2001 e dell’espressione “rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi”, individuata nell’attività diretta alla rimozione totale o parziale delle opere e di ogni altro manufatto realizzato su beni paesaggistici, nonché al ripristino delle condizioni preesistenti la violazione, in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice, ai sensi dell’art. 181, comma 2, del d.lgs n. 42 del 2004.
In entrambi i casi, la convenzione esclude, tuttavia, dalle attività le operazioni di sgombero delle macerie e, comunque, tutte le altre attività estranee alle competenze tecniche delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa (art. 1).
Il magistrato, che cura l’esecuzione delle sentenze contenenti l’ordine di demolizione o di riduzione in ripristino, una volta che abbia reputato piu’ oneroso, ovvero oggettivamente impossibile affidare l’incarico ad imprese private, deve richiedere l’intervento delle strutture tecnico -operative del Ministero della difesa, trasmettendo la relativa richiesta, con allegata documentazione tecnica, al Servizio integrato delle infrastrutture e trasporti (c.d. Siit), competente per territorio in relazione alla località in cui si trovano le opere da demolire o il luogo da ridurre in pristino; tale domanda va, altresì, inviata per conoscenza al Ministero della difesa (art. 4).
La richiesta deve anche espressamente contenere la clausola liberatoria a favore dell’ amministrazione della difesa e del personale dell’unità tecnico-operativa, per i danni occasionali eventualmente arrecati alle cose e alle infrastrutture, anche di terzi o, comunque, non espressamente oggetto dell’intervento di demolizione (art. 6, comma 8).
Il Siit, entro trenta giorni dal ricevimento della predetta richiesta, la trasmette al Ministero della difesa unitamente alle proprie eventuali osservazioni tecniche sulle modalità di esecuzione dell’intervento e ad ogni altra informazione utile (art. 5).
Il Ministero della difesa, quindi, una volta ricevuta la richiesta di intervento dal Siit, corredata dalle eventuali osservazioni tecniche, promuove le necessarie attività ricognitive, anche presso le amministrazioni locali competenti, e trasmette al magistrato richiedente, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta stessa, un parere motivato sulla fattibilità tecnico-operativa dell’intervento, indicandone i relativi costi, il tempo necessario ed ogni altro elemento reputato utile per la sua esecuzione ( art. 5).
Il magistrato richiedente, valutato il parere di fattibilità, se ritiene che l’intervento sia conveniente dal punto di vista economico, ne dà comunicazione per iscritto al Ministero della difesa, al Siit competente per territorio, nonché al prefetto della provincia e al sindaco del comune dove l’intervento deve essere eseguito (art. 6, comma 1).
Il Ministero della difesa, quindi, ricevuta la conferma dell’incarico, individua senza ritardo l’unità competente all’esecuzione dell’intervento e affida ad essa l’incarico ( art. 6, comma 2).
Una volta iniziata l’attività, il magistrato adotta ogni provvedimento necessario al fine di risolvere eventuali difficoltà operative: egli può addirittura sospendere, nei casi urgenti, le operazioni e deve, in ogni caso, attraverso la polizia giudiziaria e d’intesa con il prefetto competente per territorio, predisporre le misure necessarie per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica ( art. 6, commi 5 e 6).

 


7.3. IL GIUDIZIO COMPARATIVO SUI COSTI.


L’intervento del Ministero della difesa può essere richiesto soltanto allorché l’affidamento dell’incarico alle imprese private si presenti oggettivamente più oneroso ovvero impossibile (art. 4).
Orbene, ai fini di questa valutazione di economicità, il magistrato deve fare riferimento al capitolato dei lavori di demolizione delle opere abusive che entro il giorno 31 ottobre di ogni anno il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con il Ministero della difesa, deve predisporre e trasmettere al Ministero della giustizia per l’ulteriore divulgazione a tutti gli uffici giudiziari (art. 3, commi 1 e 3).
La convenzione, tuttavia, fa salvi eventuali costi aggiuntivi derivanti dalla particolarità del singolo intervento (art. 3, comma 2).
Allo stato, ai fini di tale giudizio comparativo deve tenersi conto del capitolato provvisorio del 2006, non risultando ancora approvato quello definitivo, oltre che del prezzario delle opere pubbliche approvato dalle regioni.

 


7.4. LA COPERTURA FINANZIARIA.


Il fondo cui occorre attingere per il finanziamento delle attività di demolizione delle opere abusive ( non per quelle di riduzione in pristino dello stato dei luoghi) è quello istituito presso la Cassa depositi e prestiti s.p.a dall’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, destinato a concedere anticipazioni senza interessi sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive anche disposti dall’autorità giudiziaria. Al fine di poter utilizzare il predetto fondo, la convenzione (art. 7) prevede che, successivamente alla emissione del decreto di pagamento la parte del magistrato ( ex art. 169 del testo unico), l’ufficio che ne cura materialmente l’emissione debba, ai sensi dell’art. 7, comma 5, sospendere la compilazione dell’apposito modello previsto dall’art. 167 del testo unico (quest’ultimo consente al beneficiario di poter ottenere immediatamente il denaro, recandosi presso l’ufficio postale deputato ad anticipare i fondi del capitolo di bilancio del Ministero della giustizia relativo alle spese di giustizia).
Quindi, la cancelleria, decorso il termine per l’opposizione di pagamento o, in caso di opposizione, rigettata l’eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria, comunica il decreto di pagamento, unitamente al provvedimento di demolizione, al comune del luogo dove l’intervento deve essere eseguito e alla cassa depositi e prestiti s.p.a., ai fini della concessione del finanziamento (art. 7, comma 6).
In caso di concessione, totale o parziale del finanziamento, l’ufficio che dispone il pagamento ne dà comunicazione all’amministrazione della difesa e la autorizza ad avvalersene presso il comune interessato (art. 7, comma 8). L’amministrazione della difesa, ottenuto il pagamento, ne dà quindi comunicazione all’ufficio giudiziario (art. 7, comma 9).
Nell’ipotesi in cui il finanziamento in tutto o in parte non sia concesso, ovvero nell’ipotesi in cui l’intervento concerna la riduzione in pristino, l’ufficio che dispone il pagamento avvia l’ordinaria procedura di pagamento prevista dal testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002, attingendo al capitolo di bilancio relativo alle spese di giustizia ( art. 7, commi 3 e 10).

 


7.5. LE CIRCOLARI DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI S.P.A. REGOLANTI LA MATERIA.


La disciplina per l’accesso al fondo per le demolizioni è stata dettata da due circolari della Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., la prima in data 28 ottobre 2004, n. 1254, la seconda in data 2 febbraio 2006, n. 1264, che ha aggiornato la procedura istruttoria del fondo, in particolare in ordine alla fase della concessione.
I punti essenziali sono i seguenti: “1.Possono accedere al finanziamento solo i comuni, nel cui ambito territoriale si è realizzata l’opera abusiva, oggetto di un provvedimento di demolizione. 2. Sono ammessi al finanziamento esclusivamente i costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive, nonché le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse. 3. Il finanziamento consiste in un’anticipazione, senza interessi, a valere sulle risorse del Fondo, che ha natura rotativa”.
Nel contratto di anticipazione dovrà essere inderogabilmente previsto che: “1. A garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto di anticipazione, il comune rilascia, per tutta la durata dell’anticipazione, delegazione di pagamento irrevocabile e pro solvendo a valere sulle entrate afferenti ai primi tre titoli del bilancio annuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 206 del Testo Unico, relativo all’esercizio nel quale è stato previsto il ricorso all’anticipazione”.
“Il comune si obbliga a rimborsare l’importo dell’anticipazione e a pagare la spesa di gestione del fondo in un'unica soluzione entro 60 ( sessanta) giorni dalla data di effettiva riscossione delle somme a carico degli esecutori degli abusi”.
“Il comune si obbliga a rispettare tale termine anche nel caso in cui la riscossione sia effettuata da parte di altra autorità competente”.
Fermo restando quanto previsto al precedente comma, il Comune è, comunque, obbligato a rimborsare l’importo dell’anticipazione e a pagare la spesa di gestione del fondo, entro e non oltre il termine massimo di rimborso ( cinque anni ),
Il comune si obbliga ad effettuare sul bilancio pluriennale l’impegno di spesa relativo alle somme occorrenti al rimborso della somma anticipata e al pagamento della spesa di gestione del fondo.
In caso di mancato rimborso dell’anticipazione nel termine massimo di rimborso, il Ministro dell’Interno provvederà, ai sensi dell’articolo 1 del DM 23 luglio 2004, alla restituzione delle somme anticipate, unitamente alla corrispondente quota delle spese di gestione del fondo ed agli interessi di mora, calcolati al saggio di interesse legale, a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del termine sino a comprendere quello dell’effettivo versamento, trattenendo le relative somme dai fondi del bilancio dello Stato da trasferire a qualsiasi titolo al comune inadempiente, ivi comprese le quote annuali a questo spettanti a titolo di compartecipazione al gettito IRPEF in sostituzione dei trasferimenti erariali. Resta fermo che, in caso di insufficienza dei trasferimenti erariali, il comune è obbligato al rimborso per la parte non trattenuta dal Ministero”.
In caso di inadempimento, il contratto di anticipazione sarà risolto e il comune dovrà, entro 15 giorni dalla richiesta della cassa, rimborsare l’importo erogato maggiorato dalla spesa di gestione del fondo e degli eventuali interessi di mora fino al giorno dell’effettivo pagamento, nonché un importo pari allo 0,125% della somma anticipata.

 


8. CONCLUSIONI.


Riassumendo, il procedimento di esecuzione ha inizio con un’attività propulsiva del pubblico ministero ma è destinato a concludersi presso il comune nel cui territorio è stato accertato e sanzionato l’abuso.
Se il comune, attraverso i suoi organi ed, in particolare, il responsabile del procedimento, verrà meno ai suoi obblighi, la “gioiosa macchina da guerra” ideata dal legislatore oltre venti anni or sono ( e prima d’oggi solo di rado messa in campo ) sarà costretta a cedere il passo.
Né eventuali processi penali a carico dei responsabili per omissione o abuso di ufficio potranno, in tal caso, rappresentare un utile rimedio per il conseguimento dell’obiettivo.
Occorre, tuttavia, ricordare che la norma che attribuisce ai pubblici ministeri il potere di richiedere direttamente, nell’esercizio delle loro funzioni, l’intervento delle forze armate ( ovvero l’art. 15 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 ) è ancora in vigore e potrebbe rappresentare l’ultimo ed insuperabile presidio a difesa del sistema.
 

 

* Avvocato


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 19/02/2009

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