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Indirizzi per la gestione degli scarti vegetali


CARLO RAPICAVOLI*
 

 



1. Inquadramento normativo

Per verificare se gli scarti vegetali sono da considerare rifiuti e quindi sottoposti alla disciplina della parte IV del D. Lgs. 152/2006 bisogna considerare alcuni aspetti generali.

Innanzitutto va accertato l'elemento soggettivo: si tratta di rifiuti quando è manifesta l’intenzione di disfarsene.

Tale condizione, ad esempio, si verifica nei seguenti casi:

- quando gli scarti vengono recapitati ad un impianto di trattamento dei rifiuti, che quindi li riceve come rifiuti. Il residuo sarà allora classificato come rifiuto e assoggettato alla relativa normativa di settore;
- quando gli scarti vengono abbandonati;
- quando gli scarti vengono distrutti illecitamente.

Inoltre va effettuata una verifica se la fattispecie in esame possa rientrare nelle esclusioni previste dalla medesima parte IV del D. Lgs. 152/2006.

In particolare va posta attenzione al disposto dell'art. 185:

- comma 1, lett. b), n. 5: non rientrano nel campo di applicazione della parte IV, in quanto regolati da altre disposizioni normative, le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola;
- comma 2: possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1 dell’articolo 183 i materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas.

Dalla lettura combinata dell'art. 183, comma 1, lett. p) e dell'art. 185, comma 2, perché gli scarti vegetali possano essere considerati sottoprodotto, è necessario che gli scarti (di cui non ci si intende disfare):

1. siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione;
2. il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito;
3. soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati;
4. non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione;
5. abbiano un valore economico di mercato;
6. siano utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas.

La verifica della rispondenza delle caratteristiche del materiale ai criteri di cui sopra, va effettuato a carico e sotto la responsabilità del soggetto produttore degli scarti: dichiarazioni scritte, contratti di fornitura o riscontri documentali in genere, se coerenti con i requisiti complessivi richiesti dalla norma, possono essere idonei a supportare l'onere probatorio nel caso di controlli da parte delle autorità preposte.

Dunque, in presenza di scarti vegetali:

1) Non si tratta di rifiuti se:

a) non sussiste la volontà di disfarsi;
b) sussistono i requisiti per ricondurre gli scarti alla nozione di sottoprodotto di cui all'art. 183, comma 1, lett. p, del D. Lgs. 152/2006, come integrata dall'art. 185, comma 2;


2) Si tratta di rifiuti, ma non sottoposti alla parte IV del D. Lgs. 152/2006, nei casi disciplinati da specifica normativa;

3) Si tratta di rifiuti soggetti alla parte IV del D. Lgs. 152/2006 in tutti gli altri casi.


2. Casistica

Di seguito l'esame dei casi più frequenti.


2.1 Biomasse

Lo scarto vegetale proveniente da potatura e da manutenzione forestale e agricola, qualora utilizzato in impianti di combustione industriale e/o ad uso civile, disciplinati dalla parte V, titoli I e II, del D. Lgs. 152/2006, può essere considerato “combustibile” e rientra nella definizione delle “biomasse” contenuta nell’allegato X, parte II, sezione 4, della parte V del D. Lgs. 152/2006. In questo caso può essere escluso dalla normativa rifiuti ed essere ricevuto presso l’impianto come un qualsiasi altro combustibile consentito. Lo scarto così impiegato deve rispondere ai requisiti del sottoprodotto.


2.2 Utilizzo per la produzione di beni

Nel caso in cui i residui vegetali vengono avviati all’industria della lavorazione dei materiali cellulosici per la produzione di beni (mobili, carta, ecc.), e gli impianti ricevono tali residui come materie prime e non come rifiuto, i residui verdi sono esclusi dalla normativa rifiuti, qualora siano riconducibili alla nozione generale di sottoprodotto.


2.3 Utilizzo nella pratica agricola

Gli scarti vegetali derivanti dalla pratica agricola e da attività similari svolte presso la propria azienda o presso soggetti terzi, per i quali è previsto il riutilizzo nelle normali pratiche agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas, non sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti, in quanto, se ne ricorrono le condizioni, possono definirsi sottoprodotto.

In applicazione della DGRV n. 568 del 25 febbraio 2005, recante “Modifiche e integrazioni della DGRV 10 marzo 2000, n. 766 - Norme tecniche ed indirizzi operativi per la realizzazione e la conduzione degli impianti di recupero e di trattamento delle frazioni organiche e i rifiuti urbani ed altre matrici organiche mediante compostaggio, biostabilizzazione e digestione anaerobica”, punto 9 dell’allegato 1, “non è richiesta autorizzazione per i soggetti che trattano in conto proprio i residui verdi provenienti dalla propria attività agricola utilizzando direttamente nella stessa attività il materiale prodotto (ammendante compostato verde). Deve comunque sussistere connessione tra la produzione dei residui e l’attività di utilizzo del materiale che va rapportata alle esigenze agronomiche delle specie vegetali coltivate".

Pertanto la pratica agronomica del compostaggio trova nel documento sopracitato un preciso riferimento tecnico. In assenza di disposizioni relative ad altre “normali pratiche agricole”, deve farsi riferimento agli usi e alle attuali conoscenze sull'utilizzo agronomico degli scarti di cui trattasi.

A titolo esemplificativo, come normali pratiche agricole possono essere ammesse:
• triturazione - riduzione volumetrica degli scarti finalizzata all’impiego agricolo;
• l'impiego del verde di tipo ligneo cellulosico come pacciamante al posto della corteccia per la copertura del terreno;
• utilizzo delle potature di vite (trinciatura di vite) nell'interfilare così da agire nel controllo delle malerbe;
• l'interramento, limitatamente a particolari necessità del suolo e delle colture.

Tutti i casi sopra descritti sono comunque condizionati dal tipo di scarto e dalla compatibilità dello stesso con il terreno e le specie coltivate, con riguardo a tempi, modi, quantità di utilizzo. Inoltre va sempre valutato il rischio di diffusione di eventuali agenti patogeni.

In generale sono da evitare abusi; va ricordato, infatti, che un utilizzo che non abbia alcuna relazione con l'attività agricola (es.: abbandono o combustione sul campo) configura il reato di smaltimento illecito di rifiuti, sanzionato penalmente dall’art. 256, comma 1 del D. Lgs. 152/2006.


2.4 Attività di manutenzione del verde effettuata dai giardinieri o vivaisti

Se il soggetto che ha effettuato la manutenzione del verde (per esempio un giardiniere o un vivaista che ha effettuato lo sfalcio del giardino di un’abitazione o un contoterzista che presta servizio per un’impresa agricola) effettua il trasporto dei residui derivanti da tale attività dal luogo di produzione (un’abitazione o un’azienda agricola) fino alla propria sede e poi riutilizza il materiale nelle normali pratiche agricole, non è assoggettato alla normativa sui rifiuti in quanto lo scarto rientra nella nozione di sottoprodotto come integrata dall’art. 185, comma 2 (possono essere sottoprodotti i materiali vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole).

Alla luce delle disposizioni normative sopra indicate, si può giungere a questa conclusione soltanto se:


1. è possibile considerare la manutenzione del verde come attività agricola;
2. gli scarti della manutenzione del verde sono riutilizzati nelle attività agricole.


Al riguardo si ritiene possa farsi riferimento alla nozione di imprenditore agricolo di cui all'art. 2135 del codice civile: "è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse".

Alla luce delle specifiche contenute nel comma 3 dell'art. 2135 nonché con riferimento alla definizione di "attività agromeccanica" ("È definita attività agromeccanica quella fornita a favore di terzi con mezzi meccanici per effettuare le operazioni colturali dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, la sistemazione e la manutenzione dei fondi agro-forestali, la manutenzione del verde, nonché tutte le operazioni successive alla raccolta dei prodotti per garantirne la messa in sicurezza") prevista dall'art. 5 del D. Lgs. 99/2004, è possibile ricomprendere, peraltro in coerenza con quanto espresso dalla Regione Veneto con nota n. 702464 del 6.12.2006, l'attività di manutenzione del verde fra le "attività connesse".

Pertanto, considerata l'attività di manutenzione del verde come attività agricola, gli scarti vegetali prodotti dalla stessa possono rientrare nella previsione dell'art. 185, comma 2, ed essere considerati "sottoprodotti", se rispondenti ai requisiti del citato art. 183 comma 1 lettera p) e riutilizzati come biomassa combustibile o nelle normali pratiche agricole, secondo le indicazioni riportate nel paragrafo 2.3. Questo anche prescindendo dal formale inquadramento del soggetto operatore, ai fini fiscali e contributivi, come imprenditore agricolo, rilevando, ai fini della normativa ambientale, la tipologia di attività e la provenienza degli scarti piuttosto che la categoria economica di appartenenza.


2.5 Gestione degli scarti vegetali come rifiuti

Se i residui verdi vengono trasportati ad un impianto di trattamento rifiuti, il soggetto che svolge l’attività agricola in forma di impresa è obbligato ad avere il formulario per il trasporto e ad iscriversi all’Albo dei gestori ambientali (art. 212 del D.lgs. 152/2006). L’obbligo del formulario non vige per trasporti effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri (art. 193, comma 4 del D. Lgs. 152/2006).
Il formulario inoltre non è necessario qualora il trasporto di questi rifiuti speciali sia effettuato dal produttore dei rifiuti stessi in modo occasionale e saltuario e finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con il quale sia stata stipulata una convenzione, purché tali rifiuti non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri (art. 193, comma 4bis, del D. Lgs. 152/2006); nel caso di trasporto finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con il quale sia stata stipulata una convenzione inoltre non è richiesta l'iscrizione all'Albo (art. 212, comma 8, del D. Lgs. 152/2006).
Nei casi sopra esposti, il registro di carico e scarico non è necessario, in quanto il “produttore di rifiuti agricoli non pericolosi” non è compreso tra i soggetti obbligati (art. 190 D. Lgs. 152/2006) e non è necessario compilare il MUD, in quanto si tratta di produzione di rifiuti non pericolosi provenienti da attività agricola (art. 186, comma 3 del D. Lgs. 152/2006).

Se il soggetto svolge l’attività per conto del Comune (gestione del verde pubblico), non è assoggettato all’obbligo del formulario, come stabilito dall’art. 193, comma 4: non è previsto il formulario per il trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico.

Nel caso in cui gli scarti da attività di manutenzione del verde rientrino nella definizione di rifiuto, può trovare applicazione l'art. 266, comma 4, del D. Lgs. 152/2006 che introduce la "finzione giuridica" secondo cui "i rifiuti provenienti da attività di manutenzione si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività". Ciò consente l'esonero dal formulario di identificazione, esclusivamente per il trasporto dal luogo effettivo di produzione alla sede o domicilio del soggetto che esercita l'attività e, altresì, di effettuare il deposito temporaneo presso la sede o il domicilio del soggetto, ovviamente entro i limiti di cui all'art. 183, comma 1, lett. m).


2.6 Attività di compostaggio della frazione verde

Per i soggetti che trattano in conto proprio i residui verdi provenienti dalla propria attività agricola, è ammesso il compostaggio presso il sito, senza necessità di autorizzazione, qualora il compost prodotto venga utilizzato nella stessa attività. Il compost prodotto deve essere riutilizzato compatibilmente alle esigenze agronomiche delle specie vegetali coltivate (D.G.R.V. 568/2005, capitolo 9).

Negli altri casi l’attività di compostaggio del rifiuto verde deve essere autorizzata. L’attività di compostaggio può avvenire in regime di comunicazione, nei casi previsti dal DM 05.02.1998 o nei restanti casi, in regime di autorizzazione ordinaria.

Quest’ultima autorizzazione va richiesta ai sensi del D. Lgs. 152/2006 e della D.G.R.V. 568 del 25.02.2005 che prevede due modalità operative, soggette a diverse prescrizioni tecniche, gestionali e di controllo:
• attività di compostaggio con minimi apprestamenti tecnici, se si trattano solo residui verdi per una potenzialità di stoccaggio e di trattamento annua per un massimo di 1000 t, ammettendo anche il trattamento di residui verdi di altre aziende e senza l’obbligo di utilizzare il compost nella sola attività dell’azienda, ma con la possibilità di commercializzarlo in quanto ammendante;
• attività di compostaggio per impianti superiori, o che trattano rifiuti organici di tipologie diverse di provenienza varia (urbana, industriale, ecc.).


2.7 Divieto di combustione all'aperto

Nel settore agricolo è consuetudine procedere all’eliminazione dei residui della potatura, e nella Provincia di Treviso ciò vale in particolare per la coltura della vite, mediante la combustione in situ. Tale pratica trova supporto normativo solamente se giustificata dalla presenza di problemi fitosanitari che ammettono le deroghe di ordine sanitario.

Nell’ambito della Politica Agricola Comunitaria dettata dall’Unione Europea sono stati introdotti criteri a favore delle aziende agricole condizionati alla conservazione e tutela del territorio.

Le disposizioni per l’attuazione della Politica Agricola Comunitaria (PAC) sono stati recepite a livello nazionale dal DM n.1787 del 05.08.2004 e dal DM 5406/St del 13.12.2004 e a livello regionale dalla D.G.R.V. n. 347 del 24.02.2006.

Tra le Buone Condizioni Agronomiche ed Ambientali (BCAA), all’interno dell’obiettivo 2 inerente il mantenimento dei livelli di sostanza organica nel suolo mediante opportune pratiche, la norma 2.1 regola la gestione delle stoppie e dei residui colturali. E’ vietata espressamente la bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonché della vegetazione presente al termine dei cicli produttivi di prati naturali o seminati. Tale prescrizione è stata ripresa nell’Allegato B alla D.G.R. n. 3922 del 16/12/2008.

Tale divieto è imposto "al fine di favorire la preservazione del livello di sostanza organica presente nel suolo nonché la tutela della fauna selvatica e la protezione dell’habitat.”

La citata D.G.R.V. 347 ricorda che la vigente legislazione regionale, all’articolo 24 delle Prescrizioni di massima polizia forestale approvate con provvedimento n. 83 adottato dal Consiglio regionale il 8.12.1980, prevede il divieto a chiunque di accendere fuochi all’aperto nei boschi o a una distanza minore di metri 100 dai medesimi.

Quindi prescrive il divieto della bruciatura delle stoppie, delle paglie e dei residui colturali lasciati in campo successivamente alla raccolta.

Nel caso di deroga a tale divieto, è necessario effettuare interventi alternativi di ripristino del livello di sostanza organica del suolo tramite sovescio, letamazione o altri interventi di concimazione organica.

Le deroghe sono ammesse nei seguenti casi:

a) per le superfici investite a riso;

b) nel caso di provvedimenti regionali vigenti, inerenti la regolamentazione della bruciatura delle stoppie. Tale deroga è, comunque, sempre esclusa, salvo diversa prescrizione della competente autorità di gestione, all’interno dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciali, individuati ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE;

c) interventi di bruciatura connessi ad emergenze di carattere fitosanitario esclusivamente se prescritti all’Unità Periferica per i Servizi Fitosanitari della Regione del Veneto.

Il Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera, approvato dal Consiglio Regionale con deliberazione n. 57 dell'11 novembre 2004 e pubblicato sul B.U.R.V. n. 130 del 21.12.2004, ha individuato tra le misure di carattere programmatico nella lotta all’inquinamento atmosferico, in particolare da polveri sottili (PM10), il divieto di combustione all’aperto dei residui agricoli.

Tale divieto è stato successivamente recepito nei Piani comunali di mantenimento, risanamento e azione previsti dal sopracitato Piano regionale e nelle specifiche ordinanze sindacali che i singoli comuni hanno emanato nel tempo per la riduzione dell’inquinamento atmosferico e la salvaguardia della salute pubblica. Molti comuni della Provincia hanno adottato con ordinanza contingibile ed urgente le misure di contenimento degli inquinanti atmosferici proposte dalla Provincia con nota del 29/02/2008, prot. 2008/25775, tra cui si legge "il divieto di combustione all'aperto, in particolare in ambito agricolo e di cantiere, con l'eccezione dei tralci delle viti se soggette ad obbligo di combustione per disposizioni regionale con finalità antiparassitaria".

Va ricordato infine che recenti sentenze della magistratura ordinaria hanno affermato il principio rilevando che "l'eliminazione con il fuoco deve definirsi una forma di smaltimento e non può essere considerata una forma di utilizzazione del prodotto nell'ambito dell'attività agricola; la tesi per cui le ceneri costituirebbero un concimante naturale non trova riscontro nelle tecniche di coltivazione attuali".
 

 


* Direttore Generale  e Dirigente Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale
Provincia di Treviso

 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 04/03/2009

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