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La responsabilità da contatto sociale qualificato e suoi rapporti con gli obblighi di protezione. In particolare: responsabilità da incompleta o inesatta informazione commerciale con riferimento ai casi di:

1) lettera di patronage; 2) pubblicità ingannevole; 3) errato prospetto informativo o omesso controllo dello stesso da parte della CONSOB; 4) omesse, incomplete o errate informazioni rilasciate agli investitori dagli intermediari finanziari.

 

BARBARA BLASCO

 

 


 La responsabilità da “contatto sociale qualificato” è una particolare forma di responsabilità, nata proprio per venire incontro alle nuove e molteplici esigenze, tipiche della moderna società, relative al risarcimento dei danni, aldilà dello schema, certamente troppo riduttivo, che vede la tradizionale bipartizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. L'espressione "contatto sociale qualificato", viene ad indicare una relazione che intercorre tra due o più soggetti che, in quanto implicante l'ingerenza nella sfera giuridica altrui, comporta il sorgere di doveri di collaborazione e protezione volti a salvaguardare le aspettative ingenerate.
In particolare, infatti, il nostro ordinamento è oggi particolarmente garantista nel riconoscere tutte quelle aspettative, giuridicamente tutelate proprio perché fondate su interessi meritevoli di protezione, ed a tal fine si attribuisce, in capo a determinate categorie di soggetti proprio una posizione di garanzia, a presidio di importanti interessi giuridici. Si tratta, in sostanza, dei c.d. rapporti contrattuali di fatto, privi, cioè, di una base negoziale, ma modellati, comunque, sulla falsariga delle fattispecie contrattuali tipiche e costituiti per effetto del solo contatto sociale, superando, in tal modo, i rigorismi tipici dell’insorgere della responsabilità extracontrattuale, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2043 del codice civile.
Una parte della dottrina qualifica la responsabilità da contatto sociale qualificato come figura derivante dalla rivisitazione di ipotesi di responsabilità extracontrattuale poco convincenti (dalla responsabilità precontrattuale a quella della PA), per agevolare l'onere probatorio e la durata della prescrizione e grazie ad una concezione della buona fede come buona fede protettiva (sub specie di dovere di salvaguardia e di informazione). Doveri ritenuti imprescindibili per ovviare alle asimmetrie informative ricollegabili alle posizioni dominanti dei professionisti nei confronti di utenti o consumatori.
Funge, di certo, da naturale corollario alla responsabilità da contatto sociale qualificato, infatti, il principio dell’affidamento nell’osservanza delle prescrizioni cautelari, principio questo, espressione di quella legittima aspettativa, giuridicamente tutelata, all’osservanza di regole cautelari di condotta nell’ambito di svariati settori e, in particolar modo, in quelli in cui possono più facilmente emergere fonti di pericolo e rischi, in grado di arrecare pregiudizio a beni o interessi giuridicamente rilevanti.
L’affidamento è, dunque, un aspetto relativo all’osservanza di regole cautelari di condotta su quelle attività connotate da rischi latenti, onde per cui i soggetti operanti in specifici settori e ricoprenti determinati ruoli, rivestono anche posizioni di garanzia. Con esse, in sostanza, si vigila sull’insorgenza di fonti di pericolo per proteggere, in tal modo, beni ed interessi giuridici rilevanti, e tanto se l’obbligo protettivo deriva da un contratto, ed i soggetti sono parti di un regolamento negoziale, quanto se tale obbligo è imposto dalla legge e coinvolge anche soggetti terzi. Di recente, su stimolo dell’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione, si è detto come la responsabilità da contatto sociale avrebbe, dunque, natura "latu sensu" contrattuale in quanto, comunque, "presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un certo soggetto o una determinata cerchia di soggetti"; la fonte di tale responsabilità verrebbe, quindi, individuata nel contratto inteso in senso più ampio e non nell'accezione fornita dall'art.1321 c.c..
Da ciò si deduce che la violazione degli obblighi di protezione scaturenti dal contatto sociale viene a determinare una responsabilità di tipo contrattuale.
La rilevanza del contatto sociale permette di giuridicizzare alcuni obblighi comportamentali che prescindono dalla previa conclusione di un contratto tra le parti e di ricollegarvi specifici doveri di protezione.
In siffatta categoria vengono ricondotte le ipotesi nelle quali assume rilievo, ad es. l'affidamento di una parte nella correttezza comportamentale dell'altra, nella fondatezza e completezza delle informazioni fornite, nella professionalità e nelle competenze tecniche del soggetto che ingenera il suddetto affidamento.
La posizione di garanzia, fonte dell’altrui legittimo affidamento, è teleologicamente finalizzata ad impedire lesioni alle situazioni giuridiche, tanto se di natura personale, quanto patrimoniale, e ciò viene posto in essere anche vigilando sull’operato altrui e sul rispetto degli obblighi cautelari e comportamentali. Solo in tal modo, infatti, il soggetto che riveste la posizione di garanzia non sarà in colpa, avendo riparato o prevenuto anche le violazioni commesse da altri. Il fondamento dell’obbligo di attivarsi si rinviene, dunque, nell’articolo 40 cpv del c.p, in virtù del quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico d’impedire, equivale a cagionarlo”.
Per individuare i soggetti sui quali incombono tali obblighi di attivarsi, sono state formulate due teorie. La prima, la teoria formale, più rispettosa del principio di riserva di legge, per cui un obbligo rilevante ex articolo 40 c.p., può nascere solo dalla legge, penale o extrapenale, o dal contratto. La teoria funzionale, invece, si aggancia alla base fattuale e non alla giuridicità della fonte, riferendosi al criterio sostanziale dell’effettività del dominio del garante sui fattori causativi dell’evento.
In questa sede, più in particolare, siamo chiamati a soffermarci sulla responsabilità che può derivare in caso di incompleta o inesatta informazione commerciale.
Preliminarmente, occorre sottolineare come tutta questa materia abbia subito un effettivo impulso proprio grazie all’intervento del legislatore comunitario che, considerando il fatto che il consumatore è spesso ed innegabilmente la parte contrattuale più debole, in determinati settori, particolarmente delicati, ha attribuito, per una sua massima tutela del consumatore, ai professionisti con i quali egli viene in rapporto, una speciale posizione di garanzia, proteggendoli, così facendo, dal rischio latente di abusi contrattuali.
Sinteticamente, infatti, si può osservare come il Codice civile prima, lo Statuto dei Consumatori poi, ed infine il Codice di Consumo, emesso nel 2005 con il D.Lgs. 206, hanno di fatto recepito le direttive comunitarie, diventando oggi i riferimenti normativi ai quali ispirarsi per individuare e tutelare le posizioni giuridiche del consumatore.
In tal modo, perciò, sono stati codificati gli obblighi d’informazione, a protezione della parte contrattuale più debole, al fine di riequilibrare le evidenti asimmetrie informative. Tali obblighi costituiscono, in sostanza, un precipitato del dovere di correttezza e buona fede risolventesi in obblighi di protezione imposti sia nella fase delle trattative che in quelle della formazione e nell'esecuzione del contratto.
Nella prima fase, essi attengono ad esigenze di chiarezza e trasparenza finalizzate al buon esito delle trattative oltre che di garanzia per la più ampia e consapevole scelta autodeterminativa in ordine all'assunzione del vincolo contrattuale.
Nella seconda fase attengono ad esigenze di conoscenza del contenuto programmatico del contratto, di solito unilateralmente predisposto da un professionista e soprattutto del complesso di diritti ed obblighi che ne scaturiscono.
Nella terza fase si giustificano nell'ottica di una continua esigenza di adeguamento dell'esecuzione del rapporto contrattuale a fronte di sopravvenienze che possono determinarne la modificazione o l'inattuazione.
Fatto questo breve, ma doveroso, excursus storico che ha consentito al consumatore di poter usufruire di effettivi strumenti di tutela, occorre soffermarci sulla responsabilità da incompleta o inesatta informazione commerciale, rilasciata da chi, invece, è chiamato per legge a salvaguardare e proteggere il consumatore-cliente, in quanto si tratta di soggetti professionisti, titolari, come detto, di una speciale posizione di garanzia e protezione.
E’ bene premettere, anzitutto, che il contenuto del dovere d’informazione, nell’ambito dei rapporti negoziali, consiste nel rendere nota all’altro contraente ogni notizia rilevante ai fini della conclusione del contratto. Tale obbligo è, in sostanza, espressione specifica di quel più generale dovere di buona fede ed ha un ruolo accessorio e strumentale, atto a condurre le parti alla conclusione consapevole di un contratto valido. La carenza d’informazioni è, infatti, una delle più frequenti cause di squilibrio contrattuale, in quanto solo chi è correttamente informato è in condizione di tutelare efficacemente i propri interessi.
Proprio per questo, il diritto all’informazione costituisce uno dei pilastri sui quali si fonda la tutela del consumatore, rientrando nei più generali obblighi di protezione della parte contrattuale più debole.
Il dovere d’informazione ed il correlativo diritto di essere informati, è doveroso fornirlo nell’intero iter contrattuale ed infatti può rilevare in diverse fasi, in quanto si può collocare tanto in una fase anteriore all’istaurarsi del rapporto precontrattuale, è questa la fase contrattuale “generica” in cui, cioè, si pongono le basi per un’eventuale trattativa futura e nella quale è obbligatorio fornire le principali caratteristiche dei beni e dei servizi, quanto in una fase precontrattuale vera e propria, nella quale, con corretti obblighi informativi, si rende possibile una trattativa rispondente ai principi della par condicio, proprio perché si evita ogni sorpresa dovuta ad un’asimmetria informativa, garantendo, così, la trasparenza nella contrattazione, impedendo l’altrui reticenza, ai sensi dell’articolo 1439 c.c. Se ricondotti agli obblighi di protezione posti a presidio anche della fase delle trattative e della formazione del contratto, una volta concluso il contratto, i doveri di salvaguardia in cui si sostanziano, ex artt. 13337 e 1338 c.c. si trasformano in veri e propri obblighi giuridici ex artt.1175 e 1375 c.c. nell'un caso venendo in rilievo, in caso di loro inosservanza, la violazione del divieto del neminem laedere di cui all'art.2043 c.c., nell'altro, la violazione dell'art.1218 c.c.
La nozione di trasparenza contrattuale, per essere di efficace portata, e non tradursi solo in una formula meramente teorica, deve comportare che il contenuto del contratto sia chiaro, onde evitare l’insorgere di qualsiasi dubbio interpretativo, e comprensibile da parte di qualunque soggetto, anche se non particolarmente esperto (ciò è particolarmente avvertito soprattutto se i contratti sono scritti, tanto che si è addirittura parlato di un vero neo formalismo, di matrice comunitaria con funzione protettiva). In particolare, il legislatore comunitario è partito dal fatto che l’asimmetria informativa è una delle principali cause di fallimento del mercato ed ha rielaborato i tradizionali obblighi d’informazione imposti ai contraenti, per ridurre la disparità che spesso c’è tra di loro, soprattutto nei contratti di consumo, in cui la controparte è un professionista ed in cui l’obbligo in oggetto si può disattendere sia con informazioni false, che attraverso omissioni ingannevoli.
Varie sono le fonti comunitarie recepite da noi, basti pensare a quelle in tema di pubblicità ingannevole, che sanzionano il messaggio che può indurre in errore e pregiudicare le scelte in merito all’adesione al contratto (si pensi, ad esempio, al D.Lgs. 74/1992, novellato con il D.Lgs. 67 del 2000, testo di legge questo, esemplificativo della tendenza, ormai consolidata, a spostare la tutela delle posizioni soggettive nei confronti dell’obbligo d’informazione, soprattutto nell’ambito dei rapporti commerciali e professionali, dall’ambito contrattuale o precontrattuale, ad una fase ancora precedente, ossia al momento della diffusione delle notizie-informazioni induttive all’approccio contrattuale); oppure le norme sulle vendite fuori dai locali commerciali, che impongono la conoscenza dei diritti a tutela del consumatore, e stabiliscono la possibilità di avere un diritto al ripensamento sull’acquisto effettuato, entro un determinato lasso di tempo. Così anche il codice del consumo prevede un diritto ad esperire un’azione individuale e collettiva, ad inibizione di comportamenti scorretti, o la legge sulla subfornitura, che impone la forma scritta per tali contratti, in quanto sancisce la nullità per difetto di forma o nel caso in cui il prezzo o altri elementi importanti non siano determinati in modo chiaro e comprensibile.
L’esigenza di riempire tale divario informativo è particolarmente avvertita nei contratti d’opera professionale, regolati dall’articolo 2229 e seguenti del c.c, nei quali la prestazione richiede un alto grado di cultura e conoscenze tecniche e professionali, alla quale, dunque, occorre adempiere con quella diligenza qualificata di cui al secondo comma dell’articolo 1176 del c.c. Occorre, quindi, che colui che fornisce tale prestazione sia in professionista qualificato, iscritto in appositi albi, che assolve ad una posizione di garanzia, essendo egli stesso garante della controparte contrattuale.
Ci si riferisce, in sostanza, all'attività degli intermediari finanziari, e, cioè, di soggetti iscritti presso appositi registri per l'attività professionale qualificata che svolgono attività di investimento su strumenti mobiliari, in favore degli investitori-risparmiatori.
Le banche, infatti, possono vendere prodotti finanziari ai clienti sia mediante la sollecitazione al pubblico risparmio, sia mediante una negoziazione a base individuale. Nel primo caso troverà applicazione il Regolamento della Consob n.11971 del 1999 emanato in attuazione degli artt. 94 e seg. del TUF che impone la pubblicazione del prospetto informativo.
Nel secondo caso, la disciplina è contenuta nel Reg. Consob n.16190 del 2007 che, recependo la direttiva MIFID, ha sostituito il Reg. Consob n.11522 del 1998, emanato in e degli art.21 e segg. del TUF che impone a tutti gli intermediari specifiche regole di comportamento, e le esigenze di tutela dell'investitore finale sono, dunque, assicurate dal complesso degli obblighi posti a carico degli intermediari. Egli è tenuto a predisporre appositi documenti, come quello sui rischi generali dell'investimento, la scheda per l'individuazione del profilo del cliente e, inoltre, sui singoli ordini di negoziazione degli strumenti finanziari, deve apporre un visto che attesti l'adeguatezza dell'operazione, riguardo ai profili della tipologia, dell'oggetto, della dimensione e della frequenza.
Dunque, l'intermediario deve assolvere a numerosi e complessi obblighi di informazione per garantire una consapevole e completa informazione sui diritti e sugli obblighi nascenti dal contratto.
A tal proposito, s’inserisce il discorso relativo alla responsabilità dell’intermediario finanziario, a fronte di una carenza d’informazioni in merito al rischio economico, coinvolgente l’utente-risparmiatore, sua controparte contrattuale.
Il testo unico in materia d’intermediazione finanziaria (d.Lgs. 58 del 1998) valorizza proprio il ruolo dell’informazione nel mercato finanziario e prevede l’imposizione di obblighi informativi tra intermediari e consumatori, prima dell’acquisto di titoli e della stipula del relativo contratto.
Occorre, dunque, che l’intermediario suggerisca al risparmiatore gli investimenti per lui più giusti, tant’è che in dottrina c’è chi ha detto che egli abbia l’obbligo “d’informarsi per informare”, ovvero deve parametrare l’operazione economica suggerita all’utente alla sua stessa attitudine al rischio, onde evitare l’insorgere di una colpa professionale, a lui addebitabile.
In particolare, la contrattazione tra intermediario finanziario ed il consumatore-risparmiatore, si articola in un contratto quadro, concernente la prestazione di servizi d’investimento e che dev’essere stipulato in forma scritta, trattandosi di un contratto di durata, proprio perché le operazioni finanziarie sono a lungo o medio termine, ed i singoli contratti a valle, con i quali il consumatore, tramite l’intermediario ed in esecuzione del contratto, acquista i singoli titoli.
Ciò premesso, occorre vagliare le conseguenze in caso di mancata comunicazione al consumatore delle informazioni necessarie per un affare consapevole.
Una parte della dottrina ritiene che sia ravvisabile, in capo a tali soggetti una sorta di responsabilità di tipo precontrattuale, ma non riesce a spiegare in che termini possa trovare applicazione l'art.1337 c.c. qualora venga stipulato un contratto formalmente valido.
Sia la dottrina che la giurisprudenza, tuttavia, ritengono che non osta alla configurabilità della responsabilità contrattuale l'avvenuta stipulazione del contratto. Infatti, la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, assume rilievo non soltanto in caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e, ciò nonostante risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; in tale ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggiore aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente conseguenziale e diretto.
L'accoglimento della tesi della responsabilità precontrattuale ripropone, inoltre, i problemi di inquadramento nell'ambito della responsabilità contrattuale o extracontrattuale.
In effetti, l'intermediario opera sulla scorta di un particolare affidamento, cui deve corrispondere una condotta improntata ai principi di correttezza, trasparenza e diligenza nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati. E' per tali ragioni che il rapporto che si instaura con i risparmiatori può considerarsi come contatto sociale qualificato, in grado di far sorgere obblighi di protezione tali da salvaguardare il risparmiatore.
Un’altra soluzione è la nullità e prende le mosse dal fatto che la norma che impone l’obbligo d’informazione nei confronti del consumatore è una norma imperativa e di protezione e la sua violazione comporta una nullità relativa o virtuale.
Quando si parla di nullità di protezione o relativa, si fa riferimento a quel regime speciale d’invalidità posto a tutela della parte contrattuale più debole e, dunque, più esposta ad abusi contrattuali, regime questo, sancito definitivamente con l’articolo 36 del codice del consumo, che ha recepito l’articolo1469 quinquies del c.c. Questo tipo di nullità speciale, parziale proprio perché non investe l’intero contratto nella sua totalità, e relativa, perché non può essere rilevata da tutti indiscriminatamente, ma solo da colui il quale ha un effettivo interesse al suo esperimento, è posta a presidio del consumatore ed è stata sollecitata proprio dalla normativa comunitaria.
In tal modo, dunque, la tutela da formale diventa sostanziale, perché si consente di applicare il contratto depurato dalla clausola lesiva degli interessi del soggetto economicamente più debole, anche se, comunque, in presenza di vizi gravi, contenutistici o formali, la nullità continua necessariamente ad investire l’intero contratto.
Sono state tante, tuttavia, le critiche di fondo mosse al concetto di nullità di protezione per difetto d’informazione, tra queste, in particolare, si è sottolineato soprattutto la rigidità di tale sanzione, che consegue in via automatica alla violazione della norma imperativa, non consentendo altri meccanismi repressivi dei comportamenti scorretti. Difficile è stato, inoltre, conciliare tale tipi di nullità, esperibile solo dalla parte contrattuale che è stata da essa lesa, con il principio generale di rilevabilità d’ufficio della nullità da parte del giudice.
Fondamentalmente, dunque, occorre intendere come la rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione ad opera del giudice, si giustifica in un’ottica di strategia giudiziaria, a rafforzamento e supporto della tutela del consumatore che non l’abbia impugnata da solo.
L’interprete agisce, in sostanza, per ridimensionare le clausole gravatorie della posizione giuridica del contraente più debole, ma per il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, potrà fare ciò solo qualora sia stato chiesto in giudizio dal professionista l’adempimento del contratto e l’esecuzione della clausola abusiva. Il giudice, dunque, potrà imporre l’adempimento del contratto, che sia stato depurato, perciò, dalla clausola nulla.
Anche la Corte di Cassazione, intervenuta su tale aspetto, (con pronuncia 19 dicembre 2007, n.26724), ha stabilito che la violazione del dovere di informare il cliente e del divieto di effettuare operazioni in conflitto di interessi con lo stesso o inadeguate al suo profilo patrimoniale, non determinerebbero la nullità del contratto di intermediazione finanziaria per violazione di norma imperativa, afferendo tale sanzione ad un vizio genetico dello stesso non ad un vizio funzionale. I doveri di correttezza comportamentale afferirebbero, dunque, alla fase contrattuale vera e propria.
Secondo una diversa impostazione, la mancanza di informazioni integra l’inadempimento di un obbligo contrattuale che, se grave, comporta una risoluzione del contratto, con i relativi obblighi restitutori e risarcitori. La violazione di tali doveri, in sostanza, se realizzata nella fase precedente o coincidente alla stipulazione del contratto daranno luogo alla responsabilità precontrattuale con il conseguente obbligo di risarcimento dei danni; viceversa, se realizzata nella fase di esecuzione del contratto, verrà in rilievo una responsabilità contrattuale per inadempimento o inesatto adempimento, con conseguente possibilità di risoluzione del contratto stesso e con il correlativo obbligo di risarcimento dei danni.
Tuttavia, così, il consumatore subirebbe un aggravio della sua posizione processuale, in quanto l’azione di risoluzione, a differenza di quella di nullità, è soggetta a prescrizione, ed inoltre dovrà provare in giudizio l’importanza dell’inadempimento, cosa che non è sempre facile.
Un’altra strada mira a sanzionare la mancanza dell’obbligo informativo solo dal punto di vista risarcitorio, e si basa sull’articolo 1440 del c.c. relativo al dolo incidente, vizio che non comporta invalidità del contratto, ma il solo rimedio risarcitorio, articolo che assurge, perciò, a regola generale. La responsabilità che ne deriva è, dunque, analoga a quella che il consumatore può fare valere in caso di violazione dell’obbligo informativo, in quanto il contratto è sì valido, ma il suo contenuto è inidoneo a realizzare i suoi effettivi interessi ed è pregiudizievole. Si può parlare, in sostanza, di una sorta di responsabilità precontrattuale “oggettiva”.
Certo è che il danno patrimoniale che subisce l’utente risparmiatore è risarcibile tanto sotto il profilo del lucro cessante, quanto del danno emergente e l’onere probatorio graverà sul professionista, che dovrà dimostrare di aver informato in maniera adeguata ed efficace.
In merito all’entità del danno da risarcire, se si ragiona nell’ottica dell’interesse precontrattuale, il danno dovrebbe essere commisurato all’interesse negativo, ma ciò non è configurabile, perché non c‘è lesione del diritto a non essere coinvolti in trattative inutili, dato che il contratto è stato stipulato. Tuttavia, altrettanto inesatto è parlare d’interesse positivo, perché non c’è alcuna in esecuzione contrattuale, ma piuttosto ci si lamenta per la non vantaggiosità del contratto. Più condivisibile appare la tesi della più recente giurisprudenza, secondo la quale andrebbe risarcito l’interesse differenziale, come nell’azione quanti minoris della compravendita. Il danno risarcibile, dunque, sarebbe commisurato al maggior vantaggio o al minor danno che il consumatore avrebbe tratto dal contratto, se fosse stato adeguatamente informato.
La responsabilità dell’intermediario, inoltre, sarà solidale con quella della società d’intermediazione finanziaria e dell’istituto bancario, a rafforzamento massimo della tutela dell’utente che, in tal modo, potrà rivalersi nei loro confronti, essendo garantito da un doppio patrimonio.
Spostandoci adesso su un altro aspetto, ovvero sulla responsabilità della Consob per errato prospetto informativo ed omesso controllo sullo stesso, occorre dire che tale Autorità amministrativa indipendente (altrimenti detta Authority) è chiamata per legge ad esercitare un controllo di tipo tecnico sulla congruenza dei dati forniti agli utenti-risparmiatori sui prospetti informativi ed i dati di bilancio, rivestendo, in sostanza, una posizione di garanzia nei loro confronti, a tutela di interessi diffusi. Qualora, invece, la Consob tenga un comportamento inerte ed omissivo, sarà ascrivibile anche in tal caso una responsabilità da false ed inesatte informazioni commerciali, qualora si dimostri, però, la sussistenza del nesso di causalità tra l’acquisto dei valori mobiliari da parte degli utenti privati ed i comportamenti di omesso controllo istituzionale posti in essere dalla Consob, l’Autorità di vigilanza sulla società e la borsa sarà responsabile in via extracontrattuale per il danno procurato agli utenti a seguito del controllo parziale ed incompleto.
Occorre, infatti, scindere il rapporto tra la Consob e gli operatori professionali nel settore del mercato mobiliare, ovvero gli intermediari finanziari, ed il rapporto della Consob con i risparmiatori o investitori, cioè gli utenti privati.
In relazione ai primi, infatti, come visto precedentemente, in caso di carenza informativa, emergerà una responsabilità contrattuale nei confronti degli utenti privati che lamentino l’insorgere di un danno economico da carenza informativa, ma, d’altro canto, proprio gli intermediari finanziari potranno a loro volta rivalersi eventualmente sulla Consob che non abbia adeguatamente sorvegliato sui prospetti informativi da loro diffusi.
Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra l’utente-risparmiatore, leso nella sua libertà di autodeterminazione all’investimento proprio dall’inesatta o carente informazione e la Consob stessa, occorre sottolineare come i primi siano i beneficiari finali dell’intera attività posta in essere dall’Authority, pur non essendo direttamente legati da un rapporto di natura contrattuale con la stessa, e ciò si giustifica in virtù del fatto che la Consob è titolare di una posizione di garanzia nei confronti di tutti i risparmiatori e, perciò, sarà eventualmente a lei imputabile per responsabilità da contatto sociale qualificato, il danno economico lamentato dagli utenti-risparmiatori.
Più di recente si è sostenuto che i risparmiatori vantano una posizione di diritto soggettivo nei confronti della Consob che è tenuta a proteggerli garantendo l'affidabilità dei prospetti informativi e la loro conformità alle prescrizioni di legge e di regolamento. Il danno, eventualmente dagli stessi lamentato, infatti, deriva non dall'esercizio di un potere, ma dal mancato adempimento di un dovere.
Anche gli intermediari finanziari possono dolersi dell'inadeguato controllo da parte dell'autorità di vigilanza, qualora, sulla base di tali dati, consiglino ai risparmiatori degli investimenti dannosi. Essi, comunque, secondo l'orientamento della Corte vanterebbero solo un interesse legittimo nei confronti della Consob.
Infine, sulla responsabilità da false o incomplete informazioni commerciali fornite da un soggetto qualificato, qual è la banca, informazioni sempre più spesso richieste dai contraenti, al fine di acquisire quelle notizie sulla situazione patrimoniale ed imprenditoriale dei propri contraenti e per valutare l’opportunità e la convenienza del contratto. Occorre sottolineare come tali informazioni commerciali, nel caso in cui si rivelino false o inesatte, pongono il problema di valutare la responsabilità dell’istituto bancario che le ha fornite. Tale tipo d’indagine, infatti, dovrà farsi caso per caso, tenendo conto della natura dei contraenti e del rapporto che li lega: potrà, infatti, essere stato stipulato tra le parti un vero e proprio contratto atipico, in cui la banca si impegna a fornire le informazioni richieste (cosa che comporterà, eventualmente, una sua responsabilità contrattuale, ai sensi dell’articolo 1218 c.c.); mentre diversa è l’ipotesi in oggetto, qualora tra banca e cliente corra solo un rapporto di cortesia, o se le informazioni siano state fornite in virtù di una prassi consolidata, in quanto in tali casi, la banca sarà considerata alla stregua di un soggetto terzo, rispetto al contratto da concludersi, nascendo una responsabilità precontrattuale.
Si distingue, a tale riguardo, l'informazione che è resa in via amichevole o a titolo di mera cortesia, l'informazione-prodotto che rileva allorquando si diffondono notizie volte a pubblicizzare certi prodotti ed a favorirne la diffusione sul mercato, l'informazione-servizio, che si inquadra in un vero e proprio servizio pubblico.
L'informazione-prodotto e l'informazione-servizio presuppongono che la notizia provenga da un soggetto professionalmente qualificato e vengono a creare un ragionevole affidamento in capo ai soggetti che, sulla base di tali notizie, procedono alla stipula di un contratto.
Per valutare, dunque, la responsabilità della banca dovrà, preliminarmente, verificarsi se le informazioni siano state fornite spontaneamente dalla banca o, invece, richieste dal cliente, e inoltre, per determinare la misura dell’affidamento, dovrà valutarsi la professionalità del soggetto che fornisce le informazioni e l’oggetto della notizia, essendoci sicuramente maggiore affidamento in quelle notizie che richiedono una mera ricognizione, non così, invece, quando sia necessaria anche un’attività di valutazione da parte della banca.
Un ultimo aspetto da approfondire emerge quando la banca abbia rilasciato un benefondi errato. In pratica, pur non rilevando in capo alla banca un esplicito obbligo giuridico di fornire informazioni in merito alla presenza di fondi nel conto di un proprio cliente, si ritiene che la stessa sia comunque tenuta a fornire informazioni esatte al fine di assicurare la sicurezza dei traffici.
A prescindere da una prassi in tal senso, il problema viene risolto sulla base dell'esistenza del cd. contatto sociale qualificato che viene ad instaurarsi tra le due banche, che, in sostanza, fanno affidamento sulla reciproca correttezza comportamentale. Inoltre, l'informazione riguardante l'esistenza o meno di un'adeguata provvista economica è un'informazione specifica ed elementare che non presuppone alcun elemento valutativo da parte del soggetto a cui viene rivolta la richiesta.
Nell'ambito delle società collegate per conseguire finanziamenti bancari, particolare rilevanza assumono le cd. lettere di patronage. Esse hanno la funzione di garanzia personale atipica e di strumento di promozione del credito. Sono dichiarazioni di gradimento che, di regola, una società cd. controllante invia a una banca al fine di presentarle un'aspirante cliente (che di solito è una società controllata), al fine di indurla a concederle credito, assicurando che essa potrà far fronte ai propri impegni in caso di conclusione di contratti di finanziamento.
Il problema del tipo di responsabilità sussiste anche nel caso delle “lettres di patronage”. A tal proposito, secondo quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, occorre distinguere tra le lettere forti, ossia quelle che contengono enunciazioni sulla consistenza patrimoniale e sulla solvibilità; e lettere deboli, aventi ad oggetto solo la posizione societaria. In particolare, infine, dalle prime può nascere solo un obbligo indennitario, riconducibile alla promessa per fatto del terzo, mentre dalle seconde può derivare, tutt’al più, una responsabilità per non corretta informazione precontrattuale.
Nei casi in cui vengano fornite false informazioni dalla società capogruppo relativamente alle condizioni patrimoniali, economiche e finanziarie del contraente, alla consistenza della partecipazione della società controllante nella società controllata e, conseguentemente, all'affidabilità e serietà della società stessa al fine di ottenere un finanziamento e tali informazioni siano in grado di influenzare la decisione dell'ente finanziatore, incidendo sul processo formativo del contratto tra quest'ultimo ed il soggetto patrocinato, "creando ragionevoli aspettative sul buon esito dell'operazione" viene a configurarsi una responsabilità di tipo precontrattuale per lesione della libertà negoziale da non corretta informazione.
E' indubbio, comunque, che la dichiarazione crei nella banca un affidamento sul buon esito dell'operazione che legittimerebbe l'applicazione degli artt.1337 e 1338 c.c.

 

 


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 22/06/2010

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