AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
La tutela dell'acqua
a cura di
LEONARDO SALVEMINI*
Sommario: Premessa; Acqua e Ambiente; L’Acqua: una risorsa
insostituibile nel contesto dello sviluppo sostenibile; La tutela dell’acqua:
normativa di riferimento; L’inquinamento dell’acqua; L’inquinamento/
contaminazione dell’acqua ;Inquinamento dell’acqua da uso civile; Inquinamento
dell’acqua da uso agricolo, industriale e termico; Inquinamento dell’acqua da
idrocarburi; inquinamento atmosferico/ piogge acide; conclusioni; Bibliografia;
Giurisprudenza
1. PREMESSA
Nel considerare il rapporto tra uomo e ambiente, il mondo antico ha
largamente privilegiato il problema dell’influenza dell’uomo sull’ambiente1.
Nel V secolo a.c. appare diffusa in Grecia la teoria del “determinismo
ambientale”, promossa dalla scuola di Ippocrate, secondo cui ambiente naturale,
distribuzione delle risorse, clima predeterminano le caratteristiche fisiche e
culturali della popolazione
La percezione che l’acqua come bene economico e sociale ha portato alla
consapevolezza della sua importanza nei differenti sistemi socio-economici,
culturali e politici.
L’acqua è una risorsa scarsa che richiede una gestione efficiente per difenderla
e garantirla alle generazioni future.
La tutela e l’uso razionale delle risorse idriche rappresentano pertanto
obiettivi molto impegnativi da raggiungere, considerate la varietà e la
complessità delle problematiche da affrontare e, soprattutto, le difficoltà di
avviare politiche che riservino particolare attenzione all’attuazione operativa
del nuovo indirizzo.
Un’efficace tutela dell’ambiente, in particolare delle risorse idriche –
condizione primaria della sostenibilità dello sviluppo - non si può realizzare
con il tradizionale approccio settoriale e di emergenza, ma richiede una
politica preventiva che incida sulle cause e porti quindi ad una revisione delle
politiche economiche e sociali che determinano le trasformazioni dell’ambiente.
L’acqua rappresenta una risorsa vulnerabile non infinita, essenziale per la vita
sulla terra, per lo sviluppo, per l’ambiente e per l’intero ecosistema.
Sebbene infatti la Terra appaia a chi la osservi dalla spazio un pianeta
colorato di azzurro per la presenza delle immense distese oceaniche, solo una
piccola frazione dell'acqua presente su di essa è effettivamente utilizzabile
per le esigenze umane. Questa risorsa vitale deve dunque essere preservata,
governata e resa disponibile a tutti, anche per evitare, in casi estremi,
conflitti tra gli Stati.
Di tutta l'acqua presente sulla Terra solo il 2,5% è dolce. La parte restante
appartiene a mari e oceani. Di questo 2,5% il 68,9% è imprigionato nelle nevi e
nelle calotte polari, il 30,8% è contenuto nelle falde o nel sottosuolo e solo
lo 0,3% scorre in superficie in laghi e fiumi. L'acqua che può effettivamente
essere utilizzata è meno dell'1% del totale di quella dolce. Nello studio dei
cicli dell'acqua dolce si distingue fra acqua verde e acqua blu. La prima è
l'acqua piovana che permette la sopravvivenza di molti ecosistemi e in parte
sostiene l'agricoltura, mentre la seconda è l'acqua utilizzata dall'uomo e
prelevata dalle falde acquifere e da laghi, fiumi o altre riserve. Si stima che
la quantità di acqua blu totale sia di ca. 40.000 km3 all'anno, e di questi
circa il 10% sia utilizzato dall'uomo. L'effetto congiunto dell'aumento
demografico, della riduzione delle risorse, dei cambiamenti climatici e
dell'inquinamento si traduce in una progressiva riduzione della quantità di
acqua dolce disponibile per persona, che dovrebbe passare dagli attuali 6.600 m3
per persona all'anno a 4.800 m3 nel 2025. Questa quantità è ancora superiore, e
di molto, rispetto a quella necessaria per la sopravvivenza, che è stimata in
1.700 m3 l'anno, livello sotto il quale scatta la definizione di stress idrico.
Sebbene dunque vi sia ancora abbastanza acqua sul nostro pianeta, questa risorsa
sta lentamente diminuendo. Inoltre, l'acqua è distribuita e utilizzata in
maniera disomogenea: per es. un abitante dell'Africa subsahariana utilizza fra
10 e 20 l al giorno, un europeo in media 200 l, mentre un cittadino del Nord
America circa 350 litri.
L'acqua è utilizzata per ca. il 66% per scopi legati all'agricoltura, per il 10%
per usi domestici, per il 20% dall'industria e per il 4% è perduta dalle riserve
a causa dell'evaporazione. Per produrre un kg di patate occorrono
complessivamente circa 100 l di acqua, per un kg di riso 1.400 l, mentre per una
bistecca sempre da 1 kg, 13.000 litri. Per fare un confronto, la produzione di
una tonnellata di acciaio richiede 11.000 litri. Sebbene l'agricoltura sia
responsabile da sola dell'utilizzo dei due terzi delle risorse idriche, buona
parte dell'acqua utilizzata per questo scopo non viene dispersa definitivamente,
ma rimane in circolo, essendo parzialmente riassorbita dalle falde. La stessa
intensa evaporazione produce dei cambiamenti nei microclimi capaci di aumentare
la piovosità, restituendo così in loco l'acqua utilizzata.
Si parla spesso dell'acqua come 'oro blu', per analogia con il petrolio, detto
'oro nero' per sottolineare come sia considerata una risorsa preziosa, da
condividere e amministrare. Sono oltre 250 i fiumi e i laghi che delimitano
confini nazionali, e spesso la gestione delle acque è causa di conflitti
internazionali. La scarsità di questa risorsa è una delle cause del fenomeno dei
profughi ambientali, cioè popolazioni costrette a lasciare la propria terra
d'origine per le mutate condizioni ambientali, e, all'inizio del 21° sec., si
stima che vi siano in tutto il mondo 1,1 miliardi di persone che sopravvivono
senza avere a disposizione dell'acqua veramente potabile. Le organizzazioni
internazionali sono intervenute più volte con diverse iniziative per affrontare
quella che è percepita come una crisi mondiale dell'acqua. La Dichiarazione del
millennio dell'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), del 20002,
stabilisce tra gli obiettivi dell'umanità quello di dimezzare entro il 2015 la
percentuale di popolazione mondiale che non ha accesso a un'acqua veramente
potabile e ai servizi sanitari di base come la rete fognaria. La strategia
suggerita dal WTO (Organizzazione mondiale del commercio) per raggiungere questi
obiettivi prevede, tra l'altro, la gestione privata delle reti di distribuzione
dell'acqua, nella convinzione che una amministrazione in regime di concorrenza
possa ridurre sprechi, ottimizzare le risorse e fornire i capitali per gli
investimenti necessari. Questa interpretazione è però avversata da un vasto
movimento internazionale, che propone invece un Contratto mondiale per l'acqua
che riconosca il diritto inalienabile di ogni individuo a disporre della sua
razione giornaliera di acqua dolce.
Le soluzioni non sono dunque a portata di mano, anche perché vi sono profonde
divergenze sulle strategie da adottare. Oltre alla questione della
privatizzazione, e alla nascita delle grandi multinazionali dell'acqua, i pareri
divergono anche sull'utilità delle grandi dighe per governare il corso dei fiumi
e creare riserve da usare anche a fini energetici; come pure sui modi migliori
per amministrare l'acqua per l'irrigazione. Ogni tre anni viene organizzato il
Forum mondiale dell'acqua, il primo dei quali si è tenuto a Marrakech, in
Marocco, nel 19973.
Proprio questi forum hanno evidenziato la diversità di posizioni esistenti. In
particolare, non è stata accettata la definizione di acqua come diritto
fondamentale di ogni individuo, in favore di una più neutrale formulazione
di acqua come bisogno. Una differenza non solo di tipo nominalistico, ma
che ha conseguenze concrete nel determinare la politica dei diversi Stati.
L'innovazione tecnologica sta fornendo comunque nuove soluzioni. Si sta
sviluppando una chimica attenta a ridurre il consumo di questa risorsa nelle
industrie attraverso l'uso per es. di catalizzatori non inquinanti. Anche le
biotecnologie potrebbero ridurre la quantità di acqua necessaria nelle
coltivazioni, mentre nuove opportunità vengono dai processi di dissalazione di
acqua, sempre più convenienti4.
2. ACQUA E L’AMBIENTE CIRCOSTANTE:
L’acqua viene spesso considerata una risorsa inesauribile e la si utilizza
in modo indiscriminato sottovalutando il suo valore. È indubbio che oggi una
errata considerazione del bene acqua ha portato a comportamenti errati dell’uso
dell’acqua. A questo si aggiungono l’inquinamento dei corpi idrici e i fattori
ambientali (surriscaldamento, cambiamenti climatici, ecc) che determinano una
riduzione delle aree umide. Questi comportamenti alterano gli equilibri tra gli
organismi viventi ed inducono gravi perdite della biodiversità.
L'acqua è un bene vitale che appartiene a tutti gli abitanti della Terra, in
quanto fonte di vita insostituibile per l'ecosistema.
L'acqua quindi è patrimonio dell'umanità e pertanto deve essere preservato per
le generazioni future.
La salute individuale e collettiva dipende da essa. L'agricoltura, l'industria e
la vita domestica sono profondamente legate ad essa. Il suo carattere
«insostituibile» significa che l'insieme di una comunità umana — ed ogni suo
membro — deve avere il diritto di accesso all'acqua, e in particolare, all'acqua
potabile, nella quantità e qualità necessarie indispensabili alla vita e alle
attività economiche. Non ci può essere produzione di ricchezza senza accesso
all'acqua.
È possibile affermare che l'acqua appartiene più all'economia dei beni comuni e
della distribuzione della ricchezza che all'economia privata
Mentre nel passato la condivisione dell'acqua è stata spesso una delle maggiori
cause delle ineguaglianze sociali, la civilizzazione di oggi riconosce l'accesso
all'acqua come un diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo.
E' compito della società, nel suo complesso e ai diversi livelli di
organizzazione sociale, garantire il diritto di accesso, secondo il doppio
principio di corresponsabilità e sussidiarietà, senza discriminazioni di razza,
sesso, religione, reddito o classe sociale
3. ACQUA: RISORSA INSOSTITUIBILE NEL CONTESTO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE.
A Rio de Janeiro, nel 1992 , la Conferenza delle Nazioni Unite5
per l’ambiente e lo sviluppo chiude la fase “costituente” che, nell’arco di un
ventennio, a partire dalla Conferenza dell’ONU sull’ambiente umano (Stoccolma,
1972), ha determinato in tutti i paesi democratici lo sviluppo delle politiche
pubbliche per l’ambiente. In quello stesso ventennio, malgrado importanti
successi nella riduzione degli inquinamenti, è cresciuta la preoccupazione per
le dimensioni globali e i possibili esiti della crisi ambientale. È a Rio de
Janeiro che la comunità internazionale affronta questo apparente paradosso,
traccia un bilancio delle politiche attuate nel ventennio e apre un nuovo
percorso.
Dopo Rio, l’orientamento strategico che tutti i paesi si sono impegnati a
perseguire è quello dello sviluppo sostenibile, inteso come “uno sviluppo che
soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle
generazioni future di soddisfare i propri bisogni” (Rapporto Brundtland,
1987)6. Non si tratta
di un’acquisizione teorica casuale: in questo concetto convergono linee
evolutive di diversa natura – politica, istituzionale, culturale, scientifica –
maturate in ambito internazionale e nei singoli paesi, all’interno delle
istituzioni e nei movimenti di opinione, in un intreccio tra scala globale e
scala locale che costituisce un elemento strutturale dei nuovi scenari e del
nuovo approccio. Rispetto a Stoccolma, la Conferenza di Rio rappresenta un
elemento di continuità e, insieme, di rottura.
Prende atto infatti dei risultati ottenuti - in termini di mitigazione degli
inquinamenti, di produzione normativa, di istituzionalizzazione della questione
ambientale, di spesa pubblica per l’ambiente, di sensibilità popolare per il
tema -, ma constata anche che tutto ciò non basta a incidere sulle cause dei
problemi né, soprattutto, ad affrontare gli aspetti globali della crisi. Con la
Conferenza di Johannesburg (2002) si sancisce in modo definitivo l’importanza
dell’acqua per lo sviluppo delle attività umane, ma anche per la “semplice”
sopravvivenza dell’uomo.
Nei Trattati dell’Unione Europea, da quello di Maastricht (febbraio 1992:
promuovere “una crescita sostenibile e rispettosa dell’ambiente”)7
a quello di Amsterdam (luglio 1997: la Comunità ha il compito di promuovere “uno
sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche”, “un
elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di
quest’ultimo”; e ancora: “le esigenze connesse con la tutela
dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle
politiche e delle azioni comunitarie, in particolare nella prospettiva di
promuovere lo sviluppo sostenibile”), il perseguimento di questi indirizzi
rappresenta un obbligo per l’Unione e per gli Stati membri.
Il Sesto programma8
d’azione a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile (“Ambiente
2010: il nostro futuro, la nostra scelta) contiene sostanziali novità di
approccio rispetto ai precedenti programmi ambientali dell’Unione: si presenta
come lo strumento di attuazione in ambito comunitario delle politiche ambientali
e costituisce il quadro unitario di riferimento per le politiche degli Stati
membri. Di particolare rilievo gli indirizzi relativi all’integrazione delle
politiche, all’ampliamento degli strumenti di governo (economici e informativi),
alla condivisione delle responsabilità e alla sussidiarietà, all’individuazione
dei settori d’intervento e delle tematiche ambientali prioritarie. Nel corso
degli anni, la Comunità europea ha prodotto numerosi documenti programmatici
volti all’integrazione degli obiettivi di sostenibilità nelle principali linee
di attività. L’insieme di questi documenti configura il tentativo di avviare
un’ampia modernizzazione della società europea, mediante la realizzazione di
riforme strutturali. L’orizzonte delle politiche di sostenibilità ne risulta
notevolmente ampliato; ma soprattutto, sul piano teorico, si delinea la
possibilità di un intervento a tutto campo dell’Unione nel merito delle
politiche economiche e sociali, finora lasciate alla sussidiarietà.
4. La tutela dell’acqua: la principale normativa di riferimento .
4.1.Evoluzione della normativa europea per la protezione delle acque
Di tutti i settori regolamentati dalla politica ambientale comunitaria,
quello dell’acqua ha prodotto la legislazione più vasta consistente in più di
quaranta testi tra regolamenti – direttive – decisioni e adottando approcci in
materia di protezione delle acque che si sono evoluti, negli ultimi vent’anni,
in modo significativo. Le modalità di governo dell’acqua, sancite dalla
legislazione comunitaria, possono essere suddivise in tre fasi. All’inizio degli
anni Settanta, a seguito delle prime Convenzioni sulla protezione delle acque,
si è dato maggior peso alla protezione dall’inquinamento causato da alcune
sostanze pericolose, per le quali vennero fissati valori limite di emissione per
gli scarichi industriali e/o obiettivi di qualità ambientale per i ricettori
finali. In seguito, si è ritenuto utile definire criteri di qualità per i
diversi usi dell’acqua adottando, ad esempio, le Direttive sulla qualità delle
acque superficiali destinate alla produzione d’acqua potabile, sulla qualità
delle acque di balneazione, sul consumo umano, ecc., e fissando valori limite
per i diversi parametri fisici, chimici e biologici. La classificazione dei
diversi corpi idrici è stata fatta, di conseguenza, in funzione del loro uso
potenziale. Negli anni seguenti è andata maturando la consapevolezza che una
legislazione così complessa, basata sul concetto di obiettivi di qualità
ambientale, non fosse comunque sufficiente per la protezione dell’ambiente
acquatico. Per fronteggiare le diverse nuove situazioni, negli anni Ottanta è
stato proposto un approccio definito qualità minima delle acque basato su limiti
rigidi, vincolanti i più importanti parametri fisico-chimici (ad es. BOD, COD,
ammoniaca), che non è però considerato sufficiente perché rischiava di
deteriorare le acque di qualità superiore. Da queste indicazioni è emersa la
proposta del Consiglio Ambiente CEE (1988) di definire linee direttrici per una
gestione integrata delle risorse idriche. Le norme comunitarie più recenti, ad
esempio le Direttive sul trattamento delle acque reflue urbane (91/271/CEE) e la
91/676/CEE (direttiva nitrati) che combinano la definizione degli obiettivi di
qualità ambientale con la fissazione di valori limite d’emissione, confermano
l’applicazione dell’approccio combinato alla protezione delle acque. Anche la
Direttiva 96/61/CEE sulla prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento,
che fissa valori limite di emissione per le industrie interessate basandosi sul
BAT (Best Available Technology), indica che, quando le condizioni locali
consentono l’adozione di misure meno rigorose, i valori limite d’emissione
possono tener conto della ubicazione geografica e delle condizioni ambientali
locali. Anche nella recente Dir.2000/60/CE (Direttiva del Consiglio che
istituisce un quadro per la politica comunitaria in materia di acque) si
conferma l’adozione di un approccio combinato alla protezione delle acque. La
proposta prevede una serie di obblighi che consentiranno di fissare obiettivi e
norme di qualità ambientale fondati su una base comune a tutta la Comunità. La
Direttiva Quadro non fissa di per sé valori limite per le emissioni, ma coordina
quelli stabiliti da altre norme, in particolare la Direttiva 96/61/CEE, facendo
proprie anche le norme di qualità ambientale (obiettivi di qualità) fissate
dalla Direttiva 76/464/CEE sulle sostanze pericolose. La Dir.2000/60/CE
rappresenta la base della strategia europea in materia di acqua e mira a: -
proteggere e migliorare la qualità degli ecosistemi acquatici;
- promuovere un uso sostenibile dell’acqua basato su una gestione a lungo
termine;
- - garantire la disponibilità di una giusta quantità d’acqua quando e dove
necessario.
La politica comunitaria insomma tende ad individuare, per la protezione e la gestione delle acque, indirizzi prioritari come:
- il miglioramento dell’attuazione della normativa vigente
- - l’integrazione delle tematiche ambientali nelle altre politiche di settore
- - indurre il mercato a lavorare per l’ambiente
- - la partecipazione e la responsabilizzazione del cittadino
- - la pianificazione e la gestione del territorio più ecologiche i cui principi
ispiratori permettono di individuare indirizzi come:
- - elevato livello di tutela
- - principio di precauzione
- - azione preventiva
- - correzione dei danni alla fonte
- principio di chi inquina paga
- - integrazione di questa politica nelle altre politiche comunitarie
- - impiego di dati scientifici e tecnici attualmente disponibili
- - variabilità delle condizioni ambientali nelle regioni della Comunità
- - rapporto costi / benefici
- - sviluppo socio-economico della Comunità
- - cooperazione internazionale
- - sussidiarietà
Gli obiettivi da raggiungere si possono così riassumere:
- fissare un quadro comunitario per la protezione delle acque secondo
un’impostazione comune, con obiettivi comuni ed in base a comuni principi e
misure
- - stabilire una politica integrata della gestione delle risorse idriche
- - proteggere e migliorare la qualità degli ecosistemi acquatici
- - promuovere un uso sostenibile dell’acqua basato su una gestione a lungo
termine, salvaguardando
- i diritti delle generazioni future
- - garantire la disponibilità di una giusta quantità di acqua quando e dove è
necessaria secondo criteri di solidarietà.
Importante passo infine della Comunità sarà la realizzazione del Sesto Programma d’azione nel quale i problemi delle acque occupano una posizione rilevante. L’azione rivolta a questi problemi ha individuato alcuni temi prioritari:
− combattere l’inquinamento;
− promuovere il razionale uso dell’acqua;
− combattere le deficienze idriche persistenti;
− prevenire e gestire le situazioni di crisi.
Per combattere l’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, risulta pertanto fondamentale la valutazione e il controllo delle risorse idriche; ciò comporta una serie di azioni tra cui fondamentale è il monitoraggio, soprattutto qualitativo, che deve tener conto della presenza dell’uomo e della necessità di comprendere il fenomeno inquinamento nei rapporti causa - effetto e in termini spazio – temporali.
4.2. La normativa nel quadro nazionale
In Italia, la legislazione sulle acque, per un lungo periodo, si è
sviluppata per strati successivi, avendo come oggetto non tanto le risorse
idriche quanto le attività connesse con le stesse; la struttura amministrativa
si è frazionata per materie corrispondenti alle varie attività mentre la
dottrina giuridica ha dedicato particolare attenzione allo studio di categorie
generali di usi pubblici, con particolare riferimento ai beni demaniali di uso
generale.
La tendenza della legislazione in materia di acque pertanto può essere
identificata e sintetizzata nel passaggio dalla gestione particellare degli usi,
i cui presupposti sono individuabili nella concezione del bene acqua come
risorsa a disponibilità illimitata e priva di valore economico, alla gestione
complessiva della risorsa.
Nelle prime norme nazionali, infatti, è preminente la preoccupazione di
garantire le diverse utenze, prescindendo da valutazioni di compatibilità degli
usi con il mantenimento di adeguate caratteristiche quali - quantitative dei
corpi idrici interessati dai prelievi.
Lo sviluppo socio - economico, accentuando gli squilibri tra domanda e offerta
di acque idonee ai diversi usi, ha posto le premesse per un cambiamento
radicale, tradotto solo parzialmente in conseguenti disposizioni normative.
Il processo di cambiamento è stato avviato dalla L.319/76 (legge Merli), che ha
dettato una disciplina degli scarichi degli insediamenti produttivi
sostanzialmente uniforme e demandato alle Regioni le attività più propriamente
legate agli aspetti pianificatori, con particolare riguardo alla predisposizione
del Piano Regionale di Risanamento delle Acque (P.R.R.A.).
I compiti che la legge assegnava alle Regioni, se da un lato hanno consentito
’affermazione del ruolo essenziale inerente l’espletamento delle funzioni di
pianificazione - programmazione - coordinamento, dall’altro hanno messo in luce
l’inadeguatezza dei contenuti dello strumento Piano, sostanzialmente
riconducibile ad una programmazione degli adeguamenti delle reti di fognatura e
degli impianti di depurazione.
Solo con le successive modifiche della Merli sono state introdotte disposizioni,
anche riferite alla pianificazione e riguardanti specifiche sostanze e
particolari usi delle acque, più direttamente mirate alla protezione della
risorsa.
A più di vent’anni dalla promulgazione, il bilancio della legge, in termini di
risanamento dei corpi idrici, non può essere considerato positivo, nonostante
essa abbia stimolato una maggiore attenzione agli aspetti connessi con la
qualità delle acque e forti investimenti per la realizzazione di infrastrutture
legate al ciclo delle acque.
I risultati sono stati insufficienti sia per le carenze delle strutture di
controllo, sia per l’equivoco di una politica ambientale fondata prevalentemente
sui divieti, sia per lo scollamento fra la gestione della quantità e quella
della qualità delle acque.
La situazione non è stata sostanzialmente modificata da provvedimenti
legislativi di portata innovativa quale, per gli aspetti più propriamente legati
alla pianificazione, quello sulla difesa del suolo (L.183/89 che istituisce
l’Autorità di Bacino), non collegato organicamente con la legislazione
preesistente e fonte pertanto d’incertezze su aspetti anche sostanziali.
Più di recente, a dimostrazione del cambiamento culturale intervenuto, la
L.36/94 (legge Galli) ha introdotto il principio di salvaguardia del bene acqua
per le generazioni future, indirizzando gli usi al risparmio e al rinnovo delle
risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, visto in forma complessiva e
integrata.
La politica delle risorse idriche, oggi, è ormai stabilmente inserita nel
quadro, più generale, della politica ambientale sostenibile; la legge Galli e il
D.Lgs.152/99 e s.m.i., che definisce la disciplina generale per la tutela delle
acque superficiali e sotterranee attraverso la riduzione dell’inquinamento e il
perseguimento di usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, hanno sancito
l’avvento di una nuova cultura dell’acqua dichiarando che l’uso delle risorse
idriche dev’essere compatibile con l’ambiente e con le necessità delle
generazioni future. Nella legislazione italiana si è avviato un processo di
riforma, centrato sull’individuazione di nuovi livelli di coordinamento che
superano i confini amministrativi tradizionali e dovrebbero costituire il nuovo
sistema di pianificazione e di governo delle risorse idriche.
Nelle norme recenti si evidenzia che gli aspetti di governo della risorsa e di
gestione dei servizi pubblici che le utilizzano sono trasversali rispetto a
tutta la normativa.
Alla funzione di governo si richiede oggi di decidere come allocare le risorse
fra i diversi usi attraverso il bilancio domanda - disponibilità, di stabilire
come garantire la loro disponibilità quali - quantitativa e i requisiti da
rispettare nei vari usi (limiti di accettabilità), di realizzare le
infrastrutture destinate ad assicurare tale disponibilità, di stabilire i ruoli
di tutti i soggetti pubblici e privati, di controllare i risultati delle loro
funzioni connesse all’uso delle risorse ambientali.
In Italia tale funzione si è esplicata in modo scarsamente efficace e, come
detto in precedenza, i motivi sono da ricercare nella dispersione delle
competenze, nella frammentazione dei poteri e nella stratificazione della
normativa che li codifica.
Malgrado ciò, con la L.183/89 si indicano gli strumenti la cui efficacia deriva
all’assunzione di principi omogenei nella definizione degli obiettivi e delle
strategie generali della pianificazione integrata di bacino, quantomeno per
tutti gli aspetti rilevanti, in modo che sia assicurata la mutua coerenza delle
azioni specifiche.
Le linee strategiche assunte dall’Autorità di bacino tengono conto delle norme
vigenti a livello nazionale e regionale in tema di risorse idriche e uso del
suolo, in particolare del D.Lgs.152/99 e s.m.i.
Il raggiungimento di tali obiettivi dovrà essere realizzato attraverso
l’individuazione di obiettivi di qualità ambientale per i corpi idrici, il
rispetto dei valori limite allo scarico, le misure di prevenzione e d’intervento
per le aree sensibili e le zone vulnerabili, un adeguato sistema di controlli e
sanzioni.
Rispetto alla legislazione precedente, il Decreto introduce importanti nuovi
elementi, in linea con l’evoluzione normativa e i nuovi concetti comunitari in
materia di risorse idriche. Infatti, la legge 319/76, se da un lato ha
rappresentato la prima normativa organica per la tutela dei corpi idrici ha,
tuttavia, affrontato solo parzialmente il problema nell’inquinamento idrico in
quanto fondata sui valori limite d’emissione senza tenere conto delle
caratteristiche quali - quantitative dei ricettori. Con il nuovo Decreto
vengono, invece, fissati obiettivi di qualità, riferiti alle caratteristiche
idromorfologiche, fisiche, chimiche e biologiche dei corpi idrici.
In relazione agli aspetti quantitativi delle acque, ai sensi del D. Lgs.152/99 e
s.m.i., nei Piani di Tutela dovranno essere indicate le misure volte ad
assicurare l’equilibrio del bilancio idrico, così come definito dall’Autorità di
bacino, nel rispetto delle priorità della legge Galli, tenuto conto dei
fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di
ravvenamento della falda, delle destinazioni d’uso della risorsa.
La gestione del servizio idrico integrato (L.36/94) infine dovrebbe essere
caratterizzata da alcuni principi fondamentali così sintetizzabili :
− tutte le acque sono pubbliche e da utilizzare con criteri di solidarietà,
− si deve tendere all’equilibrio del bilancio fra disponibilità e fabbisogno di
risorse idriche,9
− i servizi idrici, erogati in ambiti territoriali, devono tendere a superare la
frammentazione delle gestioni,
− nell’ambito attuale, i servizi idrici vanno erogati nell’ottica della gestione
integrale del ciclo dell’acqua,
− i servizi vengono erogati sulla base della razionalità gestionale tecnico -
economica.
Lo sviluppo dei sistemi di tutela ambientale è avviato sempre più in direzione
di un’integrazione globale a livello di principi direttivi e norme attuative di
quei principi, sottolineando marcatamente la concezione che vede nell’ambiente
non solo un limite da rispettare, ma piuttosto un obiettivo da raggiungere. La
tutela della risorsa acqua, in particolare, richiede un’azione unitaria e
integrata, non settoriale e isolata, e necessita di una prevenzione non limitata
ai soli corpi idrici, ma che tenga in considerazione tutti i fenomeni e tutte le
attività antropiche che direttamente o indirettamente incidono sulla qualità
della risorsa acqua.
In questo quadro, il Piano di tutela delle acque previsto dal D.Lgs.152/99 e
s.m.i. rappresenta una complessa operazione che prevede, in accordo con
l’Autorità di bacino – le Province e gli Ambiti territoriali, l’elaborazione di
programmi di rilevamento dei dati utili alla descrizione delle caratteristiche
del bacino idrografico e a valutare l’impatto antropico su di esso esercitato.
Anche la Comunità Europea prevede nella Dir.2000/60/CE la creazione di un quadro
organico della politica in materia di acque, indicando gli elementi principali
per il raggiungimento della «qualità ecologica» delle stesse e ampliando il
campo d’interesse anche alle acque sotterranee e agli aspetti quantitativi.
Da quanto esposto, si evince che per rilanciare le potenzialità d’intervento nel
campo dell’acqua è necessario sviluppare la capacità di gestione integrata della
risorsa puntando su quattro cardini fondamentali:
− sviluppo delle conoscenze;
− sviluppo delle capacità amministrative, di pianificazione e di gestione;
− sviluppo delle capacità tecnologiche;
− sviluppo delle capacità d’impresa
Uno degli ultimi provvedimenti adottati in materia di acqua è il D.Lgs. 16 Marzo
2009 n. 30: in attuazione della direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione
delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento10
Il testo normativo definisce misure specifiche per prevenire e controllare
l'inquinamento ed il depauperamento delle acque sotterranee.
In particolare, la norma individua i criteri per l'identificazione e la
caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei, i parametri necessari alla
valutazione del buono stato chimico delle acque sotterranee, i criteri per la
classificazione dello stato quantitativo delle acque e le modalità per la
definizione dei programmi di monitoraggio quali-quantitativo. La valutazione
dello stato delle acque sotterranee è svolta dalle Regioni, che hanno il compito
di monitorare lo stato dei corpi idrici ed adottare misure e piani di tutela
finalizzati soprattutto a prevenire scarichi ed immissioni indirette nelle acque
sotterranee di sostanze pericolose e non pericolose. Il decreto prevede,
inoltre, che le autorità di bacino, le regioni e le province autonome di Trento
e di Bolzano individuino, sulla base dei dati derivanti dalle attività di
monitoraggio, le tendenze significative e durature all'aumento delle
concentrazioni di inquinanti, di gruppi di inquinanti e di indicatori di
inquinamento rilevate nei corpi o nei gruppi di corpi idrici sotterranei che
sono stati identificati a rischio e determinino le priorità di intervento.
Allo stesso modo appare importante la direttiva CE in materia di risorse idriche
del 16 dicembre 2008 n. 2008/105/CE11:
con la quale il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno
istituito standard di qualità ambientale (SQA) conformemente alle
disposizioni ed agli obiettivi della direttiva 2000/60/CE.
La direttiva muove dalla considerazione che l’inquinamento chimico delle acque
di superficie rappresenta una minaccia per l’ambiente acquatico, con conseguente
tossicità acuta e cronica per gli organismi acquatici, nonché una minaccia per
la salute umana in virtù dei principi comunitari di precauzione, di prevenzione,
di correzione alla fonte dei danni, e del principio “chi inquina paga”.
Al fine di raggiungere uno stato chimico buono delle acque superficiali, la
Direttiva ha previsto che la Comunità agisca in via sussidiaria rispetto agli
Stati membri.
Infine sempre in tema di risorse idriche e danno ambientale è intervenuta
la Legge del 27 Febbraio 2009, n. 3: conversione in legge, con modificazioni,
del d.l. 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di
risorse idriche e di protezione dell’ambiente. (Pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale il 28 febbraio 2009, n. 49). Con la presente legge il Parlamento
ha convertito la disposizione del decreto legge relativa alla proroga delle
Autorità di Bacino, con conseguente abrogazione implicita della disposizione
contenuta nell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 che prevedeva la
soppressione delle Autorità entro il 30 aprile 2006, facendo salvi altresì gli
atti compiuti successivamente a tale data. Inoltre, ha approvato il
riconoscimento in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare della facoltà di predisporre uno schema di contratto per la stipula
di una o più transazioni globali, tra lo Stato o altri enti pubblici
territoriali e le imprese pubbliche o private, in relazione alla spettanza e
alla quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, nonché
del danno ambientale e degli altri eventuali danni di cui i sopra citati enti
pubblici possano richiedere il risarcimento. La misura ha come finalità quella
di garantire la certezza del diritto in relazione al diffuso contenzioso in
materia di danno ambientale, agli obiettivi di bonifica, di risanamento e di
risarcimento dell’ulteriore danno ambientale provocato con riferimento ai siti
di interesse nazionale contaminati. La stipula dei contratti di transazione
comporta, in particolare, l’abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni
ulteriore azione per il rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino, ogni
successiva azione risarcitoria per il danno ambientale e ogni eventuale pretesa
risarcitoria azionabile dallo Stato e da enti pubblici territoriali per i fatti
oggetto di transazione. Il procedimento per l’adozione dei contratti di
transazione è il seguente: il Ministero predispone uno schema di contratto che
viene comunicato agli enti locali e reso noto alle associazioni e ai privati
interessati al fine di ricevere osservazioni; il Ministero, previa assunzione
del parere dell’Avvocatura generale dello Stato sullo schema, indice una
conferenza di servizi decisoria tra i soggetti pubblici portatori di interessi;
lo schema è sottoscritto per accettazione alla impresa obbligata e trasmesso
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’autorizzazione da parte del
Consiglio dei ministri, sulla proposta del Ministero dell’ambiente. Nel caso di
inadempimento, anche, parziale, da parte dei soggetti privati obbligati, il
Ministero, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni, può
dichiarare risolto il contratto. Tra le varie novità introdotte in sede di
conversione appare opportuno segnalarne in particolare due. La prima modifica,
relativa all’adozione dei piani di gestione, di cui all’art. 13 della direttiva
2000/60/CE, ha stabilito un riparto di competenza tra i comitati istituzionali
delle autorità di bacino di rilievo nazionale, integrati da componenti designati
dalle regioni il cui territorio ricade nel distretto idrografico al quale si
riferisce il piano di gestione, e le regioni quando il loro territorio ricade in
un distretto idrografico nel quale non è presente alcuna autorità di bacino di
rilievo nazionale. La seconda modifica, relativa alla ripartizione fra regioni e
province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento
dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, ha previsto che, in
attuazione degli impegni sottoscritti con il Protocollo di Kyoto, il Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza permanente per i
rapporti tra Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano,
emani, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione, uno o più decreti per definire la ripartizione della suddetta
quota.
Infine appare utile riportare la recente modifica approvata dal Senato della
repubblica dell’art. 23 bis del D.L. 112/2008 testo risultante a seguito delle
modifiche introdotte dall’art. 15 D.L. 135/2009.
La norma mira a dirimere alcune perplessità applicative della precedente
versione soprattutto in ragione delle censure comunitarie sollevate.
Nel contempo la disposizione introduce la disciplina transitoria degli
affidamenti in essere prevedendo la caducazione automatica di tutti gli atti
adottati precedentemente in contrasto con la innovata disciplina.
5. L’INQUINAMENTO dell’acqua :
5.1. i rischi di CONTAMINAZIONE DELL’ ACQUA .
Per inquinamento dell'acqua si intende qualsiasi cambiamento chimico, fisico
o biologico nella qualità dell'acqua che ha un effetto nocivo su chiunque la
beve o la usa o vive in essa, in quanto può avere delle conseguenze dannose
sulla salute.
L'inquinamento dell'acqua è causato solitamente dalle più svariate attività
umane. Fabbriche, stabilimenti di trattamento delle acque reflue, miniere
sotterranee, pozzi petroliferi, serbatoi per olio ed agricoltura scaricano
sostanze inquinanti in punti specifici all'interno di condutture o fognature
nell'acqua di superficie. Esistono anche sorgenti che non hanno un singolo luogo
di scarico: alcuni esempi possono essere i depositi acidi provenienti dall'aria,
dal traffico, le sostanze inquinanti sparse nei fiumi o quelle che entrano
nell'acqua attraverso l’acqua freatica.
A seguire una descrizione più specifica dei vari tipi di inquinamento acquatico.
5.2. Inquinamento dell’acqua da uso civile
L'inquinamento di origine civile deriva dallo scarico dei liquami di fogna
contenenti alte quantità di sostanze organiche e di saponi che si riversano
generalmente nei corsi d'acqua superficiali, raggiungendo a volte anche le falde
acquifere, dunque il sottosuolo. Tale tipo di inquinamento è ugualmente prodotto
dagli scarichi delle città o da qualsiasi altro comportamento che contamini
l’acqua, poi riversatasi senza alcun trattamento di depurazione nei fiumi o
direttamente a mare.
Nei sistemi di scarico urbani confluiscono pure le acque di scolo domestiche,
con una buona dose di sostanze organiche biodegradabili e agenti patogeni. I
reflui urbani possono contenere anche prodotti chimici di vario genere
provenienti da lavorazioni artigianali, commerciali e industriali, come
detersivi e solventi che spesso contaminano le falde acquifere sotterranee12
5.3. Inquinamento dell’acqua da uso agricolo, industriale e termico
L’ inquinamento da uso agricolo è legato prevalentemente all'
utilizzo eccessivo e scorretto di fertilizzanti e pesticidi che, essendo
generalmente idrosolubili, penetrano nel terreno e contaminano le falde
acquifere. L'inquinamento di origine agricola e zootecnica è causato
dall'immissione nei corsi d'acqua e nel terreno degli scoli dei campi contenenti
fertilizzanti chimici (ricchi di fosfati e nitrati), pesticidi (insetticidi e
diserbanti) e liquami provenienti dagli allevamenti. Lo scarico dei
fertilizzanti chimici in fiumi, laghi e mari va ad aumentare il fenomeno
dell'eutrofizzazione, di cui si parlerà a breve. Più grave è l'immissione dei
pesticidi che, essendo poco biodegradabili, si depositano e si concentrano nei
corsi d'acqua distruggendo ogni forma di vita. Una maggiore attenzione da parte
degli operatori agricoli potrebbe ridurre in misura notevole questa forma di
inquinamento che è particolarmente pericolosa in quanto può interessare anche le
falde acquifere. In questi ultimi anni infatti si sono manifestati numerosi
episodi di inquinamento di falde acquifere ad opera di diserbanti, che hanno
successivamente danneggiato il rifornimento idrico di numerose città.
Un’altra conseguenza dell’errata gestione delle tecniche agricole è il processo
di eutrofizzazione. Eutrofizzazione vuol dire arricchimento, per cause naturali
o artificiali, di nutrienti in corsi d'acqua laghi o nel mare. Tale
arricchimento è spesso favorito dalle attività umane, al primo posto
dall'agricoltura attraverso l’aggiunta di concimi.
L'eutrofizzazione e' principalmente causata da un aumento nei livelli di fosforo
e azoto ed ha un'influenza negativa sulla vita acquatica. Ciò avviene perché, a
causa dell'arricchimento, determinate specie di piante acquatiche come le alghe
si sviluppano maggiormente, impedendo progressivamente all'acqua di assorbire
luce e determinando quindi una riproduzione più veloce dei batteri aerobici. I
batteri aerobici esauriscono a loro volta i livelli di ossigeno, di modo che
solo i batteri anaerobici possono rimanere attivi. Ciò rende la vita acquatica
impossibile sia per i pesci che per altri organismi.
L’ inquinamento da uso industriale è invece causato dallo scarico
irrazionale di determinate sostanze che dipendono dalla produzione industriale.
Alcuni composti chimici immessi nell'acqua sono particolarmente dannosi per la
salute dell'uomo e per la sopravvivenza di numerose specie. Sono ad esempio
sostanze tossiche i cianuri delle industrie produttrici di antiparassitari e
disinfestanti, il cromo residuo di industrie di cromatura o di conceria, il
cadmio delle industrie per la costruzione di pile e accumulatori. L'inquinamento
industriale é dovuto dunque allo scarico nel terreno o direttamente in fiumi e
mari di acque contenenti sostanze tossiche e non biodegradabili, provenienti
dalle varie lavorazioni. Non è possibile al giorno d’oggi elencare tutte le
sostanze di rifiuto delle industrie che possono avere azione tossica perché
questa può manifestarsi anche a grande distanza di tempo; è invece possibile il
contenimento dell'inquinamento usando alcune misure di prevenzione.
Un' altra forma di inquinamento é quello termico, che si verifica quando le
industrie riversano nel mare o nei fiumi tonnellate di acqua calda utilizzata
per le loro lavorazioni. Nella maggior parte dei processi di lavorazione viene
prodotto molto calore che deve essere rilasciato nell'ambiente, perché è calore
di scarto. Il modo più economico di fare ciò e' prelevare acqua in prossimità
della superficie, utilizzarla all'interno dell'impianto e restituire acqua
riscaldata al corpo acquatico superficiale. Il calore liberato ha effetti
negativi sulla vita nell'acqua superficiale di ricezione. Questo è il genere di
inquinamento comunemente noto come inquinamento da calore o inquinamento
termico. L'acqua più calda fa diminuire la solubilità dell'ossigeno in acqua ed
induce inoltre gli organismi acquatici a respirare più velocemente. L'aumento
della temperatura porta a una variazione dei processi vitali e alla morte della
flora batterica, tanto utile nei processi di "autodepurazione" dell'acqua. Nei
casi più gravi si verificano una moria di pesci a causa della scarsità di
ossigeno e/o l'allontanamento di quelli che non sopportano temperature elevate.
Qualsiasi specie acquatica diventa in ogni caso più suscettibile alla
contrazione di malattie.
Comunque l'inquinamento termico si può prevenire e/o ridurre riutilizzando il
calore dell’acqua per il riscaldamento degli ambienti o per altri impieghi13
5.4 Inquinamento dell’acqua provocato da idrocarburi
Lo scarico in mare di acque usate per pulire i serbatoi delle petroliere e
il grezzo fuoriuscito da petroliere danneggiate o naufragate sono i principali
artefici dell’inquinamento da idrocarburi.
Concorre il deliberato rilascio di piccole quantità di derivati del petrolio da
navi di vario tipo e le perdite dello stesso che si verificano nel corso delle
operazioni di trivellazione presso le piattaforme petrolifere marine. Si calcola
che per ogni milione di tonnellate di petrolio trasportate via mare, una
tonnellata vada dispersa a causa di riversamenti di varia natura. Il greggio
forma sulle acque una pellicola impermeabile che impedisce lo scambio di
ossigeno tra atmosfera e acqua, mentre gli animali marini ne rimangono
invischiati spesso con conseguenze letali.
Nel petrolio sono presenti anche idrocarburi aromatici che possono costituire un
grave pericolo per la salute dell'uomo, al quale giungono attraverso la catena
alimentare marina. L'inquinamento da idrocarburi è particolarmente grave in
quanto, a causa dei movimenti del mare, può arrivare a coinvolgere aree molto
estese e modificare in modo sostanziale l'equilibrio di un intero ecosistema.
Interventi legislativi a livello internazionale potrebbero tuttavia mantenere
sotto controllo anche questa forma di inquinamento .
5.5. Inquinamento dell’acqua provocato da fenomeni atmosferici le c.d. piogge
acide
Il fenomeno delle piogge acide, ossia la contaminazione dell'acqua piovana
da parte delle sostanze tossiche presenti nell'atmosfera (anidride carbonica,
anidride solforosa, biossido di azoto, acido cloridrico, ecc..), ha effetti
devastanti su laghi, fiumi e flora in generale, che possono manifestare una
riduzione dell'attività di fotosintesi, come pure sulle strutture edili,
condotte ad un più rapido deterioramento.
Poiché la pioggia percorre grandi distanze viaggiando nelle nubi, quello delle
piogge acide è un problema globale; se poi si considera che qualsiasi paese
fornito di centrali elettriche o di un numero elevato di veicoli su strada
contribuisce alla produzione dei gas che provocano le piogge acide, risulta
evidente la dimensione mondiale del fenomeno.
Le principali sostanze accusate di provocare precipitazioni acide sono
l'anidride solforosa e gli ossidi di azoto: la prima emessa soprattutto da
impianti industriali, aerei e in tutti i casi in cui si abbia combustione di
carbone e di derivati del petrolio; i secondi legati al funzionamento dei motori
degli autoveicoli e, in minor misura, alla combustione del metano. Dall'anidride
solforosa si giunge, nell'atmosfera, all'acido solforico, dagli ossidi di azoto
a quello nitrico; si tratta di acidi "forti" e aggressivi, in grado di provocare
danni gravi ai monumenti di pietra calcarea (che l'acido solforico trasforma in
gesso) come pure alla flora e, indirettamente, alla fauna (a seguito del
danneggiamento di determinati habitat, in particolare di boschi e di laghi).
A dimostrazione di quanto si diceva prima circa l’ampiezza globale del problema,
la caduta di piogge acide, come la presenza di nevi e di nebbie acide, sono
state rilevate ripetutamente nel mondo industrializzato, anche in quei Paesi
dove l'intervento dell'uomo, per la modestia della densità abitativa e la
scarsità di impianti inquinanti e di traffico veicolare, è oggi ancora assai
discreta. Ciò avviene per il semplice motivo che alcuni gas acidificanti possono
compiere tragitti lunghissimi e ricadere lontano dalle fonti di emissione.
Il modo migliore per affrontare il problema è ridurre le emissioni di anidride
solforosa e di ossidi di azoto nell’ atmosfera. Utilizzare auto alimentate a gas
(gpl o preferibilmente metano) permette di azzerare quasi le emissioni di ossidi
di zolfo e ridurre di molto quelle di ossidi di azoto.
Un'altra possibilità sarebbe di non bruciare combustibili fossili, bensì usare
fonti di energia alternative e rinnovabili14
Conclusioni
La tutela dell’acqua rappresenta indubbiamente una delle priorità . Gli
strumenti legislativi appaiono talvolta confusi e poco coordinati tra di loro,
in un contesto di evidente accresciuta sensibilità. All’interno della cornice
tracciata dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, tra il ricchissimo
catalogo di diritti in essa raccolto, un posto di indubbio rilievo occupa il
riferimento, operato nell’articolo 22, alla “sicurezza sociale” degli individui.
Tale riferimento, illustrato nelle successive cinque disposizioni della
Dichiarazione, ha trovato una prima compiuta elaborazione nel Patto
internazionale relativo ai diritti sociali, economici e culturali del 1966 . Il
Patto, innovativo anche per molti altri aspetti, istituisce un fondamentale
legame tra i diritti umani (primo fra tutti il diritto alla vita) e la qualità
dell’ambiente, impegnando gli Stati contraenti a proteggere il diritto alla
salute di ciascuno attraverso “il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene
dell’ambiente di vita” (art. 12, par. 2b La connessione tra eco-sistema ed
essere umano, in forza della quale la qualità dell’ambiente, e delle risorse
naturali che esso offre, è condizione di esistenza (e dunque di sopravvivenza)
della specie umana, è stata una relazione per lungo tempo rimossa e che soltanto
negli ultimi decenni del secolo scorso è stata oggetto di una rinnovata
riflessione politica e giuridica. A tal fine, è stata recentemente rispolverata
la vecchia nozione di ‘bene comune’. Res communes omnium (lett. “cose di
tutti”), secondo l’antica tradizione del diritto romano, sono quei beni, ossia
quelle cose, che sono sottratti a un regime giuridico inteso a consentire il
loro uso e il loro sfruttamento in via parziale o esclusiva. Si distinguono, in
questa accezione, dalle res nullius (lett. “cose di nessuno”), poiché,
diversamente da queste, non possono essere oggetto di appropriazione, nel senso
che, nonostante non siano (e non possano essere) di nessuno, ognuno può goderne
in misura tale che non venga compromessa la loro disponibilità e l’analogo
diritto di altri a goderne. Questa categoria concettuale è stata ampiamente
utilizzata per indicare regimi di protezione giuridica di beni molto diversi tra
loro, come l’acqua, l’aria, l’atmosfera, il patrimonio ambientale e biologico,
nonché i beni cosiddetti immateriali generati dalla ricerca intellettuale e
scientifica, come i farmaci essenziali e i prodotti di interesse culturale
eccezionale. Essa è stata, inoltre, oggetto di un tentativo di attualizzazione
nell’ambito del diritto internazionale, che, al volgere degli anni Sessanta, ha
introdotto un principio apparentemente molto simile a quello di ‘bene comune’,
ma dal significato, almeno per il momento, ben più limitato: si tratta del
concetto di ‘patrimonio dell’umanità’, principio alla base di importanti accordi
internazionali15,
fino a oggi applicato per indicare esclusivamente quegli spazi, e le risorse in
essi contenute, come i fondali marini e l’Antartide, che essendo situati
all’esterno dei territori degli Stati non ricadono in alcuna giurisdizione
nazionale e sono inquadrati giuridicamente in modo che siano soddisfatti gli
interessi di tutti gli Stati che compongono la comunità internazionale. Il
discorso in tema di beni comuni, che si è andato sviluppando negli ultimi
decenni soprattutto per iniziativa della Conferenza internazionale di Stoccolma
del 197216
sull’ambiente umano e della Conferenza internazionale di Rio del 1992 su
ambiente e sviluppo possiede senza dubbio un più alto profilo. Parlare delle
risorse naturali, e in generale dei beni ambientali che di regola sono parte di
territori gestiti direttamente da singoli Stati, qualificandoli come beni comuni
significa, precisamente, mettere in evidenza la relazione strettissima, spesso
trascurata, che lega i diritti, degli individui e non degli Stati, e i beni: le
situazioni giuridiche soggettive, da un lato, e le cose che di esse sono
oggetto, dall’altro. Non si deve, infatti, dimenticare che i beni sono sempre
oggetto di diritti e che, in particolare, quei beni che decidiamo, in virtù
della loro natura o per qualche altra ragione, di qualificare come comuni sono
oggetto di diritti di tutti, a tutela pertanto dell’accesso universale al loro
uso e al loro godimento da parte di ciascun essere umano. Il discorso in tema di
beni comuni dischiude insomma una nuova frontiera dell’universalismo dei
diritti, originariamente delineato dalla Dichiarazione dei diritti umani:
proteggere i beni comuni, prima tra tutti l’acqua, risorsa naturale necessaria
per la vita di ognuno, cioè quei beni dal cui godimento nessuno può essere
escluso, significa, infatti, difendere e promuovere l’uguaglianza tra gli esseri
umani, in dignità e diritti, salvaguardando anche le condizioni ambientali in
cui essi vivono e costruiscono le loro relazioni sociali. Questa direzione
egalitaria e solidaristica indica una possibile forma di completamento
dell’universalismo dei diritti, che guardi non più soltanto alla titolarità dei
diritti bensì anche alla tipologia di beni che ne formano oggetto. La
conseguenza è una più decisa valorizzazione della sfera pubblica in opposizione
alla sfera privata del mercato, che sia finalizzata a sollecitare la sottrazione
di certi beni alla logica della negoziazione e della competizione tra le forze
di mercato, in vista della difesa di interessi comuni all’intera umanità.
Sebbene il mercato possa ritenersi efficiente quanto alla produzione dei beni,
lo stesso non può dirsi, infatti, circa la sua capacità di favorire una loro
equa distribuzione. In tal senso, il caso dell’acqua appare per molti versi
esemplare. La scarsità di una delle risorse certamente più vitali per la nostra
esistenza (1,4 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile; per
circa 3 miliardi di persone, l’uso dell’acqua cui hanno accesso è all’origine di
problemi di salute), certificata dalla sua tendenziale esauribilità (la penuria
dell’acqua è soprattutto la conseguenza dello sperpero e dell’inquinamento delle
risorse disponibili, provocati dalle tecniche d’irrigazione in agricoltura, 70%,
e dalle attività industriali, 20%), dovrebbe motivare la qualificazione
giuridica dell’acqua come bene comune, secondo quanto proposto nel Contratto
mondiale sull’acqua presentato da un comitato internazionale a Lisbona nel 1998
in modo che non soltanto venga difesa la libertà di ciascuno di accedere alla
risorsa, tutelata mediante il divieto assoluto della sua appropriazione, ma che
sia anche promossa la predisposizione di strumenti idonei alla salvaguardia
della risorsa e intesi a garantirne quanto prima una più equa distribuzione. Una
più compiuta evoluzione del diritto internazionale in direzione di forme di
cooperazione globali orientate a un nuovo sentimento solidaristico e riformatore
dipenderà dalle risposte che la società vorrà dare a queste inevitabili sfide.
Bibliografia
Forum sulla tutela dell'acqua di Parancola S. Editoriale Delfino 2007
Agenzia Europea dell’Ambiente, Situazione delle risorse idriche in Europa, n.
1/2003, pp.1- 2,
Agenzia Europea dell’Ambiente, Le risorse idriche in Europa: una valutazione
basata su indicatori. Sintesi, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni
ufficiali delle Comunità europee, 2003,pp.12-20
Jackson P.M. (1982), The Political Economy of Bureaucracy, Philip Allan, Oxford.
Leibenstein H.(1975), “Aspects of the X-Efficiency Theory of the Firm”, Bell
Journal of Economics, pp.580-606.
Niskanen W.A. (1971), Bureaucracy and Representative Government, Aldine Atherton,
Chicago.
S. Latouche, L’antinomia dello sviluppo durevole, in AA. VV., Del diritto alla
Buona Acqua, Milano, Edizioni Franceschini, 2002.
G. O'hare , J. Sweeney, and R. Wilby (2005). Weather, climate and climate change:
human perspectives.
V. Shiva, La globalizzazione è diventata una guerra contro la natura e contro i
poveri, in Resurgence, N. 202, Sept./Oct. 2000.
V. Shiva, Le guerre dell’acqua, Milano, Feltrinelli, 2003.
J. E. Stiglitz, In un mondo imperfetto. Mercato e democrazia nell’era della
globalizzazione, Roma, Donzelli Editore, 2001.
E. Martini, Prospettive e interventi contro le piogge acide, in
www.cartadellaterra.it.
Diritto dell’ambiente – Caravita – Il mulino – 2008
Acqua e ambiente Sara Ceci EMI Editrice Missionaria Italiana
P.Manzelli, G.Masini,M.Costa, "I SEGRETI DELL'ACQUA: L'Opera Scientifica di
Giorgio Piccardi", Di Renzo, Roma, (1994)
"SCHIZZI D'ACQUA" - (1997) Pubblicazione Gratuita del LRE- Università di Firenze
Sponsor Bristol-Myers Squibb - Latina
Editoria elettronica in Internet: Pagina - Ecologica: ACQUA
http://www.alfanet.it/welcomeitaly/paginaecologia/acqua
LUGARESI, Le acque, cit., pag. 161.
Fabrizio Mastromartino L'accesso ai beni comuni Treccani 2008
Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a standard di qualità
ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva
abrogazione delle direttive del Consiglio 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE,
84/491/CEE e 86/280/CEE nonché modifica della direttiva 2000/60/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio. (Pubblicata nella G.U.U.E. il 24 dicembre
2008, n. L 348).
CAPRIA, Direttive, cit., pag. 56.
Giurisprudenza
Alcune pronunce appaiono importanti e rilevanti in tema di acqua in tema
di riparto di competenze stato – regioni
Corte Costituzionale ACQUA – Acque marine costiere e salmastre -
Molluschicoltura – Intesa Regioni/Ministero delle politiche agricole e forestali
– Principio di leale collaborazione – Questione di legittimità costituzionale –
Infondatezza.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli
artt. 117 e 118 Cost, dell’art. 87 de d.lgs. n. 152/2006, ove prevede l’intesa
con il Ministero delle politiche agricole e forestali nella designazione, da
parte delle Regioni, delle acque marine costiere e salmastre richiedenti
protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo di banchi e di
popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, per contribuire alla
buona qualità dei prodotti della molluschicoltura commestibili per l’uomo. La
norma, nell’ambito del Capo II della Sezione II, dedicato alle acque a specifica
destinazione, ha ad oggetto le acque marine e costiere, ed è per questo che, a
differenza delle acque dolci interne, che hanno un preciso collegamento al
bacino territoriale di riferimento, in cui si configura la competenza regionale,
coinvolgono interessi cui sovrintendono organi statali. La molluschicoltura deve
a sua volta essere ascritta all’ambito materiale della pesca, di competenza
legislativa residuale delle Regioni. Concorrono, però, con essa anche competenze
statali, connesse principalmente, ma non esclusivamente, alla tutela
dell’ecosistema e competenze concorrenti (sentenza n. 213 del 2006: tutela della
salute, alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero,
ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione delle imprese per
il settore produttivo della pesca, porti, previdenza complementare e
integrativa, governo del territorio). Occorre applicare il principio di leale
collaborazione, postulandosi la necessità di intese a livello attuativo,
nell’individuazione degli ambienti marini in cui tutelare le popolazioni
naturali di molluschi e garantire la buona qualità dei prodotti della
molluschicoltura. La questione non è fondata neanche con riferimento all’art. 76
Cost. Se la designazione, nell’àmbito delle acque marine costiere e salmastre,
di quelle da tutelare, anche ai fini del miglioramento dei prodotti della
molluschicoltura (con formulazione normativa anche testualmente coincidente con
il nuovo art. 87 del d.lgs. n. 152 del 2006), era attribuita alle Regioni
dall’abrogato art. 14 del d.lgs. n. 152 del 1999, il compito del Codice
dell’ambiente è proprio quello del «riordino, coordinamento e integrazione delle
disposizioni legislative nei seguenti settori e materie», e tra queste (lettera
b), la «tutela delle acque dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche»
(cfr. legge delega n. 308/2004).
CORTE COSTITUZIONALE – 23 luglio 2009, n. 233 ACQUA – Acque superficiali, marine
e sotterranee - Art. 73, c. 2, d.lgs. n. 152/2006 –
Previsione degli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di cui al comma
1 – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione
dell’art. 117 Cost., dell’art. 73, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, il quale,
indica gli strumenti attraverso i quali raggiungere, nell’ambito della tutela
delle acque superficiali, marine e sotterranee, gli obiettivi di cui al comma 1.
La previsione di strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di tutela
ambientale è formulata infatti a livello generale, organizzativo, al fine di
assicurare standard omogenei sul territorio nazionale, in ordine alle modalità
di conseguimento degli obiettivi. Il carattere generale, unitario, non
interferente su specifiche realtà territoriali, si ritrova nella disposizione di
chiusura della norma (comma 3), in cui si prevede che «il perseguimento delle
finalità e l’utilizzo degli strumenti contribuiscono a proteggere le acque
territoriali e marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali
in materia». Del resto, nella materia ambientale, di potestà legislativa
esclusiva, lo Stato non si limita a porre principi (come nelle materie di
legislazione concorrente): il fatto che tale competenza statale non escluda la
concomitante possibilità per le Regioni di intervenire, nell’esercizio delle
loro competenze in tema di tutela della salute e di governo del territorio, non
comporta che lo Stato debba necessariamente limitarsi, allorquando individui
l’esigenza di interventi di questa natura, a stabilire solo norme di principio
(sentenze n. 62 del 2005, n. 12 e n. 61 del 2009).
La corte costituzionale con la Sentenza n. 307 del novembre 2009 ha richiamato
l’attenzione del legislatore regionale sul rispetto delle funzioni fondamentali
dei comuni di cui all’art. 117 II co lett. p)
Il Dlgs 152/2006 non prevede la possibilità di separazione della gestione della
rete idrica da quella di erogazione del servizio, anche a seguito del
“Correttivo”, mentre in varie parti ne prevede la “non separabilità”.
La relativa disciplina statale è stata dettata, essenzialmente, dal d.lgs. n.
152 del 2006, il cui art. 141 evidenzia come lo Stato, per regolare tale
oggetto, abbia fatto ricorso a sue competenze esclusive in una pluralità di
materie: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela
dell'ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Deve, in altri termini, parlarsi di un concorso di competenze statali, che
vengono esercitate su oggetti diversi, ma per il perseguimento di un unico
obiettivo, quello dell'organizzazione del servizio idrico integrato
Ora, la corte afferma che parlare di «unitarietà», anziché di «unicità» delle
gestioni, non vale a consentire l'opposto principio della separazione delle
gestioni stesse. In altri termini, le due gestioni, quella delle reti e quella
dell'erogazione, alla luce della sopravvenuta disciplina statale, potranno anche
essere affidate entrambe a più soggetti coordinati e collegati fra loro, ma non
potranno mai fare capo a due organizzazioni separate e distinte.
Ora in questo si inserisce la disciplina civilistica tra società collegate .
La non separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico è
confermata anche da ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.
Anzitutto, gli artt. 151, commi 2 e 4, e 153 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia
prima che dopo la novella recata dal decreto correttivo n. 4 del 2008, prevedono
che il gestore del servizio idrico integrato debba gestire e curare la
manutenzione (ordinaria e straordinaria) delle reti e quindi escludono che possa
darsi una distinzione tra gestore della rete, tenuto alla sua manutenzione, e
erogatore del servizio, che da tale obbligatoria attività sia sollevato.
L'art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006, poi, tanto nel testo vigente alla data di
promulgazione della legge regionale impugnata, quanto in quello risultante dalle
successive novelle, regola l'affidamento del servizio idrico integrato senza
differenziare affatto tra affidamento della rete e del servizio di erogazione e
quindi senza consentire una separazione tra di essi.
Quindi, stabilito che la disciplina statale di settore non consente la
separabilità tra gestione della rete e gestione del servizio idrico integrato,
resta da chiarire che tale principio risulta vincolante per il legislatore
regionale, in quanto riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in
materia di funzioni fondamentali dei comuni (art. 117, secondo comma, lettera
p), Cost.). Infatti, le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per
ragioni storico-normative sia per l'evidente essenzialità di questo alla vita
associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere
considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali, la cui disciplina è
stata affidata alla competenza esclusiva dello Stato dal novellato art. 117.
Ciò non toglie, ovviamente, che la competenza in materia di servizi pubblici
locali resti una competenza regionale, la quale, risulta in un certo senso
limitata dalla competenza statale suddetta, ma può continuare ad essere
esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi fondamentali,
purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali.
L'art. 49, comma 1, della legge regionale n. 26 del 2003, novellato dalla legge
regionale n. 18 del 2006, dunque, ponendo il principio della separazione delle
gestioni, violava specificamente la competenza statale in materia di funzioni
fondamentali dei comuni, laddove, in contrasto con la disciplina statale,
consentiva ed anzi imponeva una separazione non coordinata tra la gestione della
rete e l'erogazione del servizio idrico integrato.
La Corte Costituzionale ha conseguentemente bocciato la legge lombarda che ha
imposto agli Ato la divisione tra i due servizi, per la violazione della
competenza statale in materia di funzioni fondamentali dei Comuni nonostante
l’avvenuta sostituzione del principio statale della “unicità” gestionale con
quello della “unitarietà”.
La Corte Costituzionale ha invece giudicato legittimo l’obbligo – previsto dalla
stessa Lr - di aggiudicazione del servizio attraverso bando di gara, con
esclusione dell’affidamento diretto e delle società partecipate, in quanto
finalizzato al valore costituzionale della tutela della concorrenza.
La sentenza ha anticipato di pochi giorni la legge 166/2009 che “impone”
l’appalto del servizio di acquedotto a privati o società miste aventi come socio
operativo quello privato
Sull’accessibilità dei documenti attestanti i risultati delle analisi dell’acqua
potabile relativa alla rete idrica di un comune. (Tar Calabria, Reggio Calabria,
20 maggio 2009 n. 344) Il Tar Calabria si pronuncia in ordine alla
“accessibilità” dei documenti relativi ai controlli svolti dal comune (nella
specie il comune di Reggio Calabria), ai sensi dell’art. 6 e ss, D.Lgs. 2
febbraio 2001, n. 31, sullo stato delle acque della rete idrica. Secondo il
collegio, infatti, tali documenti costituiscono “informazione ambientale” e,
come tali, sono accessibili (ai sensi dell’art. 3, co. 1, D.Lgs. 19 agosto 2005,
n.195) da chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dichiarare il
proprio interesse.
Ancora sul diritto di accesso agli atti relativi alla funzionalità e/o esistenza
di impianti di depurazione afferenti le acque reflue di un comune. (Tar
Calabria, Reggio Calabria, 20 maggio 2009, n. 343) Con la pronuncia di cui
trattasi il Tar giudica “accessibili” (ex art. 3 co. 1, D.Lgs. 19 agosto 2005,
n.195) gli atti relativi alla funzionalità e/o esistenza di impianti di
depurazione afferenti le acque reflue di un comune (nella specie trattasi del
comune di Reggio Calabria) e osserva che, in materia di accesso ambientale, non
è necessaria la puntuale indicazione degli atti richiesti essendo sufficiente
una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato
contesto ambientale per costituire, in capo all’amministrazione, l’obbligo di
acquisire tutte le notizie relative allo stato della conservazione e della
salubrità dei luoghi interessati dall’istanza, elaborarle e comunicarle
all’istante.
Sulle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti emanate per la tutela della
salute pubblica e dell’ambiente. (Tar Campania, Napoli, Sez. V, 18 maggio 2009,
n.2702) Il Tar Campania si pronuncia sulla illegittimità dell’ordinanza con la
quale il Sindaco ha disposto per la quarta volta e per un periodo di 180 gg la
proroga della requisizione di un fondo al fine di stoccare provvisoriamente dei
r.s.u (rifiuti solidi urbani). Secondo il giudice di primo grado, infatti, tale
provvedimento vìola l’art. 13 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (oggi abrogato
dall’art. 264 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152) secondo cui, ferma restando la
facoltà del Presidente della regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente di
superare i detti limiti, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti emesse a
tutela della salute pubblica e dell’ambiente non possono essere reiterate per
più di due volte.
* Docente di diritto dell’ambiente presso Università Statale di Milano – Scienze Politiche
1 O. LONGO, Ecologia
antica. Il rapporto uomo/ambiente in Grecia, Aufidus 6 (1988), 3-30.
2 La Dichiarazione del millennio dell'ONU (Organizzazione delle
Nazioni Unite), del 2000
3 Atti del Forum mondiale dell'acqua, il primo dei quali si è
tenuto a Marrakech, in Marocco, nel 1997.
4 Enciclopedia Treccani : approfondimento di Andrea Carobene
5 Rio de Janeiro, nel 1992 , la Conferenza delle Nazioni Unite
6 Rapporto Brundtland, 1987
7 Trattato dell’Unione Europea Maastricht 1992
8 Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta: sesto
programma quadro;
9 Forum sulla tutela dell'acqua di Parancola S. Editoriale
Delfino 2007
10 Pubblicato nella Gazzetta. Ufficiale del 4 aprile 2009, n.
79;
11 Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a
standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive del Consiglio 82/176/CEE,
83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE e 86/280/CEE nonché modifica della direttiva
2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. (Pubblicata nella G.U.U.E. il
24 dicembre 2008, n. L 348).
12 Agenzia Europea dell’Ambiente, Situazione delle risorse
idriche in Europa, n. 1/2003, pp.1- 2,
13 Agenzia Europea dell’Ambiente, Le risorse idriche in Europa:
una valutazione basata su indicatori. Sintesi, Lussemburgo, Ufficio delle
pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2003,pp.12-20
14 E. Martini, Prospettive e interventi contro le piogge acide,
in www.cartadellaterra.it.
15 Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, del 1982)
16 Atti della Conferenza internazionale di Stoccolma del 1972
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 22/01/2010