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Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
Commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 244 del 2011
LEONARDO SALVEMINI
La corte costituzionale boccia il sistema legislativo regionale della
responsabilità del produttore e dell’autosmaltimento ideato dalla Regione
Veneto.
Si tratta di principi nuovi non rinvenibili in alcuna disposizione statale cui
spetta la competenza legislativa esclusiva in materia di ambiente. ( art. 117 II
co lett. s), anche se condivisibili in un contesto più ampio di politiche per
l’ambiente, privi di profili giuridici adeguati a sostegno.
La Corte costituzionale interviene, quindi, nuovamente in materia di rifiuti nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge della
Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei
rifiuti), nonché del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima
disposizione legislativa regionale, promosso dal Tribunale amministrativo
regionale del Veneto nel procedimento vertente tra la Alles - Azienda Lavori
Lagunari Escavo Smaltimenti s.p.a. ed altra azienda XY spa e la Regione Veneto.
Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la impugnazione di due provvedimenti
amministrativi emessi da organi della Regione Veneto relativamente alla
autorizzazione, con la apposizione di taluni limiti, alla gestione di una
discarica di rifiuti speciali non pericolosi, il Tribunale amministrativo
regionale del Veneto, con ordinanza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
41 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, della legge della Regione
Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti),
nonché, in riferimento agli stessi parametri costituzionali ed all’art. 120
della Costituzione, del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima
disposizione legislativa regionale.
Nel riferire i fatti di causa il giudice rimettente precisa che i ricorrenti nel
giudizio a quo hanno congiuntamente avviato un procedimento per
l’approvazione della realizzazione, in territorio veneto, di un impianto di
smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi.
In base agli accordi fra loro intervenuti, la XY s.p.a. aveva posto a
disposizione della Alles s.p.a. un terreno affinché quest’ultima avviasse le
procedure per ottenere l’approvazione di un impianto per lo smaltimento di
rifiuti speciali non pericolosi che la prima avrebbe progettato, realizzato e
gestito. Infine, la ricettività di tale impianto sarebbe stata riservata, nella
misura del 60% «dei volumi autorizzati», a rifiuti prodotti da Alles, mentre per
il restante 40% potevano essere conferiti rifiuti prodotti da terzi,
eventualmente anche fuori Regione.
Il Tar riferisce che nel primo dei provvedimenti impugnati viene precisato che
la discarica in questione deve intendersi «in conto proprio» con possibilità di
conferimento di rifiuti in «conto terzi» nei limiti di quanto previsto dall’art.
33, commi 2 e 3, della legge regionale n. 3 del 2000, mentre, nel secondo di
essi, si chiarisce che il quantitativo massimo ammissibile di rifiuti in «conto
terzi» sarà pari al 25% del quantitativo complessivamente concesso,
conformemente alla previsione dell’art. 33, comma 2, della legge regionale n. 3
del 2000.
Il Tar osserva che i due provvedimenti impugnati risulterebbero essere lesivi
della posizione dei ricorrenti sotto due profili. Secondo il primo, in quanto è
in essi prevista la possibilità di conferire rifiuti speciali non pericolosi in
conto terzi nella discarica in questione entro il limite del 25% della sua
capacità ricettiva (là dove le parti si erano accordate per consentire che il
40% dei rifiuti conferibili fossero provenienti da terzi); in base al secondo,
in quanto, essendo prevista, fra le limitazioni al conferimento di rifiuti per
conto di terzi, l’osservanza di quanto disposto dal comma 3 del ricordato art.
33 della legge regionale n. 3 del 2000, la possibilità di conferire rifiuti
speciali prodotti al di fuori del territorio regionale era subordinata alla
condizione – prevista appunto dalla disposizione ultima citata – che nella
Regione nel cui territorio essi fossero stati prodotti mancasse un impianto più
vicino adeguato alla smaltimento.
Proprio in merito a questa disposizione che il Tar remittente ritiene doveroso
interrogarsi sulla sua perdurante vigenza, per concludere in senso negativo.
Il Tar richiama la consolidata giurisprudenza costituzionale in tema di rifiuti
che riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» riservata alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Inoltre, l’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3), richiama il ben noto principio di cedevolezza.
Infatti, prevede che «le disposizioni normative regionali vigenti alla data di
entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla
legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di
entrata in vigore delle disposizioni statali in materia»; che, successivamente
alla approvazione della legge n. 131 del 2003, è entrato in vigore il decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale, in
applicazione della competenza legislativa statale in materia di tutela
dell’ambiente, ha dettato compiutamente la disciplina della gestione dei
rifiuti; che, pertanto, ove una disposizione legislativa regionale, emanata
anteriormente alla entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, fosse
incompatibile o contrastante con altra disposizione contenuta in quest’ultimo,
detta normativa regionale dovrebbe essere ritenuta tacitamente abrogata; che,
riguardo al caso di specie, il comma 3 dell’art. 33 della legge regionale n. 3
del 2000, nel prevedere che lo smaltimento dei rifiuti prodotti al di fuori
della Regione Veneto in impianti situati all’interno della Regione medesima sia
subordinato alla mancanza di altri impianti idonei più vicini ubicati nella
Regione ove essi sono stati prodotti, confliggerebbe con i principi contenuti
nell’art. 182, comma 3, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 (nel testo
vigente al momento del deposito della ordinanza di rimessione); che, pertanto,
dovrebbe ritenersi venuta meno, a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n.
152 del 2006, la condizione, che limita la possibilità di smaltire i rifiuti
speciali non pericolosi di provenienza extraregionale nelle discariche ubicate
nella Regione Veneto, dettata dal comma 3 dell’art. 33 della legge regionale n.
3 del 2000.
La corte, tra tutte le sentenze in tema, tra cui la n. 10 del 2009 ha più volte
affermato il contrasto di una disposizione avente lo stesso tenore di quella ora
citata coi principi costituzionali dettati in materia .
Non solo, con la richiamata pronuncia, ha dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Puglia 31 ottobre
2007, n. 29 (Disciplina per lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non
pericolosi, prodotti al di fuori della Regione Puglia, che transitano nel
territorio regionale e sono destinati a impianti di smaltimento siti nella
Regione Puglia), che, appunto, limitava lo smaltimento dei rifiuti speciali
extraregionali alla sola ipotesi in cui le strutture ubicate nella Regione in
questione costituissero gli impianti appropriati più vicini al luogo di
produzione dei rifiuti medesimi.
In quel caso la dichiarazione di illegittimità costituzionale si era resa
necessaria in quanto, essendo la disposizione normativa censurata successiva al
d.lgs. n. 152 del 2006, non aveva potuto operare (a differenza di quanto,
invece, ritiene essere avvenuto nel caso ora in esame) il meccanismo della
abrogazione tacita di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 131 del 2003.
Precisa ancora il rimettente che, là dove non avesse ritenuto operante il
meccanismo di abrogazione tacita, avrebbe sollevato la questione di legittimità
costituzionale della disposizione in questione non diversamente da quanto
verificatosi relativamente alla citata disposizione della Regione Puglia.
Aggiunge il Tar che, pur ritenuta la abrogazione tacita del comma 3 dell’art. 33
della legge della Regione Veneto n. 3 del 2000 nella sola parte in cui esso
subordina la possibilità di smaltire i rifiuti speciali non pericolosi
provenienti da fuori regione alla condizione che nella regione di produzione non
ci siano impianti idonei più vicini, il predetto comma 3 permane in vigore nella
parte in cui, letto insieme al precedente comma 2, determina che la quota del
25% della capienza degli impianti di smaltimento siti nel Veneto riservata al
conferimento di rifiuti speciali «in conto terzi» (cioè prodotti da soggetti
diversi da coloro i quali sono stati autorizzati alla realizzazione della
discarica) sia riferibile non solo ai rifiuti prodotti nella Regione Veneto ma
anche a quelli di provenienza extraregionale.
Il Tar correttamente aggiunge che tale combinato disposto si pone, però, in
contrasto con l’art. 120 della Costituzione, che, secondo la lettura datane
nella sentenza n. n. 505 del 2002, vieta alle Regioni di adottare provvedimenti
che ostacolino la libera circolazione delle cose anche soltanto limitatamente ad
una loro quantità, nonché con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), 3 e 41
della Costituzione.
L’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione in
questione determinerebbe l’accoglimento del ricorso di fronte al giudice
amministrativo .
Infatti, il Tar osserva che i provvedimenti impugnati, che si fondano sull’art.
3, commi 2 e 3, della legge regionale n. 3 del 2000, indicano, in sostanza,
nella misura del 25% della capienza della discarica il volume dei rifiuti «in
conto terzi» che possono essere in essa conferiti, là dove l’accordo intervenuto
fra i ricorrenti nel giudizio a quo prevede che possano essere conferiti
rifiuti di terzi per il 40% della capienza della discarica.
Esaminando il solo comma 2 del citato art. 33, che è dal rimettente interpretato
nel senso che esso, come tale, sarebbe riferibile alla sola ipotesi di rifiuti
di provenienza intraregionale, emerge il contrasto con gli artt. 117, secondo
comma, lettera s), 3 e 41 della Costituzione nella parte in cui limita al
25% della capienza della discarica la quota di rifiuti conferibili da terzi.
È chiaro che né dalla disciplina statale né da quella comunitaria emerge il
principio secondo il quale non è ammesso nelle discariche lo smaltimento di
rifiuti speciali non pericolosi conferiti da soggetti «diversi dai produttori» (recte
dai gestori), risultando, anzi, consentito lo smaltimento «per conto terzi». Il
prevedere, viceversa, dei limiti quantitativi allo smaltimento di rifiuti
conferiti da soggetti diversi dal titolare dell’impianto, «determina la
creazione di un ostacolo allo smaltimento del rifiuto speciale non pericoloso in
uno degli impianti appropriati più vicini», introducendo limitazioni in funzione
del soggetto gestore della discarica e non al fine di perseguire la
razionalizzazione della rete integrata degli impianti tecnicamente idonei, in
tal modo violando l’art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, in relazione al principio fondamentale della legislazione statale
volto allo smaltimento dei rifiuti presso gli impianti specializzati più
prossimi.
Afferma, infatti, il ricorrente che l’applicazione della normativa censurata
potrebbe portare ad una maggiore movimentazione dei rifiuti ove l’impianto
adeguato più vicino, ancorché non pienamente sfruttato, sia già saturo per la
quota nella disponibilità dei terzi.
La norma sembrerebbe in contrasto con l’art. 41 della Costituzione in quanto
essa pregiudicherebbe sia la posizione dei gestori degli impianti di
smaltimento, penalizzati dalla ingiustificata creazione di ostacoli alla libera
circolazione delle merci, sia quella dei produttori di rifiuti i quali, in un
settore nel quale è problematica la programmazione della quantità di rifiuti da
smaltire, sono soggetti a vincoli nella circolazione di questi tali da
comportare il sorgere di inefficienze.
I privati nei loro atti costitutivi e memorie, sostanzialmente confermano e
supportano a vario titolo, quanto esposto dal Tar in sede di remissione.
La Regione Veneto chiede, viceversa, che la questione sia dichiarata
inammissibile o infondata e riservandosi di argomentare più diffusamente in una
successiva memoria.
La difesa della Regione ha chiesto, preliminarmente, che gli atti siano
restituiti al giudice a quo, stante il mutamento del complessivo quadro
normativo di riferimento, dovuto alle modificazioni introdotte, attraverso il
decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della
direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008
relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), a numerose disposizioni
contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, molte delle quali indicate dallo stesse
rimettente a sostegno dei propri dubbi sulla legittimità costituzionale della
disposizione censurata.
Nel merito della impugnazione del comma 3 dell’art. 33 della legge regionale n.
3 del 2000, la Regione Veneto sostiene che la questione sia inammissibile per
aberratio ictus in quanto la disposizione in base alla quale è previsto che
sia possibile conferire rifiuti prodotti da chi non sia il titolare della
discarica nella sola misura del 25% della capacità ricettiva delle singole
discariche è contenuta nel comma 2 della norma censurata.
La Regione ritiene che, con riferimento alla violazione dell’art. 120 della
Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2,
della legge regionale n. 3 del 2000 sia infondata. A suo avviso, infatti, il
citato comma 2 «non è rivolto a porre un limite all’ingresso di rifiuti speciali
extraregionali, ma solo a sviluppare il principio di responsabilità del
produttore nella gestione dei rifiuti». Poiché la ratio dell’art. 120
della Costituzione è di impedire che le Regioni adottino disposizioni volte ad
ostacolare l’ingresso in esse di cose provenienti da altre Regioni, mentre il
comma 2 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000 prende in esame solo il
profilo soggettivo di chi conferisce i rifiuti restando del tutto irrilevante il
luogo di provenienza degli stessi, non risulta limitata, per effetto di tale
disposizione, la libera circolazione delle cose fra le Regioni.
Inoltre, la Regione osserva che, onde escludere la violazione dell’art. 120
della Costituzione, basterebbe interpretare il citato art. 33, comma 2, della
legge regionale n. 3 del 2000 nel senso che esso ha ad oggetto i soli rifiuti
speciali prodotti nella Regione Veneto.
Quanto alla asserita violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s),
3 e 41 della Costituzione, la difesa regionale osserva che il sistema veneto di
gestione dei rifiuti speciali si fonda sulla scelta di ridurre lo smaltimento di
essi in discarica responsabilizzando chi li produce; scelta perseguita –
nell’esercizio delle competenze legislative regionali in tema di «governo del
territorio» e di «tutela della salute» – attraverso la riduzione delle
discariche «in conto terzi» e l’incentivazione degli impianti di stoccaggio.
Precisa la Regione che attraverso il sistema adottato nel Veneto, volto a
privilegiare il meccanismo dell’autosmaltimento dei rifiuti, non si realizza
l’effetto, paventato dal rimettente, della maggiore movimentazione dei rifiuti,
dovuto al fatto che chi li produce, non essendo titolare di discarica, debba
andare in cerca di una discarica che abbia la quota del 25% della sua capienza
ancora disponibile. Ciò in quanto il produttore potrà liberamente conferire i
rifiuti presso un impianto di stoccaggio, ove i medesimi saranno trattati. La
porzione di essi che residuerà al trattamento potrà, quindi, essere conferita
senza limitazioni dal titolare dell’impianto di stoccaggio nella propria
discarica trattandosi di rifiuti da lui stesso prodotti.
La difesa regionale ritiene infondata la questione con riferimento all’art. 3
della Costituzione, vista la ragionevolezza di un sistema che mira a ridurre lo
smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi in discarica in assenza di un
preventivo trattamento degli stessi ed anche la questione della violazione
dell’art. 41 della Costituzione, posto che, in una visione bilanciata con
l’utilità sociale della libertà di iniziativa economica, non stupisce che i
gestori degli impianti di smaltimento possano ricevere senza limiti i rifiuti
solo se essi stessi si occupino del loro trattamento e recupero. Quanto ai
produttori di rifiuti, essi non sono soggetti ad altro vincolo che non sia volto
ad incentivare il conferimento dei rifiuti negli impianti di trattamento e
recupero.
Infine, la difesa regionale osserva che deve ritenersi inammissibile e,
comunque, infondata, la richiesta di estendere in via consequenziale la
dichiarazione di illegittimità costituzionale anche al comma 1 dell’art. 33
della legge regionale n. 3 del 2000, dato che è su tale disposizione che si
fonda il sistema basato sulla responsabilità del produttore e sull’auto -
smaltimento. D’altra parte, se questo è il principio su cui il sistema si fonda,
esso non può essere illegittimo in via consequenziale: semmai il rimettente
avrebbe dovuto sollevare la questione in via prioritaria su tale disposizione
basilare e, in via consequenziale, sulle altre che ne derivava.
In conclusione la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33,
comma 2, della legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in
materia di gestione dei rifiuti), limitamente alle parole «non superiore al
venticinque per cento della capacità ricettiva»; e la inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e 3
del medesimo art. 33 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2000, sollevata,
in riferimento agli artt. 3, 41, 117, secondo comma, lettera s), e 120
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo del Veneto con l’ordinanza in
epigrafe.
Tale esito si fonda sulle seguenti considerazioni svolte dalla Corte.
Innanzitutto alcune preliminari.
Pur avendo la difesa regionale dedotto, onde sollecitare la restituzione degli
atti al rimettente affinché valuti la perdurante non manifesta infondatezza e
rilevanza della questione di legittimità costituzionale, l’avvenuto mutamento,
successivo alla adozione della ordinanza con la quale è stata sollevata la
questione di legittimità costituzionale, del quadro normativo di riferimento in
conseguenza dell’entrata in vigore del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n.
205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga
alcune direttive), che ha modificato talune disposizione del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), indicate dallo stesso
rimettente come espressive di principi violati dalle disposizioni censurate, la
Corte ritiene di potere ugualmente procedere all’esame del prospettato dubbio di
costituzionalità.
Infatti, se è ben vero che, per effetto del comma 1 dell’art. 9 del d.lgs. n.
205 del 2010, è stato introdotto nel d.lgs. n. 152 del 2006 l’art. 182-bis,
il quale prevede che l’attività di smaltimento dei rifiuti debba svolgersi «in
uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o di raccolta, al
fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi», è altrettanto vero che ab
origine identico principio era contenuto nel previgente art. 182, comma 3,
lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006.
Ora è evidente che può certamente escludersi che, al riguardo, sia intervenuto
un mutamento del quadro normativo che possa giustificare un riesame da parte del
giudice a quo della non manifesta infondatezza e rilevanza della
prospettata questione di legittimità costituzionale.
Sempre in via preliminare, ritiene la Corte di dovere circoscrivere l’oggetto
del suo esame alla sola indagine sulla legittimità costituzionale del comma 2
dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000, esulando, invece, da esso la
valutazione della costituzionalità del combinato disposto dei commi 2 e 3 della
medesima norma legislativa.
La corte afferma che è viziata da un’evidente aberrazione interpretativa la tesi
assunta dal giudice rimettente secondo la quale la estensione dell’oggetto della
disposizione contenuta nel comma 2 del citato art. 33 della legge regionale n. 3
del 2000 anche ai rifiuti prodotti al di fuori della Regione Veneto consegua
alla applicazione in combinato disposto anche del comma 3 del ricordato
art. 33, mentre il comma 2 del citato articolo di legge, nel fissare la quota di
riserva del 25% della capacità ricettiva dell’impianto di smaltimento per i
rifiuti conferiti da terzi, non pare fare alcuna distinzione fra rifiuti
endoregionali e extraregionali, il successivo comma 3 individua solo per questi
ultimi una ulteriore condizione affinché essi possano essere smaltiti nelle
discariche ubicate all’interno della Regione Veneto.
Va osservato che la compatibilità coi principi costituzionali della norma che
fissa siffatta condizione (cioè la mancanza nella Regione di produzione di un
impianto di smaltimento adeguato più vicino di quello veneto) non è oggetto di
sindacato da parte della Corte, avendo espressamente escluso il giudice
rimettente – al quale compete, nei giudizi incidentali, di stabilire il
perimetro delle disposizioni legislative da sottoporre al vaglio della Corte –
di dovere sollevare la relativa questione di costituzionalità, ritenendo la
norma in questione in parte qua tacitamente abrogata – ai sensi dell’art.
1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3) – dalla normativa statale sopravvenuta.
Tanto considerato, rileva la Corte che non vi è alcun elemento che giustifichi
l’opzione ermeneutica fatta dal rimettente secondo la quale la disciplina
regionale concernente lo smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi
provenienti da territori esterni alla Regione Veneto sia contenuta nel solo
comma 3 del ricordato art. 33.
È, infatti, contraddittoria l’argomentazione del rimettente che, ritenendo
tacitamente abrogate le disposizioni legislative regionali in contrasto con
l’intervenuta legislazione statale nelle materie di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, seziona la portata della disposizione regionale,
facendone sopravvivere una parte priva di contenuto precettivo ed anche essa,
per il solo fatto di presupporre la possibilità di discipline diverse a secondo
della provenienza regionale o extraregionale di questo tipo di rifiuti, in
contrasto con quella normativa statale che, sempre secondo il rimettente,
determinerebbe l’abrogazione tacita di quella regionale.
Appare, per converso, uno sviluppo non contraddittorio con l’argomentazione del
Tar l’interpretazione che, invece, assegna al comma 2 portata generale,
riguardando pertanto esso i rifiuti speciali non pericolosi ovunque prodotti, ed
al successivo comma 3 portata limitata ai soli rifiuti extraregionali ma
esclusivamente al fine di dettare per questi ultimi una condizione aggiuntiva
(rispetto a quella già fissata per ogni rifiuto speciale non pericoloso dal
comma 2) alla possibilità del loro smaltimento all’interno della Regione Veneto.
La questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2 e
3 dell’art. 33 della legge regionale n. 3 del 2000 è quindi, stante l’erroneità
interpretativa sul contenuto delle disposizioni censurate e la contraddittorietà
delle argomentazioni sviluppate dal rimettente, inammissibile.
Per esclusiva completezza espositiva, al Corte fa presente che non può essere
presa in considerazione la questione relativa al primo comma del suddetto
articolo della legge regionale, dato che ad esso non fa riferimento il giudice
remittente – il quale considera tale disposizione non rilevante ai fini del
giudizio a quo – ma solo la parte privata.
Così delimitato l’ambito dell’incidente di costituzionalità, ritiene la Corte
che esso sia fondato.
In diverse occasioni la Corte ha avuto modo di precisare e di ribadire che «la
disciplina dei rifiuti si colloca […] nell’ambito della tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), della Costituzione, anche se interferisce con altri interessi
e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di
fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, restando
ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali» (sentenze n. 249 del 2009 e n. 62
del 2008).
È agevole osservare che il legislatore veneto, fissando dei limiti, riferiti al
soggetto produttore dei rifiuti speciali non pericolosi, alla possibilità di
smaltimento di questi ultimi nelle discariche ubicate nella Regione ha
individuato un autonomo principio – fondato su quello che la Regione nei suoi
scritti difensivi definisce sistema della responsabilità del produttore e dell’autosmaltimento
– estraneo alla legislazione statale in materia ambientale la quale esclude,
anzi, la sussistenza del principio dell’autosufficienza locale con riferimento
ai rifiuti speciali anche non pericolosi, come è stato affermato dalla Corte con
le sentenze n. 335 del 2001 e n. 10 del 2009.
Tale principio, per un verso, non è espressione di alcuna competenza regionale,
non emergendo elementi specifici ed obiettivi in base ai quali ancorare – come
invece sostiene la difesa della Regione – l’intervento legislativo né alla
materia del governo del territorio né a quella della tutela della salute.
Si rileva anzi che l’istituzione di siffatti limiti soggettivi col restringere
considerevolmente la generale fruibilità delle discariche, determina di
necessità una maggiore movimentazione dei rifiuti sul territorio, stante la
contrazione dell’offerta di idonei siti disponibili allo smaltimento dei rifiuti
speciali non pericolosi.
In tal modo rimane violato il principio sancito dall’art. 182-bis del
d.lgs. n. 152 del 2006 in base al quale, tenuto conto del contesto geografico e
della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti, si
deve tendere «al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi».
Va, d’altra parte, considerato che anche la specie rifiuto non è estranea
al più ampio genere di bene commercialmente rilevante, essendo di comune
esperienza il fatto che anche le operazioni di smaltimento dei rifiuti per conto
terzi sono suscettibili di formare oggetto dello svolgimento di attività
imprenditoriale. Del resto, già nella sentenza della Corte n. 335 del 2001 si è
affermato che «anche alla luce della normativa comunitaria il rifiuto è pur
sempre considerato un prodotto».
In base a tale prospettiva deve affermarsi il contrasto della disposizione
censurata anche con l’art. 41 della Costituzione.
Infatti, attraverso la fissazione, operata dalla disposizione censurata, di un
limite, rapportato alla complessiva capacità dell’impianto, alla possibilità di
ricevere rifiuti speciali non pericolosi prodotti da soggetti diversi dal
gestore della discarica si determina, in assenza di ragioni di utilità sociale
ovvero senza che ciò valga a prevenire danni alla sicurezza, alla libertà ed
alla dignità dell’uomo, un ingiustificato vincolo, a carico del gestore
medesimo, alla sua libera facoltà di svolgere un’iniziativa economica.
In considerazione della già affermata applicabilità della disposizione
dichiarata incostituzionale sia riguardo ai rifiuti speciali non pericolosi
prodotti nella Regione Veneto sia riguardo a quelli provenienti da altre
Regioni, restano assorbiti i restanti profili di illegittimità costituzionale
dedotti dal rimettente.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 05/08/2011