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Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
Rifiuti gassosi e petrolchimico
(La combustione dei fluidi gassosi dell’industria chimica e petrolchimica non costituisce attività di gestione dei rifiuti soggetta ad autorizzazione, ex art. 208 T.U.A.)
PASQUALE GIAMPIETRO - STEFANIA GIAMPIETRO°
SOMMARIO:
Parte I Fluidi gassosi e rifiuti (solidi, liquidi, ecc.).
1. L’oggetto della ricerca.
2. Il supposto fondamento della interpretazione criticata.
2.1. Di alcune precisazioni tecniche.
2.2. Conferme sulla natura degli effluenti in base ai procedimenti
amministrativi seguiti per il rilascio dell’A.I.A. e alle valutazioni conformi
del Dicastero dell’Ambiente e della Regione competente.
Parte II Il rifiuto gassoso nella normativa interna e comunitaria.
Rifiuto e acque di scarico.
3. Le emissioni sottoposte a combustione, non fuoriuscendo dagli impianti,
non sono comunque “rifiuti” (a prescindere dal loro stato gassoso).
3.1 La più recente giurisprudenza nega la nozione di “rifiuto gassoso”, salvo
casi specifici.
3.2. I presupposti dell’approccio non condiviso: le fonti comunitarie e il
presunto parallelismo fra il trattamento delle acque reflue e la combustione dei
rifiuti gassosi.
3.3. Richiami di dottrina sulla distinzione: rifiuto – acque di scarico.
3.4. La esclusione dei rifiuti gassosi dalla normativa della Parte IV del T.U.A.
Parte III Autonomia e autosufficienza della Parte V (sulle emissioni)
rispetto alla Parte IV (sui rifiuti) del T.U.A.
4. La non applicabilità dei codici CER 070199 e 070299 ai fluidi gassosi.
4.1. Autonomia e autosufficienza della Parte V (a tutela dell’aria e riduzione
delle emissioni in atmosfera) rispetto alla disciplina, anche tecnica, della
Parte IV, del T.U. ambientale.
4.2. Il regime autorizzatorio per le emissioni in atmosfera: prassi regionale e
del Dicastero dell’ambiente.
4.3. Conclusione sugli effluenti gassosi secondo la prassi amministrativa e la
Cassazione penale.
4.4. Attività “intermedie e non essenziali” di combustione dell’effluente
gassoso: censure della Suprema Corte.
Parte IV Casi tassativi di rifiuti allo stato gassoso. Conclusioni.
5. Ultimi rilievi critici sulle tesi non condivise.
5.1. La Corte di Cassazione limita i casi di “rifiuto gassoso” a ipotesi
tassative.
6. Conclusioni.
Parte I
Fluidi gassosi e rifiuti (solidi, liquidi, ecc.).
1. L’oggetto della ricerca.
La presente nota intende rispondere al seguente interrogativo: è giuridicamente
corretto qualificare un fluido gassoso come “rifiuto”, ai sensi e
per l’effetto di cui all’art. 183, comma 1, lett. a), del d.lgs n. 152, del 3
aprile 2006 (c.d. T.U. ambientale, come modificato e integrato dal “terzo
correttivo” ex d.lgs. n. 205/2010 e d.lgs. n. 219/2010), con riferimento agli
effluenti gassosi di processo che si generano nella industria chimica e
petrolchimica?
La risposta, che segue, non intende limitarsi a tener conto dei soli criteri
generali o di principio che connotano l’attuale ordinamento italiano,
profondamente e reiteratamente innovato (“corretto”) dal 2006 in poi, quanto
prestare una particolare attenzione a casi concreti, oggetto di pronunce della
giurisprudenza, interna e comunitaria, in cui si rinvengono delle
interpretazioni della normativa di settore molto originali… ma assai dubbie. In
particolare quando, in alcune vicende giudiziarie nazionali (penali), si è
elevata la contestazione di “smaltimento non autorizzato di rifiuti
gassosi”, con riferimento a determinate “emissioni”.
Mi riferisco, in specie, alla nota pronuncia del Tribunale di Gela del 24
marzo 2006, n. 2011 -
relativa alla raffineria di petrolio dell’AGIP PETROLI di Gela, in relazione
alle attività dell’impianto cracking catalitico, dell’impianto di alchilazione e
di trattamento acque (TAS), “comportanti incenerimento di reflui gassosi”
– la quale ha considerato provata la sussistenza della violazione di cui
all’art.51, comma secondo, del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (smaltimento senza
autorizzazione), proprio in relazione a detti fluidi.
Come si legge nella motivazione della pronuncia, tale conclusione si fonda su
due presupposti essenziali:
a) che i "reflui" gassosi e le "correnti" gassose sarebbero da considerare
"rifiuti" disciplinati dal citato decreto legislativo;
b) che la loro combustione comporterebbe, nel caso dello stabilimento AGIP,
attività di incenerimento di rifiuti, ai sensi del D.M. 503 del 1997.
In altri termini, quel Tribunale ritiene che i prodotti allo stato gassoso
possano essere ricondotti, a seconda delle circostanze, sia alla categoria
dei "rifiuti" sia a quella degli effluenti gassosi: nel primo caso,
sarebbero soggetti alla disciplina prevista dal d.lgs. n. 22 del 1997; nel
secondo, a quella del D.P.R. 24 maggio 1988, n.203. Si versa nella prima
ipotesi, quando il prodotto viene sottoposto ad un trattamento ai fini del suo
incenerimento (id est: smaltimento); nella seconda, quando il prodotto
è destinato ad essere immesso direttamente in atmosfera.
2. Il supposto fondamento della interpretazione criticata.
Similmente, anche di recente, alcune Procure della Repubblica hanno
qualificato come rifiuto, da sottoporre dunque alla disciplina della Parte
IV del T.U. cit., fluidi gassosi (attribuendogli alternativamente il
codice CER 070299 ovvero 070199) con diversa provenienza (per es. dal circuito
criogenico del propilene e dell’etilene, dall’impianto di cracking ecc.) di
alcune società chimiche, prima di essere combusti tramite un sistema di
torce ed immesso nell’atmosfera, in quanto indesiderato e/o in eccesso ovvero
generato durante situazioni di emergenza, di fermata o di avviamento degli
impianti, in base ai seguenti presupposti giuridici:
a) sulla qualifica da attribuire al fluido gassoso, in ingresso alle torce, come
“rifiuto gassoso”;
b) sull’asserita attività di “smaltimento” da assegnare all’operazione di
combustione nel sistema delle torce;
c) sulla contrapposizione giuridica fra “effluente gassoso” ed “emissioni”.
Più specificamente:
sub a): riconducendo le sostanze gassose nei codici CER (0701 99 e 070299);
sub b): riportando la combustione nell’attività di incenerimento: ex All. B, D10
(“Incenerimento a terra”; ovvero ex D.9, “trattamento chimico-fisico, ecc”, del
T.U. cit.);
sub c): in forza di una supposta contrapposizione logico-giuridica e
tecnica fra “effluente gassoso” immesso in atmosfera dalle torce2
ed “emissione anche gassosa, in atmosfera”, considerata nella
fase cronologica e tecnologica anteriore allo “scarico in atmosfera”
(scarico da definire “effluente gassoso”), che rientrerebbe – pur
nell’identità dello stato gassoso – nella categoria giuridica, generale e
onnicomprensiva, di “rifiuto” gassoso, ricorrendo, ovviamente, tutte
le altre condizioni proprie di questa nozione (“sostanze gassose non utili
nel processo produttivo” che sarebbero “disfatte” in atmosfera, previa
combustione).
Questa ricostruzione delle norme evocate risulterebbe specificamente desumibile
dalle seguenti disposizioni di legge (da cui si inferisce la
possibilità di applicare sanzioni anche penali, in caso di inosservanza….):
1) l’art. 177, T.U. che, stabilendo il campo di applicazione della normativa dei
rifiuti, ricomprenderebbe anche gli inceneritori;
2) le definizioni di cui all’art. 183, che descrive le “emissioni” (sub comma 1,
lett. v), come “le emissioni in atmosfera di cui all’articolo 268, lettera b”;
3) l’All. A, della Parte IV, voci Q1, Q8, Q11, Q16, del T.U.A. le quali
prevedono delle categorie di rifiuti, quali i residui di produzione industriale,
adattabili anche ai fluidi gassosi;
4) il successivo All. D) che indica, con i codici CER 070299 e 070199, la
tipologia dei rifiuti gassosi inviati all’incenerimento delle torce;
5) l’All. B) del decreto, che elenca alcune operazioni di smaltimento (D9:
Trattamento chimico-fisico, ecc.) e D10 (incenerimento a terra) che si
adatterebbero a descrivere le attività svolte dagli impianti;
6) l’art. 185 del T.U., che escluderebbe, dal campo di applicazione del decreto,
solo (lett. a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi
nell’atmosfera la cui definizione va ricercata nell’art. 268, comma 1, lett.
g).
In conclusione, dal coacervo delle norme rassegnate, si argomenta nel
senso che:
a) esisterebbe una contrapposizione netta fra l’effluente gassoso (ovvero
lo scarico finale delle torce) e la nozione di emissione, in forza della
quale solo per il primo sarebbe esclusa l’applicazione della normativa
sui rifiuti;
b) l’art. 256 del T.U. sanzionerebbe, dunque, il momento precedente di
incenerimento dei rifiuti gassosi senza autorizzazione; perché il gas, a seconda
della fase del processo produttivo industriale in cui venga considerato,
ricadrebbe sia nella disciplina prevista dalla Parte IV (sui rifiuti) che in
quella di cui alla Parte V (sulle emissioni) del T. U;
c) la conferma delle conclusioni raggiunte sarebbe – infine – rintracciabile, a
detta degli organi inquirenti, in alcuni passaggi di una recente pronuncia della
Corte di Cassazione (la n. 41582/2007), nonché in indirizzi consolidati
della Corte di Giustizia europea, come, per es., nelle decisioni del 18. 4.
2002, Palin Granit Oy, nonché del 15.6.200, Arco, ecc.) ispirate ad una “tutela
integrata dell’ambiente” e a forme di “…. tutela ancora maggiore del
medesimo” che dimostrerebbero la correttezza di una operazione ermeneutica
volta ad affermare l’obbligo “… di chiedere ed ottenere le autorizzazioni
necessarie sia per le emissioni in atmosfera che per il trattamento dei rifiuti
anche gassosi.. per l’attuazione dei principi di cui all’art. 177 cit.”
In definitiva, il sistema giuridico vigente coordinerebbe e integrerebbe la
duplice disciplina ricordata nei seguenti termini:
Se il gas viene trattato e gestito ai fini di essere smaltito mediante
combustione (attività questa che rientra tra quelle di smaltimento del
rifiuto), allora esso dovrebbe qualificarsi giuridicamente rifiuto e
l’attività di gestione ai fini del suo smaltimento, sarebbe da autorizzare,
ai sensi dell’art. 208 del D.L.vo n.152/2006; se, invece, il gas – che, in
ipotesi, può anche essere quello stesso rifiuto precedentemente trattato
– sarà immesso direttamente in atmosfera, allora deve qualificarsi come
effluente gassoso e la sua immissione verrà autorizzata, ai sensi
dell’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006.
2.1. Di alcune precisazioni tecniche.
A fini della presente ricerca, sarà utile premettere alcuni dati fattuali,
soprattutto tecnici, prima di esaminare i profili più strettamente giuridici,
considerando:
a) la reale provenienza, formazione e natura (chimico-fisica) della
sostanza gassosa;
b) le ragioni tecnologiche e/o gestionali che giustificano, di volta in
volta, la combustione nelle torce (per es. sostanze indesiderate; in eccesso;
generate in situazioni emergenziali; di fermata, avviamento, ecc.); e chiarendo,
poi:
c) la disciplina giuridica applicabile ai fluidi gassosi in oggetto che,
val la pena anticiparlo sin da ora, riguarda esclusivamente (salvo alcune
deroghe) le emissioni di cui alla Parte V del T.U. cit., e non anche –
e cumulativamente – la Parte IV, sulla gestione dei rifiuti.
Per questo secondo profilo, dovranno essere confutate le tre affermazioni
espresse nel precedente paragrafo, sottese ai punti:
a) sostanza/fluido gassoso riconducibile alla nozione di rifiuto;
b) incenerimento da qualificare smaltimento;
c) contrapposizione tra emissione ed “effluente gassoso”, per ragioni
tecniche e giuridiche.
Sui due aspetti tecnici indicati - sub a) e b) : provenienza, formazione e
natura della sostanza gassosa e b) le ragioni tecnico-gestionali che
giustificano il ricorso alle torce - è possibile affermare, in via di estrema
sintesi, che, considerando le principali fasi di produzione e le
attività tecnicamente connesse delle società chimiche e petrolchimiche,
può correttamente affermarsi che la rete di torce, nei casi esaminati,
si presenta, sul piano fattuale e giuridico, quale attività tecnicamente
“connessa” al processo produttivo e non come un sistema di impianto
indipendente di combustione.
In particolare, tale sistema risulta “tecnicamente connesso” al processo di
produzione proprio perché funzionalmente indispensabile al corretto esercizio
dell’intero impianto.
Una specifica ricognizione delle fasi produttive, con particolare
attenzione alle operazioni che prevedono l’utilizzo delle torce, rivela,
infatti, che esse entrano in azione per l’allontanamento di gas generatisi
nelle fasi produttive in occasione di funzionamenti anomali degli impianti,
per diverse cause, spesso non prevedibili.
I dati tecnici acquisiti, nel corso delle vicende giudiziarie richiamate,
dimostrano che:
- le società coinvolte svolgevano la loro attività nel comparto petrolchimico
(industria chimica o petrolchimica) e non già in quello - ben distinto sul piano
industriale e normativo - dell’incenerimento dei rifiuti.
- dette attività (del comparto petrolchimico) generano una tipologia di
rifiuti che, in relazione alle lavorazioni descritte, non ha nulla a che
fare con gli effluenti gassosi, in esame.
Ed, invero, i rifiuti prodotti dai processi principali possono essere ricompresi
nelle due seguenti categorie principali:
05 00 00 RIFIUTI DELLA RAFFINAZIONE DEL PETROLIO, PURIFICAZIONE DEL GAS NATURALE E TRATTAMENTO PIROLITICO DEL CARBONE |
|
05 01 00 Rifiuti della raffinazione del petrolio |
07 00 00 RIFIUTI DEI PROCESSI CHIMICI ORGANICI |
07 01 00 Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso di
prodotti chimici organici di base |
07 02 00 Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso di plastiche, gomme sintetiche e fibre artificiali |
I processi di lavorazione producono, per quanto specificato sopra, fluidi
gassosi in eccesso, che originano dalle materie prime o da prodotti
che non possono essere riutilizzati .
Quanto alle torce, alle modalità e alle circostanze del loro impiego, è
sufficiente aggiungere che, nella rete gas delle torce, vengono convogliati i
gas degli impianti (rilasciati da valvole di sicurezza, sistemi di
depressurizzazione rapida etc.) in occasioni di emergenza o anomalia per
la combustione degli stessi.
A tal fine gli impianti sono collegati alla rete gas di torcia dedicata agli
scarichi di emergenza dei vari circuiti (criogenico, impianto di cracking,
serbatoi, parco stoccaggio GPL, molo, impianti di produzione ecc.).
Prima di alcune torce, si trovano dei sistemi di recupero gas costituito
da gasometri (serbatoi di stoccaggio gas) e compressori di rilancio per l’invio
del gas alla rete fuel gas degli stabilimenti. Il fuel gas in
eccesso viene recuperato nei gasometri e successivamente, tramite compressori,
rilanciato nella rete del fuel.
In caso di emergenza, nelle torce vengono alimentati i gas - derivanti dalle
materie prime e/o i prodotti del ciclo di produzione - composti, in rapporti
variabili, da idrogeno, metano, etano, etilene, propano, propilene, ecc.
2.2. Conferme sulla natura degli effluenti in base ai procedimenti
amministrativi seguiti per il rilascio dell’A.I.A. e alle valutazioni conformi
del Dicastero dell’Ambiente e della Regione competente.
A conferma della correttezza dell’approccio tecnico, sinora esposto, appare
utile evidenziare che, nelle vicende richiamate, emerge che in sede di
rilascio dell’A.I.A.:
a) i gas che derivano dai vari processi descritti - e che vengono episodicamente
inviati al sistema torce – sono considerati dalle Autorità centrali e regionali
competenti come fluidi gassosi (emissioni) non riconducibili
alla categoria giuridica dei “rifiuti gassosi”;
b) questi fluidi risultano caratterizzati da una spiccata costanza,
quanto a composizione chimica e caratteristiche fisiche, tanto che è
consentito stabilire la quantità e la qualità dei fluidi inviati a combustione
mediante torcia, in forza di dati di base costituiti da:
- registrazione dei parametri di marcia;
- dati di progetto delle apparecchiature.
Da questi ultimi dati – relativi alla uniformità dei parametri del processo
produttivo che comportano delle caratteristiche uniformi dei gas - può
rintracciarsi un ulteriore argomento tecnico e giuridico per affermare
che non va applicata, nella presente vicenda, la normativa 2000/76/CE,
come attuata dal d.lgs. 133/2005 sull’incenerimento dei rifiuti, la quale
si basa su una “non costanza” e “non ripetibilità” dell’effluente gassoso
che ne origina (diversamente dai processi in questione).
Con la conseguenza che la disciplina sull’incenerimento cit. richiede il
monitoraggio (controllo) di una molteplicità di parametri chimici
potenzialmente presenti nel flusso gassoso, proprio in virtù del
fatto che i rifiuti possono risultare, di volta in volta, diversi.
Nelle fattispecie, in oggetto, invece, generandosi l’effluente gassoso da
materie prime e prodotti di reazione non variabili e da un processo
industriale standardizzato, tale variabilità non si configura in
quanto le intrinseche caratteristiche chimico-fisiche del fluido si
presentano certe, sebbene non si sia sicuri della effettiva probabilità
che il flusso in emissione venga generato (dipendendo, come rilevato, da
guasto di impianto, sospensione delle lavorazioni, ecc.).
Parte II
Il rifiuto gassoso nella normativa interna e comunitaria.
Rifiuto e acque di scarico.
3. Le emissioni sottoposte a combustione - non fuoriuscendo dagli impianti - non
sono comunque “rifiuti”, a prescindere dal loro stato gassoso.
La prospettiva confutata, rivolta a postulare la sussistenza dei
requisiti/condizioni della nozione di rifiuto nella sostanza gassosa che
viene incenerita nelle torce, ex art. 183, comma 1, lett. a), come novellato – può
e deve essere confutata innanzitutto, in base ad un’argomentazione
pregiudiziale, autonoma e dirimente, fondata sui principi generali posti
a base della Parte IV, nelle letture consolidate della giurisprudenza
comunitaria e nazionale.
I reflui gassosi – derivanti per es. dal circuito criogenico del propilene,
etilene ecc.; dall’impianto di cracking o provenienti dai serbatoi parco
stoccaggio GPL, dal molo ecc. – prima di essere combusti nel sistema delle
torce, non escono in alcun momento e in alcun luogo dai circuiti a ciclo
chiuso degli impianti delle imprese del settore chimico e petrolchimico.
Ne consegue, in termini giuridici, che - non essendo “abbandonati” o “disfatti”
tramite operazioni che li allontanino o li facciano fuoriuscire dal sistema
costituito dal processo industriale - detti fluidi gassosi non
assumono, in alcuna fase del processo, in alcun momento e in alcun luogo
(esterno agli impianti con cui è stata organizzata la produzione), la
qualifica di rifiuto3.
Quando poi dette emissioni – dopo il loro trattamento (per combustione)
nel rispetto della normativa della Parte V, vengono scaricati dalle torce
- esse rivestono la specifica e pacifica qualifica di “effluenti gassosi”,
ai sensi dell’art. 368, 1°, lett. g), T.U. A., e ne seguono la disciplina (non
considerando, in questa sede, il distinto problema dell’applicabilità o meno
dell’esenzione di cui all’art. 269, comma 14, lett. 1, sugli impianti di
emergenza o sicurezza peraltro, da ultimo, ridisciplinata: v. oltre, a nota 31).
Come dire che la sostanza gassosa “indesiderata” o in “eccesso” –
anche se non sempre generata, per ipotesi, in situazione di “emergenza e di
sicurezza”, ma derivante da “fermata o da avviamento” degli impianti,
ecc. – non acquista mai e comunque una doppia esistenza fisica e giuridica:
di “rifiuto gassoso”, prima di essere bruciata, e di “effluente
gassoso”, all’uscita dalle torce.
Le “emissioni” considerate, infatti, divengano rilevanti, per il diritto
e sono qualificabili in base alla normativa ambientale solo nel momento
in cui - fuoriuscendo dalle torce, e dunque impattando nella matrice
ambientale (atmosfera) - assumono, per la prima volta, la
qualifica giuridica di “effluente gassoso“, ex art. 268, comma 1, lett. g),
T.U.A.
Prima dello scarico, quando i fluidi gassosi (emissioni) si trovano
ancora all’interno del circuito produttivo (cioè all’interno degli impianti
industrial) - e dunque non sono ancora “disfatti”, facendo sorgere un
problema di “modificazione dell’aria atmosferica” cioè di “inquinamento
atmosferico”, ai sensi della lett. a) dell’art. 268 cit. - questi fluidi non
possono essere ricondotti nella categoria giuridica del “rifiuto” ex art.
183, comma 1, lett. a), che, ovviamente, presuppone l’allontanamento
della sostanza o dell’oggetto dagli impianti (o dal sistema) per essere
(depositati e quindi) recuperati o smaltiti4.
3.1. La più recente giurisprudenza nega la nozione del “rifiuto gassoso”,
salvo casi specifici (estranei alle vicende in esame).
Ancora in via preliminare, prima di confutare analiticamente gli
argomenti addotti dalla interpretazione non condivisa, merita rilevare, che le
tesi prospettate, nel 2006, dal Tribunale di Gela5
e, successivamente, riprese da altre Procure della Repubblica, hanno trovato
critiche severe dalla prevalente dottrina e, da ultimo, sono state
censurate dal giudice di legittimità6
Quest’ultimo, con ampia e rigorosa motivazione, osserva che “.. le conclusioni
cui il Tribunale di Gela giunge si fondano su una interpretazione delle
disposizioni di legge che la Corte non condivide..”(v. p. 4. sub c, della
sentenza) tanto da ritenerle contrarie alla legge e pronunciarsi per
l’annullamento della sentenza “senza rinvio perché il fatto, come
contestato, non sussiste”.
Nel momento in cui si rileggono i motivi di diritto addotti dal Tribunale
cit. per pervenire ad una pronuncia di condanna, così come lucidamente
sintetizzati dalla Suprema Corte7,
ci si avvede che essi coincidono, sostanzialmente, con quelli fatti
valere, in distinta vicenda, anche da altre Procure (v. retro, par. 1) che,
riproponendoli “tal quali”, senza alcun ulteriore approfondimento:
1) trascurano del tutto le decisive confutazioni della Cassazione (che li ha
rigettati in toto);
2) si espongono alle stesse censure di illegittimità;
3) e finiscono per frustrare, in tal modo, con troppa disinvoltura…., la
funzione nomofilattica riservata alla Suprema Corte, dall’art. 65,
dell’Ordinamento giudiziario.
3.2 I presupposti dell’approccio non condiviso: le fonti comunitarie e il
presunto parallelismo fra il trattamento delle acque reflue e la combustione dei
rifiuti gassosi.
Una ricognizione storica e dogmatica delle fonti normative adottate, in sede
comunitaria (a partire dalla direttiva quadro 75/442 CEE) e nazionale,
sulla gestione dei rifiuti, consente di affermare, in termini del tutto piani e
corretti, che il fluido o sostanza gassosa non ricade, in via generale, salvo
casi tassativi e in deroga (v. infra), nella definizione di rifiuto, intesa
come: “.. qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate
nell’allegato 1, di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia
l’obbligo di disfarsi” (v. l’art. 1, par. 1, lett. a) della direttiva sopra
cit.).
Benché l’espressione utilizzata dal legislatore comunitario sia
potenzialmente idonea a ricomprendere ogni sostanza od oggetto che si
presenti in uno stato fisico solido, semisolido, liquido, gassoso, ecc. -
già a partire dal 1975, la norma comunitaria cit. si preoccupava di escludere
- dalla nozione tecnico-giuridica di rifiuto e relativa disciplina - con
previsione espressa e generale, la “sostanza” in stato gassoso (v. l’art.
2), oltre che liquido, in questi termini:
“ Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva a)
gli effluenti gassosi emessi nell’atmosfera…8
; iv) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido”.
Né la circostanza che detti allegati si chiudevano con una previsione finale -
che richiama “qualsiasi sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle
categorie sopra elencate” (v. per es. la voce Q16, della direttiva del ’75)
- autorizzava, come si vedrà, ad estendere la categoria del rifiuto a quello
gassoso, oltre i casi consentiti. Non solo per il tenore della
previsione, che menziona “ le sostanze i materiali o i prodotti” (con
terminologia ben precisa e contrapposta a quella sulle “emissioni” gassose).
Ma anche perché tale estensione, in linea generale, era ed è vietata dalla
norma sul “campo di applicazione della direttiva” la quale, facendo
riferimento agli “effluenti gassosi emessi nell’atmosfera”, ex art. 2, par. 1,
lett. a), andava e va letta come rivolta a tutte le “emissioni in generale”
e non solo al loro scarico finale (su ciò, v. oltre).
Alla esposta conclusione perviene, da ultimo, anche la Suprema Corte
cit., la quale acutamente osserva, sul piano sistematico, che va
considerato come dato di fatto fondamentale:
“ … la circostanza che il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203” (sulle emissioni in
atmosfera) “.. si occupi espressamente ed in modo
sistematico di "emissioni" aeriformi che assumono rilievo
in quanto possono "causare inquinamento atmosferico".
Ed aggiunge:
“…Si è in presenza di una disciplina di settore che ha caratteristiche di
organicità e che mira a ridurre al massimo, per le attività produttive,
le immissioni in atmosfera di sostanze che comportano rischi per l'ambiente e
per l'uomo. Essa ha, dunque, ad oggetto i medesimi beni di rilievo
costituzionale che sono posti a fondamento proprio della normativa in tema di
rifiuti”.
Uno specifico rilievo, sul piano ermeneutica, deve essere attribuito, a parere
della stessa Corte, anche alla circostanza che, in sede comunitaria, come
si è accennato, è stata emanata una disciplina apposita delle emissioni
in atmosfera, diversa e separata da quella in tema di rifiuti.
Le stesse considerazioni devono riproporsi per le successive direttive-quadro
91/156/CEE e 2006/12/CE, sui rifiuti, che non modificano né l’ambito
delle definizioni né quello delle esclusioni. Altrettanto dicasi
per l’ultima direttiva 2008/98 CE, attualmente vigente, che ha abrogato
quelle anteriori, appena indicate, e che, mentre nell’art. 3, par. 1, n. 1
conferma la definizione di rifiuto (senza far riferimento agli allegati) nell’art.
2 esclude: “.. dall’ambito di applicazione della presente direttiva gli
“effluenti gassosi emessi in atmosfera”.
La normativa nazionale di riferimento si è rigorosamente adeguata a tale
approccio sistematico tant’è che, ove si leggano in sequenza gli artt. 6 e 8 del
d.lgs. n.22 del 1997 e gli artt. 183 e 185 del d.lgs. n.152 del 2006 e s.m.i.,
si riscontrerà come le definizioni e le esclusioni del legislatore interno
confermano la portata del concetto di "rifiuto" come delineata e
circoscritta dalla normativa comunitaria.
Anche solo il dato testuale delle disposizioni, interne e comunitarie,
sulla esclusione degli effluenti gassosi, porta ad estromettere, dall’area della
gestione dei rifiuti, tutte le emissioni gassose, nel rispetto dei
criteri ermeneutici posti dalle Preleggi al codice civile (v. art. 12), ferma
restando la previsione di casi speciali, tassativamente individuati, di
rifiuti gassosi.9
Leggendo contestualmente gli artt. 6 e 8 citt. non può non constatarsi che la
(apparentemente) illimitata ampiezza della definizione di rifiuto viene poi
ristretta dalle esclusioni, che, peraltro, sono regolate in modo
differenziato dall’art. 8.
Quest’ultimo, infatti, se per le emissioni in atmosfera introduce una
esclusione piena e incondizionata, per le altre sostanze escluse, introduce
una disciplina differenziata.
Per es., per le acque, l’esclusione opera, ex art. 8 (in base alla
congiunzione "nonché") solo quando esista una specifica disciplina che,
evidentemente, per le emissioni gassose (c.d. effluenti), viene ritenuta
dallo stesso disposto, come già esistente, esaustiva e assorbente (per
cui il termine “effluenti gassosi” assume la portata generale di tutte
“le emissioni in atmosfera”).
Come rileva, infatti, anche la Suprema Corte n. 41582 cit.:
“… a differenza degli effluenti gassosi, la lett. e) dell’art. 8,
espressamente prevede che anche i liquidi possano essere ricompresi
nell'ambito dei "rifiuti" allorché si tratta di "acque reflue"…. Tale
ultima esplicita differenza mette in crisi il parallelo tra rifiuti gassosi e
rifiuti liquidi, su cui si fonda la motivazione della sentenza impugnata.”
“Sul punto merita aggiungere la considerazione che, secondo il citato d.lgs.
n.152 del 1999, i liquidi direttamente immessi nei corpi recettori non
possono essere considerati, come "rifiuto", ancorché contengano particelle
inquinanti e siano stati sottoposti a trattamento preventivo. Se ciò è
vero, sembra doversi concludere che la disciplina sulle acque,
contrariamente a quanto assunto dalla sentenza impugnata, conforta la lettura
che esclude dall'ambito dei rifiuti gli effluenti immessi direttamente
nell'atmosfera ancorché contengano particelle inquinanti e siano stati
sottoposti a trattamento preventivo”.
In definitiva, tornando alle emissioni, non può assegnarsi
un peso decisivo, di tipo concettuale e sistematico, alla contrapposizione fra “effluenti
gassosi” ed “emissioni” (v., rispettivamente le lett. g) e
b) dell’art. 268 del T.U.).
E’ evidente, infatti, che, sul piano tecnico e giuridico, con il termine “effluente”,
la norma indica e si riferisce al momento di fuoriuscita in atmosfera
(cioè alla fase di “scarico”) delle stesse “emissioni” (cioè di
quelle “emissioni” che contengono, ex lett. b), “qualsiasi sostanza
solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare
inquinamento atmosferico” e che richiedono, normalmente, un trattamento di
abbattimento degli inquinanti).
Il parallelismo con lo “scarico” e le “acque di scarico”, di cui
all’art. 74 (“Definizioni”) del T.U. appare evidente. Quivi si individuano le
acque reflue (v. lett. g, h, i, del primo comma) nonché “lo scarico
di acque reflue” (lett. ff: come: “qualsiasi immissione di acque
reflue in acque superficiali, sul suolo, .. ecc.”).
Ebbene nessuno immaginerebbe di prospettare una netta separazione –
concettuale e di disciplina giuridica - fra la prima nozione (acque reflue) e la
seconda (scarichi) tanto da sostenere che la normativa della Parte III, del T.U.
riguardi solo gli scarichi e non le “acque reflue…. (da depurare per
conformarle ai valori limite di emissione previsti dalla legge) come ipotizzato,
dalla tesi confutata, con riferimento alla separazione fra “emissioni” e
“effluenti gassosi”!
In conclusione l’effluente gassoso altro non è che lo
scarico di emissioni gassose contenenti sostanze (solide, liquide gasose)
potenzialmente contaminanti l’atmosfera. L’effluente gassoso è costituito
dalle emissioni (le quali contengono la parte inquinante trattata)
e si identifica con esse nel momento in cui fuoriesce dagli impianti,
come scarico gassoso (ammissibile), per essere rilasciato in atmosfera.
Ne deriva, come emerge dal dato normativo esaminato retro, che la Parte V del
T.U.A. disciplina tutto intero il ciclo delle emissioni - effluente
gassoso.
Dal momento in cui si genera l’effluente gassoso (con la formazione di
emissioni) – che per le loro caratteristiche, eventualmente inquinanti, non
possono essere immesse in atmosfera - alla fase in cui dette emissioni
sono sottoposte a trattamento - abbattimento al fine di consentire il
loro “scarico” in atmosfera (effluente gassoso) nel rispetto dei valori
di emissione.
Per le ragioni svolte, deve ritenersi che l’argomentazione contraria, secondo
cui, come per i fluidi gassosi, anche per le acque di scarico,
il preventivo trattamento (di depurazione) ricadrebbe nella disciplina dei
rifiuti - in quanto la legislazione sulle acque atterrebbe solo alla fase
finale dello scarico nei corpi ricettori (analogamente alla normativa
sugli “effluenti emessi direttamente in atmosfera”, contrapposti alle
emissioni, ove sottoposte a trattamento all’interno del sistema produttivo) -
si presenta del tutto priva di fondamento, in base al diritto
positivo vigente, interno e comunitario.
3.3. Richiami di dottrina sulla distinzione: rifiuto – acque di scarico.
Anche la dottrina specialistica ha stigmatizzato, a suo tempo, la
posizione espressa dal Tribunale di Gela, nella sentenza cit., con riferimento
al sillogismo secondo cui: gli effluenti gassosi come le acque di scarico
sono esclusi dal campo di operatività del d.lgs. 22/97, a mente dell’art. 8
comma 1; poiché le acque di scarico sono escluse soltanto se non costituiscono
rifiuti liquidi, e le acque di scarico costituiscono rifiuti liquidi ogni
volta che “sono sottoposte a un trattamento (ad esempio di evaporazione, di
stoccaggio in un depuratore) al fine di disfarsene; allora anche gli
effluenti gassosi, quando sottoposti a trattamento, al fine di disfarsene,
sono da considerare rifiuti gassosi e quindi da sottoporre alla disciplina del
d.lgs. 22/9710.
1. Si è, infatti, motivatamente osservato che la prima affermazione: “sia
gli effluenti gassosi che “le acque di scarico” sono sottoposti alla stessa
“regola” (esclusione dall’ applicazione del d.lgs. 22/97, a mente dell’art.
8) risulta del tutto erronea.
L’art. art. 8, invero, proponeva due regimi differenti: per gli effluenti
gassosi, da un lato, e per un elenco di sostanze che nel tempo è andato
modificandosi11 - tra
le quali le acque di scarico - dall’altro.
Detto articolo testualmente recita “Sono esclusi dal campo di applicazione del
presente decreto gli effluenti gassosi nonché, in quanto disciplinati da
specifiche disposizioni di legge….” il seguente elenco di “sostanze”,
tra le quali, le acque di scarico.
E’ evidente che quel “nonché” non è stato introdotto nella norma “… per caso
o per distrazione,” come già evidenziato dalla Cassazione cit., “ma svolge
un ruolo preciso. Esercita, infatti, la funzione di separare il primo
segmento dalla disposizione (relativo agli effluenti gassosi) - per
il quale l’esclusione è incondizionata, ritenendo il legislatore che essa sia
completa, e prevalente, in quanto speciale - dal secondo, quello relativo al
lungo elenco di diverse sostanze, tra le quali le acque di scarico, per il
quale, al contrario, l’esclusione è condizionata alla presenza di
un’apposita disciplina”12.
Con la sottolineatura che, per le acque di scarico, anche l’art. 185,
comma 1, lett. b) p.1, del successivo T.U. prevede una deroga
(“eccettuati i rifiuti allo stato liquido”), che, per le emissioni gassose,
non è contemplata.
2. Peraltro, neppure la seconda affermazione teorica ricordata (sul
trattamento delle acque riconducibile al regime dei rifiuti) appare
giuridicamente corretta. Il principio di diritto che separa, invero, i due
comparti normativi è altro e attiene alle modalità di immissione:
diretta o indiretta delle acque di scarico (e non al fatto del loro
trattamento o meno).
Come è noto, la questione della concorrenza o separatezza di queste due
discipline – e della loro linea di confine (rifiuti liquidi e acque di
scarico) - è stata a lungo dibattuta dalla giurisprudenza e dalla dottrina13
finché il legislatore del 1999 (mi riferisco al d.lgs. 152/99), con sollievo
degli studiosi e più ancora della prassi amministrativa, previa abrogazione
della legge allora vigente, ha chiarito la vexata quaestio , fornendo una
definizione di scarico molto più rigorosa.
Qualificando, infatti, l’immissione delle acque come “diretta” nel corpo
ricettore, consentiva di affermare che, qualora detta modalità di collegamento
(diretto) fosse interrotta, prima dell’immissione nel corpo ricettore,
doveva farsi riferimento, per le attività svolte sulle acque anteriormente al
loro scarico (raccolta, trasporto, trattamento, ecc.) alla disciplina dei
rifiuti, ex d.lgs.22/97 (perché il d.lgs.152/99: afferiva, espressamente,
allo scarico diretto).
Con l’avvertenza, però, che quest’ultimo decreto, nel definire lo scarico,
recava un inciso estremamente importante, ai fini della caratterizzazione delle
“acque reflue scaricate” e cioè che: queste ultime sono considerate tali
“indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a
preventivo trattamento di depurazione”.
Come dire che, ove pure le acque fossero (e siano) oggetto di depurazione,
prima dello scarico diretto nel corpo ricettore, l’autorizzazione
rilasciata al titolare dello scarico finale “copre” (cioè legittima)
tanto l’effluente liquido finale (lo scarico) che la preventiva
attività di trattamento depurativo15
(che dunque non ricade né è attratto dalla disciplina sulla gestione dei
rifiuti, come opinato erroneamente dal Tribunale di Gela e, a seguire, da alcuni
organi inquirenti).
Tale ultimo principio giuridico, divenuto ormai acquisizione pacifica nella
giurisprudenza di legittimità (oltre ad essere proposto dalla dottrina da oltre
un ventennio16),
toglie ogni valore dimostrativo al richiamato parallelismo del Tribunale di
Gela, fatto proprio dalla teoria avversata.17
3. Non solo la giurisprudenza e la dottrina successiva al Dlgs. n.
152/1999, ma anche il Governo (la c.d. voluntas legislatoris)
confermano tale conclusione.
In tal senso, basti leggere la Relazione governativa al decreto legislativo.
152, cit. ove si chiarisce che “…. per rifiuti allo stato liquido si
intendono le acque reflue di cui il detentore si disfaccia avviandole a
smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo trasporto su strada o
comunque non canalizzato”.
Come dire che si applicherà il d.lgs.22/97 (oggi la parte IV del T.U.A.) solo
quando le acque reflue siano prima raccolte e poi inviate, tramite cisterne,
autobotti ecc. a un depuratore gestito (normalmente) da terzi dove
verranno trattate in base alla normativa sui rifiuti (proprio perché non immesse
direttamente dal loro titolare in un corpo ricettore).
Conferma, da ultimo, la ricostruzione esposta sopra, la definizione di
scarico e di acque di scarico introdotta dalle lett. ff) e gg) dell’art.
74 del testo unico ambientale, come modificato dal decreto legislativo n.
205/2010, il quale, allontanandosi dal precedente dettato18,
così recita:
“ ff) scarico: qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un
sistema stabile di collettamento che collega, senza soluzione di
continuità, il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque
superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente
dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di
depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114”;
“gg) acque di scarico: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico”.
Conclusivamente: il parallelismo fra lo scarico di acque reflue e i
rifiuti gassosi, ipotizzato dalla interpretazione criticata, al fine di
ritenere obbligatoria l’autorizzazione del trattamento di combustione dei fluidi
gassosi, presso l’industria chimica o petrolchimica, prima della loro
emissione tramite torce, si presenta, per le ragioni sopra esposte, del
tutto insostenibile, erroneo e contra legem, come definitivamente
accertato, fra l’altro, dalla Cassazione penale n. 41582/07 cit., in identica
fattispecie19.
3.4. La esclusione dei rifiuti gassosi dalla normativa della Parte IV del
T.U.A.
Richiamando gli argomenti giuridici addotti dall’orientamento osteggiato, -
per accreditare la tesi della riconducibilità dei fluidi gassosi nella generale
categoria dei rifiuti (che presenterebbero, dunque, anche lo stato fisico
gassoso: v. retro) - si deve osservare che, analizzati singolarmente,
essi non rivestono alcun fondamento sicuro.
Anzi, può aggiungersi che la loro intrinseca e complessiva debolezza conferma
che nel T.U.A., la nozione di rifiuto non ricomprende anche “i reflui o
le correnti gassose” – in esame - e che la combustione di tali sostanze
gassose, in torcia, non realizza, pertanto, un’attività di
smaltimento-incenerimento (in assenza di una sostanza qualificabile come
“rifiuto”, ex art.183, comma 1 lett. a).
In tale approccio critico, non giova alla tesi avversa invocare, come a suo
fondamento, le disposizioni singolarmente rassegnate a par. 2 della presente
nota, ed, in specie:
a) l’art. 177, T.U.A.: il quale, disciplinando l’attività degli
inceneritori dei rifiuti, non pone autonomamente - ma presuppone - una
definizione di rifiuto (destinato all’incenerimento) - e la relativa area
di pertinenza, da ricercare ovviamente in altre disposizioni
(v., oltre, gli articoli: artt. 183, comma 1, lett. a; art.185, ecc.).
Ma v’è di più: il richiamo della legislazione sull’incenerimento dei rifiuti -
di cui l’orientamento non condiviso esclude comunque ogni applicazione,
nelle vicende in esame - fornisce un ulteriore prova diretta del dato
giuridico secondo cui, in linea generale, la Parte IV sulla gestione dei
rifiuti, non si estende ai reflui gassosi (salvo casi tassativi sui quali
v. infra).
Si consideri, in proposito come l’art. 3 della direttiva 2000/76 CE,
sull’incenerimento dei rifiuti, nel definire il “rifiuto” – ai fini di
delimitare il sua ambito di applicazione – effettua un rinvio formale o non
ricettizio alla fonte specifica rappresentata dalla direttiva rifiuti del
‘1975, con questa espressione: “(rifiuto) quale definito dall’articolo 1,
lettera a) della direttiva 75/442/CEE”.
Peraltro, appena prima del rinvio, il legislatore comunitario ha ritenuto
doveroso sottolineare che il rifiuto, nella definizione derivante della
direttiva 75/442, non può essere che “solido o liquido”(e, dunque,
ragionando, contrario sensu, giammai gassoso).
Questa delimitazione della nozione generale di rifiuto (“rifiuto: qualsiasi
rifiuto solido o liquido quale definito dall’art. 1, lett. a)…. ecc.”) è
stata fatta oggetto di contestazione, in sede comunitaria. Ma la Corte di
Giustizia, in una recente e rilevante sentenza, del 4 dicembre 2008,
nel procedimento C-317/07, Lahti Energy Oy, ha chiarito che la direttiva
sull’incenerimento non si estende ai rifiuti gassosi20,
in questi termini espliciti:
“13 Con la sua prima questione il giudice del rinvio intende stabilire se la
nozione di «rifiuto» di cui all’art. 3, punto 1, della direttiva 2000/76
comprenda anche sostanze che si presentano in forma gassosa.
14 Nell’ambito della causa principale, tale questione deve intendersi come
diretta ad accertare se il gas risultante dal processo di pirolisi di rifiuti
solidi di diverso tipo, effettuato in un impianto di gassificazione, possa
essere considerato come un «rifiuto» ai sensi della direttiva 2000/76,
cosicché tale sostanza gassosa, impiegata successivamente come
combustibile in una centrale elettrica in aggiunta ad altri combustibili,
potrebbe essere analizzata come una sostanza che «[viene] successivamente
incenerita» ai sensi dell’art. 3, punto 4, primo comma, …. cioè un rifiuto
utilizzato come «combustibile (…) accessorio» o «sottopost[o] a un trattamento
termico a fini di smaltimento» ai sensi dell’art. 3, punto 5, primo comma, di
tale direttiva.
15 A tale riguardo, come hanno sottolineato la Lahti Energia, i governi
finlandese e italiano, nonché la Commissione delle Comunità europee, occorre
constatare che la chiara formulazione dell’art. 3, punto 1, della direttiva
2000/76 definisce la nozione di «rifiuto», nel contesto di tale direttiva,
come qualsiasi rifiuto «solido» o «liquido», quale definito all’art. 1,
lett. a), della direttiva 75/442.
16 Orbene, un’interpretazione letterale di tale disposizione è sufficiente
per concludere che la direttiva 2000/76 si riferisce solo ai rifiuti che si
presentano in forma solida o liquida … “.
17 Occorre quindi risolvere la prima questione dichiarando che la
nozione di «rifiuto» contenuta all’art. 3, punto 1, della direttiva 2000/76 non
riguarda sostanze che si presentano in forma gassosa.”
b) parimenti, l’art. 183, comma 1, lett. a), non indica, in alcun modo,
che la nozione di rifiuto – quivi formulata - si estenda a ricomprendere “i
reflui o le correnti gassose”.
Né vale evocare la lett. v), di tale disposto, la quale si rivolge
“alle emissioni in atmosfera, di cui all’art. 268, lett. b)”.
Questo richiamo, infatti, non significa né comporta la estensione della
normativa della Parte IV, sui rifiuti, alle emissioni in atmosfera, ma
semplicemente che, all’interno di una norma con scopi “definitori”, la
denominazione normativa di emissioni in atmosfera va ricercata nella sua
propria sede e cioè nella Parte V, all’art. 268, lett. b), attesa la
sua estraneità alla disciplina dei rifiuti .
Tale ultima disposizione, a sua volta, lungi dal confortare la tesi contraria,
conferma che la Parte V, del T.U. A. non si limita a regolare “gli
effluenti gassosi”, ex art. 268, lett. g) - come si suppone nelle vicende
evocate - ma si rivolge a disciplinare ogni tipo di “emissione” cioè “qualsiasi
sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa
determinare inquinamento atmosferico”, come recita la lett. b) dello
stesso art. 268.
Ne deriva, pertanto, la inattendibilità di una lettura delle norme che
riservasse alla Parte V, del T.U.A. la regolamentazione della sola fase
finale di fuoriuscita in atmosfera dell’emissione dall’impianto (cioè
appunto “dell’effluente gassoso” o “scarico gassoso, ex lett. g)
menzionata) in quanto, come risulta pacifico, leggendo le disposizioni di tutta
intera la Parte V, quest’ultima è chiamata a regolare ogni fase di
gestione e ogni tipo di emissione all’interno e all’esterno degli
impianti (in sostituzione del d.lgs n. 133/2005).21
In conclusione, gli articoli di legge richiamati a par. 2, retro,
- lungi dal fornire un sostegno alla tesi qui contestata, la smentiscono del
tutto ove letti nel rispetto del dato testuale e sistematico.
Dette disposizioni, anche alla luce delle ultime modifiche del d.lgs. n.
205/2010, confermano la lettura proposta.
L’art. 183, lett. gg) – e non più lett. “v” - si limita ad
assolvere compiti definitori e riserva alla Parte V del T.U. tutte le
emissioni in atmosfera (non solo la fase finale relativa al loro scarico),
come si desume dal richiamo all’art. 268, comma 1, lett. b) che definisce
ogni tipo di “emissione”.
L’art. 268, lett. b) e g), ha conservato l’identico tenore e dunque
mantiene il significato che è stato indicato sopra.
Per le ragioni che precedono, l’art. 185, comma 1, lett. a), che
fa riferimento, per le esclusioni, “alle emissioni costituite dagli effluenti
gassosi” (rimasto identico), non può essere letto nel senso che alla
normativa sulla gestione dei rifiuti competerebbe ogni attività compiuta
sull’emissione, con esclusione della fase finale del suo rilascio in atmosfera
(quando l’emissione viene qualificata “effluente gassoso”).
Come osservato, in precedenza, i due comparti normativi sono stati, da sempre,
distinti, nel corso della legislazione degli ultimi trent’anni e, nel loro
rispettivo ambito, si è formata una normativa, primaria e tecnica, che ha
disciplinato e disciplina tutt’ora, ogni fase di gestione rispettivamente dei
“rifiuti” e delle “emissioni”, come risulta dalle norme definitorie e di
esclusione, sopra commentate.22
Parte III
Autonomia e autosufficienza della Parte V (sulle emissioni) rispetto alla
Parte IV (sui rifiuti) del T.U.A.
4. La non applicabilità dei codici CER 070199 e 070299 ai fluidi gassosi.
Nel merito della classificazione CER, neppure può sostenersi che i gas
provenienti dai processi produttivi del settore chimico o petrolchimico - ed
inviati alle torce – sarebbero individuati con i codici CER 070199 o
070299, a seconda del processo di origine, e dunque sottoposti alla disciplina
della Parte IV cit.
Si è già osservato che la normativa sulla gestione dei rifiuti esclude le
“emissioni costituite da effluenti gassosi” (da intendersi, in senso lato,
come tutte le emissioni gassose, diffuse o convogliate, sottoposte ad attività
di processo anche prima del loro scarico in atmosfera, riservate alla
Parte V; v. retro, ma anche oltre;
Questo non significa, però, negare alcune tassative eccezioni
riconducibili a casi in cui il fluido gassoso, trovandosi all’interno di
contenitori, recipienti (dismessi) o in serbatoi, silos da bonificare ecc.,
possa qualificarsi rifiuto, secondo la Parte IV, (sul tema, v. oltre, a
par. 5.1)23.
Ma, tanto chiarito, l’attribuzione ai fluidi gassosi dei codici indicati (CER
070199 e 070299) non prova nulla ai fini della dimostrazione dell’assunto
in esame, sotto molteplici aspetti.
a) Innanzitutto perché le sostanze elencate nel codice CER, non sono, per
ciò stesso, rifiuti, come si legge nell’”introduzione” all’All. D: “…
L’inclusione di un determinato materiale nell’elenco non significa tuttavia
che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza. La classificazione
del materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla
definizione di cui all’articolo 1, lettera a) della direttiva 75/442/CEE.
.”.
Come è noto, il CER non assolve funzioni giuridiche qualificative (della nozione
di rifiuto) ma risponde ad esigenze statistiche e di armonizzazione della
legislazione degli Stati membri dell’UE. Tant’è che, nella nuova direttiva
98/2008 CE, l’art. 3, p. 1, sulla definizione del rifiuto, non
riporta più alcun rinvio a qualsivoglia allegato (v., oggi, l’art. 10 del
D.lgs. n. 205/2010 che sostituisce l’art. 183. Nella nuova versione, il comma 1,
lett. a), non richiama gli allegati).
Ed, in effetti, come si è chiarito, il fluido gassoso non può considerarsi, in
alcun modo, come “rifiuto” (v. anche oltre).
b) nel merito, i codici prescelti dalla prospettiva contrastata non
risultano pertinenti né idonei a individuare un gas proveniente da un
processo di raffinazione del petrolio o da un processo di chimica organica, in
quanto, in realtà, essi rappresentano una tipologia del tutto generica e
poco indicativa del fluido in esame.
E’ noto che i codici CER - che terminano con le cifre 99 - rinviano ai “rifiuti
non specificati altrimenti” tanto che l’allegato D (dell'“Elenco dei rifiuti”,
istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE, del 3 maggio 2000”)
dispone espressamente di prenderli in considerazione solo come ultima
ratio quando si sia dimostrata l’impossibilità di attribuzione di altri
codici.24
Orbene, mentre per la scelta delle classi e sottoclassi (rispettivamente fonte
di generazione del rifiuto: processi chimici organici e distinte categorie di
attività) non possono essere fatti rilievi critici; non è accettabile, invece,
la indicazione afferente la provenienza “specifica” del rifiuto con la
formula delle due cifre finali: 99. La quale, per definizione, resta
“generica” e dunque non idonea a identificare il fluido gassoso.
Tale coppia (finale) di numeri è stata usata dal legislatore comunitario, sino
ad oggi, per tipologie non ancora codificate/identificate di rifiuti che
però provengano da classi o sottoclassi di attività che generano rifiuti,
solidi, liquidi, fangosi, pulverulenti, ecc. ma giammai di tipo
gassoso, fatta salva la presenza, nel CER, di alcune specifiche ed espresse
tipologie di rifiuti gassosi.
Le quali ultime, come subito si indicherà, dimostrano, sul piano logico, un
dato certo: che quando si è inteso codificare, in sede U.E., un rifiuto
gassoso lo si è fatto esplicitamente, non ricorrendo, in
modo del tutto vago e indeterminato, alla coppia di cifre indicata: 99.
Non è vero dunque che i codici CER 070299 e 070199 dell’All. A, della
Parte IV, indicano la tipologia dei rifiuti gassosi da inviare per
l’incenerimento nelle torce, perché, tenuto conto delle sostanze considerate
(per es. nel settore industriale della chimica o petrolchimica: per es.
idrogeno, etilene, etano, butene butano, esano, esene, azoto, metano, ecc.),
i codici generici sopra ricordati (espressi con le due cifre finali 99)
devono essere logicamente rivolti a tipologie di rifiuti diversi: solidi,
liquidi, fangosi ecc. e non ai rifiuti gassosi, che, quando eccezionalmente
previsti, sono stati codificati con modalità specifiche e non generiche
(v. oltre).
c) Intendiamo dire, in conclusione, che le uniche voci del CER
che riguardano i rifiuti gassosi - al fine di evitare congetture illogiche e
forzate25 - sono
quelle contemplate, nell’Allegato D, che comprende, in via tassativa, i
seguenti “fluidi gassosi”:
CER |
Descrizione |
Fonte di origine del rifiuto (sottocapitolo) |
16 05 04* |
gas in contenitori a pressione (compresi gli halon) contenenti sostanze pericolose |
Gas in contenitori a pressione e prodotti chimici di scarto |
16 05 05 |
gas in contenitori a pressione, diversi da quelli di cui alla voce 16 05 04 |
Gas in contenitori a pressione e prodotti chimici di scarto |
|
|
|
Tale elenco conferma, in base ad una dato di diritto positivo inconfutabile, la
conclusione raggiunta sulla corretta ricostruzione della nozione di “rifiuto
gassoso” – ristretta a fattispecie determinate e tassative - da
assoggettare alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006 - riservando, invece,
alla Parte V dello stesso decreto, l’intera e completa disciplina
delle emissioni in atmosfera, con riferimento a tutti i fluidi gassosi
che si originano dai processi industriali e che, tramite convogliamento,
vengono emessi in atmosfera, previo trattamento, come “effluenti
gassosi”.
d) mentre i rifiuti gassosi sopra indicati (CER 160504; 160505) - da
contrapporre agli effluenti gassosi convogliati provenienti da un processo -
possono essere sottoposti a tutte le operazioni tecnicamente possibili tra
quelle elencate negli allegati B e C, alla parte IV cit., purché autorizzate ai
sensi dell’art. 208 cit. (per es. operazioni di inertizzazione mediante reazione
chimica; adsorbimento del gas mediante un processo fisico; la depurazione di un
gas mediante un processo biologico etc.).
Queste stesse operazioni, qualora vengano applicate – come è uso comune -
anche ai fluidi/effluenti gassosi, generati da un processo o da un
attività, come individuati dalla Parte V, del T.U., non rappresentano
operazioni di “trattamento di rifiuti” ma sistemi di “abbattimento dei
gas” di scarico assoggettati al regime autorizzatorio della medesima Parte
V.
Tant’è che, In ogni domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera
e per qualsiasi attività, corre l’obbligo di descrivere la tipologia di
effluente gassoso che si origina dal processo e i sistemi di abbattimento
degli inquinanti previsti (tramite, per es., inertizzazione, assorbimento,
combustione etc.) i quali permetteranno il rispetto dei limiti di
emissione previsti della legge.
Tutto ciò - si ripete - nell’ambito della normativa di cui alla Parte V
del d.lgs. n. 152/2006 perché, secondo l’autorevole insegnamento della
Cassazione:
“… La disciplina delle emissioni prodotte dagli impianti di raffinazione di olii
minerali si occupa in dettaglio sia degli impianti Claus, sia dei
bruciatori a torcia, sia degli altri impianti di postcombustione e di
incenerimento. E non solo perché risulta evidente che la medesima
disciplina si occupa anche dei sistemi di stoccaggio e di raccolta dei gas
e dei sistemi di riduzione della pressione (cioè il sistema T.A.S.): il
che significa che, ai sensi dell'allegato 3.B, la disciplina in tema di
emissioni delle raffinerie di olii minerali si dirige espressamente anche
ai gas temporaneamente raccolti e stoccati all'interno dell'impianto
in attesa del successivo trattamento diretto. Ciò impedisce, per quanto
detto in precedenza, che quei gas possano essere ricondotti al concetto di
"rifiuto".
In conclusione, come rilevato a par. precedente, l’art. 183
fornisce la definizione di “emissioni” come: (tutte) “ le emissioni in
atmosfera di cui all’articolo 268, lettera b)”.
Ciò comporta che anche le emissioni eventualmente generate dal
trattamento di rifiuti (solidi, liquidi, semisolidi, pulverulenti, ecc.)
devono assoggettarsi alla disciplina delle emissioni della parte V ed
essere autorizzate in tale ambito.26
Ma non può essere affermato, né sul piano tecnico né su quello giuridico, il
principio inverso. Voler assoggettare un trattamento (combustione) di
effluenti gassosi - convogliati da un impianto - alla disciplina
autorizzatoria della parte IV (sui rifiuti) significherebbe applicare un
corpus normativo destinato ad altre tipologie di sostanze e predisposto
per altri scopi, ferme restando le eccezioni ricordate (e salvo la
comune finalità della tutela dell’ambiente e della salute pubblica)27.
Dopo quanto detto, ci sembra ultroneo spendere altre parole per confutare gli
argomenti desunti dalla presenza di alcune voci degli Allegati A), e B).
Parte IV, del T.U. cit. (v. retro par. 2).
Le indicazioni di determinate categorie di trattamenti (sub All. B) - come
quello chimico-fisico, l’incenerimento a terra, ecc. - essendo riferiti e
riferibili al rifiuto solido, liquido, pulverulento, ecc., non
apportano alcun contributo dimostrativo all’asserzione secondo cui il
rifiuto possa essere, in linea generale e di sistema, anche gassoso (si è visto
che tale tipologia è considerata in ipotesi specifiche e, allo stato,
tassative).
Si intende sottolineare, in particolare, che la voce D9, richiamando un
trattamento “chimico-fisico non specificato altrove …”, presuppone comunque
la definizione di rifiuto (solido, liquido, fangoso, pulverulento), e dunque
non contribuisce a definirla.
Parimenti la voce D10 si riferisce, certo, all’incenerimento, ma
presupponendo, anch’esso una definizione di rifiuto posta da altre norme
della Parte IV (che escludono l’effluente gassoso in senso lato, salvo
specifiche eccezioni, come ricordate).
Analogamente, per quanto riguarda le voci Q 1, 8, 11, e 16, dell’All. A,
il quadro logico e giuridico non cambia. Il fatto che l’Allegato indichi:
residui di produzione non specificati (Q1) o “le scorie o i residui di
distillazione” (Q8) o “residui di attività petrolifere”, ecc. non prova nulla
in favore della tesi della qualificabilità delle emissioni come
“rifiuto gassoso” con specifico riferimento alla tipologia trattata nel sistema
delle cinque torce della Società, espressamente prevista e disciplinate dalla
Parte V, fermo restando le ipotesi espresse di rifiuti gassosi, normativamente
individuate (ma non riferibili alle vicende esaminate in questa nota).
Se poi si scorre, anche solo brevemente, la tipologia di rifiuti presi in
esame dall’Allegato A, cit. ci si avvede che l’attributo “gassoso” non
compare mai per descrivere lo stato fisico dei rifiuti ivi menzionati. I
quali sono indicati, all’opposto, come “ residui o prodotti scaduti, sostanze
accidentalmente sversate o contaminate, elementi inutilizzabili, materie,
sostanze, prodotti, scorie,” ecc.
Davvero una imperdonabile dimenticanza del legislatore comunitario, se esso
avesse voluto riferirsi anche …. ai “rifiuti gassosi”!
Le considerazioni appena svolte sullo stato differenziato (solido, liquido,
fangoso, ecc.) del rifiuto, con esclusione dello stato gassoso, vanno
integrate, conclusivamente con il rilievo che, in casi eccezionali, la
normativa sulla gestione dei rifiuti, ricomprende ipotesi specifiche di
rifiuto gassoso (v. retro).
Ma non v’è chi non veda che tali vicende (relative a fluidi gassosi) - per la
loro origine, per le forme in cui i gas si trovano confezionati
(in bombole, contenitori vari, serbatoio, ecc.), per le modalità con cui vengono
movimentati e per le vie con cui possono arrivare a contatto con
le matrici ambientali - non hanno nulla a che spartire con le emissioni
gassose emesse in atmosfera dal sistema delle torce di una industria chimica o
petrolchimica disciplinate dalla Parte V del T.U. cit.
Si intende dire che la normativa della Parte IV non ricomprende le “emissioni”
diffuse o convogliate, emesse in atmosfera, anche se regola, in deroga,
alcuni casi residuali di gestione dei gas, come sopra indicati – posti in
contenitori che li racchiudono (ovvero in impianti autonomi) – da
qualificare e gestire come rifiuti.
Ne deriva che un rifiuto gassoso, in quanto introdotto in un contenitore
dismesso (volume definito), può e deve essere trasferito in un
idoneo impianto di trattamento, per essere smaltito, bonificato, recuperato,
ecc., diversamente dalle ipotesi costituite da flussi di gas uscenti sia in
modalità continua che in modalità discontinua i quali, invece, necessitano
di un trattamento compiuto direttamente in situ (in quanto, fra
l’altro, non tecnicamente contenibili in un volume/contenitore e quindi
trasferibili in altro luogo) che non possono essere considerati come rifiuti.
In questo assetto normativo, di matrice comunitaria e interna, può coerentemente
rilevarsi che eventuali contestazioni (anche penali) fondate sull’asserzione
generalizzata per cui il “rifiuto gassoso” viene direttamente regolato dalla
Parte IV del T.U. - per tutte le fasi che precedono l’emissioni in atmosfera (e
dunque per la fase di incenerimento dei rifiuti gassosi di cui all’allegato A
della parte IV) - risultano giuridicamente e tecnicamente erronee per un
duplice verso:
- come definizione di carattere generale, in quanto la norma prevede, come
regola base e di principio, la natura non gassosa del rifiuto (v. retro);
- come applicazione specifica, dell’art. 183, comma 1, lett. a) del T.U., perché
la vicenda tipica, oggetto della presente nota, non ricade a fra quelle
previste, in deroga, di gas immessi e movimentati in “contenitori, serbatoi,
ecc. ovvero stoccati in impianti “diversi e indipendenti”, rispetto
all’impianto produttivo).
4.1. Autonomia e autosufficienza della Parte V (a tutela dell’aria e
riduzione delle emissioni in atmosfera) rispetto alla disciplina, anche tecnica,
della Parte IV, del T.U. ambientale.
Come affermato nel paragrafo precedente, le emissioni gassose di ogni tipo
hanno una propria ed autonoma disciplina, primaria e tecnica, che
contempla, per un verso, tutte le forme e modalità di emissioni (puntuale,
diffusa, ecc.) e, dall’altro, ogni forma e modalità di controllo e
minimizzazione degli impatti ambientali che esse provocano.
Tale disciplina, secondo la letteratura tecnica e giuridica, risulta di per sé
idonea a garantire i migliori standard tecnologici ai fini della
protezione dell’ambiente e della salute umana (tale è stato l’approccio del
legislatore, nel momento in cui ha predisposto questo specifico “corpus”
normativo, ovviamente suscettibile di potenziamento, che conserva la sua
piena autonomia sistematica anche se, da ultimo (dal 2006) riunito
“materialmente”28
nel c.d. Testo Unico ambientale.
Ne deriva che, tanto sul piano strettamente giuridico che per i profili tecnici
- in considerazione della tradizionale e risalente “autonomia” del comparto
normativo raccolto nella Parte V (che considera e regolamenta tecnicamente ogni
fase di intervento sulle emissioni, interne ed in uscita dagli impianti)
– risulterebbe del tutto ultroneo oltre che ingiustificato, per
ragioni tecniche, assoggettare le emissioni gassose che si formino
all’interno dell’industria chimica e petrolchimica ad una aggiuntiva
autorizzazione ex art. 208, sulla gestione dei rifiuti, la quale, fra
l’altro, non aggiungerebbe alcuna, addizionale garanzia ambientale (salvo
ad accrescere, a dismisura, gli intralci burocratici e gli oneri economici
del’impresa).
Anche, dunque, per una ragione squisitamente tecnica – oltre che giuridica -
devono essere qualificate “emissioni in atmosfera”, escluse dalla
normativa sui rifiuti, non solo quelle direttamente immesse in atmosfera
(diffuse o convogliate che siano), ma anche le emissioni “trattate”
all’interno dello stesso stabilimento per essere poi scaricate
nell’atmosfera, purché nel rispetto della Parte V del TUA.29
D’altra parte, secondo quest’ultima normativa, tutte le autorizzazioni alle
emissioni in atmosfera prevedono tecnologie di abbattimento delle sostanze
inquinanti contenute nei flussi gassosi. La tecnologia delle torce
rappresenta una di queste tecnologie applicabile a scarichi gassosi
caratterizzati da una forte concentrazione di sostanze organiche.
Ragionando, per absurdum, ove si applicasse la tesi confutata si dovrebbe
assoggettare ad autorizzazione, ai sensi della Parte IV del TUA, qualsiasi
applicazione tecnologica volta all’abbattimento degli inquinanti nei
flussi gassosi provenienti da qualsiasi impianto industriale, quando,
invece, tale intervento è già autonomamente regolato!
La Parte V del T.U. disciplina, infatti, con le sue prescrizioni
normative e tecniche, ogni fase dell’emissione che finirà in atmosfera,
dalla sua origine fino allo scarico finale, compresi gli eventuali
trattamenti intermedi.
In proposito, è sufficiente evocare, a fini esemplificativi e senza alcuna
pretesa di completezza, alcune prescrizioni contenute nell’Allegato 1, alla
parte V, del T. U. A. da cui risulta evidente che l’“effluente gassoso” si
configura, tecnicamente e giuridicamente, al momento stesso in cui una fase
gassosa si origina da un qualsiasi processo, ed è soggetto a interventi di
trattamento, in situ, senza alcun obbligo di richiedere apposite
autorizzazioni ex Parte IV cit.
In argomento, si veda l’art. 273, comma 15, lettera b): “impianti di
postcombustione, cioè qualsiasi dispositivo tecnico per la depurazione
dell'effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come
impianto indipendente di combustione”.
Cfr., altresì, il punto 27 – Parte Terza - Allegato 1 alla Parte Va del
D.Lgs. 152/2006 “impianti per la produzione di ossidi di zolfo, acido
solforico e oleum”:
“Negli impianti per la produzione di ossidi di zolfo allo stato liquido
l'effluente gassoso deve essere convogliato ad un impianto per la produzione di
acido solforico o ad altri impianti di trattamento.”
Si legga la Parte IV dell’Allegato 1 alla Parte V del TUA - Sezione 1 - Valori
di emissione e prescrizioni relativi alle raffinerie.
“- 1.5.1.5. Gli effluenti gassosi degli impianti Claus devono essere
convogliati ad un postcombustore
- 2.2 Gli effluenti gassosi che si formano durante le operazioni
di avviamento e di arresto degli impianti devono essere, per quanto possibile,
raccolti e convogliati ad un sistema di raccolta di gas e reimmessi nel
processo, oppure combusti nell'impianto di combustione del processo;
qualora queste soluzioni non fossero possibili, devono essere convogliati ad un
bruciatore a torcia.
- 6. L'acqua di processo eccedente può essere fatta defluire in un sistema
aperto solo dopo il degassaggio. In tal caso l'effluente gassoso deve
essere depurato mediante lavaggio.”
Si veda altresì il riquadro B12, della Parte III, dell’Allegato II alla Pare V,
del T.U. (v. pag. 307 del Supplemento alla Gazz. Ufficiale, n. 88 del 14 aprile
2006, Serie Generale, N.96/L) diretto ad esemplificare “Le tecniche di
abbattimento emissioni in atmosfera”, quali, per es., l’assorbimento,
la conversione termica, la conversione catalitica, i sistemi meccanici
centrifughi, le torri di lavaggio, ecc.
Questi trattamenti, riguardano ovviamente il fluido gassoso (“l’emissione”),
all’interno dell’impianto, prima che venga scaricato nell’atmosfera,
quando assume, come fluido gassoso trattato, la denominazione di “effluente
gassoso”.
4.2. Il regime autorizzatorio per le emissioni in atmosfera: prassi regionale
e del Dicastero dell’ambiente.
Anche il regime autorizzatorio, previsto per gli effluenti gassosi
provenienti da processo (e dunque da un qualsiasi impianto che lo esercita) e
convogliati a trattamento, prima di essere immessi nell’atmosfera, ex
artt. 269 e ss., rafforza l’interpretazione accolta sulla piena
autonomia prescrittiva della Parte V, rispetto alla normativa sui
rifiuti, ex Parte IV, del d.lgs. 152/2006.
Tale certezza giuridica non risulta mai messa in discussione neppure dagli
Enti regionali e territoriali competenti al rilascio delle
autorizzazioni e al controllo dell’applicazione delle prescrizioni in esse
contenute.
Da parte sua, anche il Ministero dell’Ambiente, nelle ipotesi in cui
interviene nei procedimenti di AIA, assai spesso per chiedere chiarimenti
sulla documentazione presentata dall’interessato ovvero per l’integrazione della
stessa, al fine del rilascio dell’AIA, non consta che pretenda o abbia
altresì preteso una distinta – ed aggiuntiva - autorizzazione per
la combustione degli effluenti gassosi, ex art. 20830,
cit. del T.U.A.31.
In sostanza, il Dicastero cit., nelle sue richieste di integrazione istruttoria,
prende atto di quanto dichiarato in tema di regime autorizzatorio,
limitandosi a sollecitare chiarimenti sui sistemi di abbattimento indicati nella
domanda (vedi estratto dalla Pratica del Ministero dell’Ambiente che segue),
senza fare alcun riferimento o richiesta di applicazione della normativa
sulla gestione dei rifiuti!
In conclusione, è da escludere la necessità di una autonoma autorizzazione
per incenerire i fluidi gassosi, ex art. 208 T.U., come ipotizzato dalla lettura
avversata, essendo adeguato, sul piano tecnico, e sufficiente, su quello
giuridico, rispettare il regime autorizzatorio previsto dalla Parte V del
D.Lgs. 152/2006 (il cui art. 268, infatti, rubricato “Definizioni”, reca la
definizione di “impianto di combustione” come: “ff) qualsiasi
dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il
calore così prodotto”.
In conformità a tale definizione, le torce sono assoggettate a prescrizioni
tecniche da parte delle autorità competenti e dunque soggette ad
autorizzazione, ai sensi dell’art. 269 del D.Lgs. 152/2006, senza alcun
obbligo giuridico di munirsi anche di una seconda autorizzazione alla
gestione dei fluidi gassosi (in base alla loro erronea qualifica di “rifiuti
gassosi”).
4.3. Conclusione sugli effluenti gassosi secondo la prassi amministrativa e
la Cassazione penale.
Alla luce di quanto sopra rilevato, è da confermare, conclusivamente, che gli
impianti di combustione di effluenti gassosi rientrano, a pieno titolo, nelle
fattispecie disciplinate dalla Parte V, del d.lgs n. 152/2006.32
I) In questo senso si è manifestata, in modo univoco e documentale, anche la
prassi amministrativa seguita dal Dicastero dell’ambiente e dagli Enti
regionali e locali competenti – allorché siano investiti delle procedure
attivate per il rilascio dell’A.I.A. – nel corso della quale non si pretende,
per la combustione dei fluidi gassosi, l’applicazione della normativa sulla
gestione dei rifiuti.
II) D’altra parte, anche solo sul piano della logica giuridica, e cioè
ragionando a contrario, l’interpretazione fornita dal Tribunale di
Gela cit., qualora seguita, porterebbe alla conseguenza abnorme di
considerare come “gestione di rifiuti” (sub specie: trattamento) ogni
sistema di abbattimento di fluidi gassosi, destinati ad essere rilasciati in
atmosfera, con il risultato di assoggettare tutte le emissioni alla
disciplina della Parte IV del D.Lgs. 152/2006, e rendere in tal modo
sostanzialmente e in gran parte superflua l’esistenza stessa della
normativa sulle emissioni della Parete V del T.U. cit.. Quest’ultima, infatti,
secondo le congetture della interpretazione criticata, sarebbe esclusivamente
dedicata a disciplinare il momento finale dell’immissione, in atmosfera, dei gas
depurati.
Congetture evidentemente:
- erronee, in diritto, per quanto esposto sopra;
- “smentite” dall’autonomia normativa della Parte V (e relativi
allegati: v. par. 4.5.) e dalla complessità dei contenuti prescrittivi
contenuti nell’atto autorizzatorio relativo alle emissioni;
- ignota alla prassi amministrativa delle Autorità centrali, regionali e
locali e, fra l’altro:
- già censurate, in termini, perché contra legem, dalla
Cassazione penale (proprio con riferimento alle raffinerie di Gela) che si è
pronunciata, ex professo, sulla complessità, sufficienza e autonomia
della normativa sulla emissione in atmosfera, escludendo la concorrenza
della legislazione sui rifiuti (salvo alcune deroghe già sopra individuate).
Dopo aver passato in rassegna le disposizioni più significative della
legislazione anteriore al T.U.A., sulla depurazione/trattamento dei fluidi
gassosi, il Giudice di legittimità, nella pronuncia citata33,
conclude nei seguenti termini:
“Come risulta evidente da questo sintetico elenco” (di fonti normative
rassegnate dalla Cassazione come quella indicata a nota 31: nota dello
scrivente), “la disciplina delle emissioni prodotte dagli impianti di
raffinazione di olii minerali si occupa in dettaglio sia degli impianti Claus,
sia dei bruciatori a torcia, sia degli altri impianti di postcombustione e di
incenerimento. E non solo, perché risulta evidente che la medesima
disciplina si occupa anche dei sistemi di stoccaggio e di raccolta dei gas
e dei sistemi di riduzione della pressione (cioè il sistema T.A.S.): il
che significa che, ai sensi dell'allegato 3.B, la disciplina in tema di
emissioni delle raffinerie di olii minerali si dirige espressamente anche ai gas
temporaneamente raccolti e stoccati all'interno dell'impianto in attesa
del successivo trattamento diretto.”
“Ciò impedisce, per quanto detto in precedenza, che quei gas possano
essere ricondotti al concetto di "rifiuto".
4.4. Attività “intermedie e non essenziali” di combustione dell’effluente
gassoso: censura della Suprema Corte.
Né può sostenersi, come congettura la sentenza del Tribunale di Gela, ripresa
successivamente da altre Procure della Repubblica:
- che la combustione dei fluidi gassosi ricadrebbe nella disciplina della Parte
IV, sulla gestione dei rifiuti, in quanto attività intermedie delle
fasi essenziali al funzionamento degli impianti ma non ricadenti
nell’attività tipica dello stabilimento (di raffinazione del greggio);
- (ovvero) che i fluidi gassosi, oggetto di combustione, “nelle fasi
intermedie” (da qualificare rifiuti gassosi) andrebbero tenuti distinti
dallo scarico finale delle emissioni in atmosfera (“il c.d. effluente
gassoso”)34
Si è già chiarito, sopra, che la prima contrapposizione fra emissioni
ed “effluenti gassosi”, al fine di applicare ai primi la normativa sui
rifiuti, non regge sul piano normativo in base alle disposizioni commentate
(artt. 177, 183, 185, 268, del T.U. cit.).
Parimenti forzata, in via di principio (salvo specifiche deroghe, su cui v.
anche infra), la supposta estensione della nozione di rifiuti a
tutti i fluidi gassosi (v. retro).
Risulta, infine, del tutto inedita, oltre che arbitraria35
- secondo la tradizionale e consolidata giurisprudenza e dottrina - l’ulteriore
distinzione fra “le attività intermedie alla fase essenziale al
funzionamento degli impianti“ (la combustione dei fluidi gassosi, che
sarebbe da riservare alla Parte IV, sui rifiuti) e “la attività tipica
dello stabilimento” (nel caso, di raffinazione).
Devesi pertanto ribadire, in senso recisamente contrario, per le ragioni sinora
esposte, che il trattamento di tutte le emissioni, compresi gli effluenti
o i fluidi gassosi, in oggetto, è stato previsto e disciplinato
dalla normativa sulle emissioni della Parte V del T.U. (e prima ancora
dal D.M. 12 luglio 1990, ecc.), come applicata dai provvedimenti
autorizzatori previsti dalla legge (che fissano prescrizioni comportamentali
e tecniche idonee ad assicurare il rispetto dei “valori di emissione”
all’effluente gassoso rilasciato in atmosfera). Di talché tale distinzione
inedita (fra attività intermedie e attività tipiche) va certamente
respinta, in piena conformità con l’insegnamento del Giudice di legittimità.
Il quale, in risposta a questa specifica, suggestiva ma artificiosa
distinzione, rileva - in linea generale e di sistema – che, se per i
rifiuti solidi, che si formino all’interno della raffineria, si applicherà
la Parte IV cit., sempre che non siano reimpiegati integralmente nel ciclo
produttivo, in base al seguente passo:
“…. La Corte non condivide l'impostazione e le soluzioni adottate sul punto
dal Tribunale di Gela. Appare evidente che i residui solidi della
raffinazione (ad esempio il coke), oppure i residui solidi delle attività di
postcombustione (ad esempio lo zolfo) assumono le caratteristiche proprie del
"rifiuto" se non reimpiegati integralmente nel ciclo produttivo, ad esempio,
per generare energia, oppure se non trattati e ceduti come prodotto commerciale
(e ciò può valere per lo zolfo) oppure affidati a terzi a fini di successivo
smaltimento. Lo stesso potrebbe dirsi per i liquidi eventualmente
residuanti al termine del ciclo produttivo, siano essi l'acqua di lavaggio o
eventuali scarti di lavorazioni non ulteriormente impiegati”.
In relazione ai fluidi o effluenti gassosi – a conferma autorevole
delle conclusioni sopra raggiunte, in ordine all’autonomia della
disciplina della Parte V cit. e della adeguatezza e sufficienza delle sue
prescrizioni primarie e tecniche - lo stesso Collegio evidenzia, sul
primo profilo, che:
“…Uno specifico rilievo sul piano ermeneutico deve essere attribuito, a parere
della Corte, anche alla circostanza che, in sede comunitaria, come si è
accennato, è stata emanata una disciplina apposita delle emissioni in
atmosfera, diversa e separata da quella in tema di rifiuti.”
E, sul secondo, che: “….La medesima logica” (relativa ai rifiuti solidi e
liquidi) “… non risulta, invece, applicabile ai gas presi in esame dalla
sentenza. Quei gas sono stati considerati dalle autorizzazioni regionali,
in conformità con la normativa comunitaria e nazionale in vigore,
proprio perché potenzialmente inquinanti, e come tali, sono stati fatti
oggetto di prescrizioni volte a ridurre le impurità e le sostanze inquinanti
in essi contenute, in modo da rendere l'immissione in atmosfera compatibile con
la disciplina citata” (così il par. 9 della motivazione).
Gli esposti principi di diritto sono stati massimati – ad opera della
stessa Corte – nei seguenti univoci termini (v par. 14):
“ Tutto ciò premesso, la Corte ritiene di poter affermare il seguente
principio: gli effluenti gassosi destinati ad essere immessi
nell'atmosfera, direttamente o previa combustione, al termine di attività
produttive, non costituiscono "rifiuto"; ad essi si applica la
disciplina specificamente prevista dalla Parte quinta del decreto legislativo
n.152 del 2006, che ha incluso quella anteriormente contenuta nel D.P.R. 24
maggio 1988, n.203.”
“ Possono costituire "rifiuto" le sostanze gassose qualora, ai fini dello
smaltimento, siano immesse, da sole o insieme ad altra sostanza, in
contenitori, oppure quegli effluenti gassosi che vengono stoccati e
quindi smaltiti a mezzo di impianto "indipendente" rispetto a quello
ove sono stati generati nel corso di attività produttiva”.
Parte IV
Casi tassativi di rifiuti allo stato gassoso.
Conclusioni.
5. Ultimi rilievi critici sulle tesi non condivise.
Tirando le fila delle argomentazioni sinora svolte, può conclusivamente
rilevarsi la incongruenza ed erroneità dei presupposti fattuali e giuridici su
cui si fonda la ricostruzione del sistema normativo proposta dal Tribunale di
Gela, benché seguito da alcune Procure, in quanto:
a) le disposizioni invocate della Parte IV, correttamente lette,
smentiscono la figura generale del “rifiuto gassoso”, comprensiva di tutte
le emissioni (salvo i casi specifici ricordati); né le innovazioni introdotte
dalla “novella” di cui al d. lgs. n. 4/2008, confortano, in alcun modo, la tesi
contestata in questa sede;
b) la diffusa citazione di sentenze della Corte di giustizia, cui sovente
ci si richiama, - che fornisco i criteri di individuazione del rifiuto e
non escluderebbero a priori l’esistenza di rifiuti gassosi”,
sollecitando, fra l’altro, una interpretazione della normativa sui rifiuti, che
consenta di prevenire danni all’ambiente e all’uomo e, conseguentemente, di non
interpretare in modo restrittivo il concetto di rifiuto - risulta generica e,
per molti versi, superflua.
Non solo:
- perché quelle decisioni sono ormai sostanzialmente superate dalla più
recente giurisprudenza comunitaria36
che, proprio in relazione al parametro fondamentale del “disfarsi”, lo ha
sostanzialmente ridefinito, introducendo nozioni giuridiche contrapposte,
che ne delimitano la portata, quali quelle di materia prima secondaria
(oggi definita, con il termine inglese, end of waste: EOW) e di
sottoprodotto;
- perché è mutata la normativa di riferimento, con l’adozione della
direttiva 2008/98 CE, che restringe, come accennato l’area del “rifiuto” in
favore di quella del sottoprodotto e delle materie seconde ex artt. 5 e 6 (già
trasposta nell’ordinamento interno, con il d. lgs. n. 205/2010).
Ma, soprattutto, in quanto detta giurisprudenza non è pertinente.
Il problema da risolvere, infatti, non è definire, con esattezza, la nozione di
rifiuto (oggetto delle pronunce citt.) su cui non c’è discussione. Ma accertare
se tale nozione, come definita dalla giurisprudenza comunitaria cit.,
ricomprenda anche “sostanze od oggetti disfatti” allo stato gassoso.
Sul punto, le decisioni che vengono citate non si pronunciano affatto. Ma
la circostanza che la C.G.C.E ometta di parlare dei rifiuti gassosi, non vuol
dire “non escluderli”, come forzatamente si suppone. Significherebbe
semplicemente che, nelle vicende specificamente decise, il problema non
ricorreva o non era stato sollevato e quindi non risulta preso in esame.
Peraltro – osservo - nei rari casi in cui è stata prospettata detta questione,
la stessa Corte esclude espressamente la nozione di rifiuto gassoso, per
es., nella interpretazione della direttiva sull’incenerimento dei rifiuti
n. 2006/76 CE che, fra l’ altro, dichiara espressamente di conformarsi
al concetto di rifiuto posto dalla direttiva-quadro 75/442.37
Senza dire che depone univocamente a favore delle conclusioni raggiunte il dato
storico secondo cui del rifiuto gassoso (così qualificate le
emissioni in oggetto), che sarebbe sottoposto alla disciplina dei rifiuti,
non vi è traccia nella giurisprudenza comunitaria e nazionale,
benché il contenzioso penale e amministrativo e la dottrina specialistica si
siano dedicati, da oltre trenta anni, allo studio della disciplina
sulle emissioni e sui sistemi di abbattimento delle stesse, da parte delle
imprese industriali, al fine di rispettare i valori limite di emissione.
In definitiva, gli “arresti” della C.G.C.E., evocati dal Tribunale di Gela e
dalle Procure di altri Tribunali, non possono voler dire – né essere piegati a
dire - il contrario di quanto esprime il dato normativo delle direttive CE,
succedutesi dal 1975 ad oggi sulla nozione di rifiuto, e cioè che esso esclude
testualmente, dal suo ambito di applicazione, “le emissioni gassose”
(indicate come “effluenti gassosi”: v. art. 1, par. 1, lett. a), direttiva
2008/98 cit. )38.
Per queste ultime, come rilevato retro, l’U.E. ha approntato una disciplina
autonoma ed autosufficiente, comprensiva anche di apposite prescrizioni
sulle operazioni di trattamento/abbattimento delle emissioni (anche tramite
combustione), prima del loro rilascio in atmosfera. Predisponendo, cioè un
apposito apparato normativo39
del tutto adeguato a “prevenire i danni per l’uomo e per l’ambiente” e ad
assicurare la più ampia tutela di questi beni, con caratteristiche di
specialità (e dunque di prevalenza) sulla normativa generale sui rifiuti.
Il tentativo forzato ed arbitrario di dare applicazione, cumulativa o
incrociata, dei due regimi normativi (dei rifiuti e delle emissioni in
atmosfera) – che si pone palesemente contra legem - lungi dall’assicurare
“una protezione integrata dell’ambiente” o “una tutela ancora maggiore”, secondo
la prospettazione non accolta, ove fosse in concreto gestibile, finirebbe per
creare confusione di disciplina e di competenze, aggravi burocratici non
necessari, ritardi nella gestione delle imprese e quindi nella produzione dei
beni e servizi, risolvendosi in un palese fenomeno di superfetazione
dell’ordinamento, da scongiurare assolutamente per le ragioni appena esposte.
5.1. La Corte di Cassazione limita i casi di “rifiuto gassoso” a ipotesi
tassative (non ricorrenti nella specie).
Né sembra corretto rintracciare nella pronuncia della Suprema Corte, più volte
cit., 41582/07, una apertura e un sostegno alla tesi accusatoria, come suppone
il P.M., brindisino, in quanto la questione posta a tema – come ripetuto - non
si presenta in termini di astratta possibilità che il rifiuto sia di
natura gassosa.
Quanto piuttosto:
a) se, in linea generale e prevalente, esso rifiuto assuma lo stato
solido, liquido, fangoso, pulverulento, ecc. salvo ipotesi specifiche e
circoscritte in cui può avere anche lo stato gassoso;
b) se, in quest’ultimo caso, la sostanza o il preparato gassoso viene
considerato dalla legge in concreto applicabile come rifiuto ovvero quale
“emissione” (riservata alla disciplina della Parte V, del T.U.).
La Cassazione riconosce tale eventualità (rifiuto allo stato gassoso) sia
richiamando alcune voci del codice CER (per es. CER 16 01 16, ecc) sia citando
gli allegati delle direttive (v., da ultimo, l’Allegato III sulle
“Caratteristiche di pericolo per i rifiuti”, ex Direttiva 2008/98/CE, dove si
indicano “sostanze e preparati gassosi” che si infiammano a contatto con
l’aria a pressione normale” voce H 3 -A).
Nella esemplificazione che segue (v. par. 6 della motivazione) si fa cenno,
infatti, a sostanze gassose che possono essere stoccate in contenitori,
per es. in bombole, che vengono poi “smaltite come rifiuti”.
Nel passo successivo, la stessa Corte si spinge oltre chiedendosi se, in forza
dei principi di prevenzione e di maggiore tutela dell’ambiente e della salute,
si possa ritenere - ove nel “.. corso del processo produttivo si originino
dei gas che vengono accantonati per essere successivamente trattati e
smaltiti… in un impianto diverso oppure da parte di terzi” - di far
ricorso alla nozione di rifiuto, trovando “una possibile conferma della natura
di rifiuto… nella previsione di un impianto di postcombustione "indipendente"
contenuto nell'allegato 2.1 del D.M. 12 Settembre 1990…”.
Ebbene, anche ad ammettere che l’ipotesi del supremo Collegio non violi il
divieto di analogia in materia penale, ex art. 14,40
Preleggi al codice civile (che il Collegio stesso paventa…. in termini di “qualche
possibilità di conflitto col generale divieto di analogia in malam partem”)
e a ritener valida la giustificazione addotta per tale ipotesi applicativa (e
cioè in forza del “divieto di fornire una lettura restrittiva del concetto di
rifiuto”41,
nondimeno devono comunque sussistere le seguenti condizioni:
1) che i gas originati dal processo produttivo“vengano accantonati per
successivo trattamento e smaltimento”;
2) che tale accantonamento avvenga in “impianto diverso” ovvero che siano
accantonati “da parte di terzi. Come nel caso di “gas trattati
separatamente in un impianto di postcombustione “indipendente“, secondo
“la previsione contenuta nell’allegato 2.1., ecc.” (v. oggi, la Parte III,
dell’Allegato 1, della Parte V, del T.U.).
Orbene, in base a quanto riferito nella Parte I, del presente contributo,
sulla formazione e natura del fluido gassoso, tali condizioni non si danno
in tutti i casi in cui l’impresa (1) non accantoni i gas originati dal
processo produttivo a fini di successivo trattamento e smaltimento;
ovvero allorché, pur accantonandoli, (2) non vi sia un accantonamento di
effluenti gassosi in un impianto separato e diverso da quelli facenti
parte del sistema produttivo (si è già visto che la Cassazione rifiuta la
distinzione, operata dal Tribunale di Gela, fra “attività intermedie delle fasi
essenziali al funzionamento degli impianti” e “quelle ricadenti nelle attività
tipiche della raffinazione”: v. retro par. 4.8) o, infine, allorché (3)
l’accantonamento sia operato da terzi.
E, da ultimo, neppure ricorre l’ipotesi descritta dalla S.C. di applicazione del
regime dei rifiuti in presenza (4) di un impianto di postcombustione “..
gestito come impianto indipendente di combustione” (sul punto si
rinvia alla Parte II).
In conclusione, come qualsiasi altra emissione, generata nelle
diverse fasi del processo, anche quella, per es., dei serbatoi deve
essere ricondotta e assoggettata alla disciplina della Parte V, senza alcuna
necessità di ricorrere ad altre “autorizzazioni in parallelo”, in quanto tale
ultima normativa del T.U. (che recupera e completa il precedente, autonomo
comparto della legislazione antinquinamento atmosferico) già impone, in modo
esauriente, la migliore tecnica disponibile, in funzione di una tutela
preventiva – avanzata ed integrata- dell’ambiente e della salute umana.
Anche, dunque, queste ultime argomentazioni della tesi avversata (indebitamente
desunte dalla motivazione della Cassazione) - secondo cui i fluidi gassosi,
bruciati nel sistema delle torce, sarebbero da ricondurre nella categoria
giuridica dei rifiuti e dunque da sottoporre al relativo regime autorizzatorio -
si presenta affatto erronea analogamente a quella, già scrutinata, del
trattamento delle acque reflue (depurazione da sottoporre ad autorizzazione ex
art. 208 cit.), prima della loro immissione, come “scarichi” nei corpi
ricettori.
6. Conclusioni.
La ricognizione del processo produttivo del settore industriale chimico e
petrolchimico - da cui originano le emissioni inviate alle torce - identificato
nelle sue fasi di produzione e nelle attività tecnicamente connesse, consentono
di poter affermare, sul piano tecnico gestionale, che:
1) i fluidi gassosi che derivano da materie prime o da prodotti, che non possono
essere recuperati, non sono qualificabili, in termini tecnici, “rifiuti
gassosi”, trattandosi di fluidi di servizio, cioè di “emissioni” sottoposte al
trattamento di combustione previsto e regolato dalla Parte V, del T.U.A., ai
fini di assicurare determinate caratteristiche dell’effluente gassoso, in uscita
dalle torce;
2) l’attività di combustione dei fluidi gassosi non risulta, pertanto,
tecnicamente riconducibile né all’attività di gestione dei rifiuti gassosi (ex
Parte IV, del T.U.A.), né a quella di incenerimento dei rifiuti, ex d.lgs. n.
133/2005 (v. par. 3.2), come risulta confermato, fra l’altro, dalla posizione
assunta nella prassi dagli enti regionali e territoriali di controllo e dal
conforme atteggiamento interpretativo del Dicastero dell’Ambiente (v. par. 3.3);
3) gli argomenti giuridici addotti dal Tribunale di Gela e ripresi da alcune
Procure - per sostenere la astratta configurabilità e la concreta ricorrenza,
nelle vicende esaminate, del “rifiuto gassoso” (v. Parte I, par. 2) - non
risultano giuridicamente corretti, alla stregua della più recente giurisprudenza
della Cassazione - la quale ha univocamente sottolineato la piena autonomia
della normativa sulle “emissioni” in atmosfera (in cui devono essere ricondotti
i fluidi gassosi in esame, ex Parte V, del T.U.A.) anche in forza di una
risalente e consolidata legislazione, comunitaria ed interna, che ha sempre
tenuto distinte le nozioni giuridiche (e i rispettivi ambiti normativi) del
rifiuto, dello scarico idrico e dell’emissione - con esclusione della tipologia
dei “rifiuti gassosi” espressamente individuati dal CER ovvero di ipotesi
tassative e circostanziate, non ricorrenti nella specie, quali
l’immagazzinamento di gas in contenitori (per es. bombole) da smaltire;
l’accantonamento di gas in impianti - diversi e indipendenti da quelli
dell’impianto industriale - per un successivo trattamento del titolare ovvero da
parte di terzi (v. par. 4);
4) l’esame della normativa di diritto comunitario derivato (dalla direttiva
75/442 CEE alla direttiva 2008/98 CE) e del diritto interno (dal d.lgs. 22/97 al
T.U. A. del 2006, novellato nel 2010), come della giurisprudenza dell’UE e
nazionale, porta ad escludere, dalla normativa dei rifiuti, sia le “emissioni”
in atmosfera (dalla loro formazione, all’interno degli impianti, sino alla fase
di scarico in atmosfera come “effluenti gassosi”) che “le acque di scarico”,
tranne i rifiuti allo stato liquido;
5) appare pertanto forzata e inaccettabile sul piano normativo – in termini
testuali e di rispetto del sistema delle fonti legislative di settore – la
contrapposizione fra “effluenti gassosi”, riservati alla Parte V, cit. e “le
“emissioni” che si formano all’interno degli impianti (che ricadrebbero, ove
trattate, nell’area di pertinenza dei rifiuti, ex Parte IV). Così come risulta
altrettanto erronea la supposta, unitaria disciplina fra il trattamento delle
acque reflue, distinte dagli “scarichi”, e il trattamento delle emissioni,
contrapposte agli “effluenti gassosi” (v. parr. 4 - 4.1 - 4.2 - 4.3);
6) i fluidi gassosi esaminati (“emissioni”), non sono giuridicamente individuati
dai codici CER 070199 o 070299, che si riferiscono a rifiuti originati da altre
attività. Anche perché i soli casi di rifiuti gassosi contemplati dal Catalogo
europeo dei rifiuti (CER) vengono indicati nella sottoclasse 1605 ovvero nella
voce 160116 e riguardano rifiuti speciali. Non convincenti - e dunque
confutabili anche i richiami alle attività di cui agli Allegati A e B del T.U.A.
(v. par. 4.4) ovvero alle operazioni D9 e D10;
7) la conferma dell’autonomia e autosufficienza della disciplina prevista per
regolare tutte le emissioni – dal loro formarsi al successivo scarico in
atmosfera - è data dalle prescrizioni tecniche introdotte dalla legislazione di
settore (trasfuse nella Parte V cit.) che prevedono, specificamente, le
tecnologie di trattamento dei fluidi gassosi che si formano all’interno degli
impianti al fine di abbattere gli inquinanti presenti nei flussi gassosi e
renderli ammissibili in atmosfera. (v. par. 4.5.);
8) l’autonomia e autosufficienza della Parte V cit., si desume, altresì: a) dal
regime giuridico autorizzatorio delle emissioni in atmosfera, ex art. 269, T. U.
A., il quale prevede il loro trattamento prima dello scarico dell’effluente
gassoso ed anche: b) dalla interpretazione condivisa dal Ministero dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare (v. par. 4.5.1) il quale non pretende
una aggiuntiva autorizzazione ex art. 208 T.U.A. per il trattamento dei fluidi
gassosi; c) dalle prassi seguite dalle Pubbliche Amministrazioni, centrali e
regionali, che non impongono all’impresa, nei casi in esame, due distinte
autorizzazioni (ex artt. 208 e 269 T.U.A.) come, peraltro, confermato dai più
recenti orientamenti della Suprema Corte (v. parr. 4.7 e 4.8);
9) i fluidi gassosi esaminati devono essere (pertanto) qualificati
giuridicamente come “emissioni” e conseguentemente sottoposti, in via esclusiva,
alla normativa specifica della Parte V, cit. anche con riferimento alle
evidenziate operazioni di trattamento, per combustione, all’interno del sistema
delle torce. Tale operazione viene sottratta, dal T. U. A., sia alla disciplina
della gestione dei rifiuti che a quella sull’incenerimento degli stessi, ex
d.lgs. n. 133/2005;
10) detti fluidi, in conclusione, non sono giuridicamente definibili né come
“rifiuti gassosi” (par. 5.2) e neppure come “rifiuti”, tout court - secondo i
noti criteri di qualificazione enucleati dalla Corte di Giustizia e recepiti dal
Giudice di legittimità italiano - in quanto come “emissioni” non fuoriescono, in
alcun momento ed in alcun luogo, dal circuito chiuso degli impianti industriali
e pertanto non sono “disfatti”, in senso tecnico-giuridico, ai sensi dell’art.
183, comma 1, lett. a), se non quando vengono rilasciati dalle torce come
“effluenti gassosi”.42
1 Pubblicata in
Giurisprudenza di Merito, n. 3/2007 e, successivamente, riformata da Cass. pen.
9 ottobre 2007, n. 41582, su cui v. oltre.
2 Che sarebbe soggetto ad autorizzazione, ex art. 268, 1°, lett.
g (quale scarico gassoso contenente emissioni solide, liquide, gassose) e in
base all’art. 269 (per tutti gli impianti che producono emissioni, deve essere
richiesta una autorizzazione).
3 Anche a ritenere esistente, con riferimento a casi tassativi
(v. oltre), la configurabilità giuridica del “rifiuto gassoso”.
4 Sul punto giova ricordare, a conforto della interpretazione
esposta, che, per il diritto comunitario e nazionale, non si hanno operazioni di
“smaltimento o di recupero” (cioè non ricorre il “disfarsi”: elemento
identificativo e costitutivo della nozione di rifiuto) quando la sostanza o
l’oggetto siano addirittura posti in “deposito temporaneo”, a piè di impianto,
“prima della raccolta, nei luoghi in cui sono prodotti”, ex D15 dell’All. B ed
R13 dell’All. C, della Parte IV, del T.U. cit.) e, a maggior ragione, quando il
flusso gassoso si trova ancora all’interno del sistema, prima di fuoriuscirne,
come scarico, e divenire “effluente gassoso”, soggetto alla disciplina della
Parte V del T.U.A.
5 Come da motivazione della sentenza del 24 marzo 2006, n. 201
cit.
6 Cfr., di recente, Cass. penale, sez. 3, n. 41582 del 9 ottobre
2007 (depositata Il 12 novembre successivo), che ha annullato, senza rinvio, la
decisione del Tribunale di Gela cit.: su tutto ciò, v., ampiamente, oltre.
7 In questi termini: “.. Tale distinzione, afferma il Tribunale,
è in tutto simile sul piano concettuale e giuridico a quella che si applica ai
prodotti liquidi che provengono da attività industriale; qualora sottoposti a
trattamento, infatti, vanno qualificati come "rifiuti" e trovano disciplina nel
d.lgs. n. 22 del 1997, mentre risultano disciplinati dal d.lgs. n.152 del 1999
quando vengono riversati direttamente nel corpo ricettore e considerati "acque
di scarico".
“In materia di prodotti gassosi, il Tribunale richiama come fondamentale
la sentenza della Terza Sezione Penale di questa Corte n. 494 del 19 Marzo 1999,
Lago, secondo cui (in linea con precedente decisione n.2208 del 7 dicembre 1992,
Fava e altri) sia la normativa nazionale sia quella comunitaria in tema di
inquinamento atmosferico non fanno venire meno l'applicabilità della normativa
in tema di rifiuti”.
“Il Tribunale ritiene che tale impostazione trovi una importante conferma non
solo in una lettura coordinata delle Direttive in tema di rifiuti .. ma anche in
quelle in tema di inquinamento atmosferico e di acque)” nonché nei fondamentali
principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia, del 18 aprile 2002
nel proc. C-9/00, Palin Granit Oy.; nella sentenza Tombesi e altri del 25 giugno
1997 nelle cause riunite C-304/94 e nella sentenza Arco Chemie Nederland del 15
Giugno 2000. “
“Tali conclusioni, secondo il Tribunale, non vengono messe in discussione dalla
disciplina comunitaria (direttiva 2000/76/CE) e nazionale (d.lgs. 11 maggio
2005, n.133) in tema di impianti di incenerimento e coincenerimento: si tratta
di normativa di settore che non può modificare i principi generali in materia di
rifiuti. Il fatto che la normativa di settore contempli, per le attività di
incenerimento, solo i rifiuti solidi e liquidi (art.3 della citata Direttiva e
art.1, comma 1 del citato decreto legislativo) non esclude che in via generale
assumano natura di rifiuto anche le sostanze gassose. Sulla base di tale
ricostruzione normativa, il Tribunale ritiene che i processi di combustione o
postcombustione dei residui gassosi derivanti dall'attività di raffinazione
costituiscano "un'attività di smaltimento di un rifiuto gassoso derivante da
ciclo industriale, che come tale doveva essere autorizzata ai sensi dell'art.28
del D.L.vo 22/97" (ciò vale per la combustione nella caldaia del CO boiler (capo
B.1 in relazione all'impianto di Cracking catalitico;…. vale altresì per la
torcia TECO (capo B.3), …vale, infine, per l'impianto Claus (capo B.4), che
trasforma in zolfo e vapore acqueo la corrente gassosa proveniente dalle
attività di raffinazione e contenente idrogeno solforato, altamente inquinante.”
“Conclude il Tribunale che i tre impianti, pur necessari al regolare
funzionamento della raffineria e dei suoi processi, "non fanno parte integrante
del processo di raffinazione" (pag.38 della motivazione) e vanno considerati
come impianti destinati al trattamento di rifiuti gassosi.”
8 Sull’esclusione delle emissioni costituite da effluenti
gassoso emessi in atmosfera, v. l’art. 185, comma 1, lett. a, del d.lgs 152/06.
Per la recente dottrina cfr.: S. Nespor – A. De Cesaris, Codice dell’Ambiente,
Milano 2010, passim.; M. Pernice - G. Mininni, Il sistema normativo e tecnico di
gestione dei rifiuti, Ipsoa 2008, pag. 29 e ss; P. Fimiani, La tutela penale
dell’ambiente, Giuffrè 2008, pag. 155 e ss. Sulle difficoltà di fornire la
definizione giuridica di rifiuto e del suo ambito proprio, secondo la
giurisprudenza nazionale e comunitaria, v. le approfondite analisi di V. Paone,
La tutela dell’ambiente e l’inquinamento da rifiuti, Milano 2008.
9 Osserva in proposito, la Cassazione n. 41582/07, in estrema in
sintesi, che già “… ad una prima interpretazione del dato normativo, la Corte
ritiene condivisibile l'accentuazione posta dai ricorrenti sulla circostanza che
entrambi i decreti legislativi citati in precedenza (n. 22 del 1997 e n.152 del
2006) operino una dichiarata esclusione delle emissioni gassose dall'ambito di
operatività della disciplina sui rifiuti. Così come deve attentamente valutarsi
la circostanza che il d.lgs. n.152, il così detto T.U. sull'ambiente, ha
raccolto nella sua parte quinta (art.267 e ss.) le disposizioni in tema di
emissioni che formavano oggetto del citato D.P.R. 24 maggio 1988, n.203”.
10 Tra le modifiche più importanti dell’art. 8, ai fini della
presente nota, vale la pena ricordare quello avente ad oggetto il “coke da
petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo”, di cui alla lett. f
quater), introdotta dall’art. 1, del d.l. 7.3.2002, n. 22, come modificato dalla
L.82/2002, di conversione dello stesso. V. oggi l’art. 185 del T.U.A. aggiornato
al 2011.
11 In proposito, L. Vergine, op. cit., rammenta che questa
modifica sia stata, in qualche misura, conseguenza degli interventi della
magistratura di Gela. Il P.M. competente, infatti, sulla base del convincimento
che il coke da petrolio costituisse rifiuto, e, in quanto tale, non potesse
essere depositato e utilizzato senza preventiva autorizzazione, ai sensi del
d.lgs. 22/97, sequestrava i due depositi di coke da petrolio che alimentavano la
centrale di cogenerazione dello stabilimento di Gela. La questione relativa alla
natura della sostanza, in oggetto, veniva sottoposta, dal GIP, alla Corte di
Giustizia, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE , la quale pronunciandosi
sulla riconducibilità o meno del coke da petrolio alla nozione di rifiuto, con
ordinanza 15.1.2004 (causa C.235-02) si è espressa affermando testualmente: “il
coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione
simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di
petrolio e utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di
energia delle raffinerie e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai
sensi della direttiva del Consiglio 15.7.1975, 75/442/CEE relativa ai rifiuti,
come modificata.. ” (e, pertanto, confermando la “legittimità comunitaria” della
esclusione di cui alla lett. f quater).
12 Le espressioni tra virgolette sono di L. Vergine, in
Lexambiente.it – Rifiuti – Rifiuti gassosi – 27 aprile 2007, cit. che richiama,
per la dottrina conforme: PIETRINI, Ambiente- rifiuti, in (a cura di
PALIERO-PALAZZO), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova,
2003, p. 84. Del medesimo avviso, si legga FICCO-SANTOLOCI, in Rifiuti
–Bollettino di informazione normativa,1999, n. 54. Tant’è che, come osserva l’A.
cit., “poco dopo l’entrata in vigore del c.d. Decreto Ronchi, la dottrina ha
radicalmente escluso «qualsiasi possibilità di collegamento interattivo» tra
detto decreto e il d.p.r. 203/88, e, in via del tutto eccezionale, l’ha ammessa,
in deroga, solo in limati casi e cioè in situazioni non riconducibile a quella
in esame.” In tema, nel senso sostenuto nel testo di una netta separazione dei
due comparti, v. anche P. FIMIANI, Acque, rifiuti e tutela penale, Milano, 2000,
p. 340; L. RAMACCI, Inceneritori di rifiuti pericolosi e violazione di norme
penali (commento a Cass. 19.3.1999), in Ambiente, 1999, 9, 893.
Vale la pena sottolineare come anche l’art. 2 della direttiva 91/156/CEE cit.,
evidenziava la differenza di disciplina in queste battute: “Sono esclusi dal
campo di operatività della seguente direttiva: a) gli effluenti gassosi emessi
nell’atmosfera; b) qualora già contemplati da altra normativa: I) i rifiuti
radioattivi, II)……IV) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato
liquido….” (da cui si inferisce che l’esclusione sub a) risulta tendenzialmente
assoluta).
13 Cfr., fra i primi, P. Giampietro, “Scarichi idrici e rifiuti
solidi, Milano, Giuffré, 1984; e da ultimo, L. Vergine, op. cit., secondo cui:
“… La questione….costituiva uno dei nodi interpretativi più complessi da
risolvere già vigente la precedente normativa a tutela delle acque, tanto che la
Cassazione era riuscita nel non facile compito di proporre in un breve periodo –
poco più di un anno – ben tre diversi orientamenti”. Si legga, la recente voce
Ambiente-acque, in (a cura di PALIERO PALAZZO), Commentario breve alle leggi
penali complementari, cit., § III, p. 17. Sugli effetti chiarificatori del
d.lgs. 152/97 e 258/00 circa la questione del riparto delle due normative, cfr.,
altresì L. RAMACCI, Manuale di diritto penale dell’ambiente,Padova, 2005, 268 e
la dottrina ivi citata.
14 Cfr., da ultimo, D. Costalunghi, sub art. 54 c. 1,
d.lgs.152/99, §1: La nozione di scarico, in (a cura di GIUNTA), Codice
commentato degli illeciti ambientali, Padova, 2005, 51.
15 Affermazione di principio pacifica nella dottrina e nella
giurisprudenza: v. S. Nespor e A. L. De Cesaris,Codice dell’ambiente, Giuffrè
2009, pagg. 943; P. Fimiani, La tutela penale dell’ambiente dopo il d.lgs
n.4/2008, Giuffrè 2008.
16 Si richiamano, in proposito, le notissime SSUU della
Cassazione, Forina, del 27/09/1995, n. 12310, fino alle più recenti sentenze:
Cass. Pen, sez. III, 16 gennaio 2008, n. 2246 e, ancora prima, Cass. Pen. Sez.
III, sent. n. 181218 del 17.05.2005, Fiotto; conformi Cass. Pen. Sez. III sent.
n. 2358 del 3.8.1999, Belcari; Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 38120 del
24.10.2001; Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 5000 del 4.5.2000, Ciampoli; Cass.
Pen., Sez. III, sent. n. 8337 del 28.02.2001, Moscato; Cass. Pen., Sez. III
sent. n. 1071 del 5.2.2003 Schiavi; Cass. Pen., Sez. III sent. n. 20679 del
4.5.2004, Sangalli. In dottrina, v. S. Nespor e A. L. De Cesaris, Codice
dell’ambiente, Giuffrè 2009, pagg. 943 e ss, pagg. 2213 e ss.; L. Butti, S.
Grassi, Le nuove norme sull’inquinamento idrico, IlSole24Ore, 2001, pagg 68 e
ss; L. Prati, Inquinamento idrico, Ipsoa, 2001, pag. 35 e ss.; F. Muriano, Le
autorizzazioni agli scarichi idrici, Il Sole24Ore, 2004, pag.17 e ss; B.
Albertazzi e F. Trezzini: Gestione e tutela della acque dall’inquinamento, EPC
Libri, 1999, pag.374 e ss.
17 Non può quindi accogliersi – come evidenziato da L. Vergine,
op. cit. - l’argomento secondo cui uno stesso liquido, in un ciclo industriale,
può assumere la qualità giuridica di rifiuto se ed in quanto sottoposto ad un
trattamento ai fini del successivo smaltimento, ossia ad una gestione prima che
il detentore se ne disfi. Si noti, fra l’altro, che la giurisprudenza citata dal
Tribunale di Gela, è tutta (e solo) anteriore al d.lgs.152/99 e dunque
definitivamente superata da quella successiva (vedila riportata negli A.A.
citati sopra ed, in specie, da P. Fimiani e Nespor-De Cesaris nelle opere
menzionate in nota. A quanto consta, non si rinvengono pronunce della Suprema
Corte le quali abbiano affermato che l’attuale Parte terza, Titolo III, del
T.U.A. si applichi solo alle acque reflue che, tal quali, vengano immesse
dall’impianto che le produce, nei corpi ricettori, cedendo il posto al regime
dei rifiuti per la loro depurazione. Tanto il decreto lgs. n. 152/99 che la
Parte III del T.U., per costante giurisprudenza, si rivolgono alle acque reflue
industriali che, tal quali o dopo depurazione, siano immesse direttamente (una
volta si diceva: “tramite condotta”) nel corpo ricettore.
18 Per il quale era definito: ff) scarico: qualsiasi immissione
di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete
fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a
preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque reflue
all’articolo 14”; “gg) acque di scarico. Tutte le acque reflue provenienti da
uno scarico”.
19 Osserva, in proposito, L. Vergine, op. cit. che “..
quand’anche si ritenesse di poter proporre tale parallelo (fra acque e rifiuti)
si imporrebbero, comunque, in base alla logica ed alla legge, conclusioni di
segno opposto a quello cui è pervenuto il giudicante. Se, infatti, sono da
considerarsi rifiuti liquidi solo le acque reflue, anche previamente depurate,
non direttamente immesse nei corpi ricettori, ma conferite a terzi perché
vengano (depurate e) scaricate, e, di conseguenza, se sono da considerarsi
scarichi idrici le acque reflue industriali, anche se depurate, direttamente
immesse nei corpi ricettori, allora sono rifiuti gassosi, e non scarichi in
atmosfera, ai sensi del d.p.r. 203/88, soltanto quegli effluenti gassosi che
siano conferiti a terzi (esterni allo stabilimento) per essere trattati e poi da
questi scaricati nell’atmosfera, mentre continuano ad essere effluenti gassosi
esclusi dall’operatività del d.lgs. 22/97, non solo quelli direttamente immessi
nell’atmosfera , ma anche quelli trattati (“depurati”) nello stesso
stabilimento, per essere poi scaricati nell’atmosfera nel rispetto del d.p.r.
203/88. Di guisa che l’ardita, e forse anche suggestiva, equazione proposta dal
Tribunale di Gela si dimostra più che altro un fallace sillogismo….”.
20 Come d’altronde prevede il decreto legislativo 11 maggio
2005, n. 133.
21 In tal senso, conclusivamente, la Corte di Cassazione n.
41502/07 cit. ritiene che:
“…la struttura del d.lgs. n.152/2006 e il complesso delle disposizioni ora
richiamate confermino le conclusioni cui si è giunti con riferimento al d.lgs.
n. 22/1997”.
“Del resto, a conferma della fondatezza della diversa disciplina degli effluenti
gassosi, sembra evidente a questo Collegio che la immissione in atmosfera dei
fumi e delle polveri che derivano dal ciclo produttivo presenta caratteristiche
diverse dalla gestione e dallo smaltimento dei rifiuti, cioè dai residui liquidi
o solidi della trasformazione della materia prima e delle sostanze utilizzate
nel corso dell'attività produttiva”.
Per la dimostrazione di tale conclusione, secondo le prescrizioni tecniche della
Parte V e dei suoi Allegati – che prevedono espressamente gli interventi di
trattamento delle emissioni, all’interno degli impianti – v. retro.
22 V. sul punto, Cass. pen. Sez. III, sent. 12 novembre 2007,
n. 41582 sopra cit. che ha ritenuto come le emissioni gassose, immesse
direttamente o previa combustione, nell’aria non sono rifiuti e, pertanto, ad
esse si applica la disciplina di cui alla Parte quinta (emissioni in atmosfera)
del Dlgs 152/2006 e non quella di cui alla Parte quarta (rifiuti) del medesimo
decreto. Tali emissioni gassose, secondo la Corte, possono essere considerate
rifiuti “… qualora ai fini dello smaltimento siano immesse, da sole o insieme ad
altra sostanza, in contenitori”, oppure "qualora siano stoccati e smaltiti
attraverso un impianto separato rispetto a quello nel quale sono stati
prodotti”. In dottrina, v. P. Fimiani, La tutela penale del’ambiente dopo il
d.lgs n.4/208, Giuffrè 2008, pag.155 e nota 67.
23 Ed, infatti, una sostanza gassosa in un volume definito –
all’interno di un contenitore qualificabile rifiuto o in un serbatoio, silos da
bonificare - può essere trasferita in idoneo impianto di trattamento per essere
innocuizzata, depurata, ecc. al fine del suo smaltimento finale o con intenzioni
di recupero. Diversamente, un flusso di gas in uscita da impianti, sia con
modalità continua, che in forma discontinua, necessita di un trattamento
direttamente in situ in quanto neppure tecnicamente contenibile in un volume e
quindi trasferibile in altro luogo.
24 Si richiamano, a tale riguardo, i punti 3 e 3.3
dell’allegato D: “3. Identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i
titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20; per risalire al codice a sei cifre
riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli
che terminano con le cifre 99; 3.3. Se un determinato rifiuto non é
classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il
codice 99 (rifiuti non altrimenti specificati) preceduto dalle cifre del
capitolo che corrisponde all'attività identificata al punto 3.1.”.
25 Fra cui quella di fare ricorso ai due numeri CER 070299 e
070199, che riguardano “. presunti rifiuti gassosi con caratteristiche di non
pericolosità in evidente contrasto con le caratteristiche chimico-fisiche di
alcune delle sostanze che compongono le miscele che vengono inviate alle rete
delle torce.
26 Cioè la richiesta di autorizzazione a qualsiasi trattamento
di rifiuti (tra quelle elencate negli allegati B e C alla Parte IV del D.Lgs.
152/2006) comporta, contestualmente, l’obbligo di richiedere la domanda di
autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ai sensi della Parte V, del D.Lgs.
152/2006, in tutti casi in cui, da tale trattamento, si generino effluenti
gassosi.
27 Tale normativa (della Parte IV) potrebbe risultare
addirittura non applicabile tecnicamente, in determinati casi e, comunque,
risulterebbe meno cautelativa proprio da un punto di vista della protezione
dell’ambiente e della salute umana rispetto alla disciplina della Parte V
appositamente destinata alla gestione delle emissioni in atmosfera, ai fini di
tutela ambientale e della salute.
28 Per una prima ricostruzione critica della parte V, con
richiamo alle fonti precedenti, v. A. Muratori, La tutela dall’inquinamento
atmosferico nella parte V del decreto unificato: aria malamente rifritta, in
Ambiente e Sviluppo, IPSOA, 2006, 3, pag. 2005 e, di recente, P. Roncelli e E.
Pomini, Inquinamento atmosferico, in (a cura di S. Nespor e A. L. De Cesaris)
“Codice dell’ambiente, Giuffré, 2009, pagg. pagg. 1585, con esaurienti richiami
di legislazione, anche anteriore, e dottrina.
29 Peraltro, in ossequio ad una legislazione risalente nel
tempo. Prima ancora, infatti, delle previsioni dell’art. 270 dell’odierno T.U.,
si prevedeva la installazione di impianti di abbattimento, nel Capitolo II, del
DPR. n. 322/1971, “Regolamento per l’esecuzione della legge 13 luglio 1966, n.
615”, recante provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico limitatamente al
settore delle industrie. Sino al più recente D.M. 12 luglio 1990, sulle linee
guida per il contenimento delle emissioni inquinati, emanato in attuazione della
legge quadro sulle emissioni di cui al DPR. n. 203/1988, che nei suo allegati
indica alcune tipologie di impianti di abbattimento delle emissioni.
30 Benché nelle schede che accompagnano la domande di AIA sia
richiesta, di norma, l’indicazione delle fonti di emissioni in atmosfera di tipo
convogliato, di tutti i punti di emissione e il relativo regime autorizzativo,
secondo la normativa A.I.A., compresi quelli relativi alle torce.
31 In tema, merita segnalare la recente Circolare del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione
Generale per le Valutazioni Ambientali, avente ad oggetto: “ Punti di emissione
in aria e gestione torce di stabilimento” del 25. 01. 2011 (Reg.) che fornisce
chiare indicazione sulle novità introdotte dal D.lgs. 29.06.2010, n. 128, il
quale, confermando il regime esonerativo di cui all’art. 269, comma 14, lett.
i), del T.U. ambientale, innovativamente lo esclude per “gli impianti di
emergenza e di sicurezza”. Le emissioni di questi ultimi, quindi, in condizioni
di “normale esercizio”, devono essere espressamente autorizzate (fatta salva,
secondo lo stesso Dicastero, “l’esenzione dall’obbligo di rispettare i valori
limite quando gli impianti di emergenza e sicurezza sono in esercizio “.. in
periodi in cui si verificano anomalie o guasti”).
32 Basti citare, in proposito, il punto 34 (“impianti per la
produzione di polimeri in poliacrilonitrile”) di cui a PARTE TERZA - Allegato 1,
alla PARTE Va del decreto cit., in cui si prescrive che: “I gas provenienti dal
reattore e dall’assorbitore devono essere convogliati ad un efficace sistema di
combustione”.
33 Mi riferisco alla a sentenza n 41582/07 cit., ove la tesi
del Tribunale di Gela, è confutata proprio in relazione alla specificità della
normativa di settore, nei seguenti termini:
“… A tale proposito la Corte osserva che il fondamentale D.M. 12 Luglio 1990,
che contiene le linee guida in tema di emissioni nell'atmosfera procurate da
impianti industriali, prevede disposizioni specifiche con riferimento:
1) in via generale (impianti di combustione con potenza termica inferiore a 50
MW):
- agli impianti di postcombustione, destinati a depurare gli scarichi gassosi,
purché non gestito come impianto indipendente (Allegato 2, punto 1);
- ai dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di cracking catalitico
(c.s.);
- agli impianti Claus per la produzione di zolfo (punto 30);
2) con riferimento alle raffinerie di olii minerali (A11.3 B ss.):
- alle emissioni inquinanti provenienti da raffinerie autorizzate (punto 1);
- alla disciplina dei singoli "punti di emissione, ciascuno dei quali,
indipendentemente dal processo che vi si svolge, va valutato individualmente con
riferimento ad alcuni dei valori massimi (punto 8);
- agli impianti Claus (presenza di postcombustione; conversione operativa dello
zolfo; valori di emissione e di conversione - punto 9);
- agli inceneritori (punto 10);
- ai valori di emissione negli impianti di combustione (punto C.3);
- ai sistemi di stoccaggio e gestione dei gas mediante raccolta e
postcombustione (punto D.1)
- alla raccolta e convogliamento degli effluenti gassosi al fine di essere
rimessi nel processo, oppure combusti ai fini del processo o, in ultima ipotesi,
inviati ad un bruciatore a torcia (punto D.2);
- alla gestione dei gas nelle apparecchiature di riduzione della pressione,
destinati ad essere raccolti e trattati come al punto che precede (punto D.3);
- alla destinazione alla postcombustione dei gas "derivanti dai processi, dalla
rigenerazione catalizzatori, dalle ispezioni, dalle operazioni di pulizia"
(punto D.4).”
34 Questi argomenti del Tribunale di Gela, dopo essere
minuziosamente esposti dalla Cassazione nella sentenza n. 41582 cit., sono poi
confutati nei termini indicati nel testo.
35 Tant’è che non c’è traccia di tale
distinzione–contrapposizione nella giurisprudenza e dottrina citate nelle note
precedenti che, ignorandola, implicitamente ne negano la validità logica e
giuridica.
36 Richiamata da P. Giampietro (a cura di) “La nuova gestione
dei rifiuti”, Il Sole 24 ore, Milano 2009, pagg. 19-39.
37 Cfr. Dir. 2006/76/CE cit.
38 Con deroga tassativa per le ipotesi già considerate (v.
par. 4.4.: sui gas in contenitori, ecc.).
39 V. S. Nespor – A. De Cesaris, op. cit., pag. 1588 ove sono
riportate tutte le direttive in materia di inquinamento atmosferico, a partire
da quella n. 80/779 CEE, e ss. come trasposte dal DPR n. 203/1988.
40 In quanto l’ampliamento della nozione di rifiuto, che
costituisce il presupposto delle norme incriminatrici, determina l’estensione
dell’area di punibilità penale.
41 Giurisprudenza che, a nostro avviso, non risulta
invocabile, atteso che il legislatore comunitario e interno hanno predisposto
una normativa autonoma e adeguata per disciplinare il trattamento delle
emissioni [sostanze o preparati gassosi] che garantisce, in pari grado, la
tutela dell’ambiente e della salute pubblica (per cui quel divieto – di lettura
restrittiva - sarebbe stato formulato).
42 * Mi corre l’obbligo di ringraziare il dott. Francesco
Sforza per le informazioni tecniche fornitemi.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 03/06/2011