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Brevi cenni a sentenza Corte Costituzionale n. 372/2004

 

Federica Sclavi
 

 

Il cammino che le Regioni italiane hanno intrapreso nel corso degli ultimi anni, alla ricerca di un riconoscimento e rafforzamento della propria autonomia, attraverso l’attuazione del novellato dettato costituzionale, sta avendo il suo culmine nell’approvazione dei rispettivi Statuti. Le riforme costituzionali, dapprima introdotte con L.Cost. n. 1/’99 estensiva dell’ambito di competenza ed del ruolo degli Statuti Regionali, quindi la L. Cost. n. 3/’01 di portata più innovativa con la Modifica del Titolo V, IIª Parte della Costituzione, hanno consegnato alle Regioni i poteri per essere pienamente portate a compimento. Si è aperta una fase molto dibattuta specie per l’interpretazione che queste ultime, nella stesura dei propri Statuti, hanno dato alle norme della Carta Costituzionale e, non di meno, per le pronunzie del Giudice delle leggi sui ricorsi governativi nei confronti delle approvate norme statutarie.


La sentenza della Corte Costituzionale 2 dicembre 2004 n. 372, pronunciata a seguito di questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal Governo nei confronti di talune norme dello Statuto della Regione Toscana, costituisce il chiaro esempio di come l’interpretatio legis dei limiti e delle norme statutarie possa suscitare, prima facie, diverse letture di uno Statuto.


Dal novellato art. 123 Cost.1, eliminata anche l’approvazione parlamentare, si desume che i limiti alla potestà statutaria regionale, possono derivare soltanto da norme chiaramente deducibili dalla Costituzione (“Ciascuna Regione ha uno Statuto che, in armonia con la Costituzione,…”). La riforma costituzionale risolve definitivamente le incertezze concettuali cui si prestava la precedente formulazione2 ed enfatizza il potere ordinamentale delle Regioni.

 

Gli Statuti regionali, come tutte le norme giuridiche del nostro ordinamento non solo devono rispettare puntualmente “ogni disposizione della Costituzione, ma devono rispettarne lo spirito in nome della pure costituzionalmente necessaria armonia con la Costituzione” (sentenza n. 304/’023); “armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Carta Costituzionale” (sentenza n. 196/’03). Necessaria, pertanto, un’attenta lettura dei rapporti e dei confini tra le diverse aree normative affidate agli Statuti o alle altre fonti legislative regionali o statali, senza presumere la soluzione del problema interpretativo sulla base della sola lettura di una singola disposizione costituzionale, tanto più dove essa utilizzi concetti che possono legittimamente giustificare interpretazioni tra loro non poco difformi a seconda del contesto in cui sono collocati”(sentenza n. 2/’04).


Le questioni di illegittimità costituzionale sollevate nei confronti dello Statuto Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 e, in seconda deliberazione, il 19 luglio 2004, quindi pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 27 del 26 luglio 2004, sono rivolte agli artt. 3, comma 6; 4, comma 1, lettere h),l),m),n),o),p); 32, comma 2; 54, comma 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4 ritenuti dal Governo contrari al dettato costituzionale.


Le censure mosse, ad avviso della Corte, concernono due gruppi di norme e, precisamente, accanto a norme specifiche dello Statuto4, anche proposizioni che rientrano nei “Principi Generali” e “finalità principali” proprie della Regione costituenti il cd. contenuto eventuale dello Statuto. Tali enunciazioni, secondo l’interpretazione della Corte, avrebbero la funzione di “legittimare la Regione quale ente esponenziale della collettività regionale e del complesso dei relativi interessi”.


All’indomani delle riforme costituzionale con cui le Regioni hanno visto accrescere le proprie competenze, appare più chiara la possibilità di un ulteriore ambito di disciplina statutaria che, oltre alla determinazione della propria forma di governo e quanto ex art. 123 Cost., rivesta il ruolo delle cosiddette disposizioni programmatiche con valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa.


La Corte già in precedenza, con sentenza n. 2/20045, all’uopo richiamata, riconobbe la possibilità dell’esistenza, accanto al contenuto necessario6 dello Statuto, di altri eventuali contenuti sia “ricognitivi delle funzioni e dei compiti della Regione” sia “indicanti aree di prioritario intervento politico o legislativo”.


L’adempimento di una serie di compiti fondamentali, “legittima la presenza politica della Regione in rapporto allo Stato e ad altre Regioni riguardo alle questioni di interesse della comunità regionale anche se queste sorgono in settori estranei alle singole materie indicate nell’art. 117 Cost. e si proiettano al di là dei confini territoriali della regione medesima” (sentenza n. 829/1988). Gli interessi regionali possono essere adeguatamente perseguiti non solo attraverso l’esercizio delle proprie competenze legislative ed amministrative, ma anche attraverso i poteri di iniziativa, di proposta, di partecipazione, di consultazione conferiti alla Regione stessa dalla Costituzione e da leggi statali. Una collaborazione e cooperazione di tutti i livelli di governo si presuppone finalizzata al concreto soddisfacimento delle finalità prioritarie della Regione, ad esempio in tema di “tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, conservazione della biodiversità” (art. 4, 1 comma lett.l)7 Statuto Regione Toscana), “tutela e valorizzazione del patrimonio storico, artistico, paesaggistico” (art. 4, 1 comma lett. m)8), “promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole per la competitività delle imprese” (art. 4, 1 comma lett. n)9), “valorizzazione della libertà di iniziativa economica pubblica e privata e del ruolo e della responsabilità sociale delle imprese” (art. 4, 1 comma lett. o)), “promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo social, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei ” (art. 4, 1 comma lett. p)).


L’inammissibilità delle questioni sollevate, dichiarata dalla Corte, concerne proposizioni del tipo predetto, ritenute “in armonia” con il dettato costituzionale e non in contrasto con esso né rivendicative delle competenze costituzionalmente attribuite allo Stato. Vale a dire che il promuovere l’”estensione del diritto di voto agli immigrati”10 nonché il “riconoscimento delle altre forme di convivenza”11, rientrerebbe, al pari di quelle citate, tra le norme meramente programmatiche dello Statuto della Regione Toscana (così nelle sentenze nn. 378 e 379/’04) del cui contenuto, secondo l’orientamento della Consulta espresso nella precedente sentenza n. 2/2004, è però “opinabile la misura dell’efficacia giuridica”. E proprio qui il fulcro della questione.


La Corte, nel delimitare il confine entro il quale le norme statutarie possono esprimere rilievo giuridico a carico del Legislatore regionale, in quanto norme non avente carattere giuridico non possono certo fondare esercizio di poteri regionali, con tono deciso sentenzia che “alle enunciazioni in esame non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità regionale al momento dell’approvazione dello Statuto, come del resto riconosce la risoluzione n. 5112 del Consiglio regionale della Toscana, deliberata contestualmente all’approvazione definitiva dello statuto”. Questo, di conseguenza, fa intendere che il mutamento della sensibilità politica del paese può legittimamente comportare un mutamento delle enunciazioni in esame, delle quali molto si è discusso a livello politico-sociale; quindi un mutamento legittimo di norme dello Statuto che, a loro volta, non saranno dotate di alcuna forza giuridica “non avendo carattere prescrittivo né vincolante ma esplicando, appunto, una funzione di natura culturale o anche politica, ma certo non normativa”.


Tali proclamazioni di obiettivi e di impegni, ad avviso della Corte, non possono essere assimilate alle cd. norme programmatiche della Costituzione le quali svolgono anche funzione di integrazione e di interpretazione delle norme vigenti, oltre ad avere un valore programmatico nei confronti della futura disciplina legislativa.


Gli Statuti Regionali non sono Carte Costituzionali, ma fonti regionali “a competenza riservata e specializzata”, vale a dire Statuti di autonomia, i quali, anche se costituzionalmente garantiti, debbono comunque “essere in armonia con i precetti ed i principi tutti della Costituzione” (sentenza n. 196/’03). Le norme in esame sono state dalla Corte considerate norme inidonee a ledere tali principi, non comportando violazione né rivendicazione di competenze costituzionalmente attribuite allo Stato, né fondando esercizio di poteri regionali per il loro intrinseco valore non giuridico, pertanto non illegittime.


Con la sentenza in esame, che snoda un problema interpretativo sull’efficacia delle norme stimate (l’espressione “opinabilità della misura dell’efficacia giuridica” preannunciava una lettura riduttiva), la Corte ha dato una lettura restrittiva allo Statuto della Regione Toscana (e così anche di quello di altre Regioni).


L’orientamento espresso dal Giudice delle Leggi proprio a partire dalla sentenza sullo Statuto Regione Calabria, quindi sulla portata delle norme statutarie, può forse in un certo senso aver influenzato il ritardo nel processo di approvazione degli Statuti Regionali. Il dettato della Corte è chiaro e certo; dubbio resta sul fatto che le Regioni non abbiano saputo cogliere e trarre profitto dalla portata innovativa dalle riforme costituzionali.


Federica Sclavi



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1. La riforma costituzionale, lasciando in vita con riferimento alla fonte statutaria il solo limite dell’armonia con la Costituzione, amplia l’ambito di competenza statutaria ed esalta lo Statuto quale manifestazione fondamentale dell’autonomia regionale indirizzato ad esprimere le scelte politiche e le peculiarità di ciascuna collettività regionale.


2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 40/1972 che si pronunciò sulla questione di illegittimità costituzionale sollevata nei confronti della L. n. 62/1953 (c.d. legge Scelba, contenente le prime norme per la costituzione ed il funzionamento degli organi regionali, disciplinando minuziosamente il contenuto degli Statuti regionali e le relative procedure di formazione, ma di fatto non lasciando alcuno spazio agli Statuti) asserì che l’espressione “in armonia”, riportata nella formulazione originaria dell’art.123 Cost. (“Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione”…), stava ad intendere che gli Statuti erano strettamente subordinati alle norme dettate nel titolo V della Costituzione e perciò anche a quelle poste dalle leggi ordinarie ivi espressamente richiamate (artt. 119,1 e 4 comma, 122,1 comma,125 e 130, vale a dire norme finanziarie, sul demanio e patrimonio, elettorali, sul controllo dello Stato sugli atti amministrativi della Regione e delle Regioni sugli atti delle Province, Comuni ed degli altri enti locali), e che gli Statuti medesimi erano tenuti, in senso più lato, a conformarsi ai principi della disciplina, di grado costituzionale e di grado legislativo, di materie connesse con l’organizzazione interna della Regione.


3. L’espressione “in armonia con la Costituzione” indica i termini entro i quali lo Statuto può muoversi con l’esigenza di rispetto di ogni disposizione costituzionale mirante non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni di questa, ma anche a scongiurare il pericolo che lo Statuto, pur rispettoso della lettera della Carta Costituzionale, ne eluda lo spirito.


4. Rif. agli artt. nn. 32, 2 comma Statuto in tema di approvazione del programma di governo della regione; art. 54, 1 e 3 comma, in tema di diritto di accesso ai documenti amministrativi senza obbligo di motivazione ed esclusione di quest’ultimo per gli atti amministrativi meramente esecutivi; art. 63, 2 comma in tema di disciplina dell’organizzazione e svolgimento di funzioni amministrative; art. 64, 2 comma, in tema di disciplina dei tributi degli enti locali; art. 70, 1 comma in tema di partecipazione delle Regioni al processo normativo comunitario e art. 75, 1 comma, in tema di referendum abrogativo. Le questioni di legittimità costituzionale sono dichiarate dalla Corte non fondate in riferimento agli articoli della Costituzione richiamati nel ricorso governativo.


5. Sentenza pronunciata a seguito di questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo nei confronti dello Statuto Regione Calabria.


6. Il contenuto necessario di uno Statuto è espressamente indicato nella lettera dell’art. 123, 1 comma Cost., quindi forma di governo e principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, regolazione dell’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.


7. Impugnata perché ritenuta in contrasto con la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali prevista dall’art. 117, 2 comma lett. s) Cost.


8. Impugnata perché ritenuta in contrasto oltre che con l’art. 117, 2 comma lett. s) Cost. anche con l’art. 118, 3 comma Cost. che riserva alla legge statale la disciplina di forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.


9. Impugnata, insieme all’art. 4, 1 comma lett. o) e p) perché ritenuta in contrasto con l’art. 117, 2 comma lett. s) Cost. che affida alla competenza esclusive allo Stato la materia della tutela della concorrenza.


10. Impugnata perché ritenuta in contrasto con l’art. 48 Cost. che riserva ai cittadini l’elettorato attivo; con l’art. 138 Cost. che riserva al Parlamento il potere di revisione costituzionale; con l’art. 117, 2 comma lett. f) e p) che assegnano allo Stato la competenza esclusiva in materia elettorale concernenti gli organi statali e degli enti locali; art. 121,2 comma Cost. in quanto limiterebbe il potere di iniziativa legislativa del Consiglio regionale.

Secondo la Regione Toscana tale enunciazione costituirebbe solo una promozione dell’estensione del diritto di voto agli immigrati “nel rispetto dei principi costituzionali” in relazione a deliberazioni o elezioni non necessariamente riferibili alle elezioni degli organismi rappresentativi. Rif. anche al D.Lgs. 286/98: “Testo Unico delle disposizioni sulla disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e Convenzione di Strasburgo 5.02.1992 recepita con legge statale 8 marzo 1994, n. 203.


11. La norma è stata impugnata per contrasto: con l’art. 123 Cost. in quanto avrebbe un contenuto estraneo ed eccedente rispetto a quello configurabile come necessario dello statuto, non esprimerebbe un interesse proprio della comunità regionale; con gli artt.2 e 29 comma Cost. in quanto riguarderebbe situazioni divergenti dal modello del rapporto coniugale garantito dalla Cost.; con gli artt. 3 e 5 Cost. se si permettesse alla comunità regionale toscana di riconoscersi in valori differenti rispetto ad altre comunità regionali.

La norma, ad avviso del Presidente della Giunta Regionale in corso di giudizio di legittimità costituzionale, si dice rispettosa dei principi costituzionali; senza voler equiparare la famiglia fondata sul matrimonio con altre forme di convivenza, permetterebbe la tutela di quelle forme stabili per le quali leggi statali e regionali prevedono il riconoscimento della fruizione dei diritti sociali, sempre che le norme sull’ordinamento costituzionale e ordinamento civile lo consentano.


12. Risoluzione del Consiglio Regionale della Regione Toscana n. 51 del 19.07.’04, approvata contestualmente all’approvazione dello Statuto, che fornirebbe ausilio per la corretta interpretazione delle disposizioni statutarie