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REGIONALISMO e FEDERALISMO

 

 

Stato federale e Stato regionale: species di un unico genere Stato unitario.

 

di Cristian Ercolano
 

 

Le forme di autonomia politica ed amministrativa che l’ordinamento italiano riconosce alle Regioni sono difficilmente inquadrabili in modo razionale ed esaustivo all’interno delle tradizionali classificazioni degli enti territoriali operanti all’interno degli Stati contemporanei. Ciò dipende, sicuramente, dall’eterogeneità delle soluzioni offerte in materia dagli Stati qualificati federali o regionali; a queste difficoltà di ordine comparatistico si accompagnano, poi, quelle derivanti dall’intrinseca atipicità di alcuni enti istituiti in Italia (ma si pensi anche alla Corsica in Francia e alle Comunità autonome in Spagna[1]) per far fronte a situazioni socio-economiche e politiche peculiari, e quindi non riconducibili a modelli generali.

Qualsiasi tentativo di classificazione non può prescindere dall’analisi di quelli che sono i nostri termini di riferimento: lo Stato regionale e lo Stato federale.

La dottrina prevalente consolidatasi nel tempo[2] è concorde nel concepire entrambe le forme di Stato come “sottotipi” dello Stato unitario, essendo queste formule utilizzate per descrivere il più o meno intenso grado di decentramento compatibile con la loro unità attuato all’interno degli ordinamenti statali [3]. Si può dire, con intento esemplificativo, che la Regione equivale, nell’ordinamento di cui fa parte, alle unità costitutive dello Stato federale comunque denominate: Cantone, Land, Provincia, Stato membro. In entrambi i casi gli enti territoriali non possono essere considerati sovrani[4]: infatti, gli organi centrali dello Stato esercitano poteri che, sia per la legittimazione loro attribuita dall’ordinamento giuridico, sia di fatto, sono superiori a quelli di ogni altro elemento dello Stato persona. Lo stesso potere dell’ente di darsi una propria Costituzione o Statuto che dir si voglia, deve essere esercitato nei limiti ad esso imposti dalla Costituzione[5]. Le competenze viceversa esercitate da tali enti sono direttamente o indirettamente disciplinate e quindi legittimate e garantite dalle Costituzioni centrali – naturalmente variano le modalità di tali riconoscimenti -; fra queste competenze rientra sicuramente quella legislativa, secondo il modello del “policentrismo legislativo”[6].

In linea di principio, entrambi i modelli costituiscono «una potente forza centrifuga quando flettono le strutture costituzionali preesistenti alle esigenze del decentramento, in modo da implicare una vera e propria trasformazione dell’assetto statale. Rappresentano, invece, una tendenza di segno opposto… nel caso di interessi eccedenti, per natura o dimensione, la sfera di ciascuna suddivisione territoriale… interessi che esigono l’intervento di organi centrali»[7]. Ancora in via di principio, il sistema del decentramento è un sistema in costante divenire: le forme del Regionalismo e del Federalismo convergono in questo punto fondamentale: «la comunità centrale convive sopra e accanto alle comunità che vi sono ricomprese senza cedere, e senza d’altra parte prevaricare, nei loro riguardi, per quanto i rapporti di forza fra l’una e le altre possano ben oscillare nel corso del tempo»[8]. E’ noto a tal proposito l’esempio del Belgio, rilevante ai nostri occhi anche perché la federalizzazione dello Stato è il risultato non di un processo di aggregazione ma di decentramento[9].

In senso contrario, c’è addirittura chi come il Lucatello, per giustificare la riconduzione degli Stati regionali e federali ad un unico genus, descrive una «evoluzione del Federalismo in senso accentratore che ha portato ad un declassamento degli Stati membri, enti non sovrani come le Regioni, ma politici come gli Stati, a semplici Regioni; ed è quindi logico denominare la categoria che comprende gli Stati vuoi federali, vuoi regionali: Stato regionale»[10].

 

Esiste, comunque, una tradizionale distinzione derivante dall’origine storica delle due formule organizzative. L’itinerario tipico, comune alla stragrande maggioranza degli Stati federali, prevede la preesistenza di più entità sovrane indipendenti fra loro e in posizione di equiordinazione. Esse stipulano un patto, un’alleanza internazionale per la costituzione di una Confederazione in cui gli Stati mantengano la propria soggettività e sovranità, concedendo ad un’autorità centrale la competenza ad occuparsi di problemi comuni. Lo stadio finale di tale evoluzione è il passaggio da una mera “associazione” di Stati ad un vero e proprio Stato, con una conseguente traslazione di sovranità in favore della Federazione, essendo gli Stati membri ormai soggetti alla prevalenza del diritto federale e agli interventi autoritari delle autorità centrali. La caratteristica principale di questo itinerario[11] è proprio la sopravvivenza, alla nascita del nuovo soggetto statale, di quelli preesistenti.

Negli Stati regionali, invece, si parte da un ordinamento fortemente accentrato, in cui il principio di unità e indivisibilità non tollera altri nuclei di autonomia politica che non siano quelli centrali. Il decentramento si realizza attraverso la concessione di competenze dallo Stato sovrano ad enti territoriali che divengono autonomi.

Tra le altre differenze che vengono elencate, importanti sono quelle riguardanti la ripartizione delle competenze fra centro e periferia: mentre gli Stati federati sono titolari della stessa tipologia di competenze fondamentali esercitate dallo Stato federale, le Regioni vantano solo quelle loro assegnate dalla Costituzione, che di solito non comprendono la giurisdizione – anche se vi sono esempi di ordinamenti federali in cui gli Stati membri ne sono privi (Costituzione austriaca, art. 82) e, di contro, esempi di partecipazione delle Regioni all’organizzazione delle strutture giudiziarie (Costituzione spagnola, art. 152) -.

Ancora, la regola prevede che negli ordinamenti federali siano enumerate nella Costituzione le competenze della Federazione, così da prevedere poteri generali in capo agli Stati membri; negli ordinamenti regionali invece l’enumerazione delle materie riguarda le competenze regionali - anche se vi sono Costituzioni come quella spagnola che prevedono una duplice elencazione, per lo Stato e per le Regioni -. A questo proposito, non può essere taciuta la recente approvazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3[12], recante «Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione». La legge prevede, nella parte che a noi interessa, il capovolgimento del criterio di enumerazione delle materie, riguardante ora i poteri dello Stato e non quelli regionali: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie… Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato»[13].

Rilevante è ancora la presenza negli Stati federali di una seconda Camera rappresentativa degli Stati membri, a differenza che in quelli regionali – ancora degno di nota è però l’esempio della Spagna in cui una parte seppur minima dei senatori è designata dalle Comunità autonome (art. 64); ma soprattutto va ricordato che le seconde Camere federali sono sempre più considerate, nonostante la loro composizione, rappresentative di interessi nazionali, per l’opera ed il ruolo unificante svolto dai grandi partiti -.

Il processo di revisione costituzionale negli Stati federali è attribuito, similmente che in quelli regionali, ad organi centrali; ma nei primi la partecipazione degli Stati membri è garantita dalla seconda Camera o mediante meccanismi che prevedono l’approvazione di un numero rilevante di essi[14].

In ultimo, ma non per l’importanza della considerazione, si deve sottolineare come la già asserita completezza delle Costituzioni degli Stati federati[15] - che presentano discipline riguardanti diritti e doveri fondamentali, la vita sociale, economia e lavoro, oltre naturalmente alla propria organizzazione costituzionale - derivi dalla fondamentale potestà costituente di cui sono dotati gli Stati membri. Essi, cioè, hanno la capacità di darsi, mediante propri organi costituenti, la propria Costituzione, vincolati solo da alcune previsioni di carattere generale previste nelle Costituzioni federali[16]. A fronte di ciò stanno gli Statuti delle Regioni, i quali, pur nei casi in cui siano adottati con atti autonomi dell’ente[17], trovano il loro contenuto rigorosamente circoscritto alla loro organizzazione, per di più secondo un modello previsto per esse da norme costituzionali autoapplicative[18]. Soprattutto per questo[19] si parla, per le Regioni[20], di “competenza statutaria”, e non costituzionale.

 

Il riconoscimento di queste diversificazioni, accompagnato dai dubbi di natura comparatistica che abbiamo menzionato, non smentisce la riconduzione delle forme di Stato federale e regionale a species di un unico genere Stato unitario. L’ammissibilità teorica della coesistenza fra Unità del Paese e ordinamento federale non è una conquista recente, affondando le proprie radici in pensatori che hanno partecipato ai processi più importanti della nostra storia costituzionale: il raggiungimento dell’Unità e la realizzazione della Costituzione repubblicana (pensiamo a Cattaneo, Ferrari e, più tardi, Esposito, Lussu, Tosato, Bordon). Nel tempo è, però, sempre finita per prevalere una visione antiunitaria del Federalismo, giustificata dall’assunto che esso avrebbe finito per acuire le differenze sociali e culturali fra le popolazioni e avrebbe costituito un freno a livello economico. Si scelse quindi la centralizzazione del potere come unica possibilità di superamento delle diversità secolari del Paese. E anche quando si ripropose l’idea vincente di una forma non accentrata di Stato, il concetto di Unità si identificò non con l’autonomia ma con i limiti all’autonomia, previsti a livello costituzionale e dalle leggi di attuazione, ma che la prassi governativa e giurisdizionale ha finito per rendere più importanti dell’autonomia stessa[21].

Ma proprio la teorica affermazione del concetto di Unità nella diversità operata dall’articolo 5 della nostra Costituzione, unitamente alla legittimazione giuridico-dottrinale dell’ultimo cinquantennio[22], deve costituire il passo decisivo verso la piena accettazione della possibile coesistenza fra lo Stato unitario e l’ordinamento federale. L’espressione forse più autorevole di tale realtà è quella di Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica: «Il Federalismo solidale potrebbe mettere un argine di umanità alla politica… soltanto l’evoluzione di quel tipo di decentramento non egoista, unito ad una sempre più forte coscienza europea, contribuirà a dare forma compiuta e solido contenuto alla nostra Unità»[23].

 

Cristian Ercolano

 



[1] Cfr. in proposito Luchaire, Lo Statuto speciale della Corsica, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1984, 1164 ss.; Aparicio, Lineamenti di Diritto costituzionale spagnolo, Torino, 1992 e Lopez Guerra, Il tribunale costituzionale spagnolo e le autonomie regionali, in Federalismo e Regionalismo in Europa, a cura di D’Atena, Milano, 1994, 271 ss.

[2] Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I, Padova, 1970, 71 ss.; Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, II, 1976, 1511 ss.; Lucatello, Lo Stato federale, Padova, I, 1967, 37 ss., 97 ss., 111 ss.; Id., Stato federale, in Scritti giuridici, Padova, 1983, 183 ss.; Esposito, Autonomie locali e decentramento amministrativo nell’articolo 5 della Costituzione, in La Costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, 67 ss.; Friedrich, Trends of Federalism in theory and practice, New York, 1968; ma anche Reposo, Stato federale, voce in Enc. Giur., Roma, 1993, vol. XXX, 2 - 3; De Vergottini, Stato federale, voce in Enc. del Diritto, Milano, 1990, vol. XLIII, 831 ss.; Id., Diritto costituzionale comparato, Padova, 1987, 281 ss.; Gizzi, Manuale di diritto regionale, Milano, 1991, 786 ss.; Cuocolo, Diritto regionale italiano, Torino, 1991, 3 ss.; Paladin, Diritto costituzionale, Padova 1991, 51 ss.; Martines/Ruggeri, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 1987, 32 ss.

[3] Paladin, Diritto costituzionale, op. cit., 55. Mentre Ambrosini (riferendosi alla costituzione spagnola del ’31) fu isolato nel parlare dello Stato regionale come di una categoria distinta e intermedia fra l’unitario e il federale, le diatribe dottrinali riguardanti la natura da attribuire alle formazioni federali risalgono al secolo scorso. Accanto ai precursori delle teorie riportate nel testo (Zorn, ma anche Laband e Jellinek) si distinguevano studiosi come il Calhoun e il von Seydel che, non riconoscendo carattere di organizzazione statuale al governo centrale, riconducevano le formazioni in oggetto ad un tipo di unione paritaria di Stati – in genere una Confederazione -. Ma la maggior parte dei pubblicisti accoglieva tesi intermedie, considerando veri e propri Stati sia lo Stato centrale che gli Stati membri (Hamilton ed in primo Mortati). Nell’ultimo cinquantennio, scomparsi o quasi i sostenitori della prima tesi, sono rimasti autorevoli estimatori della seconda (Durand, Schlesinger, Balladore Pallieri, Rescigno), in proposito cfr. Reposo, Stato federale, op. cit., 2; Paladin, Diritto costituzionale, op. cit., 51 ss.

[4] Gli Stati federati, però, a differenza delle Regioni, sono considerati enti statali; di qui la difficoltà, a lungo dibattuta in dottrina, di concepire enti statali non dotati di sovranità.

[5] Storicamente le Costituzioni degli Stati membri presentano – in molti casi presentavano - una completezza di disciplina addirittura superiore alle Costituzioni federali. Le prime erano, infatti, sopravvissute alla trasformazione federale dello Stato, anzi erano servite da modello per le seconde. Attualmente la situazione è giustificabile in un sistema che afferma la qualità statale di tali soggetti e che ha come proprio principio organizzatore la presunzione generale di competenza agli Stati membri ed il conferimento di competenze enumerate, e cioè circoscritte a determinate materie, allo Stato centrale. Nonostante ciò si è sempre postulata la superiorità gerarchica delle Costituzioni federali nei confronti di quelle locali: si pensi ad esempio alle clausole di omogeneità, presenti sin dagli inizi nelle Costituzioni federali, prescriventi agli Stati membri una forma di governo piuttosto che un’altra, o la previsione della garanzia per i cittadini di determinati diritti; si pensi poi alle cosiddette clausole di prevalenza, le quali – seguendo quel processo di progressiva espansione di competenze e compiti dello Stato centrale in danno di quelli locali - prevedono, in caso di contrasto di discipline costituzionali, la prevalenza di quella federale. Per queste considerazioni cfr. Statuti regionali e riforma federale a venticinque anni dal primo Statuto della Regione Umbria, a cura di Centro studi giuridici e politici – Regione Umbria, 1997, intervento di D’Atena, L’autonomia costituzionale e statutaria delle entità sub - statali nei sistemi federali e regionali, 6 ss.; con riferimento al modello tedesco cfr. Anzon, La Bundestreue e il sistema federale tedesco: un modello per la riforma del Regionalismo in Italia?, Milano, 1995, 11 ss.

[6] Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, op. cit., 1514; D’Atena, Lezioni tematiche di diritto costituzionale, 1996, 53.

[7] La Pergola, Tecniche costituzionali e problemi delle autonomie garantite: riflessioni comparatistiche sul Federalismo e Regionalismo, Padova, 1987, 92.

[8] La Pergola, Tecniche costituzionali e problemi delle autonomie garantite, op. cit., 103.

[9] Nato dalla separazione delle Province meridionali dal Regno unito dei Paesi Bassi, il Belgio si organizzò in forma accentrata nonostante i problemi posti dalla convivenza di tre diverse comunità linguistico-culturali: i Fiamminghi, i Valloni e la minoranza germanofona. La riforma regionale, attuata in varie fasi negli anni ’70 e ’80, è stata la tappa intermedia di un processo di decentramento sfociato inevitabilmente nel Federalismo con la revisione costituzionale del ’93. Sul punto cfr. Senelle, Il Belgio, in Federalismo e Regionalismo in Europa, a cura di D’Atena, Milano, 1994, 31 ss.; Peccolo, Evoluzione politico istituzionale e riforma dello Stato, in L’ordinamento federale belga, a cura di Francis Del Peree, Torino, 1994, 38 ss.

[10] Lucatello, Lo Stato regionale quale nuova forma di Stato, in Scritti giuridici, nuova raccolta, Padova, 1990, 111 ss. e in particolare 150.

[11] Sulla quale si fondano le teorie affermanti una differenza “qualitativa” tra Stati membri e Regioni, in proposito sinteticamente Statuti regionali e riforma federale, op. cit., intervento di D’Atena, 5 ss., nonché la nota n. 19 di questo scritto.

[12] Il testo era stato approvato in seconda deliberazione dal Senato della Repubblica l'8 marzo 2001, a maggioranza dei suoi componenti, e sottoposto a referendum confermativo, con esito positivo, il 7 ottobre 2001.

[13] Art. 117 nuova formula.

[14] D’Atena, Lezioni tematiche di diritto costituzionale, op. cit., 54 e ss.; De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, op. cit., 338 ss.

[15] Sulla quale ci siamo soffermati nella nota n. 5 di questo scritto.

[16] Abbiamo parlato già delle clausole di omogeneità, delle cosiddette clausole di prevalenza e della previsione della garanzia per i cittadini di determinati diritti, in proposito cfr. ancora la nota n. 5.

[17] In Italia, ad esempio, secondo il nuovo articolo 123 della Costituzione: «…lo Statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi…», ma con la vistosa eccezione delle Regioni speciali, i cui Statuti sono veri e propri atti statali, nella forma di leggi costituzionali.

[18] Statuti regionali e riforma federale, op. cit., intervento di D’Atena, 18 ss.

[19] ma la spiegazione deve essere fatta risalire al processo storico di formazione degli Stati federali, processo associativo, in cui gli Stati, divenuti membri, mantengono in vita la propria Costituzione e la maggior parte delle competenze prima esercitate, tra le quali «la competenza costituzionale rappresenta il massimo residuo della statualità dei membri», D’Atena, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in Rassegna parlamentare, 2000, 601; più compiutamente Statuti regionali e riforma federale, op. cit., intervento di D’Atena, 6 ss.

[20] in Italia come ad esempio in Belgio.

[21] Allegretti, Autonomia regionale e unità nazionale, in Le Regioni, 1995, 9 e ss.

[22] Cfr. in proposito gli autori citati nella nota n. 2.

[23] Ciampi, in una  intervista al quotidiano Corriere della Sera, 11 luglio 2001, 5.