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REGIONALISMO e FEDERALISMO

 

La Legge Costituzionale n. 3 del 2001:

 

Alcune considerazioni sulla riforma del Titolo V della Costituzione

 

(di Cristian Ercolano)

 

Premessa.

Uno dei criteri classici su cui fondare la tradizionale distinzione tra forme di Stato regionale e federale è identificabile nella ripartizione delle materie fra centro e periferia. Esso stabilisce, di regola, che negli ordinamenti di matrice federale siano enumerate nella Costituzione le competenze della Federazione, così da prevedere poteri generali in capo agli Stati membri; negli ordinamenti regionali, invece, lo stesso criterio richiede che l’enumerazione delle materie riguardi le competenze regionali.

La scelta del costituente italiano, mutuata dalla Costituzione repubblicana spagnola del 1931, si sostanziò proprio nella configurazione delle Regioni quali enti a competenze enumerate: chiamate, cioè, ad intervenire esclusivamente sulle materie ad esse espressamente assegnate. L’identificazione di tali ambiti di intervento non rispecchiava fedelmente il modello citato[1], anzi era di chiara ascendenza federale. Il riparto di competenze fu, infatti, interamente costituzionalizzato includendo l’elencazione tassativa delle materie devolute alla competenza normativa regionale in norme di rango costituzionale: l’art. 117 della Costituzione e le corrispondenti disposizioni degli Statuti delle Regioni speciali.

La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3[2], recante «Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione», ha modificato sostanzialmente tale impianto.

 

La riforma costituzionale.

I fondamenti della riforma possono essere focalizzati, per quanto a noi più direttamente interessa, in alcuni punti principali.

 

In primis il nuovo testo dell’articolo 117[3], recependo le istanze sottese al principio di sussidiarietà verticale, inverte il criterio che aveva governato il precedente il riparto di competenze legislative tra i due enti, lasciando allo Stato solamente i compiti essenziali che non possono essere soddisfacentemente svolti dalle Regioni e dagli enti locali. Come già accennato, nel sistema precedente alla riforma, la Costituzione si limitava ad indicare le sole materie in cui la Regione poteva emanare norme legislative «... nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni»[4], riservando implicitamente e “residualmente” alla legislazione esclusiva dello Stato ogni altra materia non indicata fra quelle in cui le Regioni avevano potestà legislativa concorrente. Il nuovo articolo 117 si è preoccupato di indicare positivamente le sole materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato[5], da ritenere sicuramente sottratte alla potestà legislativa delle Regioni, assegnando invece a queste ultime, con un criterio residuale che costituisce il vero punto di svolta, «la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato»[6].

 

Non bisogna, poi, dimenticare che il comma 1 dell'articolo 117 ha del tutto parificato, almeno formalmente, la legge regionale a quella statale. Occorreva fissare, allora, un criterio di relazione tra le fonti che, stante quanto appena affermato, non poteva certo consistere nel principio di gerarchia. La chiara esistenza di quella duplice riserva che caratterizza tipicamente il rapporto di competenza tra le fonti  - posta in essere dal combinato disposto dei commi 2 e 4 dell'articolo 117 – pone le leggi statali e regionali in un'evidente relazione di competenza. Ciò è dimostrato indirettamente dalla nuova formulazione dell'articolo 127 comma 1 della Costituzione, che consente allo Stato di promuovere questioni di legittimità costituzionale delle leggi regionali esclusivamente per violazione della competenza. Allo stesso modo, e per lo stesso tipo di violazione, il comma 2 dell'articolo 127 consente alle Regioni di ricorrere alla Consulta.

E’ stata, dunque, eliminata la procedura stabilita dall'art. 127, comma 3 Cost., che prevedeva il rinvio al Parlamento nazionale delle leggi assunte in asserito contrasto con gli interessi statali o di altre Regioni[7], mantenendo operativi solo i contenziosi innanzi alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzioni.

 

Al terzo comma, l’articolo 117 indica positivamente le materie riservate alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, incontrando il solo limite della «determinazione dei principi fondamentali» riservata allo Stato. Questo deve intendersi come “limite” – negativo - e “vincolo” – positivo - per la legislazione regionale concorrente. Invero la formulazione della norma sembrerebbe indurre a ritenere solamente che la determinazione dei principi fondamentali, nelle materie in discorso, sia riservata alla potestà legislativa statale e sottratta, conseguentemente, alla potestà legislativa delle Regioni[8]. In realtà il fondamento della disposizione va individuato - seguendo un’interpretazione che ha radici antiche, secondo cui i limiti all’autonomia sarebbero più importanti dell’autonomia stessa  - proprio nella volontà del legislatore costituente di fissare un vincolo positivo alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, con conseguente obbligo per le stesse di uniformarsi a quanto disposto dalla legislazione statale. Ed infatti, può parlarsi di “principi fondamentali” nelle materie di legislazione concorrente in quanto gli stessi siano destinati a disciplinare in maniera uniforme determinati aspetti delle materie in questione e costituiscano, quindi, un vincolo per la potestà legislativa concorrente delle Regioni tenute, in ogni caso, alla loro osservanza per esigenze di uniformità di disciplina sull’intero territorio nazionale.

 

Ma l’elemento fondamentale per determinare l’esatta portata della riforma è la previsione del comma quarto: «spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».

Si è, finora, prudentemente evitato di parlare di potestà esclusiva regionale non ricavandosi, dal testo della norma, né questa affermazione né una preclusione di intervento della legislazione dello Stato nelle stesse materie. Da una attenta analisi del nuovo sistema, sembrerebbe potersi cogliere la differenza fra la potestà legislativa concorrente delle Regioni di cui al comma 3 e la potestà legislativa delle stesse di cui al comma 4 nel fatto che, mentre nell’esercizio della prima le Regioni incontrano il limite della determinazione dei principi fondamentali della materia riservata alla legislazione dello Stato, e sono tenute al vincolo dell’osservanza degli stessi principi, nella seconda tale limite non sussiste, sicché si tratta di una potestà legislativa “pura”. Tale considerazione, peraltro, se contribuisce a sgomberare il campo da ogni residuo dubbio in merito alla natura della potestà legislativa residuale delle Regioni, dall’altro non induce a ritenere che sia comunque precluso allo Stato di intervenire in concorrenza con queste ultime.

Anche in queste materie, in cui più ampia è la potestà normativa regionale, sono rinvenibili degli imprescindibili limiti espressamente menzionati dall’articolo in esame: il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali[9]. Ma spingendoci ancora oltre riteniamo che, pur non essendo stato positivamente previsto come nella disciplina previgente, debba in ogni caso ritenersi sopravvissuto alla riforma anche il limite degli “interessi nazionali”. Analogo discorso potrebbe essere fatto, prevedibilmente, per quei limiti che ancora positivamente vincolano l’analoga potestà legislativa delle Regioni ad autonomia speciale, i principi generali dell’ordinamento giuridico e le norme fondamentali delle riforme economico-sociali.

Il limite degli interessi nazionali è, ad esempio, alla base dello stesso principio di sussidiarietà, richiamato spesso nella riforma. “Sussidiarietà” significa appunto questo: che le funzioni non sono assegnate una volta per tutte in base a criteri astratti ma collocate al livello di governo più vicino possibile agli amministrati, purché “adeguato”[10]. Il principio richiede proprio che la scelta di dove allocare le competenze sia compiuta secondo una valutazione concreta della dimensione degli interessi in gioco[11].

Altro spazio di operatività del limite in discorso è quello offerto dalla individuazione dei “principi fondamentali” della competenza concorrente[12].

 

Queste considerazioni, inoltre, sembrano poter essere confermate dal novellato secondo comma dell’articolo 120[13] della Costituzione, che consente al Governo di esercitare il potere sostitutivo nei confronti di Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane «quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica»: esso è, in buona sostanza, un principio generale di riserva allo Stato di una potestà legislativa non soggetta a limitazione di materia, ed i casi di operatività della norma positivamente indicati dall’articolo null’altro sembrano se non situazioni riconducibili, con un nomen che le includa tutte, al supremo “interesse nazionale”. Vi è chi [14], in proposito, ritiene che il Parlamento abbia inteso non già liberare le Regioni dal “limite” degli interessi nazionali, ma semplicemente scaricare per intero il peso della difesa di essi sulla Corte costituzionale. Altri invece ritengono che l'intervento sostitutivo del Governo ex art. 120 della Costituzione sia una delle espresse riserve di competenza dello Stato - tra le altre ad esempio i “livelli essenziali”, le “norme generali”, il “coordinamento informatico” di cui, rispettivamente, alle lettere m), n) ed r) dell'art. 117 secondo comma, i “principi fondamentali” di cui all'art. 117 terzo comma, i meccanismi perequativi dell'art. 119 - le quali andrebbero considerate, quindi, come “titoli esclusivi” e tassativi su cui fondare l'intervento statale a protezione dell'interesse nazionale[15].

La norma in discorso pone una serie di problemi che riguardano, prima di tutto, la natura del potere di intervento statale previsto. E’, ad una prima lettura, dubbio se si tratti di potere sostitutivo in senso proprio, destinato a rispondere a vere e proprie inerzie regionali o locali che integrino i presupposti indicati (mancato rispetto di norme e trattati internazionali ecc.) oppure di una possibilità di intervento che prescinda da un inadempimento delle autonomie locali inteso come mancato esercizio, entro un termine prefissato, di una determinata competenza (dato che in effetti, nella disposizione non si fa affatto menzione di “inerzie” o “inadempimenti”). Dall’interpretazione che si affermerà, vale a dire dalla delimitazione del potere sostitutivo previsto nella norma, si deciderà l'effettiva portata dell’intera riforma, visto che i nuovi e più importanti poteri attribuiti alle Regioni potrebbero essere posti nel nulla da un intervento discrezionale del Governo nazionale. Proprio questo è poi l’altro punto criticabile: il custode degli interessi nazionali diverrebbe il Governo con buona pace di tutta un'esperienza passata che, pur con tutti i limiti che l'ha contrassegnata, non ha mai abbandonato l'idea che questo compito dovesse restare nelle mani del Parlamento. Non dimentichiamo che il Governo agisce mediante atti con forza di legge caratterizzati dalla “necessità ed urgenza”, e non mediante il normale iter legislativo parlamentare; chiara appare l’importanza del suddetto ultimo comma dell’art. 120, se interpretato nel senso di lasciare alla legge – e quindi al Parlamento nazionale - non solo il controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione, ma anche l'individuazione dell'interesse che giustifica l'intervento sostitutivo del Governo[16].

 

In ultimo, ma non di minore importanza, le nuove disposizioni della Costituzione non presentano più quel sistema di controlli preventivi dello Stato nei confronti delle Regioni – per quanto riguarda la loro attività legislativa[17] ed amministativa[18] - e delle Regioni sull’attività amministrativa degli enti locali[19]. Tale assetto è, senza dubbio, conseguenza della nuova posizione degli enti politici introdotta dall’articolo 114 della Costituzione[20]: nella sua parte più significativa esso sancisce che: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». La norma, in via di principio, pone tutti gli enti menzionati sullo stesso piano. Da un punto di vista politico l'equiparazione formale dello Stato con gli enti locali mediante un impianto istituzionale orizzontale e non più verticale, provoca una sicura valorizzazione di questi ultimi, sottraendoli alla tradizionale impostazione e concezione che vuole le periferie costituzionalmente subordinate al centro[21].

 

Alcune considerazioni.

Che una riforma come quella descritta, così apparentemente rivolta ad esaltare le autonomie locali possa, in ipotesi, comportare indirettamente problemi all'unità dell'ordinamento giuridico è innegabile; e che questa preoccupazione stia eccessivamente influenzando la lettura e l’interpretazione delle nuove norme è altrettanto evidente[22].

Numerose questioni sono state aperte sin dall’avvio del nuovo sistema e si tratta, in buona sostanza, dello stesso tipo di problemi che si incontrarono nell’identificazione dei limiti alla competenza esclusiva delle Regioni speciali.

Va, infatti, rilevato come le Regioni si siano attivate raramente con tempestività e in modo esaustivo, pur avendo ora il potere di darsi una propria disciplina legislativa concorrente o alternativa a quella dello Stato. Nel caso in cui queste ultime non abbiano provveduto a legiferare, in forza del principio di autocompletamento dell’ordinamento giuridico la legislazione statale continuerà a svolgere, nelle stesse materie[23], una “funzione suppletiva” in virtù del fatto che essa, a differenza di quella regionale, ha efficacia sull’intero territorio nazionale[24]. Questa tendenza è confermata dalla stessa Corte Costituzionale che, in alcune recenti decisioni, ripropone in maniera univoca il principio della “desumibilità” dei principi applicabili alla legislazione regionale dalla legislazione statale vigente[25]. Un principio più che comprensibile se non si vuole che tutto il processo di attuazione del nuovo Titolo V si blocchi, in assenza (e comunque in attesa) della legislazione statale di principio.

Lo Stato potrebbe, quindi, continuare a regolamentare in modo unitario e coordinato l'ordinamento orientando concretamente l'attività futura delle Regioni e finendo, nella peggiore delle ipotesi, per determinare una situazione di immobilità di queste ultime, non invogliate a produrre una normativa che potrebbe essere smentita e cancellata dall’immediata produzione dei “principi” di fonte statale, imprescindibile vincolo positivo – come già detto – per la legge regionale[26].

 

Lo stesso problema potrebbe essere provocato dalla mancata attribuzione alle Regioni di strumenti legislativi quali gli atti aventi forza di legge (decreti legge e delegati): «occorrerà chiedersi se casi di effettiva e forte necessità ed urgenza non determinino, pena una situazione pericolosa di stallo, e proprio a tutela dell’interesse nazionale, uno “spostamento di competenza”, magari con norme a efficacia temporalmente (ed espressamente) determinata, dalle Regioni allo Stato»[27].

 

Si è già notato poi che, anche quando la Regione eserciti effettivamente la propria competenza legislativa “esclusiva” -  non soggetta, almeno in via di principio, al limite dei “principi fondamentali delle materie” di derivazione statale - non è da escludere comunque un intervento dello Stato[28] che risponda ad esigenze di uniformazione di disciplina in base ad un vero o presunto interesse supremo nazionale.

 

La stessa identificazione delle materie risulta difficoltosa perché il legislatore, in alcuni casi, ha preferito procedere attraverso l’individuazione di funzioni (ad es. “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”), di compiti generali e trasversali (“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”), ovvero causando una sovrapposizione nell’ambito della stessa materia (si pensi alle “norme generali sull’istruzione”, rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, e la materia “istruzione”, ricompresa nella legislazione concorrente)[29]. «Non mancano, infine, casi nei quali il dubbio si trasforma in certezza. Si tratta di errori materiali… Mi riferisco allo spostamento, dalla competenza statale esclusiva alla competenza concorrente, di materie dalla connotazione manifestamente nazionale come: il “trasporto e la distribuzione nazionale (si badi: nazionale) dell’energia” e le “grandi (si badi: grandi) reti di trasporto”»[30].

 

Si ripropone, ancora, per quanto riguarda la legislazione concorrente, l’annoso problema dell’individuazione della nozione di “principi fondamentali delle materie”. Peraltro tale nozione, facilmente identificabile sul piano concettuale, non lo è altrettanto in concreto, dal momento che si tratterà di stabilire di volta in volta e con riferimento alle diverse materie di legislazione concorrente, quali siano “i principi fondamentali”, ovvero quando solo determinati aspetti della disciplina della materia assumano il rilievo e la valenza, ai fini che qui se ne occupa, di “principi fondamentali della materia”. Il problema, invero, non sussiste allorché è la stessa legge a qualificare determinati aspetti della disciplina come “principi fondamentali” (qualificazione formale o legislativa) o nel caso in cui è la stessa legge statale a qualificarsi come “legge quadro” nella materia, analogamente a quanto avveniva nel sistema di legislazione concorrente previgente. Più difficile sarà, invece, nel silenzio della legge sul punto, stabilire sul piano sostanziale quando un determinato aspetto della materia assuma il rilievo e la valenza di “principio fondamentale”, sì da costituire limite e vincolo per la legislazione concorrente delle Regioni.

 

E’ chiaro, in ultimo, che il nuovo assetto costituzionale è destinato a ridisegnare, anche sulla carta, i rapporti di forza[31] tra le due species di autonomie regionali: ordinaria e speciale. Su quest’ultimo, importante, aspetto rinviamo ad una futura trattazione che tenga conto anche dei progetti di riforma attualmente in via di definizione.                             

 



[1] La Costituzione spagnola del 1931, infatti, presentava una elencazione (art. 11) che non aveva la funzione di individuare direttamente l’oggetto delle competenze delle Regioni: essa circoscriveva l’ambito di scelta degli enti autonomi, chiamati a procedere a tale individuazione mediante gli Statuti da essi stessi approvati; per queste considerazioni cfr. D’Atena, La vicenda del Regionalismo italiano ed i problemi della transizione al federalismo, in Federalismo e Regionalismo in Europa, a cura di D’Atena, Milano, 1994, 202 ss.

[2] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001. Il testo era stato approvato in seconda deliberazione dal Senato della Repubblica l'8 marzo 2001, a maggioranza dei suoi componenti, e sottoposto a referendum confermativo, con esito positivo, il 7 ottobre 2001.

[3] come modificato dall’art. 3 della legge costituzionale in analisi.

[4] Art. 117 comma primo ante riforma.

[5] Art. 117 comma 2. Su vari aspetti di problematicità della soluzione accolta cfr. D’Atena, Prime impressioni sul progetto di riforma del Titolo V, in AaVv, Le autonomie territoriali: dalla riforma amministrativa alla riforma costituzionale, atti del Convegno promosso da Luiss, Centro di ricerca sulle Amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” e curato da Berti e De Martin, Roma, 9 gennaio 2001, 225 ss.

[6] Art. 117 comma quarto. Sulla centralità dell’elencazione delle materie legislative nell’architettura generale della riforma e sulle varie incongruenze presenti cfr. D’Atena, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Forum di Quaderni costituzionali, settembre 2002, all’indirizzo www2.unife.it/forumcostituzionale; sulla clausola residuale a favore delle regioni cfr. diffusamente Torchia, La potestà legislativa residuale delle Regioni, in Le Regioni, n. 2-2002.

[7] «il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione… La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge». Sul diverso regime delle impugnazioni di leggi regionali e leggi statali alla luce della riforma cfr. Groppi, La legge costituzionale n. 3/2001 tra attuazione e autoapplicazione, in Groppi - Olivetti, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino 2001, 220; più in particolare sulla operatività del riformato art. 127 cfr. Nicosia, Primi passi della Corte costituzionale nell’applicazione del nuovo art. 127 della Costituzione, pubblicato nel marzo 2002 su Forum di Quaderni costituzionali, reperibile all’indirizzo www2.unife.it/forumcostituzionale.

[8] Potrebbe sembrare, quindi, solamente un limite negativo, delimitando, per così dire, i confini della legge regionale.

[9] «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», art. 117 comma 1, nuova stesura. Più in particolare, il secondo limite potrebbe indicare che si è voluto attribuire un nuovo ruolo alle Regioni nell’ordinamento comunitario ed internazionale; sta di fatto che nel nuovo sistema delineato dalla riforma costituzionale viene ad esse riconosciuta, ad esempio, potestà legislativa concorrente in materia di “rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni” e in materia di “commercio con l’estero” (art. 117 terzo comma, Cost.), come pure viene ad esse riconosciuta la possibilità di partecipare, nelle materie di loro competenza, “alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea ...” (art. 117 quinto comma, Cost.). Questo riconoscimento e il nuovo ruolo delle Regioni delineato dalla riforma costituzionale, pur conferendo alle stesse una autonoma rilevanza nell’ordinamento comunitario ed internazionale almeno in determinate materie, non valgono, tuttavia, a conferire ad esse una autonoma soggettività sul piano dell’ordinamento internazionale.

[10] Il principio di sussidiarietà consente l'intervento del livello superiore soltanto nel caso in cui quello interessato non sia in grado di raggiungere lo scopo prefissato: «… la maggiore o minore adeguatezza – a raggiungere lo scopo – non va misurata in termini esclusivamente economici o di efficienza… il favor per l’ambito più vicino agli interessati comporta che questo vada preferito a quello meno vicino, non solo se sia in grado di operare a condizioni più vantaggiose, ma anche a parità di condizioni», D’Atena, Costituzione e principio di sussidiarietà, in Quaderni costituzionali, 2001, 18 ss.

[11] Il principio in discorso è stato utilizzato, nella ripartizione delle funzioni pubbliche, solo a partire dalla legge 15 marzo 1997 n. 59 (sulle radici storico–culturali cfr. su tutti D’Atena, Costituzione e principio di sussidiarietà, op. cit., 14 ss.). Quest’ultima, nell'operare una redistribuzione di funzioni amministrative alle Regioni ed agli enti locali (art. 1, punto 2: «Sono conferite alle Regioni e agli enti locali, nell'osservanza del principio di sussidiarietà… tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici»), sanciva, all’articolo 4 comma terzo, che dovesse avvenire nell'osservanza del «principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati». Nel successivo dibattito sulle riforme costituzionali, il principio aveva avuto delle formulazioni abbastanza esaustive, come quella che apriva il Titolo II della cosiddetta bozza D’Onofrio (art. 58) dedicata all’«Organizzazione federale della Repubblica»: «La Repubblica ripartisce le funzioni pubbliche tra Comuni, Province, Regioni e Stato in base ai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Questi principi costituiscono i criteri fondamentali per la ripartizione delle funzioni amministrative e delle funzioni legislative. Essi costituiscono i criteri fondamentali anche per l'esercizio delle funzioni amministrative del Comune in riferimento alle diverse parti del suo territorio, della Provincia in riferimento ai diversi Comuni del territorio di questa; della Regione in riferimento alle Province del suo territorio, dello Stato in riferimento alle Regioni che fanno parte del territorio della Repubblica. I principi di sussidiarietà e di solidarietà orientano l'azione dell'Italia nelle organizzazioni internazionali di cui essa fa parte, con particolare riferimento alla Unione europea e alle Nazioni Unite». Il testo licenziato dalla Commissione (art. 56) invece, lo intendeva sia in senso verticale che in senso orizzontale: «Le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dall’autonomia dei privati sono ripartite tra le Comunità locali, organizzate in Comuni e Province, Regioni e lo Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge».

Il principio, come recepito dalla recente riforma costituzionale, pure recuperando la sua valenza orizzontale («Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà», art. 118 ultimo comma, come sostituito dall’art. 4 della legge costituzionale n. 3/2001) non costituisce il fondamento generale del riparto delle competenze tra i vari enti ma riguarda solamente alcuni ambiti ben determinati. Anzi esso è posto alla base della sola distribuzione delle funzioni amministrative tra tutti i livelli di Governo, di modo che, scomparso il principio del parallelismo non ha, comunque, modo di riflettersi sul riparto delle funzioni legislative. Il nuovo articolo 118 primo comma stabilisce, infatti, che «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».

[12] Sui problemi che tale operazione comporta cfr. più avanti nel testo.

[13] «… Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione».

[14] Barbera, Chi è il custode dell'interesse nazionale?, in Quad. Cost., 2001, 345 ss. Per le considerazioni secondo cui l'interesse nazionale «non debba più essere inteso come un limite (ulteriore) alle competenze regionali ed inoltre che la mancata menzione di esso, nel nuovo testo costituzionale, non sia affatto un problema, nel senso che questo concetto non è più utile neppure per la tutela efficace delle esigenze ultralocali per dimensione e complessità», cfr. Caia, Il problema del limite dell'interesse nazionale nel nuovo ordinamento, in Osservatorio sul Federalismo, marzo 2003, all'indirizzo www.federalismi.it.

[15] cfr. Pinelli, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l'ordinamento internazionale e con l'ordinamento comunitario, in Foro it., 2001, 194 ss.; Cavalieri, La nuova autonomia legislativa delle Regioni, in Foro it., 2001, 199 ss.; Caia, Il problema del limite dell'interesse nazionale nel nuovo ordinamento, op. cit., 15 ss.

[16] Su questo particolare aspetto della riforma vedi Falcon, Il nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in Le Regioni, n.1-2001, 3 ss.; D’Atena, Poteri sostitutivi e konkurrierende Gesetzgebung, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, gennaio 2003, reperibile su www.associazionedeicostituzionalisti.it  ma soprattutto l’esauriente saggio di Gianfrancesco, Il potere sostitutivo, in Groppi - Olivetti, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2001.

[17] Art. 127 della Costituzione come riformato dall’art. 8 della legge cost. n. 3 del 2001.

[18] L’art. 9 della legge cost. n. 3 del 2001 ha infatti abrogato il primo comma dell’articolo 125 della Costituzione.

[19] Anche l’art. 130 è stato abrogato dall’art. 9 della legge cost. n. 3 del 2001.

[20] In proposito diffusamente Forlenza, Federalismo: con lo stop al sistema dei controlli. Contenzioso verso il giudice amministrativo, in Guida al Diritto de Il Sole – 24 Ore, n. 48, dicembre 2001, 114.

[21] In proposito cfr. Gianfrancesco, Il potere sostitutivo, op. cit.

[22] Cfr. per esempio cenni in Chiappetti, Un passo indietro sulla via del Regionalismo, in Quad. Cost., 2001, 343 ss. Sulla «difficoltà di metabolizzare – in termini di cultura istituzionale – le enormi novità introdotte nel nostro ordinamento dalla riforma del Titolo V» cfr. D’Atena, Legislazione concorrente. Principi impliciti e delega per la formulazione dei principi fondamentali, in Forum di Quaderni costituzionali, all’indirizzo www2.unife.it/forumcostituzionale.

[23] che d’altronde sono ora più numerose e di ben altra importanza rispetto al passato, per cui non può ipotizzarsi un vuoto normativo in tali ambiti; sul punto per esempio Forlenza, Federalismo: con lo stop al sistema dei controlli. Contenzioso verso il giudice amministrativo, op. cit., 111.

[24] In proposito D’Atena, Quelle due vie d'uscita sul federalismo per superare le incertezze dell'attuazione, op. cit., 13, che però pone il dubbio se possa «seguitarsi a sostenere la piena fungibilità tra principi impliciti e principi espressi»; d'accordo, in principio, anche Forlenza, Federalismo: con lo stop al sistema dei controlli. Contenzioso verso il giudice amministrativo, op. cit., 113, il quale richiama, invece, apertamente la soluzione trovata dal legislatore italiano: come si ricorderà l'articolo 17 della legge 16 marzo 1970 n. 281 aveva eliminato l'obbligatorietà della previa adozione da parte dello Stato di leggi - cornice ratione materiae, fino ad allora indispensabili alla produzione normativa di fonte regionale. Ciò ha consentito alle Regioni in genere di legiferare senza attendere la mediazione della suddetta normazione statale, operando nel solo rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, comunque desunti od enucleati dall'ordinamento, salvo poi, in caso di disaccordo sull'estensione del suddetto limite, demandare alla Corte costituzionale la decisione in ordine all'identificazione in concreto dei principi da ritenere fondamentali a tale riguardo. In Germania, invece, il problema è risolto in modo sostanzialmente differente: nella Costituzione tedesca, infatti, è previsto che i Lander possano legiferare, nelle materie per le quali è prevista la legislazione concorrente, nella sola ipotesi che lo Stato non abbia fatto uso del suo potere di legiferare. In altre parole, il sistema tedesco è concepito per permettere ai Lander di legiferare di fronte all'inerzia dello Stato, mantenendo però l'uniformità di trattamento in presenza di legge statale.

[25] Ad esempio: Corte Costituzionale, sent. 407 del 26 luglio 2002 e, soprattutto, sent. 282 del 26 giugno 2002; in quest’ultima pronuncia la Corte chiarisce che, dall’affermazione di un preciso riparto di competenze fra centro e periferia, dal quale risulti spettante al primo, nei casi di materie concorrenti, solo la determinazione dei soli principi fondamentali, non deve desumersi che «i principi possano trarsi solo da leggi statali nuove, espressamente rivolte a tale scopo. Specie nella fase della transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore»; in tal senso Carli, L'attuazione del Titolo V della Costituzione alla prova dei fatti, in Osservatorio sul Federalismo, gennaio 2003, all'indirizzo www.federalismi.it.

[26] Sempre invocando l’art. 5 Cost., la normativa regionale di dettaglio contrastante è immediatamente abrogata per effetto della sopravvenienza di nuove norme statali che pongono principi fondamentali, come, del resto, espressamente stabilito fin dall’art. 10 della legge 10 gennaio 1953 n. 62

[27] Forlenza, Federalismo: con lo stop al sistema dei controlli. Contenzioso verso il giudice amministrativo, op. cit., 112.

[28] Del Governo, secondo l’articolo 120 novellato della Costituzione.

[29] In proposito Forlenza, Federalismo: con lo stop al sistema dei controlli. Contenzioso verso il giudice amministrativo, op. cit., 111; cfr. anche D’Atena, Quelle due vie d’uscita sul federalismo per superare le incertezze dell’attuazione, in Guida al Diritto de Il Sole – 24 Ore, n. 47, dicembre 2001, 13; prova a dare una soluzione al problema dell’individuazione delle materie Carli, L'attuazione del Titolo V della Costituzione alla prova dei fatti, op. cit.

[30] «… Tale spostamento… sembra da ascrivere, più che ad una decisione politica (per discutibile che possa essere), all’impiego non sorvegliato dei comandi “taglia” e “incolla” del programma di videoscrittura usato», D’Atena, Materie legislative e tipologia delle competenze, op. cit.

[31] già ampiamente modificati dalla prassi costituzionale nonché dal legislatore ordinario.