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Rapporto tra legge finanziaria statale e competenze regionali

(Commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 77/2005)

Leonardo Salvemini

 



La corte costituzionale interviene nuovamente nel difficile rapporto tra la legge finanziaria statale ( disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato) e la riforma del titolo V della costituzione approvata con la LC 3/2001. In particolare la sentenza n. 77 del febbraio 2005 riafferma quale debba essere il rapporto tra legge finanziaria e materie regionali concorrenti o residuali.
Il giudice delle leggi, ha emesso la sentenza n. 77, il 10 febbraio 2005, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 209, 210 e 211, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promosso dalla Regione Emilia-Romagna.
La Corte ha più volte affermato, da ultimo con la sentenza n. 51 del 2005 sui «fondi interprofessionali per la formazione continua, che, dopo la riforma costituzionale del 2001 ed in attesa della sua completa attuazione in tema di autonomia finanziaria delle Regioni, l’art. 119 della Costituzione pone, sin d’ora, al legislatore statale precisi limiti in tema di finanziamenti in materie di competenza legislativa regionale, residuale o concorrente.
Le ragioni a fondamento della tesi della Corte sono sostanzialmente due:
1. la legge statale non può, in tali materie, prevedere nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, che possono divenire strumenti indiretti, ma pervasivi, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza;
2. poiché le funzioni attribuite alle Regioni comprendono la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai soggetti in esse operanti e nella disciplina delle modalità per loro erogazione – il tipo di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost. vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze.
I finanziamenti presi in esame dalla corte e disciplinati dalle norme impugnate, non concernono materie rientranti nella competenza esclusiva dello Stato.
La difesa dello Stato si incentra sulla invocata giurisprudenza della Corte sulla portata della “tutela della concorrenza”, attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione (sentenze n. 14 e n. 272 del 2004).
Questa norma infatti “evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. “
La Corte afferma con coraggio che “l'intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall'ordinamento comunitario fra i quali gli aiuti de minimis, purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio economico generale” (sentenza n. 14 del 2004).
L’esame delle norme impugnate dimostra invece che i finanziamenti in questione non possono rientrare in questo schema: essi sono infatti inidonei “ad incidere sull'equilibrio economico generale”.
Infatti secondo la Corte due sono i requisiti necessari contestualmente:
a. requisito soggettivo dell’”accessibilità a tutti gli operatori”;
b. oggettivo dell’”impatto complessivo”.
Il primo requisito manca per la limitatezza dell’ambito dei soggetti beneficiari, circoscritto alle sole imprese che abbiano effettuato investimenti di un certo tipo nell’anno 2003; il secondo per l’esiguità dei mezzi economici impegnati nel quadro della complessiva manovra disposta con la legge finanziaria del 2004 quali 10 milioni di euro annui per i finanziamenti del primo tipo e 2 milioni di euro annui per quelli del secondo tipo, limitati comunque al triennio 2004-2006.
La manovra pertanto non ha portata macroeconomica, in quanto non incide sull’equilibrio economico generale, ma mira piuttosto ad incentivare, con misure di carattere straordinario e transitorio, non tutto il sistema armatoriale ma taluni investimenti effettuati dalle imprese marittime, per il rinnovo e l’ammodernamento della flotta ai fini di cui all’art. 3 della legge n. 88 del 2001, nonché per la costruzione e la trasformazione delle unità navali di cui all’art. 2 della legge n. 522 del 1999.
Le norme in esame non possono neppure essere ricondotte alla materia della “tutela dell’ambiente”, evocata dall’Avvocatura nel senso che gli interventi in esame sarebbero giustificati anche dalla finalità, richiamata dal comma 2 dell’art. 1 della legge n. 88 del 2001, di promuovere la costruzione di navi cisterna a basso impatto ambientale.
Infatti la “tutela dell’ambiente” è estranea o, comunque, assolutamente marginale rispetto alle specifiche finalità dei finanziamenti in esame, che quindi non possono, sotto tale profilo, essere ricondotti ad una materia di competenza statale.
Ulteriori titoli di competenza statale esclusiva non sono evocati, in quanto l’altra materia cui l’Avvocatura si riferisce è quella delle “grandi reti di trasporto e navigazione”, che l’art. 117, secondo comma, assegna alla competenza legislativa regionale concorrente.
In conclusione, la Corte afferma che le norme impugnate, non essendo riconducibili alle materie attribuite dall’art. 117, secondo comma, della Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ed essendo come tali lesive della sfera di competenza costituzionalmente garantita alle Regioni, le dichiara costituzionalmente illegittime.