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Valorizzazione dei rifiuti provenienti da demolizione selettiva di strutture prefabbricate trattati con impianti mobili

Exploitation of wastes coming from selective demolition of prefabricated structures, treated with mobile plants

 

 

Roberta Vaccaro*, Francesco Colangelo**, Rocco Pandolfo***, Raffaele Cioffi****
 



Summary
In this research work the use of wastes coming from demolition of prefabricated houses of “Bucaletto” district in Potenza as fine aggregate to produce self-levelling mortars has been studied.
It was considered an utilization of those kind of wastes fine fraction, after an appropriate treatment, in self-levelling mortars, since they have as their own property, a need of a larger amount of fine aggregates compared to traditional ones. Moreover it is to underline that construction and demolition wastes fine fraction is the one which contains many impurities, so it is very difficult to recycle it in traditional fields of recycling. To manage this experimentation there were prepared both mortar specimens containing natural aggregates, used at reference, and other ones prepared with recycled aggregates, coming both from traditional and selective demolition. During the research work it was noticed that demolition technics used, considering the same material, deeply influence the recovered material properties and its applications. All the steps of this activity (selective demolition project, demolition, wastes treatments etc…) were conducted observing laws.


Sommario
Nella presente sperimentazione è stato studiato l’impiego dei rifiuti derivanti dalla demolizione di unità abitative del quartiere Bucaletto di Potenza come aggregato fine per il confezionamento di malte autolivellanti. E’ stato ipotizzato un utilizzo della frazione fine dei suddetti rifiuti, opportunamente trattati, nella suddetta tipologia di malta in quanto essa riporta come sua caratteristica peculiare, quella di una necessità di un rilevante quantitativo di aggregati fini rispetto a quelle tradizionali.
Risulta inoltre opportuno sottolineare come la frazione fine dei rifiuti da costruzione e demolizione sia quella che contiene più impurità e che rappresenta, quindi, anche quella più difficile da riutilizzare.
Al fine di effettuare la suddetta sperimentazione sono state preparate miscele contenenti sia aggregati naturali, utilizzate come mix di riferimento, che miscele contenenti aggregati riciclati provenienti da attività di demolizione tradizionale e selettiva.
Dalla sperimentazione effettuata si è rilevato che le tecniche di demolizione utilizzate, a parità di materiale di partenza, influenzano in modo notevole le proprietà del materiale recuperato e le sue possibili applicazioni. Tutte le fasi delle attività svolte (progetto di demolizione selettiva, demolizione, trattamenti dei rifiuti, etc.) sono state svolte nel rispetto della normativa vigente.

1.Introduzione
In Italia si stima che vengano prodotte annualmente circa 20 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione (C&D), anche se fonti non ufficiali parlano di quantità di gran lunga più elevate [1]. All’interno di tale categoria, il quantitativo più ingente di rifiuti è costituito dai detriti da demolizione. Negli ultimi anni, la qualità degli aggregati riciclati è sensibilmente migliorata, grazie a modifiche delle tecnologie di demolizione, dovute essenzialmente all’impiego di impianti fissi di trattamento. Al contrario, l’impiego di impianti mobili, comporta generalmente l’ottenimento di aggregati di qualità molto più scadente [2].
Numerose ricerche sono state condotte fino ad ora in diversi Paesi di tutto il mondo per valutare le possibilità di recupero del calcestruzzo, dei laterizi e di altre frazioni provenienti dalle attività di costruzione e demolizione [3]. Tali indagini hanno dimostrato la possibilità di impiego dei rifiuti da C&D per la preparazione di calcestruzzi strutturali o per altre applicazioni per le quali sono richiesti aggregati con buone proprietà fisico-meccaniche, che i suddetti aggregati hanno generalmente mostrato di avere [4].
Attualmente, in molte regioni del Sud Italia, caratterizzate da una bassa densità di popolazione, l’impiego degli impianti fissi non rappresenta una soluzione economicamente conveniente. Se si aggiunge poi che l’elevato numero di cave ed il basso costo degli aggregati naturali non incoraggiano il recupero dei rifiuti da C&D risulta chiaro come in tale zona i pochi impianti che attualmente operano siano di tipo mobile [5]. Essi sono caratterizzati da una tecnologia particolarmente semplice ma consentono esclusivamente l’ottenimento di rifiuti di bassa qualità, che possono trovare impiego in applicazioni in cui non sono richiesti particolari requisiti, come ad esempio nei riempimenti dei rilevati stradali.

 

 


Fig. 1 – Prefabbricati del quartiere Bucaletto (sx) e particolare di prefabbricato (dx)



L’utilizzo degli aggregati trattati con impianti mobili in applicazioni più nobili di quelle sopra citate è possibile solo se si effettua una accurata operazione di demolizione selettiva. In tale modo, infatti, il materiale non idoneo viene allontanato già durante la fase di demolizione. A tale proposito risulta di notevole importanza sottolineare che mentre gli aggregati grossi riescono ad essere facilmente utilizzati in svariate applicazioni, quelli fini risultano di difficile impiego.
Nella presente ricerca è stata studiata l’opportunità di recupero della frazione fine dei rifiuti da C&D prodotti durante la demolizione di unità abitative site nel quartiere Bucaletto di Potenza. Tali unità abitative, costituite da differenti tipologie di prefabbricati, sono state modificate dai vari inquilini rendendo molto complesse le operazioni di demolizione selettiva.


 


Fig. 2 – Impianto mobile durante la fase di trasporto (sx) ed in azione (dx)


In particolare nel presente lavoro è stato valutato l’impiego di tali rifiuti per il confezionamento di malte autolivellanti che, richiedendo per loro intrinseca natura un contenuto elevato di materiale fine, potrebbero rappresentare un buon recettore di tale tipologia di rifiuti [6].
Si riporta di seguito una descrizione dello studio effettuato, delle modalità secondo le quali è stato svolto ed i principali risultati ottenuti
.



2.Relazione
 

2.1. Riferimenti normativi
I rifiuti provenienti dalle attività edilizie sono individuati quali “rifiuti da costruzione e demolizione” (rifiuti C&D), secondo quanto riportato nel Catalogo Europeo dei Rifiuti successivamente recepito dal D.Lgs. n° 22 del 5 febbraio 1997.
Il quadro normativo nazionale in materia di tali rifiuti è frutto di un travagliato percorso legislativo che ha portato in definitiva all’attuale regolamentazione. L’Italia ha seguito l’evoluzione della legislazione europea in materia di rifiuti (direttiva 75/442/CEE) a partire dal DPR 915/82, il quale prevedeva, tra i principi generali, la promozione (con l’osservanza di criteri di economicità ed efficienza) di sistemi tendenti a riciclare, riutilizzare i rifiuti o recuperare da essi materiali ed energia. Di seguito sono riportati i principali riferimenti normativi rispettati durante tutta la sperimentazione.

2.1.1 Il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22
Con il Decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n° 22, (il cosiddetto "Decreto Ronchi"), la disciplina dei rifiuti cambia regime ed i principi generali che la caratterizzano chiariscono le finalità di protezione dell'ambiente e di responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di vita dei prodotti.
Il Decreto Ronchi, conformemente a quanto previsto dalle Direttive Comunitarie, impone il rispetto e la tutela della salute umana e dell’ambiente nelle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, ovvero vieta l’utilizzo di procedimenti o metodi che potrebbero apportare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la fauna e la flora, che potrebbero causare inconvenienti da rumori o odori o danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse naturalistico .


2.1.2 Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998, “ Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate, ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.
Un impulso considerevole al corretto processo di gestione dei rifiuti proviene dagli articoli 31, 32, 33 del D.Lgs. 22/97, all’interno del quale vengono caratterizzate le procedure semplificate a cui possono essere sottoposte alcune categorie di rifiuti. Innanzitutto, vengono definite le prescrizioni per l’autosmaltimento, ovvero le attività di smaltimento dei rifiuti non pericolosi che possono essere effettuate nel luogo di produzione degli stessi. Tali attività possono intraprendersi trascorsi 90 giorni dalla comunicazione di inizio attività alla Provincia territorialmente competente.
L’articolo 33 del Decreto disciplina le attività di recupero quali quelle edilizie, l’utilizzo come combustibile, il recupero di frazioni organiche, metalliche e di sostanze inorganiche (calcestruzzo, laterocemento…). Le prescrizioni sono finalizzate a separare i rifiuti pericolosi da quelli non pericolosi; per quest’ultimi le norme tecniche prevedono:
- le quantità massime impiegabili;
- la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti riutilizzabili;
- le prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti stessi siano recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente.


2.1.3 Decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36
Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
Una delle novità più importanti del D.Lgs. 36/03 riguarda la classificazione delle discariche nelle seguenti categorie:
- discarica per rifiuti inerti;
- discarica per rifiuti non pericolosi;
- discarica per rifiuti pericolosi.
Il rifiuto viene considerato inerte se non subisce alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non devono dissolversi, né bruciarsi ed in caso di contatto con altre materie non devono dar luogo alla formazione di composti nocivi in grado di provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a percolati e la percentuale inquinante globale dei rifiuti, nonché l’ecotossicità dei percolati, devono essere trascurabili e non danneggiare la qualità delle acque superficiali e sotterranee.
Il D.Lgs. 36/03 determina che nelle discariche per rifiuti inerti vengano inviati quei rifiuti che la precedente normativa indirizzava nelle discariche di II categoria, di tipo A; nelle discariche per rifiuti non pericolosi, i rifiuti precedentemente avviati alle discariche di I e II categoria, di tipo B ed, infine, nelle discariche per rifiuti pericolosi, i rifiuti che erano destinati alle discariche di II categoria, di tipo C e III categoria. Il decreto, inoltre, caratterizza il significato di discarica, sinora sconosciuto all’ordinamento italiano ed affidato, quindi, all’elaborazione della dottrina e, soprattutto, della giurisprudenza. È l’art.3 a definire, oggi, la discarica come l’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.

2.1.4 Recenti sviluppi in materia di gestione dei rifiuti da C&D
Le leggi in materia di smaltimento, recupero e riciclaggio dei rifiuti da C&D subiscono una svolta sostanziale per effetto dell’introduzione di alcune novità contenute nella Legge 8 agosto 2002, n. 178; all’articolo 14 della stessa, infatti, viene interpretata la definizione di "rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Questa legge è stata oggetto di una prima sentenza della Corte di Cassazione del 2 ottobre 2003 in materia di riutilizzo dei rifiuti da C&D senza alcun trattamento preliminare. L’elemento di novità non è costituito dalla restrizione del concetto di rifiuto, ma dalla eliminazione degli elementi di incertezza derivanti da un eccesso di dilatazione della nozione medesima. La norma mira a favorire il riutilizzo, nel senso di escludere il concetto di rifiuto, allorché il soggetto economico interessato abbia deciso di non disfarsi di beni, sostanze e materiali di produzione e di consumo aventi ancora una valenza economica. La norma precisa le due condizioni per escludere la nozione di rifiuto (l’utilizzo effettivo ed oggettivo del “bene”, con o senza trattamento preventivo, e la salvaguardia del bene “ambiente”). Tale sentenza ha influenzato significativamente la gestione dei rifiuti da C&D.



2.2. Materiali utilizzati e confezionamento delle malte autolivellanti

Nella presente sperimentazione sono state confezionate malte autolivellanti impiegando un cemento Portland al calcare tipo II/A-LL 42,5 R. Sono state utilizzate quattro diverse tipologie di aggregato: un aggregato naturale N costituito da sabbia calcarea e tre aggregati artificiali. Questi ultimi, provenienti dal medesimo impianto di trattamento, sono stati ottenuti sia da operazioni di demolizione selettiva che tradizionale. Dai rifiuti provenienti dalle demolizione selettiva sono state ottenute due tipologie di aggregato, una costituita da calcestruzzo (C) e l’altra da laterizi (L), mentre dalla demolizione convenzionale è stato ricavato l’aggregato misto M.
Al fine di assicurare un valore costante della lavorabilità per tutte le miscele si è reso necessario l’impiego di differenti quantitativi di un additivo superfluidificante di tipo acrilico (SA), mentre per aumentare la stabilità dell’impasto si è utilizzato un additivo modificatore di viscosità (AMV). Durante le operazioni di demolizione selettiva il materiale è stato stoccato, all’interno del cantiere, in tre zone, una contenente solo laterizio, una solo calcestruzzo demolito ed un’altra contenente materiale disomogeneo. Una analoga unità abitativa è stata invece demolita in modo tradizionale e le macerie ottenute sono state trattate senza preventiva selezione.
Da un’analisi merceologica è stato osservato che i rifiuti provenienti dal sito di Bucaletto sono costituiti per la maggior parte da calcestruzzo. Ciò è dovuto alla particolare tipologia edilizia del quartiere, il quale, nato dopo l’evento sismico del 1980, è costituito in gran parte da prefabbricati realizzati in calcestruzzo armato.


2.3.Proporzionamento delle miscele

Nella sperimentazione in oggetto sono state confezionate 12 miscele utilizzando aggregati riciclati ed una miscela contenente esclusivamente aggregati naturali calcarei, usata come riferimento. I tre aggregati artificiali C, L e M sono stati impiegati sia in totale sostituzione dell’aggregato naturale N che in parziale sostituzione del medesimo, in percentuali del 30%, 50%, 70% e 100%. Le miscele sono descritte da un codice composto da una lettera che rappresenta il tipo di aggregato artificiale impiegato (C per l’aggregato a base di calcestruzzo, L per l’aggregato a base di laterizio ed M per quello misto) seguita da un numero proporzionale alla percentuale di sostituzione dell’aggregato naturale con quello artificiale. Per fare un esempio, la miscela L7 contiene il 70% di aggregato a base di laterizio. Per tutte le miscele si è utilizzato lo stesso quantitativo di cemento. In Tabella 1 si riporta la composizione delle miscele sopra descritte.


 

MIX QUANTITA DEI COMPONENTI, g
  N L C M SA AMV
R10 1350       10 0.3
M3 945     405 10 0.3
M5 675     675 10.5 0.3
M7 405     945 11 0.3
M10       1350 13 0.3
L3 945 405     9.5 0.3
L5 675 675     15  
L7 405 945     18  
L10   1350     20  
C3 945   405   9.5 0.3
C5 675   675   10.5 0.3
C7 405   945   12 0.3
C10 1350 14 0.3



Tab. 1- Composizione delle miscele




2.3 Prove di laboratorio

Le malte sono state preparate in un mescolatore da laboratorio dalla capacità di 5 lt. Sono state effettuate sulle miscele allo stato fresco delle prove di spandimento (slump test) al fine di verificare la rispondenza dei valori ottenuti con quelli richiesti per le malte autolivellanti. La prova di slump misura lo spandimento della malta, contenuta nel cono dello slump, dopo il sollevamento di quest’ ultimo; per una miscela autocompattante è richiesto uno spandimento minimo di 250 mm.
Le proprietà meccaniche sono state valutate su campioni di malta stagionati in acqua rispettivamente a 2, 7 e 28 giorni [7]. Sono state effettuate, inoltre, prove di resistenza a compressione e flessione ed è stato misurato il modulo elastico, l’ assorbimento di acqua per capillarità ed è stata effettuata la porosimetria ad intrusione di mercurio .


2. Risultati e discussione
2.1 Proprietà reologiche delle malte

Per tutte le miscele realizzate con aggregati artificiali (C, L e M), aumentando la quantità di rifiuto si è rilevato un aumento della richiesta di acqua; è stato di conseguenza necessario aumentare il quantitativo di acqua per avere un valore di lavorabilità constante. Tale fenomeno è di particolare rilievo per la miscela L100 per la quale è stato necessario (Tab. 1) un utilizzo doppio di superfluidificante rispetto alla miscela di riferimento (N100). Si ritiene che ciò possa essere dovuto sia alle dimensioni medie più piccole dell’ aggregato a base di laterizio rispetto a quello tradizionale, che al maggior valore dell’assorbimento di acqua di tale tipologia di aggregato.
La maggiore richiesta di acqua degli aggregati da C&D può rappresentare un problema per un corretto mix-design ed un utilizzo in cantiere.
Per quanto concerne la prova di slump, tutte la miscele sono risultate in accordo con il limite minimo imposto, senza inoltre presentare alcun fenomeno di segregazione. In particolare, per tutti gli impasti si è mantenuto un valore di spandimento di 260 mm, mediante una variazione del quantitativo di superfluidificante



2.2 Resistenza a compressione

Si riportano in Figura 3 i valori della resistenza meccanica a compressione per una stagionatura di 28 giorni.
 

Fig. 3 – Misura della resistenza a compressione dopo 28 giorni di stagionatura



Per le miscele C è possibile notare un leggero incremento di resistenza rispetto alla miscele N10 di riferimento; le miscele L mostrano un incremento della resistenza meccanica rispetto alle rispettive miscele di tipo C. Ciò, molto probabilmente, è dovuto al comportamento pozzolanico della frazione fine dell’aggregato tipo L. Le miscele M mostrano il calo di resistenza maggiore nei confronti del riferimento.

3.Conclusioni

Nel presente lavoro è stato sperimentato con successo l’impiego della frazione fine dei rifiuti da C&D, dopo opportuno trattamento, in sostituzione degli aggregati fini naturali per il confezionamento di malte autolivellanti. Sono stati testati i rifiuti ottenuti sia da operazioni di demolizione selettiva (laterizi e calcestruzzi) che da quelli derivanti da trattamenti di demolizione tradizionali (rifiuti misti). E’ stato valutato quanto la tipologia di demolizione influenzi le effettive potenzialità di recupero dei materiali ottenuti. Per le diverse tipologie di rifiuto ottenute è stato poi studiato il rapporto di sostituzione ottimale degli aggregati naturali. In particolare, per le miscele contenenti aggregati di laterizio in parziale o totale sostituzione degli aggregati naturali si è osservato che, anche sostituendo il 100% di aggregato naturale calcareo, non si hanno diminuzioni delle resistenze meccaniche ma al contrario un miglioramento delle stesse. L’unico inconveniente rilevato per tale tipologia di malta è che per il confezionamento di tali miscele si è stato necessario utilizzare un quantitativo elevato di additivo superfluidificante.
Per le miscele tipo C con gradi di sostituzione superiori al 50% è stato invece dimostrato un sensibile calo delle prestazioni. Infine, per le miscele a base di aggregati misti tipo M il calo di resistenza è stato evidenziato per tutte le stagionature ed è risultato massimo per la miscela a base di soli aggregati da demolizione. Dalle presente sperimentazione si evince che l’uso di tecniche di demolizione selettiva permette di utilizzare con successo gli impianti di trattamento mobili per produzione di aggregati riciclati di qualità.




Bibliografia

[1] ANPA-ONR Rapporto Rifiuti 1999.
[2] F. Colangelo, M. Marroccoli, R. Cioffi. “Linee guida: La corretta gestione dei rifiuti da Costruzione e Demolizione”.
[3] Amnon Katz. “Properties of concrete made with recycled aggregate from partially hydrated old concrete”. Cement and Concrete Research, 33, 703-711(2003).
[4] V. Corinaldesi, M. Giuggiolini, G. Moriconi. “Use of rubble from building demolition in mortars”. Waste Management, 22, 893-899 (2002).
[5] F. Colangelo, M. Marroccoli, R. Cioffi “Il ruolo della demolizione selettiva sulla valorizzazione dei rifiuti da C&D” Seminari Scientifici Ecomondo, Maggioli Editore, 2004..
[6] F. Colangelo, M. Marroccoli, R. Cioffi “Properties of self-levelling concrete made with industrial waste” International RILEM Conference on the Use of Recycled Materials in Building and Structures, Barcelona, Spain 2004..
[7] UNI EN 196-1 “Methods of testing cement – Determination of strength”.

 

 

* Referring: rpandolfo@unibas.it.
** Dipartimento di Ingegneria e Fisica dell’Ambiente - Università degli Studi della Basilicata – Potenza.
*** Italrecuperi s.n.c. – Pozzuoli (Na).
**** Dipartimento per le Tecnologie - Università degli Studi di Napoli “Parthenope”.