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OPPOSIZIONE DI TERZO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

 

 

L’opposizione di terzo nel giudizio di ottemperanza.

 

 

di Annalisa Pantaleo

 

 

Dato che il rimedio dell’opposizione è proponibile nei confronti di qualsiasi misura giurisdizionale che possa provocare al terzo un pregiudizio, il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 560 del 1995[[1]], ha ritenuto che tale mezzo di impugnazione possa essere esperito anche nei confronti di una decisione pronunciata in sede di giudizio di ottemperanza del giudicato.

 

In sede di ottemperanza, infatti, il giudice si sostituisce all’amministrazione nella regolamentazione del rapporto controverso e può, nell’adottare la sua pronuncia, incidere sulla posizione di vantaggio di coloro che sono rimasti estranei al giudizio; diventa, perciò, inevitabile garantire il rimedio dell’opposizione anche nei confronti di siffatta pronuncia[[2]].

In generale, infatti, quando il terzo propone l’azione di cui al primo comma dell’art. 404[[3]] c.p.c., lamenta l’ingiustizia di una decisione che ha giudicato fra le parti, senza la sua presenza e nonostante  il fatto che nel giudizio fosse implicata una posizione sostanziale. Si duole, in altri termini, di non aver potuto contribuire alla determinazione della “regola del caso concreto” formata in quel giudizio. Ciò è esattamente quel che lamenta il terzo che, nel giudizio amministrativo, fa opposizione alla pronuncia emessa in sede di ottemperanza.

 

Nella sentenza su citata, l’opponente promuove un’azione da lui denominata “incidente di esecuzione” ma che dichiaratamente si riconduce all’opposizione di terzo agli atti esecutivi di cui all’art. 619[[4]] c.p.c.

Al riguardo il Consiglio di Stato precisa che “il giudizio di ottemperanza vede prevalere la sua natura cognitoria, per cui l’azione proposta, il c.d. incidente, deve essere intesa semmai come opposizione di terzo ordinaria”, salvo ad ammettere che essa si riveste anche di taluni aspetti dell’opposizione di terzo agli atti esecutivi[[5]].

 

Il Consiglio di Stato, con tale sentenza, oltre a pronunciarsi sull’ammissibilità dell’opposizione di terzo nel giudizio di ottemperanza, ha posto in dottrina il problema della qualificazione giuridica dello stesso giudizio[[6]].

 

Secondo una parte della dottrina il giudizio di ottemperanza ha natura esecutiva e non di cognizione, per cui l’opposizione di terzo in tale processo è comunque ammessa ma essa deve essere accostata all’opposizione di terzo agli atti esecutivi di cui all’art. 619 c.p.c. e non al rimedio di cui all’art. 404, primo comma, c.p.c.[[7]].

 

Altra parte della dottrina distingue tra giudizio di ottemperanza avente natura esecutiva e giudizio di ottemperanza avente natura di cognizione[[8]]. 

Se in sede di ottemperanza il giudice è chiamato semplicemente a garantire l’effettiva esecuzione di sentenze aventi un contenuto talmente puntuale da non richiedere ulteriori specificazioni (in tal caso non essendoci cognizione non vi è un giudizio vero e proprio a cui il terzo possa dolersi di non aver partecipato) il problema dell’ammissibilità di una opposizione di terzo rivolta contro la pronuncia di ottemperanza non si pone. In questo caso, è solo se il terzo non ha partecipato al precedente processo che il pregiudizio trova la sua fonte direttamente nella sentenza passata in giudicato ed è contro di essa che dovrà essere rivolta l’opposizione.

 

L’opposizione esperita avverso una decisione di ottemperanza in tanto può avere senso, in quanto è proprio quella pronuncia che arreca il pregiudizio al terzo. Ciò accade solo quando il giudizio di ottemperanza ha effettivamente assunto connotati cognitori, vale a dire quando il giudice non si è trovato di fronte ad una “normativa per il caso concreto” e cioè, preconfezionata, a cui adeguare la realtà fattuale, ma è stato chiamato per determinare se la Pubblica Amministrazione si sia realmente conformata al giudicato o per individuare le modalità di conformazione, per meglio precisare la portata effettiva delle statuizioni ordinarie che sono contenute nella sentenza che si sta attuando, e dunque contribuire egli stesso alla formazione della regola del caso concreto[[9]].

L’ipotesi principale in cui può essere proposta l’opposizione ad una decisione emessa nella fase di ottemperanza si verifica, dunque, quando il giudice, nell’esplicitare la portata del giudicato abbia dato ad esso un’interpretazione che il soggetto rimasto estraneo al processo di ottemperanza ritenga errata e da cui può risultare pregiudicato in considerazione della futura conformazione della Pubblica Amministrazione o di un intervento sostitutivo del giudice. Altra ipotesi potrebbe verificarsi quando il giudice abbia dichiarato nulli o annullabili atti amministrativi favorevoli al terzo, ritenendoli in contrasto con il giudicato sulla base di un’interpretazione di questo dallo stesso terzo considerata erronea.

 

Non mi sembra che ci siano ragioni plausibili per discostarsi dalla posizione della dottrina che distingue  tra giudizio di ottemperanza avente natura esecutiva e giudizio di ottemperanza avente natura di cognizione.

 

In effetti, se il giudizio di ottemperanza è meramente esecutivo, l’opposizione non ha motivo di essere ammessa poiché la sentenza pronunciata in tale giudizio non potrà arrecare pregiudizio al terzo in quanto confermativa della precedente e ciò, a mio avviso, dovrebbe valere anche se non ci sia stata l’integrazione del contraddittorio poiché, appunto, in nessun caso il terzo potrebbe subire un pregiudizio per il fatto di non aver partecipato al giudizio di ottemperanza meramente esecutivo[[10]]. Se, invece, la sentenza arreca un pregiudizio al terzo l’opposizione dovrà essere esperita contro la sentenza emessa nel precedente giudizio al quale il terzo sia rimasto estraneo.

Nel caso di giudizio di ottemperanza avente natura cognitoria, che si ha quando il giudice precisa le statuizioni contenute nella sentenza che si sta attuando, è contro la sentenza emessa dal giudice di ottemperanza che deve essere esperita l’opposizione di terzo qualora quest’ultimo non abbia partecipato al giudizio di ottemperanza e a causa di ciò sia derivato il pregiudizio.

 

 

  

                                                                                            Dott.ssa   Annalisa Pantaleo


 


[[1]]Cons. St., sez. IV, 12 luglio 1995, n. 560, in Cons. St.,1995, I ,1028.

[[2]]CASETTA E., Manuale di diritto amministrativo, 2000, 837. Il giudizio di ottemperanza costituisce l’ipotesi più importante di giurisdizione di merito: il giudice può infatti sostituirsi all’Amministrazione nell’esercizio dei poteri amministrativi. I presupposti del giudizio sono:1) la sussistenza di una sentenza passata in giudicato- la legge 205/2000 ne ha esteso l’applicabilità anche alla esecuzione delle sentenze di primo grado non sospese dal Consiglio di Stato e delle ordinanze cautelari- e 2) l’inadempimento della pronuncia.

[[3]]L’art. 404, I comma, cod. proc. civ., stabilisce che: “Un terzo può fare opposizione contro una sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti”.

[[4]]L’art. 619, I comma, c.p.c. stabilisce che. “Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni”.

[[5]]Cons. St., sez. IV, 12 luglio 1995, n. 560, loc., cit.

[[6]]Cons. St., sez. IV, 12 luglio 1995, n. 560, cit., 129. Il Consiglio di Stato, in considerazione del delicato tema della natura del giudizio di ottemperanza, ha ritenuto di dover precisare che “quand’anche si volesse intendere il giudizio di ottemperanza come semplice azione esecutiva, non potrebbe mancare l’opposizione di terzo pur nella predetta fase, sia per il fortissimo dubbio di costituzionalità che in caso contrario ne deriverebbe, sia perché la giurisprudenza, proprio in rapporto alla tutela del terzo pregiudicato dalla pronuncia conclusiva del giudizio, ha ammesso l’ opposizione di terzo anche in carenza di un’ esplicita previsione e disciplina in caso di giudizi diversi da quelli regolati dal codice di rito civile”.

[[7]]NIGRO P., Giustizia amministrativa, 1994, 317. PIGA A., L’ ottemperanza: giudizio di cognizione o di esecuzione?, in Atti Varenna, 1988, 137.

[[8]]BASILICA F., AMATO S.L., Osservazioni sull’ammissibilità dell’opposizione di terzo nel giudizio di ottemperanza, in Rass. Avv. St., 1995, 425.

[[9]]BASILICA F., AMATO S.L., op. cit., 426.

[[10]]Bisogna rilevare, però, che ultimamente la giurisprudenza ha riconosciuto la necessità del rispetto del principio del contraddittorio anche nel giudizio di ottemperanza mediante la notificazione del ricorso all’amministrazione intimata e al soggetto che originariamente rivestiva la qualità di controinteressato (Cons. St., sez. V, n. 178/1999 e n. 938/2000). In questo modo l’amministrazione risulta, prima, destinataria dell’atto di messa in mora, poi, della notificazione del ricorso e, infine, della comunicazione dell’avvenuto deposito del ricorso da parte della segreteria del giudice amministrativo.