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OPPOSIZIONE DI TERZO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

 

L’introduzione dell’opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo e i suoi riflessi sull’onere di impugnare gli atti sopravvenuti da parte del ricorrente.

di Annalisa Pantaleo

 

 

Con l’introduzione dell’opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo, che segna una tappa fondamentale in ordine al riconoscimento del principio del contraddittorio, si pone la questione se, durante la pendenza del processo instaurato avverso un atto presupposto, il ricorrente abbia o meno l’onere di impugnare gli atti successivi esenti da vizi di legittimità propri.

 

Configurare l’onere di impugnare gli atti procedimentali sopravvenuti implica ovviamente l’esigenza di garantire che il processo non si svolga all’insaputa di taluni contraddittori e, cioè, senza la necessaria garanzia del contraddittorio pieno e integrale.

Non configurare alcun onere di impugnazione degli atti sopravvenuti implica, invece, far proseguire il giudizio originario fra le parti evocate al momento della sua instaurazione e, quindi, comporta la mancata osservanza del principio del contraddittorio[1].

 

Premesso ciò, bisogna soffermarsi sia sulle posizioni della giurisprudenza sia su quelle della dottrina.

 

Per quanto riguarda la giurisprudenza, per alcuni atti sopravvenuti essa addossa sul ricorrente, che ha impugnato l’atto presupposto, l’onere della loro tempestiva e rituale impugnazione. In caso di osservanza di tale onere il giudizio riguardante l’atto presupposto verrà definito con una declaratoria di estinzione per sopravvenuta carenza di interesse[2]. Solo in caso di osservanza di tale onere il giudizio riguardante l’atto presupposto potrà giungere, ove naturalmente non ostino altri motivi, ad una decisione nel merito. Per altri atti sopravvenuti la giurisprudenza esonera, invece, il ricorrente dall’onere di impugnare gli stessi, ritenendo sufficiente l’impugnazione tempestiva dell’atto presupposto. Il giudizio potrà per tanto, sempre che non vi ostino altri motivi, pervenire ad una pronuncia nel merito[3].

 

Il criterio cui la giurisprudenza ricorre per stabilire se addossare o meno sul ricorrente l’onere di impugnazione risale ad una nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria del 1970[4].

 

Tale sentenza ha sancito il principio del travolgimento automatico degli atti successivi nei “casi in cui l’atto impugnato costituisca presupposto unico dell’atto conseguenziale” poiché “l’atto successivo, al venir meno dell’atto presupposto, rimarrebbe privo di oggetto”.

Per gli altri casi, invece, quelli in cui “l’atto conseguenziale presenta un nesso meno intimo con l’atto presupposto”, il Consiglio di Stato ha ritenuto che per decidere, rispettivamente, dell’insussistenza o della sussistenza dell’onere di impugnazione, dovesse valutarsi “l’estraneità” o meno dell’atto successivo rispetto all’interesse al suo annullamento da parte del ricorrente, “estraneità” da accertare “alla stregua dei comuni principi”[5].

 

Quanto alla dottrina, una parte di essa ritiene che dal venir meno dell’atto presupposto conseguirebbe l’obbligo della Pubblica Amministrazione di annullare d’ufficio gli atti sopravvenuti senza che questi debbano perciò essere tempestivamente impugnati[6]. Secondo altra parte della dottrina il principio del travolgimento automatico degli atti consequenziali opererebbe quando l’atto presupposto annullato è un «atto costitutivo di rapporti giuridici» o quando è un «provvedimento che si riferisce ad un posto o ad un bene, in relazione al quale la titolarità del relativo rapporto non può essere attribuita simultaneamente a due diversi titolari»[7].

In dottrina, pur essendoci una pluralità di opinioni, sembra, però, prevalere la tesi secondo cui con l’introduzione dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo non sussiste per il ricorrente l’onere di impugnare gli atti sopravvenuti all’atto presupposto, sostanzialmente per due ragioni[8].

In primo luogo, il terzo è ora tutelato dai diversi strumenti processuali previsti dall’ordinamento giuridico; i controinteressati possono esperire, oltre all’opposizione di terzo, anche l’intervento in appello di cui all’art. 344 [9] c.p.c. e possono anche beneficiare dell’intervento in giudizio su ordine del giudice ex art. 107 [10] c.p.c.

In secondo luogo, il ricorrente non ha l’onere di impugnare gli atti sopravvenuti perché altrimenti si potrebbe configurare un contrasto con gli artt. 3[11], comma primo, e 24[12] Cost., nella misura in cui tali disposizioni si fondano sul principio costituzionale della pariordinazione tra le parti nel processo amministrativo[13] .

Infatti, il ricorrente, ove gravato dell’onere di inseguire gli atti sopravvenuti, verrebbe ad assumere una posizione deteriore rispetto a quella dei terzi collegati con gli atti sopravvenuti: egli, se non osserva l’onere predetto, vedrebbe definito il giudizio da lui instaurato contro l’atto presupposto con una sentenza di rito che ne dichiara l’estinzione, quando è certo, però, che quei terzi dispongono ormai di determinati strumenti processuali ed, in particolare, dell’opposizione di terzo[14].

 

Bisogna, però, precisare che escludere l’onere di impugnare gli atti sopravvenuti, a carico del ricorrente avverso l’atto presupposto, non significa che questi non mantenga la facoltà di impugnare quegli atti: spetterà a ciascun ricorrente decidere se sia più conveniente integrare subito il contraddittorio (mediante l’impugnazione degli atti sopravvenuti) o, a limite, correre il rischio di una opposizione di terzo ordinaria ad iniziativa di qualche soggetto che, rimasto estraneo al giudizio, poggi la sua posizione di vantaggio su quegli atti sopravvenuti non tempestivamente impugnati[15].

 

La posizione della recente dottrina che ritiene che con l’introduzione dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo sia venuto meno l’onere del ricorrente di impugnare gli atti presupposti mi lascia perplessa.

 

Non mi convince la prima motivazione addotta a sostegno di tale tesi, quella secondo cui l’onere di impugnare gli atti presupposti è venuto meno perché il terzo è ora garantito, oltre che dalla possibilità di esperire l’opposizione, anche dalla possibilità di esperire altri mezzi processuali.

Come si sa, infatti, l’opposizione di terzo è una valvola di chiusura, è una extrema ratio che deve essere esperita solo ed esclusivamente nel caso in cui la primaria tutela del terzo, e cioè la garanzia del contraddittorio, sia fallita; non deve costituire, invece, il mezzo tipico di integrazione del contraddittorio, e, quindi, di tutela del terzo.

Una cosa è partecipare al giudizio con argomentazioni, allegazioni, eccezioni, repliche, contribuendo alla formazione della sentenza, altra cosa è attaccare una decisione emessa e convincere il giudice che le proprie pretese, le proprie ragioni impongono il capovolgimento della precedente decisione.

Inoltre, un rimedio che consente una tardiva integrazione del contraddittorio, consentendo la riapertura di processi già chiusi, comporta un eccessivo dispendio in termini di certezza e di tempo.

 

Mi convince di più la seconda motivazione, quella secondo cui l’onere di impugnare gli atti presupposti è venuto meno perché altrimenti la posizione del ricorrente sarebbe troppo gravosa e, quindi, deteriore rispetto a quella dei terzi collegati con atti sopravvenuti, con la conseguente violazione del principio costituzionale della pari ordinazione delle parti nel processo.

Il costo, infatti, che si fa ricadere sul ricorrente, addossandogli l’onere di impugnare gli atti presupposti, si manifesta eccessivo, dato che l’inosservanza comporta la sanzione dell’estinzione del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse, e perciò iniquo, una volta che i terzi collegati agli atti sopravvenuti, adesso sono tutelati con strumenti processuali adeguati, tra cui appunto l’opposizione[16].

  

 

                                                                                            Dott.ssa   Annalisa Pantaleo



[1] SPAMPINATO B., L’introduzione dell’opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo ed i suoi possibili riflessi sull’onere di impugnare gli atti sopravvenuti a carico del ricorrente avverso l’atto presupposto, in scritti in onore di Antonio Pavone La Rosa, 1999, 2057.

[2] Cons. St., sez. V, 30 marzo 1994, n. 212, in Cons. St., 1994, I, 393 e seg.; T.A.R. Campania, 18 marzo 1995, n. 241, in T.A.R. , 1995, I, 2502 e seg.; Cons. St., sez. V, 3 febbraio 1999, n. 116, in Cons. St., 1999, I, 207 e seg.

[3] Cons. St., sez. IV, 26 aprile 1990, n. 314, in Riv. Giur. Edil.,1990, I, 520 e seg.; Cons. St., sez. V, 3 maggio 1991, n. 726, Riv. Amm. Rep. It., 1991, 314; Cons. St., sez. V, 26 maggio 1998, n. 696, in Cons. St., I, 899 e seg.

[4] Cons. St., Ad. Plen., 27 ottobre 1970, n. 4, in Cons. St., 1970, I, 1543 seg.

[5] Cons. St., Ad. Plen., 27 ottobre 1970, n. 4, cit.

[6] SANDULLI A. M., Il problema dell’esecuzione delle pronunce del giudice amministrativo, in SANDULLI A. M., Scritti giuridici, 1990, 647. L’A. rileva che «…l’estenzione degli effetti caducatori e ripristinatori a siffatti atti conseguenziali non potrà essere prodotta se non da ulteriori interventi dell’Amministrazione e, occorrendo del giudice dell’ottemperanza, senza che per altro a tal fine occorrano altre impugnative».

[7] VIRGA P., Caducazione dell’atto per effetto travolgente dell’annullamento giurisdizionale, in Studi in memoria di Guicciardi E., 1975, 687.

[8] SPAMPINATO B., op. cit., 2067.

 [9] L’art. 344 c.p.c. stabilisce che: “Nel giudizio d’appello è ammesso soltanto l’intervento dei terzi, che potrebbero proporre opposizione a norma dell’articolo 404”.

[10] L’art. 107 c.p.c. stabilisce che: “Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento”.

[11]  L’art. 3, I comma, Cost. stabilisce che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

[12]  L’art. 24 Cost. stabilisce che: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.

[13]  SPAMPINATO B., op. cit., 2080 e seg.

[14]  Il litisconsorte necessario pretermesso può limitarsi a denunciare che la sentenza si sia formata senza l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti (pregiudizio in re ipsa) come vizio al fine di ottenere l’annullamento della pronuncia impugnata e il riesame della domanda alla stregua della propria attività difensiva. Invece, i terzi che non possono essere considerati litisconsorti necessari pretermessi…, non potendo denunciare la loro mancata partecipazione al giudizio in quanto non necessaria, hanno l’onere, per eliminare il provvedimento giurisdizionale, di denunciare espressamente l’ingiustizia intrinseca della sentenza (e non la semplice invalidità).Così Cons. St., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655, in Foro It., 1997, III, 21.

[15]  Ovviamente permarrà l’onere di impugnazione per far valere vizi di legittimità propri degli atti sopravvenuti. Così Cons. St., sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 1318, in Cons. St., 1998, I, 1533 ss.

[16]SPAMPINATO B., op. cit., 2084.