Legislazione
giurisprudenza
OPPOSIZIONE DI TERZO NEL PROCESSO
AMMINISTRATIVO
Il rimedio
dell’opposizione di terzo è ammesso nei confronti di qualsiasi misura
giurisdizionale che produce, in seguito all’esecuzione, un “pregiudizio” alla
situazione giuridica del terzo.
Più precisamente, la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 177 del 1995[1], ha
stabilito che l’opposizione di terzo può essere esperita sia contro le sentenze
del Consiglio di Stato (soggette solo al ricorso per cassazione per ragioni di
giurisdizione) sia nei confronti delle sentenze dei T.A.R. passate in giudicato
(perché non appellate).
Nei confronti delle sentenze dei T.A.R.
non passate in giudicato ma comunque esecutive a norma dell’art. 33[2],
primo comma della legge T.A.R., la Corte non ha
previsto il rimedio dell’opposizione di terzo, sulla base del fatto che il
terzo è protetto dalla possibilità di proporre l’appello contro la sentenza per
lui pregiudizievole[3].
Tale ultimo rimedio non è stato
riconosciuto all’unanimità dalla giurisprudenza amministrativa.
Infatti, prima della pronuncia della
Corte una parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto la
legittimazione all’appello solo ai terzi controinteressati
nominati o facilmente desumibili dal provvedimento, negandola ai controinteressati sostanziali non evidenti e ai controinteressati sopraggiunti: “legittimati a proporre l’appello… sono soltanto… le parti necessarie del
giudizio di primo grado… e cioè i soggetti tra i quali deve intercorrere il
rapporto processuale in relazione alla controversia dedotta in lite… un
soggetto che non sia stato parte nel giudizio di primo grado e che non possa
considerarsi contraddittore necessario in tale giudizio, non è legittimato ad
appellare”[4].
La giurisprudenza più recente del
Consiglio di Stato[5] ha riconosciuto, invece,
che l’appello può essere proposto anche da quei soggetti che, pur non essendo
stati parti del giudizio di primo grado (per non essere stati convenuti né
intervenuti ad opponendum),
vengano a subire un pregiudizio dalla sentenza impugnata
[6]
.
Del resto la Corte costituzionale non
ha fatto altro che acquisire come dato di fatto, meritevole di avallo,
l’orientamento della giurisprudenza amministrativa più recente che “dimostra… propensione…a riconoscere la
legittimazione di soggetti che non abbiano partecipato al giudizio di primo
grado ad appellare la sentenza emessa a conclusione di quest’ultimo giudizio”[7].
Per cui ritenendo che il terzo, rimasto
estraneo al giudizio di primo grado, è comunque protetto dalla possibilità di
proporre l’appello, la Corte, non ha previsto il rimedio dell’opposizione nei
confronti delle sentenze dei T.A.R. non passate in giudicato.
Dopo la pronuncia della Corte al terzo
pregiudicato dalla sentenza di primo grado non è rimasto altro che operare una
duplice scelta: attendere il passaggio in giudicato della sentenza di primo
grado per poter proporre l’opposizione di terzo davanti al medesimo giudice che
ha pronunciato la sentenza oppure continuare ad avvalersi del potere di
appellare la sentenza, manifestando solo in tale occasione e per la prima volta
la propria qualità di parte sostanziale del giudizio[8].
E’ solo con la sentenza del Consiglio
di Giustizia Amministrativa Regione Siciliana del 13 giugno 1996, n. 196
[9]
che la tutela del terzo riceve un ulteriore riconoscimento formale grazie alla
previsione dell’esperibilità dell’opposizione di
terzo nei confronti delle sentenze dei T.A.R. non passate in giudicato, in
quanto esse, ai sensi dell’art. 33 della legge T.A.R.,
sono esecutive e come tali idonee a pregiudicare la posizione soggettiva del
terzo.
Ciò appare chiaro, se si considera che
la ratio del rimedio dell’opposizione
è quella di evitare il pregiudizio della situazione giuridica del terzo e che
questo danno può scaturire anche da una sentenza meramente esecutiva. Il
pregiudizio o il pericolo di pregiudizio della situazione giuridica del terzo
non è, infatti, legato alla definitività del dictum giudiziale
ma alla mera vincolatività dello stesso.
Per quanto riguarda, invece, le
sentenze emesse dal giudice dell’opposizione, l’art. 408, stabilisce che: “il giudice può dichiarare inammissibile o
improcedibile il ricorso del terzo opponente oppure può rigettarlo per
infondatezza di motivi”.
Il giudice rigetta il ricorso per
inammissibilità dell’opposizione a causa dei vizi formali ed extra formali che
riguardano l’atto introduttivo del giudizio di impugnazione. Tali vizi
consistono nella mancanza della capacità processuale o della legittimazione del
ricorrente, nella mancata notifica del ricorso all’amministrazione e/o ai controinteressati, nella non impugnabilità della sentenza,
nella mancata indicazione della sentenza
impugnata[10].
Il giudice, invece, rigetta il ricorso
per improcedibilità dell’opposizione nel caso di inattività dell’ opponente
nella fase introduttiva dell’impugnazione. Secondo questa impostazione, se le
attività vengono compiute “il confine
della procedibilità è superato una volta per tutte, definitivamente, e si
aprirà davanti alle parti e al giudice la normale trattazione del giudizio
secondo le sue proprie regole tecniche”, altrimenti “quel confine non viene superato e il giudizio si concluderà appunto
con la dichiarazione di improcedibilità”[11].
Tale definizione, presa nei suoi esatti
termini, si rivela, però, insufficiente ad esaurire il fenomeno della
improcedibilità nella quale sicuramente rientrano anche la cessazione della
materia del contendere, la sopravvenuta carenza dell'interesse ad impugnare e
la rinuncia all’azione[12]
.
Fenomeni, questi, che possono
verificarsi successivamente alla chiusura della fase introduttiva
dell’impugnazione quando, cioè, è già iniziato l’esame del merito della
controversia.
Il giudice può, poi, rigettare
l’opposizione per infondatezza dei motivi. Il rigetto nel merito può essere
conseguenza dell’accertamento dell’inesistenza della situazione giuridica
sostanziale fatta valere dal terzo o dell’accertamento della mancata prevalenza
della situazione giuridica sostanziale del terzo rispetto a quella del
ricorrente originario[13].
Quando il giudice pronuncia una
sentenza di rigetto dell’opposizione trova applicazione la sanzione della
consumazione dell’impugnazione che consiste nell’impossibilità di rinnovare
l’impugnazione proposta.
Oltre alla pronuncia di rigetto il
giudice può, ovviamente, emanare una decisione di accoglimento
dell’opposizione, in questo caso procede all’annullamento della sentenza
opposta e pronuncia una nuova sentenza.
Il giudicato viene, quindi, travolto
non solo per gli effetti che produce nei confronti del terzo ma anche per gli
effetti che produce nei confronti delle parti originarie.
Il ricorrente originario, in precedenza
vittorioso, assiste, pertanto, alla demolizione giuridica della sentenza con la
quale aveva ottenuto l’annullamento dell’atto amministrativo; tra l’altro non
potrà più agire con il ricorso per l’ottemperanza del giudicato, in quanto non
può più ottenere la soddisfazione della propria situazione giuridica fondata
sulla sentenza demolita
[14].
La Pubblica Amministrazione, parte
resistente e soccombente nel precedente giudizio, in seguito all’esito
favorevole dell’opposizione proposta dal terzo, assiste alla “reviviscenza” del
proprio atto.
Il terzo opponente ottiene il completo
ribaltamento della situazione: l’atto amministrativo dal quale traeva un
vantaggio, in precedenza annullato con la sentenza opposta, viene fatto
“rivivere” dal giudice dell’opposizione.
Con l’accoglimento dell’opposizione
esiste ormai una sola sentenza che regola la condotta delle parti, quella
pronunciata dal giudice dell’opposizione.
Per quanto riguarda il regime delle
impugnazioni avverso le sentenze pronunciate da tale giudice, l’articolo 404 e
seguenti cod. proc. civ. non fanno alcun riferimento per cui bisogna rifarsi
alla disposizione di mero rinvio contenuta nell’art. 406 secondo cui “davanti al giudice adito si osservano le
norme stabilite per il procedimento davanti a lui, in quanto non derogate da
quelle del presente capo”[15].
Rifacendosi a tale disposizione di mero
rinvio, i processualcivilisti ritengono, quindi, che
i mezzi di impugnazione sperimentabili avverso le sentenze del giudice
dell’opposizione siano tutti quelli e solo quelli compatibili, secondo le
previsioni generali, con la sentenza emessa in concreto: bisogna, quindi, tener
conto del grado del giudice che l’ha emessa[16].
Tale orientamento è seguito anche
nell’ambito del processo amministrativo.
Dott.ssa Annalisa Pantaleo
[1] Corte cost.,
17 maggio 1995, n. 177, in Cons. St., 1995, II, 868; e in Foro Amm., 1995,
1815.
[2] L’art.
33, I comma, legge T.A.R. stabilisce che: “Le
sentenze dei tribunali amministrativi regionali sono esecutive. Il ricorso in
appello al Consiglio di Stato non sospende l’esecuzione della sentenza
impugnata. Il Consiglio di Stato, tuttavia, su istanza di parte, qualora
dall’esecuzione della sentenza possa derivare un danno grave ed irreparabile,
può disporre, con ordinanza motivata emessa in camera di consiglio, che la
esecuzione sia sospesa. Sull’istanza di sospensione il Consiglio di Stato
provvede nella sua prima udienza successiva al deposito del ricorso. I
difensori delle parti devono essere sentiti in camera di consiglio, ove ne
facciano richiesta. Per l’esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio
di Stato il tribunale amministrativo regionale esercita i poteri inerenti al
giudizio di ottemperanza al giudicato di cui all’articolo 27, primo comma
numero 4 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con
regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni”.
[3] MASUCCI A., Opposizione di terzo (dir. proc. amm.), in Enc.
Giur. Trec., 1997, XXI, 4.
[4]Testualmente
Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 1987, n. 71; nonché Cons. St., sez. IV, 19
ottobre 1979, n. 827; Cons. St., sez. IV, 18 novembre 1989, n. 801; Cons. St.,
sez. VI, 7 dicembre 1988, n. 1310. Con le stesse si sono respinti i ricorsi
presentati da terzi controinteressati sostanziali,
occulti o successivi.
[5]Cons. St., sez. V, 11 aprile 1990, n. 372; Cons. St., sez.
V, 21 gennaio 1992, n. 72; Cons. St., sez. VI, 15 luglio 1993, n. 535; Cons.
St., sez. VI, 25 marzo 1996, n. 500; Cons. St., sez. IV, 28 maggio 1997, n.
582.
[6] CONSOLO C., La tutela del terzo contro una sentenza non passata in giudicato del
giudice amministrativo di primo grado: sviluppi giurisprudenziali a cavallo fra
opposizione ed appello del terzo, in Dir. Proc. Amm., 1999, 261. L’autore
rileva che affidare ad un’impugnazione tipicamente ordinaria quale l’appello,
che è da proporsi in termini perentori, la tutela della posizione del terzo
contro una sentenza e contro gli atti amministrativi di esecuzione delle
stesse, non è la via più congrua per venire incontro all’esigenza di tutela dei
terzi.
[7] Corte
cost. 17 maggio 1995, n. 177, cit.
[8] TIBERII M., La tutela del terzo al bivio tra il rimedio dell’appello e/o
dell’opposizione: una questione (non solo) di competenza, in Dir. Proc. Amm., 1995, 521.
[9] Cons. giust.
amm. sic., sez. giurisdiz. , 13 giugno 1996,
n.196, in Foro It., 1996, III, 555. Tale sentenza è stata confermata dalle sentenze Cons. St., sez.IV, 28 maggio 1997, n. 582, in Cons. St., II, 1997, 653 e Cons.
St., sez. IV, 11 febbraio
1998, n. 263, in
[10]
LORENZOTTI F., op. ult. cit., 189.
[11] FABBRINI G., L’opposizione ordinaria di terzo nel sistema dei mezzi d’impugnazione,
1998, 280.
[12]
SANDULLI, A.M., Manuale di diritto amministrativo, 1989,
1475.
[13]
LORENZOTTI F., op. ult. cit., 206.
[14]
LORENZOTTI F., op. ult. cit., 201. Il giudicato viene travolto non solo per
gli effetti che produce nei confronti del terzo, ma anche per gli effetti che
produce tra le parti originarie.
[15]
LORENZOTTI F., op. ult. cit., 207.
[16]
FABBRINI G., op. cit., 305.