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OPPOSIZIONE DI TERZO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

 

I soggetti legittimati ad esperire l’opposizione di terzo.

 di Annalisa Pantaleo

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 177 del 1995, con la quale è stata introdotta l’opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo, ha rilevato che “nonostante la regola generale dettata dall’ art. 2909 [1] c.c., circa l’ inefficacia della sentenza nei confronti dei soggetti diversi dalle parti, nel processo è possibile che possano presentarsi casi in cui, per effetto della sentenza del giudice, venga a determinarsi una obiettiva incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa[2].

 

Sono legittimati ad esperire l’opposizione, in primo luogo, i controinteressati c.d. formali o di diritto ossia i litisconsorti necessari pretermessi, ai quali il ricorso deve essere notificato a pena d’inammissibilità[3].

Per controinteressati c.d. formali o di diritto si intendono quei soggetti che presentano un duplice ordine di caratteristiche. Da un punto di vista sostanziale, si richiede la titolarità di una posizione giuridica soggettiva qualificata, che sia attribuita loro dal provvedimento impugnato dal ricorrente. Sotto il profilo formale, si richiede che i controinteressati di diritto siano soggetti espressamente indicati nel provvedimento impugnato o da esso facilmente individuabili perché indicati in modo non generico[4].

Tali soggetti sono legittimati ad esperire l’opposizione per il solo fatto di non aver partecipato al processo nel quale è stata pronunciata la sentenza per loro pregiudizievole, per il solo fatto, cioè, di non aver contribuito alla formazione del convincimento del giudice.

Infatti, proprio la mancata partecipazione al giudizio, con la conseguente violazione del principio del contraddittorio, non ha consentito a tali soggetti di prevenire o impedire gli effetti pregiudizievoli della sentenza con la quale è stato annullato il provvedimento che aveva attribuito loro una posizione di vantaggio. Di conseguenza, deve essere consentito a tali soggetti di rimuovere successivamente il pregiudizio subìto attraverso l’esercizio del rimedio de quo.

 

La Corte costituzionale ha, poi, osservato che “siccome una sentenza, pronunciata nei confronti di soggetti direttamente contemplati nell’atto impugnato, può produrre effetti nei confronti dei terzi senza che questi siano stati coinvolti nel giudizio perché formalmente non erano considerati controinteressati appare indispensabile consentire al terzo toccato dal giudicato, di far valere le proprie ragioni dotandolo di un apposito mezzo di impugnazione[5].

 

La Corte si riferisce qui ai controinteressati c.d. sostanziali ossia ai controinteressati occulti e ai controinteressati successivi.

 

Sono controinteressati occulti coloro che, come i controinteressati formali, traggono una posizione giuridica soggettiva qualificata dal provvedimento impugnato dal ricorrente ma che, a differenza degli stessi, non sono espressamente menzionati nel provvedimento impugnato né da esso facilmente desumibili.

 

Sono controinteressati successivi, invece, coloro che hanno acquistato una posizione giuridica soggettiva qualificata in virtù di un provvedimento che la Pubblica Amministrazione ha emanato successivamente all’impugnazione dell’atto da parte del ricorrente e, quindi, all’instaurazione del giudizio[6].

Può succedere che in pendenza del processo di impugnazione il procedimento amministrativo si evolva nelle fasi successive e che la Pubblica Amministrazione adotti un atto che attribuisca al terzo una posizione di vantaggio la quale venga, poi, meno per effetto del successivo annullamento del provvedimento impugnato dal ricorrente.

Si determina, così, una “divaricazione fra l’articolazione processuale del contraddittorio necessario, che resta dimensionato al provvedimento impugnato e l’assetto sostanziale sopravvenuto dei rapporti amministrativi”[7].

 

Sono, poi, legittimati ad esperire l’opposizione i terzi titolari di una posizione giuridica soggettiva “autonoma” e “incompatibile”.

Si ha l’ “autonomia” quando vi è l’assenza di una relazione tra la posizione giuridica del terzo e la posizione giuridica del ricorrente vittorioso tale per cui la validità di un atto dipenda dalla validità di altro atto[8]. Si ha, quindi, l’autonomia quando manca un nesso procedimentale tra gli atti da cui il ricorrente e il terzo traggono la loro posizione giuridica soggettiva.

L’ “incompatibilità” tra la posizione giuridica del terzo e quella del ricorrente vittorioso, invece, si realizza quando in capo a tali soggetti coesistano pretese nei confronti dell’amministrazione tali per cui il soddisfacimento della pretesa dell’uno costituisca lesione della posizione giuridica dell’altro[9].

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 655 del 1996[10], ha ritenuto che la configurabilità di posizioni autonome e incompatibili deve essere ammessa quando una delle posizioni, quella del ricorrente, tragga il proprio fondamento da una pronuncia giudiziale e l’altra, quella del terzo, da un provvedimento amministrativo diverso da quello impugnato in precedenza dal ricorrente vittorioso[11].

 

Una questione molto dibattuta, infine, è quella di stabilire se sono legittimati a proporre l’opposizione i terzi titolari di una situazione giuridica dipendente.

Si tratta di coloro sui quali un effetto sfavorevole si produce solo attraverso la lesione della posizione giuridica di un diverso soggetto, dalla quale la loro posizione dipende.

 

Secondo una parte della dottrina, il terzo titolare di una situazione giuridica dipendente è legittimato ad esperire l’opposizione. Tale dottrina fa leva sul dato formale contenuto nella sentenza n. 177 del 1995 con la quale la Corte costituzionale ha stabilito che “non di rado l’azione amministrativa, direttamente  o di riflesso, coinvolge per sua natura una pluralità di soggetti che non sempre sono ritenuti parte necessaria nelle controversie oggetto del giudizio” [12] .

Secondo tale dottrina, però, affinché il terzo possa essere legittimato ad esperire il rimedio de quo è necessario che sussistano due condizioni. In primo luogo, è necessario che il terzo non sia assoggettato al giudicato sulla base delle norme sostanziali. Questo significa che il giudice, adito a norma dell’art. 404[13], primo comma, cod. proc. civ., individuata la fattispecie oggetto del precedente giudicato, dovrà stabilire se le norme sostanziali prevedano che il suo accertamento sia efficace in ordine alla situazione giuridica facente capo al terzo, in questo caso il terzo non potrà proporre l’ opposizione. Soltanto la risposta negativa consentirà di affermare la proponibilità del rimedio[14]. In secondo luogo, è necessario che il terzo sia titolare di una posizione giuridica dipendente qualificata e non di un mero interesse di fatto[15].

 

Altra parte della dottrina esclude che possano considerarsi legittimati all’opposizione i terzi che non siano direttamente lesi in una loro posizione soggettiva dagli effetti della sentenza[16].

Tale orientamento ritiene che non sia giusto, attraverso l’opposizione, allargare i confini della legittimazione principale al processo amministrativo, consentendo la partecipazione ad esso, a chi non sarebbe titolare di un interesse giuridicamente qualificato e leso solo in via indiretta o di riflesso.

 

Ad avviso di chi scrive, non è possibile attribuire o negare tout court la legittimazione all’opposizione di terzo agli interessati di riflesso. E, al riguardo, come si è potuto apprendere, gli orientamenti dottrinali non aiutano a pervenire ad una decisione a causa della mancanza di omogeneità e concordia sul punto.

Da un lato, non sarebbe giusto trascurare il dato formale, fornito dalla pronuncia della Corte costituzionale del 17 maggio 1995, n. 177, che ha voluto integrare il principio del contraddittorio anche nei confronti dei soggetti indirettamente lesi da una sentenza pronunciata inter alios.

Dall’altro lato, non sarebbe auspicabile una dilatazione della nozione di controinteressato fino a ricomprendervi sempre e comunque, ai fini del riconoscimento delle garanzie di partecipazione al giudizio, tutti coloro che sono lesi solo indirettamente dalla pronuncia del giudice.

Sarebbe, quindi, conveniente lasciare al giudice il compito di stabilire, caso per caso, se il soggetto leso in via indiretta abbia subìto un pregiudizio in un interesse giuridicamente qualificato e, solo allora, consentire allo stesso di esperire l’opposizione.

                                                                                            Dott.ssa   Annalisa Pantaleo



[1] L’art. 2909 c.c. stabilisce che: “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

[2] Corte costituzionale,17 maggio 1995, n. 177, in Giur. Cost., 1995, 1433.

[3] L’art. 21, I comma, legge T.A.R. stabilisce che: “Il ricorso deve essere notificato tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce, o almeno ad uno di essi, entro il termine di sessanta giorni da quello in cui l’interessato ne abbia ricevuta la notifica, o ne abbia comunque avuta la piena conoscenza, o per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista da disposizioni di legge o di regolamento, salvo l’obbligo di integrare le notifiche con ulteriori notifiche agli altri controinteressati, che siano ordinate dal tribunale amministrativo regionale”.

[4] MANGONI W.T., Controinteressato e opposizione di terzo nel processo amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 1998, 669.

[5] Corte costituzionale, 17 maggio 1995, n. 177, cit.

[6] Del resto proprio un caso del genere è stato quello da cui  ha preso origine la vicenda che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale n. 177 del 1995: l’escluso da un concorso pubblico ha impugnato il provvedimento di esclusione. La decisione che ha annullato l’esclusione è intervenuta però dopo che il concorso, proseguito nel frattempo, si è concluso con la nomina dei vincitori. In esecuzione del giudicato, l’amministrazione ha allora nominato in ruolo il ricorrente vincitore (risultato idoneo nelle prove, alle quali ha partecipato grazie ad una decisione cautelare), annullando, per fargli posto, la nomina dell’ultimo in graduatoria. Dolendosi della decisione pronunciata in sua assenza, quest’ultimo, controinteressato successivo, ha allora proposto opposizione di terzo al Consiglio di Stato, il quale, ritenendo di non poter ammettere il rimedio in via d’interpretazione delle disposizioni vigenti, ha eccepito l’incostituzionalità dell’art. 36 della legge T.A.R. a causa della mancata previsione dell’opposizione di terzo fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato. Nel caso che ha dato occasione alla pronuncia della Corte, il rimedio in questione è stato, quindi, chiesto non da chi, essendo parte necessaria nel giudizio, non è stato posto in condizione di parteciparvi, ma da un controinteressato successivo e ciò si ricava dal passaggio della sentenza n. 177 del 1995 nel quale il giudice rileva che l’opponente non è stato chiamato in giudizio “perché in casi del genere si ritiene normalmente che, nella controversia che concerne l’atto di esclusione di un candidato, gli altri concorrenti non sono da considerarsi controinteressati siccome non  direttamente contemplati dall’atto”.

[7] Cons. St., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655, in Foro It., 1996, III, 554.

[8]  Cons. St., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655, cit.

[9] Cons. St., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655, cit.

[10]  Cons. St., sez. IV, 20 maggio 1996, n. 655, cit.

[11] TRIMARCHI BANFI F., Considerazioni sull’opposizione alla sentenza di annullamento proposta dal titolare di posizione “autonoma” e “incompatibile”, in Dir. Proc. Amm., 1998, 786. Ciò si è verificato esattamente nel caso deciso con la sentenza del Consiglio di Stato n. 655 del 1996 dove le posizioni del ricorrente vittorioso e del terzo opponente, connesse per l’oggetto, riguardavano un ufficio che il provvedimento impugnato con l’originario ricorso aveva conferito ad altri e che, in seguito alla morte del titolare, intervenuta in pendenza del giudizio, era stato nuovamente messo a concorso, per essere poi assegnato al terzo, quando, ormai, il giudizio dell’impugnazione del provvedimento si era concluso con l’annullamento del provvedimento stesso. Il provvedimento costitutivo del diritto del terzo all’ufficio e quello annullato dalla sentenza della cui opposizione si tratta non sono collegati da alcun nesso procedimentale: il primo ha concluso un nuovo procedimento aperto in seguito alla vacanza del posto che si è determinata a causa della morte del titolare. L’ opposizione è, quindi, rivolta all’eliminazione della sentenza pregiudizievole per il terzo proprio in quanto fonte del vincolo cui è sottoposta l’attività dell’amministrazione e, quindi, in quanto parametro della validità del titolo sul quale si basa il diritto dell’opponente. Il pregiudizio per la posizione giuridica del terzo deriva dall’effetto conformativo che la sentenza produce per la successiva attività dell’amministrazione.

[12] Corte costituzionale, 17 maggio 1995, n. 177, cit.

[13] L’art. 404, I comma, c.p.c. stabilisce che: “Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti”.

[14] OLIVIERI G., op. loc. cit.

[15] OLIVIERI G.,  op. loc. cit. L’autore rileva che ai fini della legittimazione il terzo deve essere titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo.

[16] CORLETTO D., op. loc. cit. NIGRO M., op. loc. cit. Tale autore sostiene che la legittimazione all’opposizione richiede necessariamente un pregiudizio diretto agli interessi del terzo. TRAVI A., L’opposizione di terzo e la tutela del terzo nel processo amministrativo, in Foro It., 1997, III, 24.