Legislazione
giurisprudenza
OPPOSIZIONE DI TERZO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
Il termine per proporre l’opposizione.
di Annalisa Pantaleo
L’opposizione ordinaria di terzo, nel processo civile, a differenza di quella revocatoria, non è assoggettata a termine alcuno, salvi gli effetti di vicende di diritto sostanziale quali la prescrizione, l’estinzione per non uso o usucapione[1].
In teoria lo stesso principio dovrebbe estendersi al processo amministrativo e questo perché il soggetto può acquisire la posizione legittimante per l’opposizione anche in data successiva rispetto al termine entro cui è possibile proporre le impugnazioni.
Nel sistema di giustizia amministrativa, però il ricorso giurisdizionale, mirante alla tutela degli interessi legittimi, è invece sottoposto a un termine di decadenza.
La giustificazione di ciò è solitamente rinvenuta nella esigenza di evitare che i rapporti fra amministrati e Amministrazione siano abbandonati all’incertezza derivante dalla possibilità di esercitare un’azione giudiziale dopo un lungo periodo di tempo dalla conoscenza del provvedimento amministrativo.
La stessa esigenza potrebbe configurarsi anche nell’opposizione di terzo ordinaria: se l’opposizione fosse svincolata da limiti temporali, il terzo opponente potrebbe incidere, anche dopo molti anni, sull’organizzazione degli uffici amministrativi o sull’assetto consolidato che i rapporti amministrativi hanno assunto con il passare degli anni.
Si pone, quindi, la questione se i termini di decadenza vadano applicati anche all’opposizione di terzo.
Di tale questione si è occupata la IV sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 4 agosto 1998, n. 1128[2]. Tale decisione affronta, infatti, il problema dell’adattamento dell’istituto dell’opposizione di terzo al processo amministrativo, rilevando, appunto, che nella maggior parte dei casi, la posizione soggettiva fatta valere in tale processo è subordinata a rigorosi termini di decadenza rispetto al provvedimento amministrativo lesivo di essa.
Di conseguenza, almeno per quanto riguarda gli interessi legittimi ed in genere tutte le posizioni soggettive che hanno a fronte di esse un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, non è possibile sostenere che l’opposizione di terzo possa essere proposta sino a quando il diritto non sia prescritto, così come, invece, avviene nel processo civile, e ciò per l’evidente considerazione che si tratta di posizioni giuridiche non soggette a prescrizione ma a decadenza[3].
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1128 del 1998, afferma, quindi, che il processo dinanzi al giudice amministrativo è un procedimento per ricorso soggetto a brevi termini di decadenza e che, per tanto, un termine ci deve essere anche per il ricorso di opposizione di terzo. Questa conclusione trova un aggancio testuale nell’articolo 406 cod. proc. civ., per il quale “davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti a lui”.
Il Consiglio di Stato, con tale sentenza, non ha, invece, ritenuto necessario stabilire, ai fini della decisione, se il termine debba essere quello di sessanta giorni previsto per il ricorso contro gli atti amministrativi (termine estensibile in via analogica a questa situazione non regolata dalla legge) ovvero debba essere quello per l’impugnazione delle sentenze, come nel processo civile avviene per l’opposizione di terzo revocatoria[4].
Per quanto riguarda il dies a quo del termine di decadenza esso è quello nel quale l’opponente ha avuto conoscenza legale o comunque piena della sentenza lesiva del suo interesse. Sorge, però, un inconveniente: non esistendo un sistema di cognizione legale delle sentenze per coloro che sono terzi e ai quali la sentenza non è stata notificata, appare arduo stabilire il momento nel quale il terzo non solo ha avuto cognizione della sentenza ma anche del contenuto sostanziale delle sue statuizioni[5].
Il caso risolto dalla sentenza 4 agosto 1998, n. 1128, affonda le radici in tempi lontani: i proprietari di un terreno in una zona residenziale di Roma avevano impugnato, nel 1966, il PRG nella parte in cui destinava al verde privato parte dei loro terreni. Il Consiglio di Stato annullò, nel 1976, il predetto vincolo stabilito dal PRG. Per ottenere la concessione edilizia, i proprietari dovettero attendere altri dieci anni, passando per una procedura di silenzio rifiuto e per l’impugnazione del provvedimento di diniego della concessione, conclusasi con l’accoglimento da parte del T.A.R., nel 1986, e con una pronuncia di ottemperanza nel 1987.
Finalmente, nel dicembre 1987 il sindaco rilascia due concessioni edilizie richieste dai proprietari. Il vicino impugna una delle due concessioni, ritenendo che ne sarebbe stato pregiudicato l’appartamento di sua proprietà, il quale avrebbe avuto antistante un villino anziché uno spazio verde. Il ricorso del vicino viene accolto dal T.A.R. ma la sentenza viene riformata dal Consiglio di Stato nel 1997, ribadendo la legittimità della concessione.
Avverso quest’ultima decisione il combattivo vicino propone sia ricorso per revocazione sia opposizione di terzo: il ricorso per revocazione viene rigettato per inammissibilità dei motivi, l’opposizione di terzo viene dichiarata inammissibile perché proposta dopo la decorrenza del termine di decadenza[6].
Dott.ssa Annalisa Pantaleo
[1]MANDRIOLI C., Diritto processuale civile. Processo di cognizione, 2000, 506.Nello stesso senso VIRGA P., Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, 1999, 427.
[2]Cons.
[3]CARBONE L., Qual è il termine per proporre opposizione di terzo nel processo amministrativo?, in Corr. Giur., 1998, 1144.
[4] SCOGNAMIGLIO A., Brevi osservazioni in tema di termini per la proposizione dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo, in Foro Amm., 1998, 2049.
[5]VIRGA P., op. loc. cit.
[6]CARBONE L., op. cit., 1143.