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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 

Capitolo II

 

Il superamento della classica distinzione “error facti / error iuris”.

 

1. Ragioni culturali e politiche della sopravvivenza della distinzione tra error facti ed error iuris.

 

di Leo Stilo

 

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« Regula est iuris quidem ignorantia cuique nocere, facto vero ignorantiam non nocere»[1].

Questa regola focalizza lo sguardo sull’oggetto dell’errore, realtà normativa o naturalistica, non ponendo attenzione ai risultati psicologici che l’errore provoca nel soggetto che vi incorre.[2]

«Si procede a colpi di scure in una materia che richiede il bulino, si sostituisce alla riflessione e all’indagine un dogma, e si fingono entità nettamente distinte anche là dove le due categorie sono da una larga zona neutra» [3].

Alcuni studiosi si sono domandati il motivo della longevità di questo criterio di distinzione dell’errore che nato nel diritto romano è sopravvissuto sino ad oggi senza sostanziali mutamenti.[4] La fortuna di questa regola si trova, sicuramente, nella capacità di impersonare nel corso dei secoli istanze diverse, ma che hanno avuto come scopo comune quello di non far venire meno la forza regolatrice, espressa con il diritto, di soggetti sovraordinati ai singoli individui e alla loro somma. La costruzione di un soggetto sovraordinato alla comunità, gestore di interessi della “res publica”, è “iniziata” con l’idea stessa del bisogno di tutela dei membri di una società, ma il problema si è rivelato in tutta la sua gravità quando questo “portatore di interessi” si è distaccato dal suo cordone primordiale per vivere di vita propria.

La rivoluzione francese del 1789 e le lotte per la “liberazione” dagli antichi regimi monarchici che ad essa seguirono non cambiarono nulla al “Vertice”. Il “Re” venne sostituito da un “Parlamento”, grandissima conquista per la civiltà e per la democrazia; tuttavia, qualcosa di grave e pericoloso rimase latente e pronto a colpire in modo forse più difficile da scovare e sconfiggere, riuscendo a trovare un sicuro rifugio nella cultura e nella mente di ciascuno. Si tratta della stessa forza che ha reso lo Stato una persona giuridica rappresentativa di interessi pubblici; interessi non identificabili con quelli della comunità di persone che costituivano la base personale dell’ordinamento, ma propri dello Stato in sé. E’ questa “personificazione” che ha indotto lo Stato a staccarsi dalla società per avere una vita e dei fini propri[5]. Lo stesso soggetto che amministra in nome dello Stato è dotato di una “qualità”, pubblico ufficiale, che l’eleva al di sopra di una qualsiasi altra persona comune[6]. La struttura esteriore cambia, dal “Re sovrano” allo “Stato sovrano”, ma i rapporti tra governanti e governati non muta nel suo aspetto di soggezione. La rivoluzione francese ha spazzato via le vecchie monarchie ma non è riuscita, a distanza di numerosi anni, a mutare la struttura interiore dello Stato che, nonostante la presenza d’organi rappresentativi del popolo (Parlamento…), non rigetta quell’incrostazione culturale che non permette di vedere lo Stato come un essere a tutti equiparato, con gli stessi diritti e doveri: “soggetto tra i soggetti” di obbligazioni lecite e illecite. Il motivo di fondo che riconduce il discorso sul principio dell’ignorantia legis non excusat è l’autorità che viene infusa in tutte le manifestazioni di volontà di questo abnorme soggetto che è lo Stato: come non si poteva non conoscere il diritto romano così non si può non conoscere quello della “moderna” Repubblica.

Con questa visuale si può comprendere il motivo per il quale l’error facti è da sempre scusato, mentre l’error, o ignorantia, iuris, considerato pericoloso perché capace di mettere in crisi il principio dell’obbligatorietà della legge penale, non è stato mai scusato. Questa paura sembra riaffiorare proprio nel periodo più “illuminato” della storia umana, durante il quale nasce e si sviluppa l’idea di una codificazione che, rompendo con l’incertezza e i soprusi del passato, riuscisse a realizzare l'ideale certezza del diritto fissando in un codice, carta immutabile, i diritti e dei doveri di ciascuno. Altro motivo, legato al discorso sull’autorità dello Stato, è rappresentato dal sospetto di una «insensibilità alle norme e quindi all’ordinamento giuridico, al contrario dell’error facti»[7]. La rilevanza del momento soggettivo e personale del reato è una conquista relativamente recente, «proprio agli albori del diritto moderno, da un lato il requisito soggettivo veniva costruito come nesso psicologico fisso e ingraduabile, depurato da qualsiasi componente di disvalore…; da un altro lato… trionfa l’idea dell’identificazione della legge con la giustizia…»[8]. L’idea di soggezione verso lo Stato ha contribuito in maniera determinante all’atteggiamento di “aprioristico rigetto” nei confronti dell’ignoranza e dell’errore di diritto.

In passato, come indicato, si era soliti contrapporre l’errore di fatto, scusabile e rilevante ai fini dell’esclusione della punibilità, all’errore di diritto, irrilevante e non scusabile. L’errore di fatto aveva, per una parte della dottrina, come oggetto immediato la realtà naturalistica, mentre l’errore di diritto era considerato solo quello ricadente su una norma giuridica.

La vitalità di questo binomio, error facti error iuris, è dovuta a ragioni non fortuite di ordine culturale; tale distinzione ha trovato, infatti, linfa vitale nella “testa” di chi era chiamato a “fare ed usare” il diritto.

 

2. Dalla tradizionale distinzione errore di fatto ed errore di diritto a quella tra errore sul fatto ed errore sul precetto ( una breve introduzione).

Il problema della ricerca di una diversa impostazione fenomenologica con cui affrontare il complesso argomento dell’errore in diritto penale nasce dalla constatazione dell’insufficienza della classica, ed ormai “stretta”, distinzione error facti / error iuris ad adattarsi ad una realtà complessa come quella dell’uomo e dei suoi aspetti psicologici.

«Tale distinzione discriminava l’errore a seconda dell’oggetto immediato su cui cadeva l’errore medesimo, il dato giuridico ovvero quello materiale, senza attribuire alcun rilievo agli effetti finali che scaturivano dallo stato psicologico in questione» [9].

Due fattori, in estrema sintesi, determinarono l’esigenza di approfondire lo studio delle diverse sfaccettature di valore che l’errore produce a livello individuale in modo da graduarne la colpevolezza e la rimproverabilità del soggetto agente:

1.      l’affermarsi della concezione normativa della colpevolezza;

2.      l’avvento dell’art. 47 ult. c.p.v. c.p..

Questi elementi di novità «hanno fatto sì che la tradizionale contrapposizione errore di fatto/errore di diritto perdesse gran parte del suo significato per cedere il posto ad una distinzione, quella tra errore sul fatto ed errore sul precetto…»[10]. 

Nei prossimi paragrafi si tenterà di spiegare il percorso storico e logico che ha condotto alle seguenti conclusioni:

A). L’errore sul precetto può derivare da un errore sulla norma incriminatrice o da un errore su una norma extrapenale che non si traduce in un errore sul fatto, rientrando nella disciplina dell'articolo 5 del codice penale.

B). L’errore sul fatto deriva da un errore sulla realtà naturalistica oppure da un errore su legge extrapenale che si converte in un errore sul fatto, disciplinato dall’articolo 47 del codice penale.

C). L’errore sul fatto, inoltre, può essere sia “di fatto” che “di diritto” purché quest’ultimo derivi da un errore su legge extrapenale, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 47 c.p..

Si deve precisare che la distinzione tra errore sul fatto e quella sul precetto, in realtà, nella zona di confine tra le due espressioni dell’errore non è molto “illuminata”, presentando dei punti d’ombra particolarmente confusi. La battaglia per portare un po’ di luce in questa distinzione è stata compiuta sul terreno dell’errore sulla legge extrapenale, realtà fonte tanto d’errore sul fatto quanto di quello sul precetto.

La confusione che regna sull’argomento è tale da aver fatto raramente applicare l’ultimo comma dell’articolo 47 alla giurisprudenza, preferendo delle soluzioni “scappatoie” per non affrontare il problema [11].  

 

3. L’errore sul fatto di fatto.

Qualche dubbio sorge, perdendosi l’unanimità di visione tra gli Autori che aderiscono alla   “distinzione” dell’errore in precedenza indicata (errore sul fatto/errore sul precetto), quando si cerca di specificare il carattere dell’errore di fatto sul fatto.  Vi sono almeno tre diverse posizioni sull’argomento: due “estreme” e una intermedia. La prima è segnata dall’idea del carattere senso percettivo dell’errore ex articolo 47, consistente nella mancata o non perfetta percezione di uno o più dati della realtà naturalistica. Aderiscono a questa tesi, in modo radicale, ad esempio: Grosso e Romano. Per il primo Autore l’articolo 47, primo comma, c.p. disciplina l’errore di fatto sul fatto che costituisce reato; e con il termine fatto il legislatore ha voluto indicare l’errore che ricade sugli elementi positivi, essenziali, della fattispecie. «Come ho già rilevato, l’errore di fatto consiste nella mancata o nella imperfetta percezione di un dato materiale storicamente esistente…è soltanto l’errore su di un elemento essenziale del reato»[12].  Romano: «il co. 1º dell’art. 47 concerne l’errore di fatto sul fatto: l’agente non si rappresenta uno o più degli elementi del fatto storico congruente con la descrizione legale per un errore al quale sono estranee norme giuridiche dell’ordinamento. Indicato è qui un errore di percezione: la divergenza tra rappresentazione e realtà è dovuta a circostanze integralmente fattuali»[13]. Un'altra concezione, “estrema”, ritiene che l’errore di fatto possa essere caratterizzato non solo dal carattere senso - percettivo, ma anche da un errore di valutazione, attinente ad un momento successivo all’esatta percezione del dato naturalistico. Flora puntualizza l’adesione a quest’ultima opinione specificando:« nel fenomeno psicologico dell’errore di fatto si fanno comunemente rientrare, infatti, tanto l’errore senso percettivo che l’errore di valutazione( o intellettivo) (o almeno certe ipotesi di esso)».[14] Nel primo[15], errore senso – percettivo, l’errore coinvolge la percezione della realtà naturalistica, primo momento del giudizio[16]. Nel secondo, errore di valutazione, l’errore ricade sulla «sussunzione del dato naturalistico esattamente percepito in una categoria logico concettuale diversa da quella cui avrebbe dovuto essere correttamente ricondotto»[17] L’Autore riferendosi al secondo tipo di errore puntualizza con la dovuta attenzione che ci troviamo fuori dal campo d’applicazione della disciplina dell’errore di fatto sul fatto quando la sussunzione ha come necessario riferimento una norma penale o extrapenale; in questo caso ci troviamo nell’ambito dell’errore di diritto. Altra parte della dottrina, riconducibile ad un’opinione intermedia, ritiene che l’errore di fatto sul fatto consista normalmente in un errore di percezione, ma ammette la possibilità di un errore di tipo diverso[18]. Alla posizione intermedia, tra quella che intende l’error facti solo come errore di percezione e quella che intende l’error facti come errore di percezione e di valutazione, può essere ricondotta quella espressa da De Simone, che pur ammettendo la duplice “natura” dell’errore sul fatto di fatto precisa: l’errore di valutazione« vada tenuto distinto dall’errore di sussunzione che concernendo l’ampiezza del concetto tipizzato (ad es., il concetto di uomo), finisce col ricadere sulla fattispecie astratta e dovrebbe come tale rimanere al di fuori della sfera di applicazione dell’articolo 47».[19]

Per delimitare il campo operativo dell’art. 47, primo comma, c.p.[20] è opportuno rifarsi all’impostazione metodologica utilizzata dal Grosso[21]. Quest’Autore procede all’identificazione del contenuto della norma tramite una ricerca e una puntualizzazione “per esclusione”, cioè tramite l’analisi di ciò che non vi rientra e la semplice constatazione di quello che rimane sotto “l’egida” dell’art. 47, primo comma, c.p.:

1.   non vi rientra l’errore sul fatto causato da un errore sulla legge extrapenale, perché disciplinato dall’art.47, ultimo comma, c.p.;

2.   non  vi rientra l’errore su legge penale, perché disciplinato dall’art.5 c.p. ;

3.   non vi rientra l’errore sulle scriminanti, che per Grosso hanno una particolare valenza in sede di tipicità del fatto, perché disciplinati dall’art.59, ultimo comma, c.p..

Da queste “esclusioni” Grosso ricava che l’errore previsto dall’art.47, primo comma, c.p. è quello di fatto sul fatto: errore consistente nella mancata corrispondenza tra un elemento del giudizio dell’agente e un elemento, dato, essenziale del fatto storicamente esistente.[22] E’ pacifico in dottrina che l’errore previsto dall’art.47, primo comma, c.p. è quello che ricade su un elemento essenziale del reato e per questo non escluderà il dolo, nel caso di un furto, l’errore sul colore della cosa sottratta; mentre escluderà il dolo lo scambiare per propria una cosa altrui.[23] Gli elementi essenziali del fatto devono essere preveduti e voluti dall’agente altrimenti verrebbe meno il legame psicologico, il dolo del fatto di reato, tra il fatto e il suo autore. «Dolo ed errore si condizionano a vicenda, in una logica di reciproca esclusione: dove c’è errore sul fatto non può esservi dolo, perché l’erronea rappresentazione della realtà inibisce anche una volizione rilevante per l’elemento psicologico del reato»[24]. Per aversi errore sul fatto di fatto rilevante ai fini dell’esclusione della punibilità è necessario che l’errore cada su di un elemento essenziale del fatto[25]. L’essenzialità è un attributo solo di alcuni elementi della realtà: di quelli la cui assenza determina il venire meno della  conformità del fatto concreto alla fattispecie, modello, legale.[26]

L’error in persona e l’error in obiecto non sono rilevanti quando il soggetto o l’oggetto ha una “posizione equivalente” in riferimento alla fattispecie penale[27]. Per posizione equivalente si intende indicare una “identità di elemento” idonea a non far venire meno, o modificare, l’oggetto di tutela della norma penale. In altre parole: il bene giuridico aggredito è lo stesso sia all’interno che all’esterno della rappresentazione psicologica dell’agente, perché il fatto tipico è stato realizzato in tutti i suoi elementi fattuali e psicologici.

La situazione è diversa nel caso in cui le persone, o gli oggetti, occupano una diversa posizione in riferimento alla fattispecie penale. Applicando lo stesso ragionamento poc’anzi svolto, se la fattispecie incriminatrice ruota attorno alla tutela di un bene giuridico caratterizzato da particolari requisiti, soggettivi e oggettivi, le conseguenze possono così essere sintetizzate:

1.      la punibilità potrebbe essere esclusa ex art. 47 c.p. quando l’errore provoca un errore sul fatto che costituisce il reato ( è il caso di chi scambia una cosa altrui, impossessandosene, per propria e in questa situazione, errando su un elemento essenziale, si esclude il dolo di furto e viene meno l’applicazione della stessa fattispecie incriminatrice);

2.      può scattare l’applicabilità di una diversa figura criminosa ( era, prima dell’abrogazione della fattispecie di oltraggio a p.u., il caso del soggetto che rivolgendo dei “complimenti” tutt’altro  che benevoli ad un pubblico ufficiale, ritenuto un comune cittadino, rispondeva di ingiuria e non di oltraggio) ;

3.      la punibilità non è esclusa e si applica una particolare disciplina sulle circostanze, prevista dall’articolo 60 c.p., nelle ipotesi in cui l’agente volendo commettere un reato ai danni di una determinata persona commette un errore  offendendo un’altra.

Meritano un approfondimento i casi indicati nel punto 2 e nel punto 3. 

Chiarire queste “espressioni dell’errore” è utile al fine della formazione di un quadro generale entro cui collocare la figura dell’errore nel suo complesso. Il primo punto da esaminare è quello in cui l’errore, sulla persona o sull’oggetto, non esclude la punibilità per un reato diverso. L’agente, per errore, ritiene di commettere un fatto previsto dalla legge come reato integrandone tutti gli estremi oggettivi e soggettivi, ma in realtà commette un fatto di reato diverso da quello da lui rappresentato e voluto. Santucci così descrive questo particolare aspetto dell’errore sul fatto: «L’ipotesi… è dovunque la seguente: che più fattispecie legali abbiano un fondamento comune, ma per alcune di esse è elemento costitutivo un plus di oggettività che, nella specie si è realizzato per errore, mentre ciò che resta ed è soggettivamente addebitabile, basta ad integrare un altro reato»[28]. Da tale descrizione si deduce che il soggetto ha voluto e realizzato tutti gli estremi di una figura delittuosa e per questo deve risponderne. L’errore sull’elemento costitutivo di un reato esclude il dolo per tale figura, ma non esclude il dolo, e di conseguenza la punibilità, per l’eventuale reato dall’agente preveduto e voluto in tutti i suoi elementi costitutivi.

La differenza, inoltre, con l’ipotesi prevista dall’art.83 c.p., realizzazione di un evento diverso da quello voluto, risiede nel diverso momento in cui “cade” l’errore: nell’art.83 l’errore sopravviene in un momento successivo alla fase c.d. interna, nel momento dell’esecuzione materiale ed esterna del reato; nell’ipotesi esaminata, invece, l’errore risiede nel momento deliberativo ed interno del fatto di reato[29]. Per Flora l’errore sugli elementi costitutivi di una determinata fattispecie di reato può  lasciare sussistere il dolo di una fattispecie diversa solo in due ipotesi:

a)di un «errore su un elemento specializzante aggravante»: è il caso in cui l’agente realizzi un fatto più grave di quello voluto.[30]

b)di un «errore su un elemento specializzante attenuante o degradante»: è il caso in cui l’agente realizzi un fatto meno grave di quello voluto[31].

La prima ipotesi, errore su di un elemento specializzante aggravante, ricade nella previsione dell’art.47, secondo comma, c.p. Per la sopravvivenza del dolo, del reato realizzato, è necessario che tra il reato voluto e quello realizzato sussista un rapporto di «specialità…verso l’alto». Questa particolare caratteristica è richiesta per consentire che il fatto materiale, ricompreso dal dolo dell’agente, possa rientrare in quello realizzato. Un esempio utile a chiarire la rilevanza dell’art.47, secondo comma, c.p. è quello dell’errore sul fatto costitutivo del reato di peculato e la conseguente punibilità a titolo di appropriazione indebita[32]. L’agente dovrà rispondere di appropriazione indebita: quando si appropria del patrimonio pubblico ignorando la propria posizione di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio; quando ritenga per errore di rivestire la posizione di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, mentre in realtà non riveste tale ruolo. I motivi, che producono per entrambe le situazioni il medesimo effetto, sono diversi: per la prima la giustificazione teorica è data dal principio secondo cui ogni “elemento” della fattispecie può essere attribuito, imputato, all’agente solo se viene investito dal legame psicologico con l’agente stesso; per la seconda la motivazione è rintracciata nel principio secondo cui non si possono attribuire, imputare, all’agente degli elementi che in realtà non esistono, è questo il campo d’operazione dell’art. 49 primo comma c.p.[33]. In questo esempio è importante rilevare la tipologia stessa del reato di peculato che non deve essere semplicisticamente ridotta a quella di un reato di posizione, ma al rapporto tra questa particolare posizione e il bene oggetto della tutela. E’ insufficiente e tautologico, in altre parole, affermare che il peculato è un reato proprio perché il soggetto attivo può essere solo una persona che si trova in una particolare posizione. L’analisi del soggetto attivo del reato deve condurre alla ricerca dell’oggetto dell’errore e da questo a quello del dolo. Nel peculato il soggetto attivo è il custode del bene difeso dalla fattispecie penale contro una particolare ed insidiosa offesa. Nel momento in cui il gestore della par condicio civium tradisce la fiducia in lui riposta dai consociati non commette solo un appropriazione indebita “qualificata” ma qualcosa di diverso e più grave. In questa particolare situazione l’errore dell’agente viene ad incidere sulla stessa qualificazione del reato e per questo verrà chiamato a rispondere di un delitto meno grave, nell’esempio indicato di appropriazione indebita[34].

L’altra situazione di error in persona o in obiecto in cui i soggetti scambiati occupano una diversa posizione rispetto alla fattispecie penale da analizzare è quella all’inizio indicata al punto 3:  è il caso in cui l’agente volendo commettere un reato contro una persona per errore la confonde offendendone un’altra. La disciplina è contenuta nell’art. 60 c.p.[35]. Un esempio: A vuole uccidere un suo nemico B ma, nel buio, per errore uccide C. Questa situazione deve essere tenuta distinta da quella dell’aberratio ictus, perché in quest’ultima l’agente non confonde un soggetto con un altro, ad esempio che C sia B, ma il suo errore trova spazio nel momento esecutivo del fatto. L’art. 60 c.p. entra in gioco nel momento in cui vi sono alcune circostanze che rendono diverse le due realtà: quella rappresentata e voluta e quella effettivamente realizzata.[36] L’esempio classico utilizzato per chiarire questa norma aiuta a capirne il contenuto: un soggetto vuole uccidere un nemico ma per un errore di percezione uccide un uomo che in realtà è suo padre. In virtù della disciplina dell’art.60 c.p., nonostante sussista un rapporto di parentela così stretto[37], l’agente risponderà di omicidio semplice. Le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole non sono poste a carico del colpevole; mentre le circostanze attenuanti, del tipo indicate dall’art.60 c.p. sono valutate a favore dell’agente. QueWQQQQQQqqwertrffdddQuest’articolo attribuisce rilevanza all’errore in quanto tale senza alcuna distinzione tra errore colpevole o incolpevole, prospettando una regola d’imputazione soggettiva per le circostanze aggravanti, solo per i casi di errore sulla persona offesa più favorevoli di quella fissata dall’art.59, primo comma, c.p.[38]. Una deroga ulteriore è quella della rilevanza che, quest’articolo, attribuisce alla erronea supposizione dell’esistenza delle circostanze attenuanti[39]; la deroga è posta nei confronti della regola generale stabilita dall’art.59. Nell’ultimo comma l’art. 60 c.p. puntualizza che tale disciplina non trovi vigenza «qualora si tratti di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità fisiche o psichiche della persona offesa»[40] torna in vigore la regola dell’art.59 c.p. .

 

4. Paragrafo  - L’errore sul nesso causale (brevi spunti per future riflessioni).

L’errore sul nesso causale deve essere ritenuto sempre  irrilevante?

La risposta deve essere affermativa «almeno finché la divergenza tra decorso causale prefigurato e decorso causale effettivo non sia tale, da far escludere che l’evento costituisca pur sempre realizzazione dello specifico rischio insito nell’iniziale azione del soggetto»[41]. Il nesso di causalità è il rapporto causale, logico, esistente tra un’azione od omissione, la causa, e l’evento dannoso o pericoloso, l’effetto. Il reato ha il suo fulcro proprio nell’evento frutto di una condotta. L’errore sul legame tra i due estremi è l’oggetto dell’analisi di questo paragrafo. Al giudice interessa ricostruire la causa dell’evento criminoso per poter poi attribuire ad un soggetto la paternità del fatto. Il criterio di impostazione oggettivo è stato indicato dal nostro legislatore, a differenza di altri ordinamenti stranieri, nel codice penale agli articoli 40 e 41. Queste disposizioni rappresentano dei binari che il giudice deve seguire per ricondurre con la sua ricerca (iura novit curia) l’evento all’azione.  Varie sono state le teorie elaborate in dottrina per tentare di escogitare un criterio generalmente valido che riuscisse a collegare l’evento alla sua causa. Quello che interessa ai fini del discorso sull’errore di fatto sul fatto è la questione della rilevanza dell’errore che ricade proprio su questo momento del fatto tipico. In genere si afferma che l’errore su questo momento del fatto tipico non rilevi ai fini dell’esclusione del dolo; questa affermazione è pienamente condivisibile nei reati c.d. a forma libera, in cui il bene tutelato dall’ordinamento giuridico è così importante, o fragile, da essere tutelato contro qualsiasi modalità di aggressione. Quel che offende il delitto, in questi casi, è la stessa lesione o messa in pericolo del bene. In tali reati l’errore sul nesso causale non rileva ai fini della formazione del dolo perché il “come” si è realizzato il fatto tipico non è  elemento fondamentale per la venuta in essere di quel reato; sarà forse rilevante ai fini della valutazione delle circostanze ma non dell’esistenza del dolo di fattispecie. Nei reati a forma vincolata il nesso causale non è genericamente posto ma è specificato dallo stesso legislatore perché quello che il delitto offende non è il bene leso o messo in pericolo in via generale, ma la lesione, o la messa in pericolo, del bene mediante quella condotta: è quella determinata modalità di lesione che offende il bene giuridico difeso dalla norma penale. Prendiamo ad esempio il delitto di epidemia, art.438: nel dolo di questo delitto non può mancare la rappresentazione e la volontà di cagionare l’evento epidemico attraverso le modalità specificate dal legislatore, mediante la diffusione di germi  patogeni. Da questo esempio e dall’esame di quanto scritto appare chiaro che oggetto dell’errore, di conseguenza del dolo, non è l’evento ma l’intero fatto di reato, solo un errore sul fatto che costituisce il reato può essere giudicato rilevante ai fini dell’esclusione della punibilità.

Dott. Leo Stilo

 

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[1]  DIGESTO 22.6.9 pr.(Paul. lib. sing. de iuris et facti ignorantia)

[2] FLORA, voce Errore ,in Dig.disc.pen.,Torino,IV,1990,255 ss.

[3] MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. II, Torino, 1908,19.

[4] PALAZZO, Ignorantia legis: vecchi limiti ed orizzonti nuovi della colpevolezza, in Riv. It., 1988, 924 ss.

[5] Questa concezione “autoritaria dello Stato” è presente come motivo di fondo, implicito ed esplicito, in alcune opere: SATTA, voce Atto amministrativo, in Enc. Giur., IV, 1989; SATTA, Giustizia amministrativa, 3ª ed., Padova, 1997, 200 ss; SATTA, Imparzialità della pubblica amministrazione, in Enc. Giuridica Treccani, vol XV, Roma, 1988. L’idea è suggerita anche da un altro Auotore: CARACCIOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, Padova, 1998,135 ss.

[6] Basta leggere con attenzione alcune delle più belle pagine scritte da KAFKA (nel suo romanzo “IL Castello” o “Il Processo”) per rendersi conto della visione “Autoritaria dello Stato” presente nel quotidiano vivere ancora oggi saldamente ancorata, come ostrica allo scoglio, nella cultura della nostra Pubblica Amministrazione. E’ un elemento presente nella nostra cultura giuridica, in particolare del diritto Amministrativo, che difficilmente viene messo a fuoco in modo chiaro, perché costituisce un “sottofondo” che è stato sempre presente nella storia dei rapporti tra sudditi e sovrani e oggi tra governati e governanti.

[7] FLORA, voce Errore ,op.cit, 259

[8]  FLORA, voce Errore ,op.cit.,259

[9] Pellicciari, Errrore sul fatto e sul precetto: legge extrapenale (problematiche applicative), in AA.VV., Studi di Diritto Penale (Diritto & Formazione) a cura di CARINGELLA e GAROFOLI, Giuffrè, 2002,742.

[10] Pellicciari, Errrore sul fatto e sul precetto: legge extrapenale (problematiche applicative), op.cit., 745.

[11] Per una dettagliata rappresentazione del problema vedi: LICITRA, L’errore sulla legge extrapenale, Padova, 1988, 3:«Va subito evidenziato che le sentenze in cui viene negata la rilevanza dell’errore su legge extrapenale sono di gran lunga prevalenti,tanto che si può parlare,a proposito del terzo c. dell’art. 47, cod. pen., di applicazione eccezionale…».

[12] Grosso, voce Errore(diritto penale), in Enc.giur.Treccani,Roma,XIII,1989, 2.

[13] Romano, Commentario Sistematico del codice penale, Milano,1995,Art. 47.

[14] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen., op. cit.,260.

[15] Per approfondimenti sulla distinzione tra errore senso-percettivo ed errore di valutazione( o intellettivo) si rinvia a quanto scritto nel paragrafo 3 del Primo Capitolo di questa ricerca.

[16] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen., op.cit. ,260: «es.:non percepisco la presenza di un liquido altamente infiammabile nel luogo ove getto un fiammifero ancora acceso…».

[17] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen.,op.cit.,260 :« es.: scambio per una innocua biscia un velenosissimo serpente che infilo, per scherzo, nel letto della suocera…ritengo di poter impedire la morte, che sono giuridicamente tenuto a scongiurare, dell’intossicato da veleno , somministrando del semplice latte, anziché un più efficace antidoto; ritengo che una elevata dose di sedativo provochi nel figlio neonato che m’impedisce di riposare un lungo sonno, ma non ne cagioni la morte).

[18] Fiandaca-Musco,op.cit.anche nell’ambito del diritto penale è radicata la tradizionale distinzione tra errore di fatto ed errore di diritto: il primo(error facti) di solito consiste in una mancata o errata percezione della  realtà esterna(ad es.un cacciatore non si accorge di prendere di mira un uomo, anziché la selvaggina)…»

[19] De Simone,L’errore sul fatto costitutivo, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice penale. Parte generale, diretta da Bricola e Zagrebelsky, I, Torino, 2ª ed., 1996,671.

[20] Art. 47, primo comma, c.p.Errore di fatto – L’errore sul fatto che costituisce reato esclude la punibilità dell’agente. Non di meno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità  non è esclusa, quando il fatto  è preveduto  dalla legge come delitto colposo.».

[21] Grosso, voce Errore(diritto penale), in Enc.giur.Treccani,Roma,XIII,1989, 2

[22] Grosso, voce Errore(diritto penale), op.cit., 2

[23] Esempio utilizzato da: Grosso, voce Errore(diritto penale), op.cit. ,1989, 2

[24] Fiore, Diritto penale, Parte generale, Utet, 1993,275

[25] De Simone, L’errore sul fatto, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice penale. Parte generale, diretta da Bricola e Zagrebelsky, I, Torino, 2ª ed.,1996,672.

[26]Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, 3ª ed. , Bologna, 1995,330:« Sia l’errore che l’ignoranza devono vertere su elementi essenziali del fatto: cioè su elementi.  La mancata conoscenza dei quali impedisce che il soggetto si rappresenti un fatto corrispondente al modello legale. E’ questo il caso… del bracconiere: l’errore qui scusa perché  l’omicidio doloso presuppone che l’agente sia consapevole di dirigere l’azione contro un uomo, essendo la  qualità di uomo requisito essenziale del soggetto passivo del reato.»; Pagliaro, Principi del diritto penale, Parte generale, 6ª ed., Milano, 399:«Per avere giuridico rilievo l’errore deve avere ad oggetto un elemento essenziale per l’esistenza del dolo o, rispettivamente, della colpa.»; Grosso, voce Errore(diritto penale), in Enc.giur.Treccani,Roma,XIII,1989, 2:« L’errore di fatto che rileva ai sensi del 1 co. dell’art. 47 c.p. è soltanto l’errore su di un elemento essenziale del reato…»; Santucci, voce Errore (dir. pen.), in Enc.. dir., XV,  Milano, 1966, 283:«Deve… trattarsi di un errore essenziale perché possa essere operante come causa di esclusione, di un errore che cade su un estremo essenziale del reato, o meglio su uno o più di quegli elementi o circostanze di fatto la cui conoscenza è essenziale per l’esistenza del reato»;Romano,Commentario sistematico del codice penale,Giuffrè,1987,415s:« L’errore sul fatto che costituisce il reato e l’errore su uno o più degli elementi costitutivi o essenziali del reato stesso: questi si ricavano dalla singola norma incriminatrice nella quale è espresso il singolo tipo di illecito, cioè il modello di reato caratterizzato da un suo particolare contenuto di disvalore.»; si allineano in armonia con queste conclusioni  la maggior parte degli Autori, tuttavia come molte volte rilevato è frosali, nella sua monumentale opera sull’errore a pagina 273, a chiarire con poche parole i concetti che come una sorta di edictum tralaticium si trasmettono, in argomento di errore, da un Autore all’altro rimanendo inalterati:«…l’errore preveduto dall’art.47 è quello avente per oggetto un elemento senza del quale il fatto (nei suoi componenti: comportamento ed  evento) non è fatto di reato, un elemento cioè, necessario ad integrare la figura di un determinato fatto-reato prevista dalla legge. Sono gli elementi (di fatto) costitutivi essenziali del reato: sia generali, cioè necessari per ogni reato, sia speciali perché esista il singolo reato di cui si tratta ; e tali da esser compresi, secondo la nostra legge, o nel comportamento, o - per il tramite del nesso causale – nell’evento inteso in senso tecnico.».

[27] Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, op.cit., 330 e 331.

[28] Santucci, voce Errore (dir. pen.), op.cit.,290.

[29] Santucci, voce Errore (dir. pen.), op.cit.,290 aggiunge altre differenze:«… inoltre l’art.83 configura nel comma I sempre un reato colposo e nel  comma II regola il concorso di esso col reato voluto, mentre l’art.47 non prevede tale concorso».

[30]Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen.,op.cit.,269

[31] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen., op. cit.,269

[32] Scordamaglia, voce Peculato, in Enc.. dir., XXXII,Milano,1982.

[33] Scordamaglia, voce Peculato, op.cit..

[34] Scordamaglia, voce Peculato, op.cit.:: « L’ipotesi preveduta – ad abundantiam, com’è stato affermato – dall’art.47, comma 2 c.p. ha infatti la sua ratio nella necessità di evitare che il soggetto il quale ha voluto un determinato fatto, che egli ha compiuto in vista di un certo risultato… ove incorra in errore sul fatto che costituisce quel determinato reato… possa poi rimanere impunito quando il suo fatto resti tuttavia riconducibile a una diversa figura di reato».

[35] Art.60 c.p.:«Errore sulla persona dell’offeso».

[36] Santucci, voce Errore (dir. pen.), op.cit.,  299.

[37] Art.577 n.1 c.p.:«Altre circostanze aggravanti. Ergastolo- Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’art,575 è commesso: 1) contro l’ascendente o il discendente;…»

[38] Art.59, primo comma, c.p.:«le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti».

[39] Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, op.cit., 379.

[40] Art.60 c.p.

[41] Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, op.cit., 331.