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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 

Capitolo III

L’errore sul fatto determinato da un errore su legge extrapenale.

di Leo Stilo

 

1. L’evoluzione storica del rapporto ignorantia legis ed error iuris si cristallizza, nella prima metà del XX secolo, nel problema dell’esatta collocazione dell’errore su legge extrapenale.

 

 

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La figura dell’errore su legge extrapenale rappresenta, oggi come nel passato, un argomento difficile da affrontare per tutti gli studiosi che si cimentano nell’arduo tentativo di dare un aspetto più semplice e chiaro alla teoria dell’errore.

Alcuni grandi pensatori hanno il dono di inquadrare i problemi, almeno nelle loro linee essenziali, in modo da intuirne l’essenza e per questo riuscire a proiettare nel futuro, oltrepassando le barriere culturali segnate dal tempo, il loro pensiero. Tra questi Autori si colloca il Carrara che ha «…il merito…di aver impostato la problematica dell’errore in termini che potremo definire moderni vale a dire lungo la duplice direttrice della individuazione delle ragioni di fondo che giustificano un principio così rigoroso come quello dell’ignorantia legis non excusat, e della elaborazione di un criterio che valga a distinguere gli errori che escludono il dolo da quelli che invece lo lasciano sussistere.»[1]. Queste due direttrici saranno il punto di partenza e d’orientamento per i compilatori del codice Zanardelli e per la giurisprudenza di quegli anni (anche il codice Rocco subirà il fascino del pensiero di quest’Autore)[2]. Carrara pone a fondamento, dell’impossibilità di scusare l’ignoranza della legge, una giustificazione di natura politica (l’intero edificio del «iure punitivo» sarebbe esposto ad un grave pericolo[3]) e una giustificazione, strettamente legata alla prima, che fonda le sue ragioni su una presunzione di conoscenza necessaria per non ridurre lo Stato nel momento più alto e importante, quello del giudizio penale, ad essere subordinato alla condizione del singolo.[4] Per comprendere il quadro, entro il quale Carrara ha posto la disciplina dell’ignoranza e dell’errore, è necessario chiarire altri due punti. In primo luogo, l’Autore, attenua il rigore del suo pensiero quando discute dell’ignoranza che cade su una legge diversa da quella norma incriminatrice applicabile nell’attualità del giudizio. Questa visione si concorda con la predetta giustificazione grazie alla convinzione che la « norma diversa da quell’incriminatrice, applicabile al caso concreto degrada a mera circostanza di fatto.».[5] Il secondo punto, conseguenza e specificazione del primo, conduce a ritenere che, per Carrara, gli elementi normativi della fattispecie penale (elementi che si affiancano a quelli descrittivi nella formulazione della disposizione penale) «…non possono che essere elementi di fatto o comunque elementi, in qualche modo, a questi assimilabili.»[6]. Il pensiero dell’Autore poggia su quella suddivisione, dicotomica e rigida, tra errore di fatto e di diritto che nata nel diritto romano trova l’humus necessario per sopravvivere e giungere sino ai tempi più recenti, passando incolume ed adattandosi alle esigenze tanto del diritto intermedio[7] che del periodo delle grandi codificazioni[8]. L’articolo 44 del codice Zanardelli è fortemente intriso del pensiero del Carrara e delle problematiche ad esso connesse. «Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale»: tale norma è il risultato di un lungo lavoro di revisione delle Commissioni che elaborarono i diversi progetti ispiratori della formulazione definitiva dell’articolo.[9] Legata all’Autore è sicuramente la scelta di inserire il principio dell’ignorantia legis non excusat nell’articolo 44, all’interno del Titolo Dell’imputabilità e delle cause che la escludono o la diminuiscono.[10]  Il momento più interessante e determinate per lo sviluppo successivo della dottrina e della giurisprudenza è dato dall’intervento del commissario Tolomei che propose di aggiungere alla disposizione, che si riferiva genericamente alla legge, l’aggettivo penale, La proposta fu approvata ed inserita nel testo definitivo dell’articolo 44 del codice Zanardelli. E’ degno di nota il fatto che  Palazzo individua nell’approvazione di questa proposta il momento del concepimento della figura «ibrida» dell’errore su legge extrapenale. Le difficoltà,  accentuate dagli articoli del codice Rocco, che riprendono e delineano questa figura di errore nascerebbero, quindi, da un difetto genetico dell’interpretazione del pensiero del Carrara. L’esigenza, avvertita in Commissione, di eliminare ogni possibile interferenza negativa dell’originaria formula dell’articolo 44 sull’errore sul fatto, limitandone l’ambito di applicazione nel caso in cui si basi su un errore di diritto[11], portò all’individuazione all’interno dell’errore di diritto di un errore su legge penale e di un errore su legge extrapenale. Impallomeni, studioso non lontano dal pensiero di Carrara, nel suo discorso sull’ignoranza della legge penale[12], distaccandosi dal passato, indicò alcuni temperamenti da attuare sulla rigida regola dell’art. 44 del codice Zanardelli. [13]  La strada verso una maggiore valutazione degli aspetti soggettivi fu dall’Autore spianata nel punto in cui ammise l’esistenza di una giustificazione da poter avanzare contro il principio dell’ignorantia legis non excusat. La predetta “scusa” trovò fondamento nella dimostrazione che l’imputato doveva dare « di essere stato nell’impossibilità di conoscere la legge penale, ovvero di non avere potuto evitare l’errore sulla stessa»[14]. La rivoluzione, che si concretizzerà nella sentenza n.364 del 1988 della Corte costituzionale, ha compiuto in quel frangente il suo primo e importante passo nella direzione di attribuire sempre maggiore rilevanza all’imputato e alla sua persona. Altri studiosi, sotto la vigenza del codice Zanardelli, si sono impegnati a cercare una soluzione del problema sollevato dall’articolo 44 e dalle sue sempre più angosciose problematiche.

Tra i diversi studiosi occupano un posto di rilievo: Civoli e Manzini.

Il primo poggia il suo pensiero sul presupposto dell’inesistenza di un generale obbligo di conoscenza della legge penale[15] e distingue tra leggi penali che traducono positivamente azioni ritenute ingiuste dalla coscienza di ogni consociato[16] e leggi che impongono dei comportamenti che vanno oltre quel comune bagaglio di “coscienza – conoscenza” del singolo. Civoli utilizza questa bipartizione della legge penale per giungere alla conseguenza che l’articolo 44 si applica senza alcuna riserva solo alle norme penali sentite come portatrici di un sentimento d’ingiustizia che trova fondamento nella coscienza dell’uomo normale; mentre, l’articolo 44, per i reati di pura creazione legislativa, che non trovano un sicuro fondamento nella coscienza dei consociati, distingue tra la norma d’agire non rientrante nella previsione dell’articolo e la punibilità non scusabile ai sensi dell’articolo 44[17] [18].

Manzini[19] imposta il suo studio sull’errore ponendo l’articolo 44 all’interno del più ampio discorso riguardante la generale obbligatorietà della legge. Sottolinea l’esistenza di un particolare dovere di conoscenza imposto dalla sovranità dello Stato[20]. Tale impostazione tradisce, sin dal principio, l’importanza della reale responsabilità del soggetto che compie il fatto ignorando (o errando) il contenuto della norma della legge. In Manzini la condizione di soggezione dei singoli consociati, come della loro somma, si contrappone ad un’autorità ad essi superiore portatrice di propri ed assoluti valori. Nel momento in cui l’Autore, come la prevalente giurisprudenza dell’epoca, non si “abbassa” a livello della persona che ha effettivamente ignorato, o errato, la legge penale cercando di analizzarne la situazione dal punto di vista “soggettivo e personale”, offre implicitamente una visione dell’ordinamento giuridico statale “autoritaria”. La valutazione non cambia neppure quando l’Autore ammette la possibilità di esimere da imputabilità penale l’error communis quando ricade sull’interpretazione di una norma di legge talmente oscura da non essere comprensibile, perché in realtà, afferma Manzini, lo Stato non ha espresso la sua volontà autoritaria non essendo la legge incomprensibile manifestazione positiva, deontologica, dei suoi valori.  Lo stesso criterio adottato per distinguere l’errore, o l’ignoranza, di diritto scusabile da quell’inescusabile trova la sua premessa nella mancanza di un «rapporto con l’esistenza e l’obbligatorietà della norma penale».[21] Con questi due Autori si chiude la parentesi della dottrina formatasi sotto la vigenza del codice Zanardelli. Il legislatore del 1930 ha ulteriormente arricchito il contenuto normativo della disciplina dell’errore e dell’ignoranza della legge penale con la creazione di un nuovo sottotipo di error iuris. Per capire “l’impulso genetico” dell’articolo 47 ultimo comma è necessario dare un’occhiata alla giurisprudenza del periodo antecedente al 1930[22] ed alla libertà data ai giudici, dal codice Zanardelli, di optare per l’interpretazione che meglio di altre, egualmente preferibili, si adattava all’esigenza del caso concreto[23]. Questa “eccessiva libertà” non poteva essere accettata, nella sua carenza di limiti certi ed invalicabili, dal regime autoritario fascista che proprio nello Stato e nella sua “Autorità”, manifestata principalmente della legge, poneva fondamento per realizzare i propri valori ed interessi.[24] Lo strumento utilizzato per chiudere le “scappatoie” liberali fu quello dell’utilizzo, accanto alla distinzione legge penale/extrapenale, della concezione tripartita del reato in modo da rafforzare l’intero sistema punitivo riducendo l’area «della potenziale impunità ed asservirli così alle esigenze repressive del clima politico instaurato»[25]. La struttura, creata dal legislatore del 1930, si presenta complessa e ambigua al punto da provocare negli interpreti una serie di dubbi che sfociano in diverse interpretazioni del significato dell’interazione tra l’art.47 c.p. e l’art.5 c.p. . Dopo l’entrata in vigore del codice Rocco alcuni Autori si occuparono dell’argomento ed una delle opere più importanti, ed imponenti, risale al 1933[26]. Frosali a distanza di settant’anni è fonte non solo di ispirazione, per altri scritti sull’argomento, ma offre con la sua opera un quadro completo delle problematiche e delle tensioni che si vivono sul tema dell’errore nel diritto penale. L’Autore riconosce l’esistenza di un dovere normativo di conoscenza della legge penale[27] e a questa conclusione perviene dopo aver svolto un attento esame delle giustificazioni addotte da altri studiosi del contenuto dell’articolo 44 del codice Zanardelli ed ora dell’articolo 5 del codice vigente. L’altro punto di partenza è rappresentato dalla sua adesione alla tesi dell’integrazione della norma richiamata, sia essa penale o extrapenale, nella norma penale[28]. Nel momento in cui aderisce a tale visione, Frosali, sembra entrare in contraddizione[29], ma questa è superata dall’Autore stesso affermando che il momento discriminatorio tra l’art.5 c.p. e l’art.47,3 comma, c.p. si ha solo per il di più che le leggi extrapenali apportano alla norma penale. L’articolo 5 resta inviolato da questa opinione rimanendo al suo posto, baluardo dall’obbligatorietà e dell’autorità della legge. Il sottile filo conduttore che lega quest’Autore ad altri studiosi, quali il Manzini, non si trova espresso nelle disposizioni di legge, che possono essere manipolate, ma è scolpito nella mente in schemi su cui è “appoggiato”, come base per la successiva costruzione, ogni successivo ragionamento: l’autorità della legge è la condizione necessaria per l’esistenza stessa dello Stato, concepito come ordinatore dell’equilibrio sociale e portatore di verità assolute. Come Carrara influenzò la dottrina e la giurisprudenza per un lungo periodo, lasciando alcune tracce anche nel codice Rocco e nella giurisprudenza successiva, così Frosali, con la sua opera, pose le basi per il futuro discorso sull’errore e sui suoi confini. Il problema che rimane insoluto è: l’errore sulla norma extrapenale richiamata dall’elemento normativo quando si traduce in un errore sul fatto costitutivo del reato?

Domanda cui vari Autori[30] hanno cercato di dare una risposta quanto più precisa possibile, partendo con il loro ragionamento dalle premesse di Frosali sul tema dell’integrazione per giungere ad un criterio per distinguere tra le norme extrapenali richiamate, quelle integranti la norma incriminatrice da quelle attinenti al fatto. Non era concepibile ritenere, partendo dall’integrazione, che ogni norma extrapenale richiamata si traducesse sempre in un errore sul fatto: era necessario “salvare” l’estensione autoritaria dell’art. 5 c.p., norma posta a tutela dell’obbligatorietà oggettiva della legge penale. Cristiani[31], Autore che nelle linee fondamentali si rifà al pensiero di Frosali, getta uno sguardo critico sulla struttura riportando quanto osservato:« la norma extrapenale si aggiunge al fatto materiale descritto dalla legge penale e conferisce ad esso a sua volta un ulteriore fisionomia giuridica…». La norma extrapenale, di conseguenza, si inserisce nel contesto della disposizione ed interagisce con gli altri elementi, dando e ricevendo “significato”. Tale operazione non sfocia nella semplice somma di elementi accostati l’uno all’altro, ma in una fusione di significato che crea qualcosa di nuovo ed autonomo, espressione nel suo complesso del voluto manifestato dall’atto fonte. Gli studiosi successivi trascurarono di concentrarsi su questo momento di riflessione per dedicarsi, “anima e corpo”, alla ricerca del momento discriminatorio tra errore su legge extrapenale integratrice ed errore su legge extrapenale non integratrice della norma penale. Un importante contributo alla teoria dell’errore è stato dato da Gallo. Le conclusioni raggiunte, in tema di errore ex art. 47 c.p. ult. comma, rappresentano un riflesso degli impegnativi studi compiuti sul dolo. L’Autore inizia il suo ragionamento ponendosi la domanda: come si giunge, partendo da un errore che ha ad oggetto immediato una legge, ad un errore sul fatto ?[32]

Per rispondere procede a piccoli passi:« in tanto un errore su norme extrapenali può determinare un errore sul fatto criminoso in quanto la norma in questione concorra a configurarlo»; e subito precisa che:« il fatto di cui si parla, non è il fatto storico, l’aspetto obiettivo della fattispecie concreta realizzata, ma il fatto astratto… certamente, anche nelle ipotesi considerate, si arriva ad un errore sul fatto concreto, ma per il tramite di un errore sul fatto astratto»[33]. Da questa riflessione si possono dedurre alcune conclusioni:

1.      l’art. 47, ult.comma, c.p., disciplina un errore che ha per oggetto immediato la fattispecie legale;

2.      l’art.47, ult.comma, c.p., costituisce una deroga al principio dell’irrilevanza dell’ignoranza del diritto espressa dall’art. 5 c.p. indicandone la rilevanza quando l’errore, o l’ignoranza, cade su elementi normativi della fattispecie astratta.

Il punto di confine tra l’art.47, ultimo comma, c.p. e l’art.5 c.p. è dato dall’oggetto su cui ricade l’errore o l’ignoranza: nel primo articolo sugli elementi normativi; nel secondo sull’intero precetto.[34] Nonostante l’impegno dell’Autore alcuni dubbi rimangono irrisolti: perché l’art. 47, ultimo comma, c.p. costituisce una deroga all’articolo 5 c.p.? Quando un errore è in grado di tradursi sul fatto?

Durante gli anni sessanta pochi studiosi, tra i più importanti ricordiamo Piacenza, Grosso e Santucci, si occuparono dell’errore e in particolare dell’art.47, ultimo comma, c.p. Tra questi Santucci[35] merita una particolare attenzione perché riesce a tracciare una chiara sintesi della dottrina di quegli anni sul tema dell’errore. Per l’Autore: l’errore, come stato intellettuale, è quello che attiene «all’attività conoscitiva del soggetto errante, è errore in senso psicologico». Utilizza gli stessi argomenti, anche bibliografici, di Frosali per annotare l’inesattezza della definizione di errore come «falsa conoscenza» e per affermare l’essenza stessa dell’errore come «stato intellettivo generalizzato e di confronto». Deduce, come ha insegnato Frosali, che l’errore è un particolare stato intellettivo concretizzato in uno stato psicologico profondo ed « intenso, di convinzione e di persuasione». Santucci fissa la distinzione tra errore ed ignoranza concludendo con la constatazione che l’ignoranza, pura, può convivere con la coscienza di sé, mentre l’errore deve essere sempre incosciente.  Concentrando il discorso sull’ignoranza della legge penale, l’Autore, sostiene: « non si può addurre a propria discolpa il credere che il fatto addebitato non fosse previsto come reato o che una certa situazione fosse prevista come causa di non punibilità. Quindi non solo la completa ignoranza, ma pure l’inesatta conoscenza, l’erronea interpretazione della legge penale, non scagiona, né giova all’imputato».[36] Questa situazione di inescusabilità, dell’ignoranza o dell’errore, è «tassativa» solo quando cade sulla legge penale; quando l’errore, o l’ignoranza, cade su una legge extrapenale può «giovare» solo nel momento in cui si provochi un errore di fatto incidente sul dolo. E’ interessante esaminare la direzione intrapresa dall’Autore per porre la base, logica e concettuale, del principio sancito dall’articolo 5 del codice penale. Quest’articolo non si riferisce al dolo e neppure all’imputabilità, ma come il vecchio articolo 44, del codice Zanardelli, solo alla obbligatorietà della legge penale così come è proclamata dall’articolo 3 c.p., del codice Rocco: il dovere, per chi si trova sul territorio della Repubblica, di conoscere la legge. Dopo aver criticato, duramente, le teorie che pongono tale dovere come oggetto di una presunzione o di un obbligo normativo e di un dovere civico, afferma con forza:« la verità è che il principio obbedisce esclusivamente ad una esigenza di ordine politico, di cui è impossibile disconoscere il valore pratico: l’esigenza di una spedita applicazione giudiziaria delle leggi, che sarebbe gravemente intralciata se gli imputati fossero ammessi a provare di aver ignorato il divieto».[37] Dopo aver precisato che l’errore previsto dall’articolo 47 è solo quello che ricade sugli elementi essenziali del fatto di reato[38] e capace di far venire meno il dolo[39], Santucci, affronta il tema dell’ultimo comma dell’articolo 47 con queste parole:«mentre l’ignoranza della legge penale non scusa, se invece l’ignoranza o l’errore cade su legge diversa dalla legge penale, in quanto regola una situazione assunta come fatto costitutivo del reato, e tale errore determini nell’agente la liceità putativa del fatto, allora egli va esente da pena».[40] L’errore sugli elementi normativi può dare luogo a due situazioni diverse: la prima, riconducibile al primo comma dell’art.47 c.p., perché tale vizio opera direttamente sul piano del fatto storico[41]; la seconda riconducibile al secondo comma dell’art.47 c.p., l’errore sul fatto si produce tramite un errore sulla fattispecie astratta[42]. L’Autore dopo queste premesse deduce, come logica conseguenza, la preoccupazione per un uso indiscriminato ed ampio di questa norma che ha portato, “quasi costretto”, dottrina e giurisprudenza ad elaborare meccanismi che ne riducano la portata.  Uno dei criteri adottati fu quello di distinguere all’interno della categoria “norme extrapenali” quelle “integranti” e quelle “non integranti” la norma incriminatrice. Per dare credito a questa teoria si è cercato di dimostrare l’esistenza di: «casi di errore su norme extrapenali non riconducibili nell’ipotesi dell’art.47 comma ult.».[43] Santucci, alla fine di questo lungo discorso, prende una posizione netta sull’argomento:« Noi apprezziamo sostanzialmente queste posizioni di pensiero, riteniamo tuttavia almeno allo stato presente della nostra legislazione di preferirne  qualche altra…come quella che riscontra nelle due ipotesi previste rispettivamente dalla prima e dall’ultima parte dell’art.47 una causazione di errore sul fatto…»[44]. Conclude affermando: l’errore sul fatto ex art.47 ultimo comma «costituirebbe una condizione della rilevanza dell’errore di diritto sulla legge extrapenale non solo, ma starebbe ad indicare un errore non materiale, bensì di valutazione del fatto storico derivato dal primo, per una rappresentazione inesatta del concetto normativo operante sul piano del modello astratto»[45]. In Santucci è ben presente la consapevolezza della difficoltà insita nell’utilizzo dell’articolo 47 ultimo comma. Queste difficoltà sono il riflesso delle incertezze legate alla difficile interpretazione della norma e in particolare all’arduo compito di discernere quando la norma extrapenale sia integratrice della fattispecie incriminatrice. L’errore, come nel caso del primo comma dell’articolo 47, deve cadere su di un elemento normativo essenziale del fatto; altrimenti rimane irrilevante.

 

Paragrafo 2 - Palazzo e Pulitanò. Un nuovo impulso alla soluzione del rapporto intercorrente tra l’ignoranza della legge penale e l’errore sul fatto.

 

Negli anni ’70 alcuni Autori ritornano ad occuparsi dell’errore dopo un periodo, un decennio, in cui la dottrina aveva trascurato l’argomento. La capacità di riaccendere l’interesse per la problematica dell’errore, in particolare per l’articolo 47 ultimo comma c.p., non può non essere riconosciuta a questi due Autori che attraverso la loro opera riportano al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale il problema della compatibilità di una rigida interpretazione dell’art. 5 c.p. con la Costituzione. La scintilla, scoccata nella mente di due studiosi, si tramutò in un incendio che travolse la rigida palizzata eretta attorno all’art.5  c.p.. La barriera, eretta sin dal diritto antico, vacilla e crolla sotto il peso dell’art. 27 della Costituzione.

Paragrafo 3 - Palazzo.

Nel 1974 Palazzo pubblica un’opera su un argomento, la disciplina dell’errore ex articolo 47 ultimo comma, considerato, allora come oggi, un vero rompicapo. Analizzare nel dettaglio l’intera opera è un compito che va oltre lo scopo della breve sintesi che in questo capitolo si vuole attuare; l’analisi, infatti, si limiterà ad indicare gli elementi caratterizzanti il pensiero del Palazzo e rilevanti per il futuro dibattito dottrinale e giurisprudenziale. I punti da cui partire, per descrivere la posizione dell’Autore, possono essere così sintetizzati:

 

1)   l’errore sulla legge extrapenale è in realtà un errore su la legge penale richiamante;

2)    il primo punto non può e non deve condurre alla conclusione di intendere l’art.47 ultimo comma come un’eccezione alla disciplina dell’art.5 c.p.

 

Uno dei capitoli più interessanti, dell’opera monografica sull’errore, è il terzo: «L’errore sulla legge extrapenale nella contrapposizione tra errore di fatto ed errore di diritto». In questo capitolo, dopo aver analizzato la natura dall’errore di fatto, visto come errore di percezione, ed aver ricondotto l’errore di diritto nella categoria dell’errore di valutazione, passa ad analizzare nel terzo paragrafo, «Le definizioni dottrinali di legge extrapenale», uno dei punti fondamentali della sua intera opera.

 

Il discorso prende le mosse da un attento esame dei requisiti necessari per potere applicare l’art.47 ult.cpv.c.p.: il primo requisito indica l’oggetto del tipo di errore in esame, si deve trattare di una legge diversa da quella penale; il secondo «che tale errore si converta in un errore sul fatto di reato, che riguardi cioè un elemento del fatto storico che trovi riscontro nella fattispecie astratta.»[46]. L’errore che può scusare è quello che cade su una legge extrapenale richiamata dalla legge penale ed è quello determinante per la descrizione della fattispecie. L’Autore individua le maggiori difficoltà incontrate dagli interpreti, nel definire il contenuto della legge extrapenale, nel fatto che l’errore su quest’ultima deve essere idoneo a convertirsi in un errore sul fatto di reato, descritto dalla norma penale richiamante. Tutto ciò significa, in ultima analisi, che la legge richiamata, extrapenale, sia parte essenziale della descrizione della fattispecie richiamante, penale.[47] Il problema, messo in luce anche da altri autori[48], risiede nella constatazione che la norma extrapenale richiamata concorre a dare significato alla norma richiamante e da questa constatazione si può dedurre “la natura penale dell’errore su legge extrapenale”. La legge extrapenale richiamata non è altro, in questa visione, che parte della norma penale: l’errore sulla prima si converte direttamente in un errore sulla seconda. Con questo ragionamento l’Autore individua la chiave di lettura di molti atteggiamenti della giurisprudenza del tempo e d’alcune posizioni della dottrina. La critica alla giurisprudenza[49] del tempo, in particolare nei confronti della Suprema Corte, è dura e rivolta, principalmente, ai motivi che inducono i maggiori interpreti del diritto ad una interpretazione abrogante dell’articolo 47 ult.cpv.c.p.. L’Autore, Indicando, nel ragionamento in precedenza descritto, la giustificazione formale di  tale atteggiamento, riesce ad andare oltre l’apparenza e individua il reale motivo di questa scelta giurisprudenziale:« mentre la ragione profonda consiste nel timore che l’ammissione dell’efficacia scriminante dell’errore su legge extrapenale costituisca una pericolosa breccia dalla quale potrebbero passare poi altri più  poderosi attacchi all’art.5c.p.».[50] Vengono passati in rassegna, nel paragrafo 3 del terzo capitolo dell’opera di Palazzo sull’errore, i vari tentativi della dottrina per evitare la pratica inapplicabilità dell’art.47 ult. cpv. c.p.. Un primo tentativo è quello di far mantenere alla norma integratrice la sua natura extrapenale quando sia destinata prevalentemente a disciplinare e regolare rapporti di natura extrapenale,  trovando applicazione l’articolo 47 ult.cpv.c.p.[51] Palazzo dedica particolare attenzione ad un'altra parte della dottrina che «muovendo sempre dalla premessa che la legge extrapenale una volta richiamata assume natura penale – per cui l’errore su di essa diventa un vero e proprio errore su legge penale - , non ha esitato ad affermare che l’art. 47 ult.cpv.c.p. ha una funzione derogatrice dell’art.5 c.p.»[52].  Durante la critica alla predetta posizione della dottrina l’Autore fissa uno dei momenti chiave della sua ricerca: «E’ senz’altro vero che l’errore sulla legge extrapenale richiamata si risolve in definitiva in un errore sulla legge penale richiamante…(omissis)…ma da ciò non discende automaticamente la necessità di considerare l’art. 47ult.cpv.c.p. come eccezionale e derogatorio del fondamentale art. 5 c.p.: non è infatti, possibile escludere a priori che il significato «di legge penale» con cui questa locuzione viene assunta nell’art.5 c.p. sia diverso da quello della «legge penale» oggetto dell’errore nel quale si converte l’errore di cui all’art.47 ult.cpv.c.p.».[53] Palazzo si sofferma, in sintesi, ad analizzare il significato del termine “legge penale” nei due articoli, 5 e 47 c.p., e si chiede se in entrambe le norme assuma lo stesso significato. Con un interessante ed elegante ragionamento l’Autore indica l’impossibilità logica di considerare l’errore su legge extrapenale come una mera eccezione all’art.5 c.p.[54] Vengono prese in considerazioni, dall’Autore, altre opinioni: una di queste definisce la natura della norma extrapenale richiamata come penale dal punto di vista della «proposizione logica che concorre alla descrizione della  fattispecie, ma come norma precettiva mantiene la sua natura originaria»[55], per questo «il legislatore usando l’espressione «legge extrapenale» non ha potuto riferirsi ad altro che alla natura originaria della norma richiamata, la natura cioè che essa ha nella sua forza precettiva».[56] L’attenzione viene rivolta ad una quarta opinione, che ha tentato di dare una risposta al problema del coordinamento degli articoli 47 ult.cpv.c.p. e 5 c.p. Il problema dell’errore su  legge extrapenale viene trasportato su  un campo particolarmente fecondo: il piano del fatto. Palazzo imposta la sua critica accettando l’idea che l’errore su legge extrapenale possa provocare una non corretta conoscenza del fatto e puntualizzando la distinzione tra errore di diritto sul fatto, disciplinato dall’art.47 ult.cpv.c.p., dall’errore di fatto sul fatto, previsto nell’art.47 primo c. c.p.. Palazzo non accetta, e critica, la mancanza di precisione di alcuni sostenitori di questa teoria perché rileva che utilizzino «spesso la formula errore sulla fattispecie (astratta riteniamo) per indicare il fenomeno psicologico di cui all’art.47 ult.cpv.c.p.». In conclusione, l’insigne Autore riconosce a quest’ultima visione un «nucleo di verità»[57]. Prima di proseguire nell’esame della posizione sostenuta da Palazzo, può essere utile procedere ad alcune puntualizzazioni sulla parte del pensiero in cui l’Autore tenta di definire l’esatto e diverso significato del termine «legge penale», utilizzato negli articoli 47 e 5 c.p..

 

Se l’oggetto dell’errore su legge extrapenale è diverso dall’oggetto dell’art.5 c.p., «qual è allora, ex art. 5 c.p., la legge la cui ignoranza l’imputato non può invocare a propria scusa?»[58].  La risposta è data, nel quarto capitolo dell’opera, «L’errore sul precetto e l’errore sul fatto»[59], a conclusione di un articolato discorso nel primo paragrafo, «L’ignoranza della legge penale». L’Autore mette in luce le difficoltà che gli interpreti del diritto hanno incontrato nel cercare delle argomentazioni logiche e filosofiche per dare fondamento al rigido principio contenuto nell’articolo 5 c.p.. Purtroppo, la stessa lettura della disposizione legislativa non lascia adito a nessun’altra giustificazione se non quella di natura politica. E’ Indicata la presenza, in molti paesi d’Europa occidentale, di una tendenza a ricercare soluzioni più moderate per interpretare in modo meno rigido il principio ignorantia legis non excusat. Vista «la inequivoca formulazione della norma non poteva, d’altronde, non apparire, oltre che rigorosa, anche talmente ovvia da non consentire lunghi indugi interpretativi sull’art.5 c.p., sicché l’attenzione si è soprattutto rivolta a definire l’arduo concetto di legge «extrapenale», ricavando quello di legge «penale» per differenza.»[60] L’attenzione in passato, afferma Palazzo, si è concentrata principalmente su una delle due proposizioni logiche contenuta nell’art.5 c.p., «ignoranza della legge penale», mentre si è trascurata l’altra, «invocare a propria scusa». La necessità avvertita dal legislatore di puntualizzare in una norma l’impossibilità di invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale ha svincolato la responsabilità penale dalla rimproverabilità.[61] Il legislatore ha negato efficacia scusante alla legge penale la cui conoscenza giustificherebbe il rimprovero per il fatto commesso[62]. La ricerca dell’esatto  significato  della «legge penale» ex art. 5 c.p. prosegue escludendo dal discorso il riferimento alla sanzione, precetto secondario, e alla sua ignoranza; l’attenzione deve essere focalizzata sul precetto primario e in particolare sulla distinzione «tra il «contenuto» del precetto e il  «precetto in sé».».[63] Nel primo rientrerebbe la descrizione del fatto, oggetto del comando o del divieto; mentre il secondo porta con sé una maggiore partecipazione soggettiva includendo un momento valutativo del fatto descritto dal primo. E’ la conoscenza del «precetto in sé» a fondare la rimproverabilità; la sua ignoranza sarebbe sufficiente per invocare la scusa, indicando il contenuto “centrale” del termine “legge penale” contenuta nell’art.5c.p.. Per quanto riguarda il «contenuto del precetto», l’Autore è consapevole dell’accertamento da compiere per valutare quanto la conoscenza di questa realtà sia influente al fine di poter muovere un rimprovero al soggetto. Il rimprovero può essere mosso all’autore del fatto «solo quando egli fosse a conoscenza, al momento della commissione del reato, del divieto: cioè del rapporto intercorrente tra fatto e l’ordinamento…per legge penale ai sensi dell’art.5c.p. si deve intendere il divieto di commettere un determinato fatto.».[64] Per Palazzo il soggetto, anche se non può essere rimproverato per l’ignoranza dell’antigiuridicità penale può essere rimproverato per essere andato contro l’antigiuridicità generale dell’intero ordinamento giuridico. « Pertanto, la «legge penale» alla cui ignoranza, in mancanza dell’art.5c.p., potrebbe teoricamente essere attribuita efficacia scusante, non può essere identificata con il divieto «penale»,  cioè con la specifico rapporto di contraddizione tra un fatto e l’ordinamento penale, bensì con la generica contraddizione tra il fatto e l’ordinamento giuridico della collettività. La conoscenza di questo contrasto tra il fatto e l’ordine della collettività organizzata…può essere normalmente preteso da chiunque».[65] La risposta alla domanda sul contenuto del termine “legge penale” utilizzato dal legislatore nell’art.5 c.p. può essere sinteticamente data riportando le parole del Palazzo: «Muovendo da questo concetto di rimproverabilità siamo giunti ad identificare la «legge penale» col precetto che dà carattere antigiuridico al fatto».[66] Questa conclusione deve essere tenuta a mente e posta come base su cui poggiare la distinzione, compiuta dall’Autore, tra oggetto dell’art.47 terzo comma e dell’art.5 (il ragionamento prosegue nei paragrafi successivi[67] del quarto capitolo). Una parte della dottrina inseriva nell’oggetto del dolo l’offesa al bene giuridico tutelato e in questa visione il ruolo dell’art. 5c.p. doveva essere ridimensionato per non compromettere, alla base, la stessa premessa teorica. L’art.5 aveva così il ruolo, nell’ordinamento giuridico, di escludere la possibilità di invocare, come scusa, l’ignoranza di quella che venne definita «protezione penale» riconosciuta ai beni offesi.[68] Per Palazzo, dietro la semplice definizione «offesa è la lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto»[69], si cela un’equivocità di significati che vengono messi in risalto da un argomento come l’errore, in cui anche le complesse distinzioni si devono ulteriormente “spaccare in due”. Si è giunti così ad affermare che oggetto dell’errore sul precetto è la sola antigiuridicità formale, mentre il dolo estende la sua influenza anche all’antigiuridicità materiale. Dopo aver criticato la c.d. antigiuridicità materiale, l’Autore sottolinea la sua adesione all’opinione che considera oggetto del dolo ogni elemento del fatto, compresa l’antisocialità del fatto nel suo complesso. Ma il problema, ancora irrisolto, è per Palazzo quello di individuare la posizione della coscienza, o dell’ignoranza, «della antigiuridicità nella sistematica dell’elemento soggettivo del reato».[70] Non basta la coscienza dell’antisocialità per irrogare una pena, rimproverare, «e ciò non solo perché non esclusivamente i fatti di reato sono dotati di un disvalore sociale, ma soprattutto perché alcuni reati ne sono privi.»[71] Ma l’ordinamento giuridico italiano che posizione ha preso nei confronti della coscienza dell’antigiuridicità? Di sicuro, afferma Palazzo, il legislatore penale non ha lasciato alla dottrina il compito di definirne il ruolo e il problema rimane ancora una volta concentrato sull’art.5 c.p.e sulla sua compatibilità con quella dottrina, precedentemente indicata, che inserisce l’offesa nell’oggetto del dolo. L’offesa si identifica nel concetto di antigiuridicità, dato che il giudizio di offensività viene determinato alla luce dell’intero ordinamento. A questo punto, «è compatibile con l’art.5 c.p. l’affermata necessità, ai fini del dolo, della coscienza dell’offesa così concepita?»[72] La compatibilità viene ottenuta grazie alla riduzione ad un ruolo più modesto dell’art.5c.p.; ruolo in cui viene esclusa la rilevanza dell’ignoranza « dell’essere il fatto penalmente sanzionato». A questo punto appare necessario rifarsi alla classica distinzione tra delitti c.d. naturali e quelli di pura creazione legislativa. Nel caso dei delitti naturali quello che accade normalmente è la piena consapevolezza nel soggetto agente, accanto alla coscienza dell’offesa, della correlazione sanzione penale / fatto lesivo di beni tutelati dall’ordinamento  giuridico. Non sarebbe possibile nel caso in cui il soggetto fosse consapevole solo dell’offesa, e non della sanzione penale ad essa correlata, invocare l’ignoranza di quest’ultima come scusa per la presenza nel nostro ordinamento dell’art.5c.p. Il secondo caso è quello dei reati di pura creazione legislativa, in questo caso la consapevolezza dell’offensività del fatto è un tutt’uno con la conoscenza della norma penale da cui trae il carattere offensivo il fatto di reato. Questa parte della dottrina, criticata da Palazzo, non esita nei casi di reati di mera creazione legislativa ad affermare: «l’art.43, primo comma,c.p. introduce in questo settore un «implicito limite» all’art.5 c.p., e che, in definitiva, l’errore sulla norma incriminatrice può escludere il dolo in quanto si converte pur sempre in un errore su un elemento del fatto: l’offesa»[73]. Per Palazzo questa teoria non ha fondamento perché farebbe dell’art.5 c.p. una norma inutile, per i delitti naturali, e sempre derogata, per i delitti artificiali. « Pertanto, crediamo di poter concludere che l’offesa o l’antigiuridicità del fatto non è oggetto del dolo, bensì di quel vizio di conoscenza contemplato dall’art.5c.p.»[74]. Con queste parole il pensiero dell’Autore si cristallizza in una struttura articolata ed armonica, in cui ogni tassello acquista rilevanza se posto nella  “giusta collocazione”. In questa visione, l’art.5c.p. esclude la possibilità di invocare a propria scusa l’ignoranza dell’antigiuridicità ed afferma, lapidariamente, che la responsabilità penale non è legata alla coscienza dell’antigiuridicità del fatto e il rimprovero per il fatto commesso è reso indipendente dalla rimproverabilità dell’agente. Rimane inclusa in questa norma, orba ed ottusa, anche l’inevitabilità o l’impossibilità di venire a conoscenza dell’antigiuridicità del fatto da parte dell’agente. L’articolo 5 c.p. opera nell’ambito della colpevolezza, identificata dalla teoria dominate con la formazione, rimproverabile,  del volere.[75] La responsabilità penale, secondo l’art.5c.p., non dovrebbe poggiare sulla colpevolezza. Per l’Autore è chiara, a questo punto, la illegittimità del suddetto articolo: sia per i sostenitori della tesi della  costituzionalizzazione del principio di colpevolezza,  art. 27, primo comma, Cost.;  sia in vista della funzione assegnata alla pena di retribuzione e di rieducazione nell’art.27, terzo comma, dalla Costituzione. Le finalità insite nell’art.27 Cost. non possono essere perseguite se non si può rimproverare l’autore per l’offesa arrecata e se non si può considerare la sua condizione sociale e culturale. «Entrambe le situazioni presuppongono nel soggetto la coscienza, o almeno la possibilità di conoscenza, dell’antigiuridicità del fatto.».[76] In tema d’ignoranza ex art.5c.p. due sono i punti conclusivi del pensiero di Palazzo: 1) il rigore di tale principio è maggiormente avvertito nei reati di mera creazione legislativa, dove è sempre più difficile, visto il crescente numero e la loro “artificiosità”, conoscerne il contenuto; 2) la conclusione si concretizza nell’aver individuato l’oggetto dell’art.5c.p. nell’ignoranza dell’antigiuridicità. L’errore sul fatto originato da un errore su norma penale extrapenale o extragiuridica per rilevare non deve convertirsi in un errore sul precetto.

 

«Com’è possibile che l’errore su una legge diversa da quella incriminatrice, ma da questa richiamata per il tramite degli elementi normativi, non costituisca errore sul precetto (posto che il precetto essa concorre a configurare)? Com’è possibile, ex art.47, terzo comma, c.p., conservare la conoscenza del divieto o del comando versando in errore su elementi che contribuiscono in maniera decisiva a delineare il volto dell’illecito penale che viene in questione?»[77] Palazzo risponde alla domanda, decisiva per l’intera costruzione della sua visione del rapporto tra art.5 e art.47,ult.comma, c.p., con la descrizione delle «Forme di  errore sul precetto»[78].

 Il vizio di conoscenza deformante la legge penale si manifesta in tre forme:

1)   «ignoranza dell’esistenza del precetto»: il soggetto agisce senza essere a conoscenza del precetto penale che prevede il fatto, da lui commesso, e lo definisce come reato. E’ la situazione di assoluta ignoranza dell’intero precetto e non della sola imperfetta conoscenza del contenuto del precetto. In questa prima forma di mancata conoscenza rientra, per Palazzo, anche la c.d. «ignoranza qualificata»: all’ignoranza, dell’esistenza del precetto penale, si aggiunge la persuasione, errata, della liceità del proprio comportamento.

2)   «errore sulla struttura del precetto»: è un errore che coinvolge la fattispecie astratta, viziando la conoscenza dei suoi elementi. Il soggetto si persuade dell’esistenza, o della non esistenza, di elementi che nella realtà della fattispecie astratta non esistono, o esistono. Quest’errore può concretarsi in uno scambio di un elemento normativo con un altro: «erra ad, esempio sulla struttura del precetto chi ritiene che sia vietato vilipendere la bandiera od altro emblema dello Stato «pubblicamente»(art.292 c.p.):in questo caso, infatti, il soggetto aggiunge erroneamente agli elementi di struttura della fattispecie un altro che sarebbe quello della pubblicità del fatto, che  invece non è richiesto dalla fattispecie.»[79] . Il soggetto è pienamente consapevole della presenza, in quella materia, del precetto penale; ma il suo errore, interessando la struttura, non gli permette di conoscerlo in modo corretto.

3)   «errore sull’ampiezza del precetto»: non vi è, nel soggetto, l’ignoranza dell’esistenza, ma la sua conoscenza non è perfetta; in definitiva, il soggetto non ha l’esatta rappresentazione dell’ampiezza del precetto. Quest’ultimo, nella rappresentazione dell’agente, non comprende il suo comportamento. La fattispecie penale, in altre parole, non estende per l’agente i suoi confini al fatto oggetto del comportamento. L’errata interpretazione porta ad «inficiare il procedimento di sussunzione del fatto concreto nelle categorie logiche della fattispecie»[80].

Palazzo si sofferma su quest’ultimo vizio, della conoscenza della legge penale, per puntualizzare, ancora una volta, che il disvalore del fatto non può essere oggetto dell’errore sul precetto, negando fondamento a quella parte della dottrina che distingue in quest’errore di sussunzione quello che pur lasciando la conoscenza del disvalore del fatto ne esclude la coscienza del divieto legale da quello che lascia la coscienza del divieto legale. L’unica distinzione possibile è tra l’errore di sussunzione che esclude e quello che non esclude la coscienza dell’antigiuridicità; solo il primo è rilevante penalmente corrispondendo all’errore di valutazione di un elemento del fatto.[81] Dopo aver individuato le tre forme di errore sul precetto l’Autore passa ad analizzare i loro rapporti con l’art.47,ultimo comma, c.p..[82] Esclude sin dalle prime battute che l’ignoranza del precetto o l’errore sulla struttura sia attinente al campo di rilevanza dell’art.47,ult. comma, c.p.. L’ignoranza del precetto presuppone che il soggetto conosca perfettamente i dati naturalistici e il fatto nel suo significato, quello che non conosce è solo la sua illegittimità. Per quando riguarda l’altro “vizio”: vi è una «incompatibilità logica fra errore sulla struttura del precetto ed errore sul fatto costitutivo. Infatti, se l’errore sul fatto costitutivo ha per suo oggetto, più o meno diretto, un dato reale storicamente esistente e previsto dalla norma come elemento essenziale del reato, l’errore sulla struttura…non potrà avere ad oggetto il fatto costitutivo, proprio perché il suo oggetto è ciò che per definizione non fa parte del fatto costitutivo.».[83] Rimane da esaminare l’errore sull’ampiezza del precetto: per Palazzo questo «vizio di conoscenza della legge penale» non rientra «nell’ambito di applicazione dell’art.5c.p.»[84]. Il discorso prende le mosse dall’esame del concetto di «ampiezza» e del suo accostamento al concetto di «precetto».  Questo tipo di errore comporta una difficoltà di sussunzione nella fattispecie astratta di alcune ipotesi, concrete, del fatto criminoso. I primi due tipi di errore esaminati impediscono al soggetto di rappresentarsi il fatto nella sua astrattezza e generalità, in tutti i casi concreti che vuole disciplinare; mentre l’errore sull’ampiezza del precetto impedisce la sussunzione nella fattispecie astratta solo di alcune ipotesi. Ritornando alla disciplina dell’art.5c.p., tenendo presente le conclusioni appena tratte, è chiaro che la presunzione di conoscenza della legge penale non si può ricondurre solo alla conoscenza del generale significato del precetto. L’autore del fatto«avrà un dovere di conoscenza, rispetto all’ampiezza del precetto, che non potrà essere sanzionato in modo più rigoroso di quanto accada per il dovere di conoscere il fatto, cioè con una eventuale responsabilità colposa»[85]. Non rimane che trarre le conseguenze di quanto detto da Palazzo su quest’argomento: i primi due «vizi di conoscenza della legge penale», quello sull’esistenza e quello sulla struttura, rientrano nella disciplina dell’art. 5c.p., mentre il terzo tipo di errore, quello sull'ampiezza, è attratto dalla disciplina dell’art.47, ult. comma,c.p. quando trovi il momento scatenante in un errore su legge extrapenale idoneo a convertirsi in un errore sul fatto.  Con questo non si vuole affermare la natura di semplice eccezione all’art. 5 dell’art.47, ult. comma, c.p., ma si vuol dimostrare la continuità di queste norme che si affiancano l’una all’altra senza confondere gli ambiti di rispettiva influenza[86]. In altre parole, quello che si è voluto dimostrare è «come l’errore su un elemento normativo della fattispecie sia fenomeno strutturalmente diverso dalla ignoranza della legge penale»[87].  Recentemente è stata mossa una dura critica a questa distinzione «quantitativa», che segnerebbe il confine dell’ambito di rilevanza delle due norme, l’art. 5 e l’art. 47, ult.comma, c.p., «allontanando l’errore sull’ampiezza tanto da quello sull’esistenza quanto da quello sulla struttura del precetto…».[88] Il legislatore avrebbe accolto, per Palazzo, questo criterio quantitativo considerando estraneo all’art.5 c.p. l’errore sull’ampiezza. A parte le critiche che si possono muovere a questo Autore, non si può disconoscere che la  sua opera rappresenta, assieme a quella del Pulitanò, una svolta decisiva nello studio delle tematiche connesse all’art. 5c.p. e all’art.47,ult.comma, c.p.. Per concludere, si può affermare: dopo quasi un decennio di silenzio della dottrina una parola decisiva, sull’argomento dell’errore e dell’ignoranza della legge penale, è stata detta, a voce alta e con forti argomentazioni, da Palazzo nel 1974.

  

Paragrafo 4 - Pulitanò: la soluzione al problema del “confine” tra l’operatività dell’art. 5 c.p. e dell’art. 47, ult.comma, c.p..

L’errore su legge extrapenale costituisce il punto più complesso della teoria dell’errore ed è proprio su questo terreno che «il pensiero di Pulitanò segna nell’elaborazione dottrinale una «svolta», non  fosse altro per il  prendere le distanze da quelle teorie che costruiscono l’errore sulla legge extrapenale come errore sul precetto, salvo poi giustificarne con argomenti diversi il trattamento alla stregua di un errore sul fatto escludente il dolo»[89]. L’errore sulla legge extrapenale è trattato nella seconda parte dell’opera[90] con la stessa intensità e chiarezza dedicata, nella prima parte, all’art.5 c.p. e alla sua problematica. Nel primo capitolo[91], della seconda parte, l’Autore costruisce le argomentazioni partendo da alcune premesse di teoria generale del diritto. L’art.47 ult. co. del cod. pen. vigente segna una spaccatura all’interno della disciplina dell’errore di diritto: una parte rientra nella previsione dell’art.5 c.p., cui è limitato il principio d’inescusabilità; l’altra, l’errore su legge extrapenale, rientra nella previsione dell’art.47 c.p. ed ha l’effetto di escludere il dolo come ogni altro errore sul fatto costitutivo del reato. Il problema è quindi di riuscire a distinguere le leggi penali da quelle extrapenali, per riconnettere a ciascun caso le conseguenze previste dalla legge. Una prima delimitazione della ricerca dei “connotati d’identità” dell’errore su legge extrapenale è data dalla sua stessa collocazione sistematica all’interno dell’art. 47 c.p. dedicata all’ “errore di fatto”: «è un errore incidente sulla rappresentazione del fatto-reato.»[92]. Il problema si consolida quando si prende in considerazione il caso di «norme sicuramente penali … la cui applicazione a situazioni concrete implica un riferimento al contenuto di altre disposizioni, nel senso che è (anche) in base a quest’ultimo che si determina quali situazioni concrete rientrino nel tipo delittuoso…»[93]. La norma richiamata, in genere, non ha natura penale, ma a seguito del richiamo concorre a delineare la fattispecie della norma richiamante di natura penale. La domanda che l’Autore si pone è: «L’errore su di esse è errore sulla fattispecie (penale) astratta, o non si risolve invece in erronea ricostruzione del fatto costitutivo di reato? In che rapporto si pone, da un lato, con l’art.5, e dall’altro con l’art.47 u.c.?»[94].  La soluzione a tali domande ha come punto di partenza il «tema dei riferimenti da norma a norma e da ordinamento a ordinamento»[95]  e « si esaurirebbe negli schemi del rinvio (recettizio o formale) e della presupposizione»[96]. Questi concetti, patrimonio primigenio della teoria generale del diritto, possono essere utilizzati al fine della comprensione dei meccanismi di collegamento tra norma richiamante e norma richiamata però, non possono essere utilizzati per individuare o per scoprire qualcosa sulla valutazione giuridica del rapporto tra le due norme, richiamata e richiamante. La norma richiamata « viene o non viene inserita nell’ordinamento ( o, aggiungerei, nel settore di ordinamento) cui appartiene la norma richiamante? E se sì, viene inserita nel suo originario valore di norma, oppure come semplice fatto giuridicamente rilevante ?»[97]  Come si può notare la teoria generale del diritto può indicare, in modo schematico, solo le modalità d’integrazione della norma penale, ma non può dettare le regole o esprimere giudizi sulla loro rilevanza normativa[98]. E’ un problema di interpretazione che deve essere risolto all’interno del nostro ordinamento giuridico e con gli strumenti da esso forniti. Pulitanò focalizza la sua attenzione sull’articolo 47 ult.c. del codice penale vigente e sul tipo di integrazione normativa prevista da quest’articolo. Esamina le origini dell’art.47 ult.c. nella dottrina italiana[99] passando in rassegna il pensiero di molti ed illustri studiosi. A tappe forzate si giunge ad un altro momento importante per la costruzione del ragionamento sull’errore: «quando (in che situazione, a che condizioni) un errore su norme extrapenali può cagionare un errore sul fatto costitutivo di reato ?»[100] L’errore sul fatto di reato esclude il dolo ed è un errore essenziale. Sia nel primo che nell’ultimo comma dell’art.47 c.p. con il termine errore si vuole indicare quella particolare situazione per cui: « si supponga una situazione di fatto, non riconducibile alla fattispecie delittuosa obiettivamente realizzata»[101]. Il discorso viene così ricondotto all’essenza del problema. L’art. 47 ult. comma c.p. viene considerato un errore sulla coincidenza tra fatto e fattispecie e la ricerca dei suoi caratteri viene rivolta su le due possibili, ed uniche, strade: l’errore su legge extrapenale, in quanto essenziale, «deve logicamente derivare da errore sulla fattispecie normativa, o da errore sul fatto concreto. Tertium non datur»[102]. Su questa base concettuale ha lavorato la dottrina e la giurisprudenza, cercando di trovare un criterio metodologico per distinguere tra le diverse leggi quelle che integrano la norma e quelle che attengono al fatto. L’errore che ricade sulle prime, norme integranti la norma incriminatrice, si risolve in un errore sull’interpretazione del precetto, irrilevante ai sensi dell’art.5 c.p.; mentre l’errore sulle leggi che attengono al fatto, rilevanti ai sensi dell’art.47 ult.comma c.p., sono rilevanti al fine dell’esclusione della punibilità[103]. Pulitanò esamina le conclusioni raggiunte da alcuni studiosi sull’argomento dell’errore su legge extrapenale e giunge ad accantonarle dopo averle duramente criticate: « bastano infatti le citazioni riportate a mostrare come ci si sia arenati in enunciazioni generiche, o nella migliore delle ipotesi in tautologie inconfutabili e sterili»[104]. Prima di proseguire è utile soffermarci su tre punti rilevanti ai fini della costruzione del complesso ragionamento dell’Autore:

1.      «L’errore cui è attribuito rilievo scusante anche ove originato da errore di diritto, è un errore incidente sulla rappresentazione del fatto – reato»[105].

2.       Il secondo punto è una conseguenza del primo: l’errore sulle leggi extrapenali riempienti il precetto delle norme in bianco rientra nella definizione dell’art.5 c.p., perché in questa situazione è la stessa disposizione richiamata a definire il contenuto del precetto[106].

3.      Pulitanò distingue nettamente gli elementi normativi dalle definizioni legali.[107] Queste sono delle «mere regole linguistiche»[108] che non hanno una “identità normativa” tale da distinguerle «dalle norme concernenti il concetto definito»[109].

L’Autore giunge alla conclusione che l’art. 47 ult.comma c.p. prenda in considerazione l’errore sugli elementi normativi[110] . Gli elementi normativi a differenza delle norme in bianco e delle definizioni legali non dettano nuovi elementi del reato, perché «nulla essi aggiungono alla regola di condotta posta dalla norma – madre, limandosi a qualificare l’oggetto così come ivi configurato»[111]. Gli elementi normativi si configurano come elementi estranei, extrapenali, alla norma penale perfetta: «le norme integratrici extrapenali, non sommandosi alla norma - madre nella descrizione degli elementi di fattispecie già tutti indicati da quest’ultima, restano estranee alla ricostruzione dogmatica della norma penale, e possono essere assunti ad oggetto della previsione di cui all’art.47 u.c. in quanto extrapenali nascono e vivono.»[112]

Il riconoscimento della natura extrapenale, degli elementi normativi, è per l’Autore solo il punto di partenza perché rimane ancora da chiarire una parte importante della norma penale: i concetti normativi. Questi concetti presuppongono qualificazioni extrapenali, «concorrono anch’essi a descrivere la fattispecie delittuosa nella norma – madre incriminatrice»[113]. Un errore sui concetti normativi è un errore sulla fattispecie astratta e non sull’individuazione dei fatti concreti, per questo dovrebbe rientrare nella disciplina dell’art.5 c.p..« Ciò premesso, è da domandarsi se l’errore sulle norme integratrici, presupposte dal concetto normativo, sia (produca) un errore sul significato del concetto normativo stesso o no»[114].  In altre parole quello che l’Autore si chiede è: «è possibile un errore sulla norma integratrice attributiva di una determinata qualifica (normativa) a certi elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, che non sia al tempo stesso un errore sul concetto o significato che quell’elemento esprime ? … Insomma, il significato dei concetti normativi dipende o no dalle norme integratrici ? »[115]

E’ proprio in questo momento del discorso che riaffiora, come presupposto, la differenza fatta tra definizioni legali ed elementi normativi. Le prime hanno la funzione di fissare delle «regole linguistiche» e determinano il significato della fattispecie penale[116] e l’errore su queste, definizioni, si concretizza in un errore sul concetto che esse stesse concorrono a formare. Però il rapporto tra norme integratrici e concetti normativi della fattispecie non può essere ridotto a quello proprio delle definizioni legali[117]: « Quando si riferisce a un dato oggetto d’esperienza un attributo valutativo – p. es. buono – con ciò non si intende di regola attribuirgli una od altre caratteristiche empiriche, come si  farebbe ove lo stesso oggetto fosse qualificato … rosso»[118]. Con l’«attributo valutativo» si vuole esprimere una valutazione e non una semplice descrizione di dati empirici dell’«oggetto d’esperienza». Non vi è una relazione diretta con una particolare caratteristica dell’oggetto, ma semplicemente una valutazione diretta ad «esprimere e guidare delle scelte». Le valutazioni per essere «significanti», per avere “valore in sé”, devono presupporre l’esistenza di determinati requisiti, «caratteristiche dell’oggetto della valutazione». Il concetto valutativo è, in conclusione, il punto d’arrivo di un processo che ha alla base la valutazione di alcune caratteriste. « Resta fermo tuttavia, che i criteri di applicazione dei concetti valutativi, e quindi il loro collegamento con determinate situazioni di fatto, pur potendo in un certo senso considerarsi parte del loro significato…, non attengono al loro significato primario, non influiscono, cioè, sul fondamento e sulla regola del loro uso…»[119]. L’analisi dei concetti valutativi porta  Pulitanò a distinguere al loro interno due aspetti:

1.      un «nucleo significativo costante»[120] in cui si esprime la tipica funzione valutativa;

2.      dei «caratteri di applicazione variabili»[121]: caratteristiche che giustificano di fatto la valutazione. 

Fissati questi punti, l’intero discorso fatto sui concetti valutativi deve essere “trapiantato” in una «sottoclasse di concetti valutativi, costituita dagli elementi normativi della fattispecie penale»[122]. Pulitanò giunge ad affermare, con relativa certezza: i concetti normativi sono concetti valutativi. L’Autore, per chiarire  con maggiore forza il suo ragionamento, utilizza il classico esempio del concetto di altruità:« la  pertinenza di un certo diritto ad altra persona… con esso si intende normalmente esprimere una particolare qualificazione giuridica ( la pertinenza di un certo diritto ad altra persona), statuita dalle norme civili sulla proprietà. Per applicare la qualifica in ciascun caso concreto, si deve risalire ad opposti criteri di applicazione, costituiti dalla fattispecie modi di acquisto della proprietà»[123]. Nella «formula errore sui concetti normativi » sono racchiusi due ordini di errori[124]

1.      « l’errore sul tipo di qualificazione espressa», riguarda lo stesso concetto, ad esempio, di altruità, visto in relazione con il diritto di proprietà;

2.       «l’errore sul parametro di qualificazione », in questo caso il “vizio” ricade sulle qualità empiriche, ad esempio i modi di acquisto della proprietà, che giustificano la stessa qualificazione.

Pulitanò mette in risalto, con queste deduzioni, l’indipendenza di queste due realtà: «si può sapere benissimo che una cosa è altrui quando altri ne è proprietario, ed ignorare tutto sui modi d’acquisto della proprietà; e viceversa»[125]. A riprova di questa indipendenza è l’affermazione, conseguenza logica di quanto precedentemente detto, dell’autonomia “germinale” del significato valutativo dei concetti normativi, rispetto alle norme integratrici. Il significato è predeterminato e i «concetti normativi hanno un nucleo significativo … indipendente dalle norme integratrici… e determinato invece con riguardo esclusivo alla sua funzione penalistica, come parte del significato precettivo immediato della norma penale»[126]. La conclusione di quest’articolato discorso illumina, con una nuova luce, i rapporti tra l’art.47 ult.c. e l’art. 5 c.p. L’errore sul nucleo significativo dei concetti normativi non rientra nell’ambito dell’errore su norme extrapenali integratrici, rientra ,invece, nell’ambito della norma incriminatrice ed è indiscussa l’applicazione dell’art.5 c.p.[127] Il campo d’applicazione dell’art.47 ult. comma c,p, viene così ad essere ristretto all’errore sulle fattispecie integratrici. In questo caso, il solo per Pulitanò, «  il giudizio di antigiuridicità penale può  essere falsato per un errore concernente…norme extrapenali»[128].

 

Paragrafo 5 – Conclusioni sull’ultimo comma dell’art. 47 del codice penale.

La questione dell’errore su legge extrapenale rappresenta, per usare le parole del Flora[129], «l’enfant terrible » della teoria dell’errore e l’evoluzione del pensiero, della dottrina e della giurisprudenza, ha chiaramente messo in luce la complessità di quest’argomento, posto in una zona di confine tra l’errore sul fatto e l’errore sul precetto. La rigida classificazione dell’errore tramandata per secoli, «L’accoppiata vincente error iuris-error facti …», ha subito un decisivo colpo proprio dall’introduzione nel codice penale del 1930 di una norma, l’art.47 ultimo comma, che pone una distinzione tra un errore su legge  extrapenale che causa un errore sul fatto, escludendo il  dolo, ed un errore su legge extrapenale che provoca un errore sul precetto.[130] Vari tentativi sono stati compiuti ad opera della dottrina e della giurisprudenza, come indicato nei paragrafi precedenti, per tentare di dare una risposta soddisfacente all’enigma posto da quest’ultimo comma dell’art.47 c.p.. Le soluzione erano tutte tese a giustificare e spiegare come un errore su di una legge extrapenale possa escludere il dolo  convertendosi in un errore sul fatto. In gioco, come verrà meglio indicato nel prossimo capitolo, vi è la delimitazione del confine tra l’errore sul fatto e l’art. 5 c.p..

Per questi motivi si avverte che la chiave di volta per la corretta impostazione di ogni discorso sull’errore e sulla sua fenomenologia è l’ultimo comma dell’art.47.[131]

      Dott. Leo Stilo

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[1] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, Torino, 1997, 4.

[2]Carrara, Programma del corso di diritto criminale. Del delitto, della pena, Bologna, (ed. Il Mulino nell’ambito della sezione «Collezione di testi e studi» ), 1993, 185 s; l’Autore esprime il suo pensiero sul tema dell’errore con queste parole:

«§251.  Le cause morali, o ideologiche, per le quali a certi momenti si rende nell’uomo inefficace la potenza intellettiva di cui d’altronde egli sarebbe completamente fornito, sono la ignoranza e l’errore. »;

«§252.  La ignoranza consiste nell’assenza di qualunque nozione intorno ad un oggetto. L’errore in una nozione falsa circa un oggetto. La ignoranza è uno stato negativo dell’animo: l’errore uno stato positivo. Metafisicamente guardati,  la ignoranza e l’errore sono distintissimi fra loro.»;

«§253.  Ma siccome il giure penale non si occupa delle condizioni dell’animo se non in quanto furono causa di azione; e siccome lo stato d’ignoranza come puramente negativo, non può essere causa di azione, così il criminalista non ha occasione di portare le sue osservazioni sulla ignoranza, ma soltanto sull’errore.»;

«§254. L’errore cade sui rapporti dei propri atti con la legge, tanto se conoscendo la legge si erra sulle condizioni che accompagnano il fatto, quando se, ben conoscendo le condizioni del fatto, si erra circa la esistenza della legge proibitiva del fatto stesso. Così l’errore, guardando all’oggetto su cui cade piò essere o di fatto o di diritto.»;

«§ 258. 1)L’errore di diritto non scusa mai. Esige politica che si presuma nel cittadino la cognizione della legge penale, che d’altronde è debito di ognuno conoscere.»;

«§259. A codesta regola può farsi moderata limitazione nel caso di forestiero, giunto  di recente  nel territorio dominato dalla legge che egli violò; purché per altro nell’atto da lui commesso ricorrano queste due condizioni, 1) che non sia riprovato dalla morale, 2) che non sia proibito nella patria del forestiero medesimo. Cosicché questa eccezione è tutta propria delle trasgressioni; difficilmente applicabile ai veri delitti»;

«§260. 2) L’errore di fatto esime da ogni imputazione quando fu essenziale, e invincibile. In nulla peccò chi non credeva di peccare, quando non gli era possibile illuminarsi sulla pravità del suo fatto. ».

[3] Carrara, Opuscoli di diritto criminale, VII, Firenze, 4ª ed.,1899, 389.

[4] Carrara, Opuscoli di diritto criminale, op. cit., 388 s.

[5] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 7

[6] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 7

[7] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, Milano, 1974, 54, sintetizza in modo chiaro la visione e le problematiche riguardante l’errore di diritto nel periodo intermedio con queste parole: « Per quanto riguarda il diritto intermedio, gli studiosi sono concordi nel ritenere dotato di efficacia scusante l’errore avente ad oggetto le condizioni e le qualità per cui un fatto cade sotto la disposizione della legge penale...Tuttavia, la distinzione  tra un errore direttamente sul fatto e un errore su una qualità o attributo giuridico di un elemento costitutivo del fatto, è ignorata nel diritto intermedio…»

[8] Konrad Zweigert / Hein Kötz, Introduzione al diritto comparato, Vol. I: principi fondamentali, Milano,1992,168 ss, sottolinea con particolare enfasi l’animo degli intellettuali di quel periodo in Europa; questo sguardo rivolta alla storia è utile per comprendere la forza camaleontica della “rigida regola” sull’errore : «Con il XVII secolo si ebbe un mutamento decisivo nel panorama intellettuale dell’Europa con l’affermarsi dell’influente movimento di pensiero dell’Illuminismo, finalizzato ad emancipare l’individuo dai rapporti medioevali per renderlo in grado di creare una nuova concezione del mondo sulla base della sua ragione… Questa nuova corrente di pensiero ebbe enormi riflessi sul diritto, dando al giurista un punto di osservazione dal quale potere osservare in modo critico la varietà particolaristica… degli antichi istituti giuridici e di riordinarlo in modo sistematico. L’idea stessa della codificazione è da considerarsi frutto dell’illuminismo, per cui si cominciò a pensare che il diritto consuetudinario, che versava in uno stato frammentario e disordinato, potesse essere sostituito da una vasta opera legislativa progettata in modo razionale e sistemata in modo intellegibile… Quando tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX  secolo entrarono in vigore le codificazioni della Prussia e dell’Austria, la  stella del diritto della ragione era già in declino. La presunzione ottimistica su cui esso si fondava, secondo cui con l’aiuto della “ratio” umana si potevano trovare dei postulati etici che avessero validità generale non poté sopravvivere alla critica della conoscenza di Kant. Il diritto della ragione aveva inoltre perso il suo impeto riformista ed illuminista, stringendo alleanza con l’assolutismo illuminato della Mitteleuropa, in cui era servito all’elaborazione di numerosi atti legislativi;… Nuove correnti di pensiero si imposero, reprimendo il razionalismo… Il romanticismo mise in luce le sue forze elementari ed irrazionali della vita umana, occupandosi di concetti come “popolo”, “sviluppo”, “anima”, “sentimento”…»

[9] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 7,8,9; Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit.,61 ss.

[10] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 8 :«L’Autore, del resto, già nel Programma aveva espresso l’idea del collegamento tra error iuris ed imputabilità.».

[11] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit.,64

[12] Forte è in quest’autore la tensione tra il rispetto per l’autorità della legge dello Stato e la persona; per apprezzarne appieno la modernità è opportuno riportare le parole da lui scritte in Impallomeni, Il codice penale italiano, I, Firenze, 1900, 172, 173 e  riportate  in Impallomeni, Istituzioni di diritto penale, opera postuma curata da Vincenzo Lanza, Torino, 1908, 244,245: «La conoscenza della legge penale è una condizione necessaria della responsabilità, non potendosi pretendere di prestare obbedienza ad un precetto che non si conosce. Ma questa conoscenza deve presumersi, dopo che la legge è stata regolarmente pubblicata, essendo ciascun cittadino in obbligo di sapere ciò che gli è vietato di fare(o di omettere)… così con l’articolo 44 si comincia dallo stabilire la massima ignorantia iuris non excusat. Questa regola, per lo scopo a cui serve, deve però essere limitata alla legge penale… l’errore di diritto civile o amministrativo è in diritto penale errore di fatto, perciocché toglie la capacità di conformare la propria condotta alla norma della legge penale… La disposizione dell’articolo 44 è generale, e non ammette eccezioni di sorta… ciò è irrefutabile nel Codice, ma è deplorevole che così sia assolutamente. Questa è una parte del Codice che deve essere ritoccata, e non soltanto in materia di contravvenzione… ma anche in vista di alcune  specie di delitti, che…io direi di non comune intelligenza … Ed io credo che l’articolo 44, a non urtare giustizia, dovrebbe così essere… concepito: «Nessuno può invocare a propria giustificazione l’ignoranza della legge penale, salvo che l’imputato dimostri di essere stato nell’impossibilità di conoscere la legge, ovvero di non aver potuto evitare l’errore sulla stessa».».

[13] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit.,12 e 13

[14] ImpallomeniIl codice penale italiano, I, Firenze, 1900, 173.

[15] Civoli, Trattato di diritto penale. Parte generale, I , Milano,1912, 325 ss.

[16] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 15.

[17] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit., 66, 67, 68, 69 riassume il pensiero di Civoli in poche battute, sufficienti per avere un quadro organico del suo pensiero: «Premessa l’insostenibilità di un generale dovere di  prendere conoscenza delle norme penali, l’Autore distingue tra reati sentiti come tali da ogni uomo normale e reati creati dall’«arbitrio del legislatore». In ordine ai primi, l’applicazione dell’art. 44 non presenta difficoltà. Per quanto riguarda i secondi, si distingue ulteriormente tra disposizione che pone la norma d’agire, cioè il precetto e quindi fonda la illiceità, e la disposizione che commina la pena e quindi fonda la semplice punibilità … Ai sensi dell’art. 44 sarebbe inescusabile solamente l’ignoranza della punibilità e non della antigiuridicità… Rimarrebbe inescusabile solo l’ignoranza della punibilità, mentre l’ignoranza dell’antigiuridicità  del fatto, dipenda essa da un errore di fatto o di diritto, penale o extrapenale, o da altra causa, escluderebbe il dolo».  

[18] Per  la dura critica mossa dall’Autore al pensiero di Carrara e alla sua Scuola vedi: Belfiore op.cit., 16,17.

[19] Piacenza, Errore ed ignoranza di diritto in materia penale, op. cit,, 102 descrive con queste parole il pensiero dell’Autore sull’argomento:« Il Manzini ha, come è noto, dedicato  all’errore di diritto un intero capitolo della sua opera fondamentale, ed ivi ha il merito di avere dato particolare rilievo al già accennato principio di obbligatorietà della legge e di avere altresì ben distinto il principio stesso da quello relativo alla efficienza giuridico-penale dell’errore sul fatto che costituisce il reato, ponendo in luce l’inesattezza, in questa materia, di una separazione fra legge penale ed extra-penale, non essendovi ragioni giuridiche che, nell’ambito dell’errore sul fatto, considerato anche nei suoi elementi normativi, consentano un diverso regime a seconda del diverso oggetto dell’errore in discorso.».

[20] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 18.

[21] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 22, sottolinea l’inadeguatezza del criterio a risolvere il problema sollevato dall’articolo 44: «…lungi dal risolvere il problema, ne modifica solamente l’aspetto terminologico. Anche a volerla accogliere, rimarrebbe infatti ancora da chiarire come distinguere i casi in cui l’ignoranza o l’errore di diritto incidano sulla stessa esistenza od obbligatorietà della norma penale, da quelli in cui ciò non avvenga.»

[22] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 22 s.

[23] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 30, 31 così sintetizza gli atteggiamenti della giurisprudenza sotto la vigenza del codice Zanardelli: «…la giurisprudenza, improntata com’è ad esigenze di carattere equitativo, sembra operare nel seguente modo: se nel caso concreto ritiene che l’imputato sia da condannare e si sia in presenza di un errore su legge penale, è facile per essa rifarsi al dispositivo dell’art. 44; ove si tratti di errore su legge «diversa», la formula è quella della  presunta «integrazione» di quest’ultima nella norma penale e della conseguente inescusabilità dell’errore su di  essa vertente. Nell’ipotesi in cui la giurisprudenza ritenga invece che l’imputato vada assolto, tanto che si tratti di errore su legge penale quanto che si tratti di errore su legge extrapenale, il riferimento è alla c.d. «buona fede» dell’imputato».

[24] Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Introduzione al diritto costituzionale italiano, I, 2ªed. , Padova 1970, con queste parole descrive la svolta in senso autoritario del regime fascista: « l’avvento del fascismo, seguito alla cosiddetta «marcia su Roma» del 28 ottobre 1922, rappresenta il punto di arresto di una tale evoluzione democratica e il punto di inizio di un opposto processo di involuzione in senso illiberale e autoritario  dello Stato italiano. In rapida sintesi, i caratteri del periodo fascista possono così riassumersi: progressivo esautoramento del Parlamento e correlativa sempre più preminenza del Governo, e della figura del Capo del Governo…; abolizione del sistema parlamentare… concentrandosi la direzione politica nelle mani del Capo dello Stato…; graduale compressione delle libertà politiche, dapprima in fatto…poi in diritto, con l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato e l’emanazione di leggi penali di eccezionale rigore a difesa del regime;…». 

[25] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit. , 1997, 31.

[26] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, Roma, 1933.

[27] Piacenza, op.cit., 103 ss

[28] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale ,op.cit., 160.

[29] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 48.

[30] Ricondiamo: Battaglini, Vannini, Saltelli, Antolisei, Carnelutti, Maggiore.

[31] Belfiore Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit.,52; Cristiani,Profilo dogmatico dell’errore su legge extrapenale, Pisa, 1955, 18 e 19: «…L’errore su legge extrapenale, seppur disciplinato espressamente dal codice per esigenze pratiche di legislazione penale, può essere studiato e definito non alla stregua dell’errore sul fatto… bensì come specie, un tipo di errore sul fatto».

[32] Gallo, voce Dolo, in Enc. dir., vol.XIII, Milano, 1964, 750 s.

[33] Gallo, voce Dolo, op.cit. , 761.

[34] Gallo, voce Dolo, op.cit., 762; a conclusioni analoghe giunge Grosso, L’errore sulle scriminanti, Milano, 1961, 176 s.

[35] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., XV, Milano,1966, 280 s.

[36] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., op.cit. ,282.

[37] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., op.cit., 282.

[38] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., op.cit., 283:«..sono in altri termini quelli che, mancando uno solo dei quali il fatto non corrisponde più al modello previsto dalla legge come reato»

[39] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., op.cit., 283:«…che, oltre alla volontà dell’azione e dell’evento, esige la conoscenza di tutti gli altri elementi costitutivi del reato..».

[40] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir.,  Milano,  XV, 1966, 292.

[41] Santucci , voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir:, op.cit. , 293…esempio, l’agente si impossessa di una cosa mobile altrui, ritenendola propria, per uno scusabile scambio dovuto a somiglianza…»,

[42] Santucci , voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir:, op.cit. :«…esempio l’agente ritiene altrui l’oggetto di cui si impossessa per una inesatta interpretazione delle norme civilistiche sull’istituto della proprietà.».

[43] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., op.cit. 293.

[44] SaNTUCCI, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir:, op.cit. 294.

[45] Santucci, voce Errore(dir. pen.), in Enc.dir., op.cit. 294.

[46]Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale,  Milano, 1974, 92.

[47]Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,93

[48] Gallo, voce Dolo, op. cit.,761,762 e Grosso, L’errore sulle scriminanti, Milano, 1961 ,164

[49] Palazzo ,  L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,nella nota 65 alla pag.95-96 indica in sintesi il comportamento della giurisprudenza del tempo e costruttivamente lo critica:«La giurisprudenza suole affermare che l’errore su legge extrapenale si converte in errore su legge penale inescusabile ai sensi dell’art.5c.p. L’affermazione potrebbe trovare due ordini di motivazioni. O si ritiene che ogni errore extrapenale è per sua natura necessariamente anche un errore su legge penale( è il ragionamento condotto nel testo) e allora, per non dichiarare l’inapplicabilità dell’art.47 ult.cpv.c.p. e prima ancora una stridente contraddizione fra questo e l’art.5, si deve interpretare l’art.5 c.p. in modo da non comprendervi anche l’errore extrapenale. Oppure, la S.C.  nelle sue sentenze intende dire che quel singolo, concreto caso di errore extrapenale si converte – in quel caso- in errore su legge penale( il che è possibile). Ma allora, in primo luogo, si dovrebbero conoscere i criteri precisi in base ai quali si «migra» dall’errore scusabile a quello  inescusabile; in secondo luogo, lascia perplessi l’alto numero di casi in cui l’errore extrapenale diventerebbe irrilevante ex art. 5 c.p.»

[50] Palazzo,  L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,95

[51] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,97:« Così, ad esempio, sono extrapenali tutte le norme che regolano i trasferimenti di proprietà; sono invece penali le norme che definiscono le  nozioni di «armi» …o di «pubblico ufficiale»…»

[52] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,98.

[53] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,100.

[54] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,100:« Se si muove dall’assunto che l’art.47 ult.cpv.c.p. prevede in definitiva un errore sulla fattispecie astratta e si dice che esso costituisce un’eccezione all’art.5, ciò significa implicitamente affermare che in mancanza dell’art.47 ult.cpv.c.p. sarebbe applicabile l’art.5 c.p., cioè che anche quest’ultima norma contempla un errore sulla fattispecie astratta. Quindi, la locuzione «legge penale» di cui all’art.5 c.p. s’identificherebbe con la fattispecie astratta. Ma l’errore di cui all’art.47 ult.cpv.c.p. deve per l’appunto essere su una legge «diversa da quella penale», cioè non dovrebbe vertere sulla fattispecie astratta, il che sarebbe contrario all’assunto. Tutto ciò conferma, dunque, nell’idea che  il significato di «legge penale» con cui questa locuzione viene assunta nell’art.4 c.p. possa ben essere diverso da quello della «legge penale » oggetto dell’errore attraverso il quale passa il vizio previsto dall’art.47 ult.cpv.c.p.. Se si riuscisse a dimostrare come vera questa ipotesi, il problema del  coordinamento tra queste due norme si porrebbe in tutt’altra luce.».

[55] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,100

[56] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,101

[57] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,102

[58] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 63.

[59] Palazzo , L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,113 ss

[60] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,115

[61] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,117, aggiunge:«L’esistenza di una norma, quale quella dell’art.5 c.p., diretta esplicitamente ad escludere ogni giuridica rilevanza all’ignoranza della legge penale, presuppone logicamente la contrapposta possibilità –almeno teorica- che, in assenza di una siffatta disposizione, il reo pretenda si scusarsi proprio adducendo l’ignoranza della legge penale… in effetti, il legislatore, al momento di fissare i presupposti della responsabilità penale, può condizionare quest’ultima alla semplice realizzazione, cosciente e volontaria del fatto di reato, oppure condizionarla alla possibiltà di muovere un «rimprovero» all’autore del fatto commesso».

[62] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,117.

[63] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,119.

[64] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,119 e 120.

[65] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit., 120 e 121.

[66] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,122.

[67] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,122ss

[68] Gallo, voce Dolo, op.cit., 789

[69] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,123

[70] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,124

[71] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,125

[72] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,125.

[73] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,127, vedi note 53,54,55 nella stessa pagina.

[74] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,128.

[75] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,128.

[76] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,130.

[77] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 64;Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,131 e 132.

[78] E’ il titolo del terzo paragrafo del quarto capitolo di Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,132ss.

[79] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,134

[80] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,136.

[81] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,138.

[82]L’Autore si occupa di quest’argomento nel quarto paragrafo del quarto capitolo dell’opera: Palazzo,138 ss

[83] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,140.

[84] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,140.

[85] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,143.

[86] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,145.

[87] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale , op. cit.,146.

[88] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 65.

[89] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 71

[90]Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano,1976, 189 ss

[91] Intitolato :« L’integrazione della norma penale e l’art.47 u.c.»

[92] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 189.

[93] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 192.

[94] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 192.

[95] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 192; Belfiore,72 e 73.

[96] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit.,  73

[97] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 193

[98] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 194; Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 72.

[99] Tra le fonti più autorevoli, Pulitanò cita : Carrara,  Impallomeni, Civoli, Carnelutti, Maggiore e molti altri. Per un approfondimento del pensiero di questi Autori sull’argomento si rinvia al secondo capitolo di questa ricerca.

[100] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 198.

[101] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 198.

[102] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 199.

[103] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 199.

[104] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 201.

[105] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 189.

[106] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 73

[107] Per un approfondimento del tema si rinvia al paragrafo 2.4 del primo capitolo di questa ricerca.

[108] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 238.

[109] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 238.

[110] Per un discorso introduttivo al tema dell’errore sugli elementi normativi vedi paragrafo 2 del primo capitolo.

[111] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 261.

[112] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 262.

[113] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 262.

[114] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 263.

[115] Belfiore, Contributo alla teoria dell’errore in diritto penale, op.cit., 74.

[116] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 262.

[117]  Per continuare e concludere il suo ragionamento Pulitanò, utilizza «l’analisi svolta dalla filosofia oxfordiana in relazione ai concetti  valutativi propria ad esempio dell’etica»,  nota 35, 266.

[118] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 266.

[119] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 267.

[120] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 268.

[121] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 268.

[122] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 268.

[123] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 269.

[124] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 269, aggiunge:« anzi triplice (in riferimento all’ordine di errori) a volervi aggiungere l’errore sui fatti materiali da qualificare».

[125] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 269.

[126] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 270.

[127] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 271,nota 43:«questa, nella sostanza anche se non nell’impostazione concettuale è la posizione di Palazzo, op. cit. , 176 s…»

[128] Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, op. cit., 271.

[129] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen.,Torino,IV,1990,259.

[130] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen.,Torino,IV,1990,259.

[131] Flora, voce Errore ,in Dig.disc.pen.,Torino,IV,1990,260.

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