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L’errore e l’ignoranza nel diritto penale dell’ambiente.

 

 Leo Stilo

 

L’estrema complessità di quello che per convenzione viene denominato “diritto penale dell’ambiente”, dovuta principalmente alla mancanza di organicità e all’estrema eterogeneità delle fonti normative che ne rappresentano il sostrato positivo, induce, inevitabilmente, ad affrontare ed approfondire alcuni argomenti di diritto penale “sostanziale”. 

Il fatto che la maggior parte delle fattispecie costituenti tale branca del diritto penale sia costituita da reati contravvenzionali non esime lo studioso, che si avvicini a tale materia, dalla conoscenza e dall’inquietudine legata all’approfondimento di quello che viene comunemente definito “elemento soggettivo” del reato e delle sue cause di esclusione.

Il tema dell'errore, in questa prospettiva d’analisi, riveste un ruolo di primaria importanza perché, forse più di altre realtà, rappresenta in modo pieno e problematico la complessità stessa dell'animo dell'autore del reato: l'uomo. Il labirinto entro cui districarsi è costituito da ostacoli e deformazioni ottiche derivanti, spesso inconsapevolmente, da preconcette opzioni ideologiche ed argomentative che si presentano, in alcuni casi, difficili da superare perché posti alla base stessa del complessivo ragionamento svolto in tema di “errore nel diritto penale”.

La semplice scelta, ad esempio, di adottare la classica suddivisione “error facti” / “error iuris” è un chiaro indice di un’opzione culturale, a volte inconsapevole, che l’interprete compie nel momento in cui osserva, attraverso la predetta “ lente dicotomica”, il reato e i suoi elementi costitutivi.

Il viaggio, a causa della sua complessità, verrà suddiviso in sei tappe cercando di creare un colloquio, con i lettori e gli studiosi, a “formazione progressiva”: ogni approdo successivo al primo costituirà momento di sviluppo del precedente e premessa logica del successivo.

Il piano di questa breve ricerca può essere così sintetizzato: il primo articolo è teso a fornire gli strumenti di base su cui poggiare le successive argomentazioni giuridiche; il secondo si occupa del superamento della classica suddivisione tra “error facti ed error iuris” a favore di quella “errore sul fatto ed errore sul precetto”; il terzo è dedicato all’errore su legge extrapenale ed ai suoi risvolti problematici; il quarto analizza l’errore e l’ignoranza alla luce dell’evoluzione storica del principio; ignoratia legis non excusat” (art.5 c.p.); il quinto concentra la sua attenzione sulla lettura e sul commento di alcune decisione della Suprema Corte di Cassazione in tema di errore ed ignoranza nel diritto penale (dell’ambiente)."

Il viaggio da compiere per tentare di circumnavigare il fenomeno dell'errore e dell'ignoranza, suo imprescindibile presupposto, è lungo ed impervio; per questo motivo, si dovrà procedere fissando delle tappe non troppo estese al fine di evitare il rischio di perdere la giusta rotta addentrandosi nei vari e numerosi argomenti che sorgeranno, di volta in volta, all'orizzonte durante la navigazione.

Appare opportuno, quindi, "mollare gli ormeggi" con uno scritto teso a puntualizzare, anche se brevemente, cosa si intenda per errore, ignoranza e dubbio.

Perimetrare, in modo adeguato, il significato delle predette realtà intellettive non è solo un inutile esercizio mentale teso a "spaccare il capello in due", ma anche un fondamentale momento di riflessione utile ai pratici del diritto che quotidianamente si trovano ad affrontare queste diverse realtà che tendono, per propria indole, a confondersi sfumandosi reciprocamente nelle zone d’ombra poste ai loro confini.

 

 

CAPITOLO PRIMO

Errore, ignoranza e dubbio: una verifica dell’innesto di concetti “naturalistici” nel diritto penale.

1. Il rapporto tra errore e verità ed errore e realtà - 2. Ignoranza e dubbio. Il difficile rapporto con l'errore - 3. Errore di percezione ed errore di valutazione. Errore - inabilità - 4. La rilevanza giuridica dell’errore e dell’ignoranza.

1. Il rapporto tra errore e verità ed errore e realtà.

La problematica dell’errore in diritto penale concerne il piano conoscitivo[1] della persona ed attiene alla sua attività intellettiva[2]. «Una definizione che si suol ripetere stereotipata è quella dell'errore come cognizione non vera, falsa credenza»[3]. La conoscenza per essere tale deve essere in sé «vera conoscenza». Così il Croce «l'affermazione è il pensiero stesso»[4] e il Gentile «la conoscenza se è vera conoscenza, in quanto conoscenza, è vera; se è falsa, in quanto falsa, non è conoscenza».[5] Se la conoscenza non è in sé falsa, dove troviamo il secondo termine di paragone grazie al quale riusciamo ad affermare che il soggetto errante ha una conoscenza «non rispondente»?

Il termine di confronto è « la realtà cioè il vero considerato come ciò che è (appare essere) in realtà.»[6]. L’errore non attiene propriamente alla cognizione, o allo stesso stato intellettivo e l’esame di alcuni casi concreti aiutano a chiarire il pensiero che si vuole esprimere: un uomo, credendo di uccidere un animale, colpisce sparando il suo compagno di caccia nascosto da una siepe; un uomo scendendo dal treno, credendola sua, si appropria di una valigia di un altro passeggero. L'errore non si trova nella conoscenza in sé, ma nel suo rapporto con la realtà fattuale. Dal punto di vista, strettamente rappresentativo, del soggetto agente nei due esempi precedenti non cambia nulla se nella realtà il bersaglio è effettivamente un animale o un uomo, oppure se la valigia è effettivamente sua o di un altro soggetto. Quello che muta è il rapporto di conformità, o difformità, tra la conoscenza e la realtà. L'errore come “momento di disturbo”, si insinua proprio nel rapporto di difformità tra la cognizione soggettiva e la realtà.[7] Questa definizione, però, non può essere considerata sufficiente, poiché «occorre individuare la natura dello stato intellettivo da cui sorge - ai fini giuridico penali - la situazione di errore».[8] Tale «stato» non attiene propriamente alla semplice rappresentazione[9], ma nasce a seguito di una più conscia ed elaborata partecipazione psicologica: il giudizio.

L'errore penalmente rilevante, infatti, non è quello che s’identifica nel rapporto di difformità tra rappresentazione e realtà, che pur sempre è errore, ma è quello in cui alla rappresentazione sopravviene un giudizio valutativo culminante nella persuasione. Il soggetto può rappresentarsi «la cosa come sua per gioco, per pura fantasia allo stesso modo come alcuno può rappresentarsi, per es., un uomo a due teste, o può figurarsi che ogni cosa sia sua.»[10].

E' necessario, perché l'errore rilevi penalmente, che l'oggetto della situazione intellettiva sia creduto come reale e non semplicemente rappresentato. Il credere in una determinata realtà, anche se solo soggettivamente reale, presuppone una valutazione della rappresentazione.

Tale valutazione è descrivibile dinamicamente con la seguente espressione: è un soppesare, con le mani della mente, ciò che si stringe ed un relazionare, con i dati e l'esperienza archiviati nel nostro bagaglio culturale, l'oggetto della rappresentazione[11].

Il soggetto crede in ciò che ha rappresentato ponendo questo convincimento alla base della sua volontà: l'uomo, agendo, agisce in vista di un risultato ed i mezzi da lui voluti poggiano su una valutazione che in caso d’errore è difforme dalla realtà.

(L'errore è una realtà di rapporto: risultato difforme ottenuto dal confronto tra "persuasione e realtà").[12]

 

 

2. Ignoranza e dubbio. Il difficile rapporto con l'errore.

 

Il problema della definizione terminologica degli stati psicologici d’ignoranza e di dubbio è un punto fondamentale di questo breve scritto, poiché serve ad individuare e a tracciare parte dei confini esterni dell'errore penalmente rilevante.

L’ignoranza è mancanza di conoscenza della realtà e tale stato intellettivo (di segno negativo), distinto dall'errore (di segno positivo), si concretizza in una carenza di informazione del soggetto attivo. E’ una realtà umana che si presenta come un’entità mutevole e dinamica, tanto da essere utilizzata nel linguaggio per esprimere una pluralità di situazioni psicologiche soggettive che hanno in comune solo il difetto di informazione.

L'informazione, identificabile con l'input informatico, è costituita da una serie di dati che consentono di rappresentare e comprendere la realtà o una sua parte (è il dato base di ogni conoscenza, coordinata sensitiva o intuitiva, di una qualsiasi realtà).

La causa scatenante della predetta situazione intellettiva negativa potrà essere un errore o una dimenticanza: stati positivi che producono nell'intelletto uno negativo.

Prima di procedere oltre è opportuno, per non perdere il filo del discorso, fissare una prima coordinata del ragionamento: l'ignoranza si può esprimere come una deficienza d’informazione che non consente d’avere cognizione della realtà.

L'ignoranza presupposta dall'errore è quella che ha per oggetto la realtà ed il soggetto finché persiste in questo suo convincimento non conosce le cose come realmente sono. La lacuna provocata dall’ignoranza è inconscia, perché nel momento in cui il soggetto si rende conto di questa sua “mancanza” non è più convinto della realtà da lui rappresentata e conseguentemente non si trova più in una condizione assimilabile all’errore, ma in una situazione diversa, oscillante tra l'ignoranza e il dubbio.

Quest’ultima riflessione consente di cristallizzare una seconda coordinata: l'errore, come prodotto del rapporto difforme "persuasione - realtà", presuppone sempre l'ignoranza del secondo termine di paragone.

L'errore si configura così come il risultato di due aspetti intellettivi, entrambi necessari per la sua esistenza: uno di segno positivo, la persuasione; l'altro di segno negativo, l'ignoranza.

Questo binomio è una realtà inscindibile? L'ignoranza è sempre accompagnata dell'errore?

Per rispondere a tali quesiti occorre puntualizzare, ulteriormente, alcune premesse logiche:

1)- Se affermiamo che l'errore sia correlato necessario dell'ignoranza, affermeremmo che siamo in errore in tutto ciò che non conosciamo.

L'obiezione che si potrebbe muovere a tale assunto è la seguente: non possiamo essere in errore nei confronti di una realtà quando manca in noi la persuasione di un'altra, a lei difforme.[13]

L'errore, infatti, è il risultato di un rapporto e nell'ignoranza pura[14] manca il primo termine di questo rapporto, rappresentato dal nostro convincimento difforme rispetto alla realtà. Questo stato intellettivo negativo, diversamente da quello che accompagna sempre l'errore, può essere cosciente.

2)- Se il soggetto fosse conscio dell’insufficienza del suo bagaglio d’informazioni non riuscirebbe a formare un’opinione certa e in lui potrebbero nascere, esclusivamente, delle valutazioni probabilistiche con percentuali molto variabili che mai si avvicinerebbero a quella certezza necessaria ad ancorare una sua imprescindibile convinzione.[15]

In questa seconda situazione intellettiva l'errore ha possibilità di esistere?

L'errore come persuasione, convincimento, in queste condizioni non può trovare terreno fecondo, perché la necessità di certezza soggettiva, fisiologica per l'errore, non riesce ad attecchire in una situazione di cosciente carenza d’informazione, dove l'unica convinzione è la consapevolezza che ciò che appare, per proprio difetto cognitivo, potrebbe essere qualcosa di diverso.

Nell'animo del soggetto agente s’insinua un'angoscia per la mancanza di soluzioni certe e diventa, la sua, una condizione di tensione tra due o più possibilità, dove alcune di esse sono da lui solo intuitivamente percepite come possibili senza averne una rappresentazione se non sotto forma di incognite. Ci troviamo in quella particolare situazione definibile: stato di dubbio.

Sulla base di queste premesse la risposta al quesito dell’inscindibilità del binomio ignoranza - errore può essere così tentata: se da un lato l'errore presuppone sempre l'ignoranza incosciente, dall’altro l'ignoranza può essere cosciente ed esistere senza errore.[16]

L’altro argomento centrale del paragrafo ha ad oggetto la natura dello stato psicologico del dubbio e il suo rapporto con l’errore. Si deve annotare, come premessa logica al successivo discorso, che il dubbio è un'ignoranza cosciente che inizia quando si ha coscienza d’ignorare la realtà o di non sapere quale, tra le possibili rappresentazioni, sia quella reale (è un uomo o un animale dietro la siepe ?).

Il dubbio[17] è oggetto di una valutazione compiuta dal soggetto durante la rappresentazione mentale delle varie situazioni ritenute possibili: il soggetto si rende conto, in alcuni casi, della probabile esistenza d’altre ipotesi da lui ignorate. In questa condizione, l'incertezza del conosciuto si riverbera sul momento volitivo a causa della mancata distinzione delle coordinate che compongono lo scenario dell’azione. L’uomo, in questa situazione, è consapevole dell’insufficiente persuasione rappresentativa ed è cosciente di poggiare la volontà sul proprio stato di dubbio[18].

Le possibili “ipotesi di volontà” per agire basandosi su quest’incertezza possono così sintetizzarsi:

A)- può volere che il fatto si attui indipendentemente da quale delle ipotesi possibili sia reale (può essere l'una o l'altra non mi interessa); in questa prima ipotesi il soggetto agente rientra con la sua adesione psicologica in una sorta di partecipazione “offensiva da disprezzo” a causa della sua cosciente indifferenza verso una possibile offesa al bene difeso dal diritto;

B)- può volere tenendo conto della sicura realizzazione di una delle ipotesi in astratto configurabili (si potrà realizzare l'una o l'altra ipotesi, però confido nella realizzazione di quella non offensiva da me sperata); in questo secondo caso il soggetto agente rientra con il suo atteggiamento psicologico in una sorta di “partecipazione da sopravvalutazione” delle probabilità di realizzazione di una delle realtà non offensive tra quelle, offensive, in concreto possibili;

C)- vi è una terza ipotesi di dubbio, definibile “iniziale”: le varie possibilità appaiono così poco probabili che il soggetto finisce per escluderle, raggiungendo la persuasione di essere nel vero, ritrovandosi erroneamente persuaso di una realtà soggettiva.

A conclusione di questo articolato discorso sul dubbio si può sinteticamente affermare: quando la condizione di dubbio è tale da non far raggiungere nessuna persuasione o convincimento, il soggetto non potrà mai incorrere in errore.[19]

 

 

3. Errore di percezione ed errore di valutazione. Errore – inabilità.

 

L’errore incide su una determinata fase del processo volitivo denominata previsione; lo stesso termine utilizzato per indicare tale fase evoca l’idea di un’anticipazione, a livello mentale, del futuro sulla base dei dati posseduti in un dato momento storico: è un particolare momento in cui si vede il futuro con gli occhi del presente.[20] Nel momento in cui la persona valuta i dati in suo possesso, costruendo la base logica su cui conformare il comportamento esteriore, esprime un giudizio. Solo dopo aver compiuto tale processo si muove per compiere un’azione teleologicamente orientata al risultato della sua previsione. Carnelutti distingue due momenti, logicamente consequenziali, all’interno del “giudizio”: la percezione e la valutazione. Prima di approfondire il discorso sui momenti costitutivi del giudizio occorre concentrare l’attenzione su una particolare situazione di errore attinente ad un momento successivo allo stesso giudizio. Quest’ultimo, prodromo dell’azione, può essere corretto e tuttavia l’atto esteriore, sua logica conseguenza, errato. Il vizio, difatti, si può produrre nel momento della traduzione in atto del pensiero, deformando così il risultato previsto dall’agente. Per questo l’errore deve essere distinto dall’inabilità che ha origine e si conclude al di là del giudizio, nel terreno dell’empirico e del materialmente tangibile.  Il codice penale vigente prende in considerazione agli articoli 82[21] e 83[22] questo particolare errore tracciandone le linee portanti,[23] purtroppo, le problematiche legate a tale argomento non possono essere, neppure in modo sintetico, trattate perché la complessità dell’argomento richiederebbe uno studio e delle conoscenze che vanno oltre l’intento di questa breve ricerca.[24] 

Nel ritornare ai momenti costituenti il giudizio si vuole mettere in evidenza che la stessa esistenza umana inizia con un’esperienza, dolorosa secondo alcuni, che sarà prima vissuta e poi assimilata dalla nostra mente come primo dato del bagaglio culturale della nostra persona. La vita di ogni uomo è segnata dall’assimilazione, progressiva nel tempo, di una serie di dati e conoscenze che andranno a segnare, insieme ad altre variabili, la sua persona e personalità.

«A noi sembra, dunque, che la tradizionale distinzione, quanto meno logica, dei due momenti del processo conoscitivo, senso - percezione e valutazione, sia ancora fecondamente utilizzabile ai fini del diritto»[25]. Ai due momenti dell’attività conoscitiva corrispondono due diversi vizi della conoscenza[26]. Il primo riguarda il momento della percezione vista come l’incontro del dato reale con i nostri sensi. La comunicazione con l’esterno, con il mondo che ci circonda, avviene continuamente, neppure il sonno più profondo l’interrompe ed è resa possibile dai nostri organi di senso. Queste “porte comunicanti” tra i due ambienti riescono a far passare “all’interno” immagini, suoni e sensazioni, opportunamente filtrate ed elaborate, che danno le coordinate necessarie per interagire con il mondo circostante e con le altre persone, parti anch’esse di questa realtà “esterna”.

Quando i nostri sensi non riescono, per le ragioni più diverse, ad inviarci “l’input” in modo tale da poter identificare gli estremi del dato esterno, questo non sarà riconosciuto come realmente è, perché sarà ricondotto erroneamente ad una “categoria d’esperienza” diversa. Il soggetto possiede tale bagaglio culturale ma, non l’ha potuto utilizzare per un difetto di percezione. Questa condizione deve essere distinta da quella della “mancata percezione”: il soggetto non riconduce a nessuna “categoria d’esperienza” perché non percepisce nulla. «La difettosa percezione di un dato sensibile porta necessariamente ad un giudizio non conforme a verità. La mancata percezione, invece, può distinguersi in forme diverse»[27]. La mancanza di percezione, difatti, rileva solo quando produce un’alterazione del giudizio tale da persuadere il soggetto agente a rappresentare un’immagine non conforme a quella reale.

In estrema sintesi: per rilevare la mancata percezione di uno o più elementi si deve risolvere nell’erroneo giudizio sull’intero fatto costitutivo del reato.

«Ogni qual volta il vizio di conoscenza trovi la sua causa in una errata o mancata percezione di un dato della realtà, con conseguente errato giudizio su un elemento del “fatto costitutivo”, si verte in tema di errore di “fatto”. Con la differenza che nel caso di errata percezione, il giudizio ha per oggetto lo stesso dato erroneamente percepito; nel caso di mancata percezione, il giudizio ha per oggetto un dato diverso da quello di cui è mancata la percezione, facente parte del “fatto costitutivo”, o l’intero fatto costitutivo»[28].

Il secondo momento, in cui l’errore può influire sulla conoscenza è quello della valutazione.[29] In questa condizione l’ipotesi data è quella di un soggetto che ha percepito in modo non distorto, “portandola dentro” con i suoi sensi di percezione, una serie di dati sufficienti e idonei a ricondurre correttamente il dato alla giusta “categoria d’esperienza” e nonostante questo non è riuscito a trarre le giuste conclusioni. In questo caso, l’errore, si insinua nel momento del riconoscimento dei dati della realtà alla luce delle proprie conoscenze.

Alcuni punti meritano di essere ripresi e in modo sintetico fissati in due semplici coordinate:

1) vi è una netta distinzione tra la c.d. inabilità e l’errore: «Qui ha radice la distinzione tra la teoria e la pratica o anche tra scienza e arte; infatti per far della teoria o della scienza basta sapere, mentre per la pratica o per l’arte bisogna saper fare»[30](L’inabilità si configura come un vizio della traduzione in atto del giudizio, in sé corretto);

2) l’errore può coinvolgere due momenti della formazione del giudizio: la percezione, l’aspetto “introduttivo” della conoscenza; la valutazione, l’aspetto del “riconoscimento “del dato alla luce del bagaglio d’esperienze personali.

 

 

4. La rilevanza giuridica dell’errore e dell’ignoranza.

 

 «Posto che errore ed ignoranza naturalisticamente coincidono soltanto in parte, si pone il problema se essi coincidano invece sempre normativamente: se cioè essi abbiano sempre identica rilevanza giuridica»[31].

La dottrina, in modo pressoché unanime, distingue due piani di rilevanza dove poter operare la valutazione del rapporto intercorrente tra l’errore e l’ignoranza[32]:

  1. Piano naturalistico - concettuale: le due realtà, possibili cause ed effetti dell’agire umano, si distinguono in modo netto e, nonostante l’una costituisca il presupposto negativo dell’altra, l’identità di entrambe è ben riconoscibile ed individuabile[33];
  2. Piano giuridico-penale: i due termini tendono a perdere la loro specificità, sostanziale e temporale, per confondersi reciprocamente nella valutazione degli effetti ritenuti rilevanti per il diritto penale[34].

L’analisi del secondo punto merita una maggiore attenzione alla luce delle parole espresse da Mantovani: «la mera ignoranza non rileva giuridicamente, perché il soggetto non opera se non in base ad un convincimento e, perciò, l’ignoranza che interessa il diritto è quella che determina l’errore»[35]. Il problema deve essere affrontato utilizzando la guida offerta dal piano naturalistico, ancorando le successive speculazioni alle disposizioni/definizioni del codice penale. L’operazione di ricerca del contenuto normativo, espresso dal legislatore, si presenta come un momento necessario al fine di non ridurre il discorso sulla valenza giuridico - terminologica dell’errore e dell’ignoranza alla sterile elencazione di “etichette concettuali”, in cui le leggi assumerebbero un ruolo di semplice punto d’arrivo dell’attività teorica. Nel nostro ordinamento giuridico il punto di partenza e d’arrivo è rappresentato dalla Costituzione, sintesi compiuta del contratto sociale: da essa devono essere dedotte, ed a essa ricondotte, in piena osservanza del principio di stretta legalità tutte le norme. Le acque, in cui questo breve scritto naviga, appartengono al diritto penale: luogo di rigorosi principi che necessariamente devono essere osservati per poter indirizzare la prua verso la giusta rotta. Per questi motivi, se la stella polare della ricerca in tale campo è la libertà dell’uomo e la legalità sua massima garanzia[36], non appare accettabile uno scollamento tra ciò che si elabora concettualmente e le definizioni date dal legislatore. Il legislatore penale come presuppone che siano strutturati i momenti intellettivi e volitivi dell’essere umano ? 

Per un’esigenza di brevità, purtroppo un esame approfondito dei singoli articoli coinvolti da quello che appare come un vero enigma non può essere svolto in questa sede[37]; ma, non per questo si vuol rinunciare a farne intravedere la complessità tramite un’analisi, anche solo per punti, del contenuto di alcune disposizioni tra le più significative dell’intero sistema:

1.   L’art. 85 del codice penale rappresenta la norma in cui il legislatore espone, in modo sintetico, la situazione psicologica, potenziale, minima che deve essere presente in una persona per poterle imputare la commissione di un fatto costituente reato. E’ lo stesso intitolato dell'articolo, «Capacità d’Intendere e di Volere», e il suo contenuto[38] ad indicare la visione che il legislatore ha dei momenti intellettivi della persona: il soggetto attivo deve essere in potenza un uomo capace di rappresentare mentalmente e in modo non distorto la realtà che lo circonda al fine di interagire con essa in modo non deviato; una volta che il soggetto "porta dentro la realtà" deve, conseguentemente, poter controllare le proprie emozioni ed essere capace di autodeterminarsi secondo il motivo che appare più ragionevole in base ad una valutazione consapevole e responsabile.

  1. Il secondo articolo da esaminare è il 42, primo comma, c.p.[39], il legislatore con poche e significative parole tenta di descrivere i tratti psicologici minimi, in atto, necessari per l'individuazione del responsabile del reato: l'azione deve essere cosciente e volontaria. Con il termine “azione”, non vuole evocare un'idea generica di movimento, ma rendere penalmente rilevante solo la condotta umana[40] che presenta determinate caratteristiche ed è accompagnata da una particolare partecipazione personale[41].
  2. Il quadro normativo è esplicitato dall'articolo 43 c.p.[42] che, in questo ragionamento, viene considerato soltanto come un indice descrittivo della rappresentazione, a tappe successive, del processo intellettivo e volitivo disegnato dal legislatore tra le righe del codice penale.

L’uso improprio, in alcuni casi promiscuo, dei termini “errore” ed “ignoranza” da parte dello stesso legislatore è fonte di complessi dubbi interpretativi, infatti, «mentre talvolta la norma penale menziona entrambi gli atteggiamenti psicologici ( es. art. 59, 1°co.,c.p.), sovente essa fa riferimento esclusivamente all’una o all’altra (es., art.5 c.p., dove si parla soltanto di ignoranza; artt. 47 e 59, 2° e 3° co., nei quali si menziona soltanto l’errore)»[43].

Le norme utilizzate dal codice penale per tracciare l’idea della scansione logico-temporale dei momenti intellettivi e quelle della Costituzione in tema di legalità e personalità della pena costituiscono per l’interprete il punto di riferimento chiave per ogni elaborazione speculativa. In conclusione, il problema della distinzione degli ambiti di rilevanza tra errore ed ignoranza non appare risolvibile con una formula matematico-concettuale valida per qualsiasi situazione, ma si presenta come un enigma sempre nuovo da risolvere caso per caso utilizzando le norme come ancora di ogni decisione e prova principe di qualsiasi verifica[44]

                       

                        Dott. Leo Stilo

 

          


[1] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, Roma, 1933, 30; Galli, L’errore di fatto nel diritto penale, Milano, 1948; Frosali, voce Errore, in Noviss. dig. It., VI,  Torino, 1960, 672; Santucci, voce Errore (dir. pen.), in Enc.. dir., XV,  Milano, 1966, 280 s.; Flora, voce Errore in Dig.disc.pen., Torino, IV, 1990, 255 s.; Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, III ed., Bologna, 1995, 4  ss. ; Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, VI ed., Milano,1998, 398.

[2] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op. cit., 30. 

[3] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op. cit., 31. Queste parole scritte nei primi anni trenta possono essere utilizzate per molti scritti d’epoca più recente, ad esempio: Padovani, Diritto penale, V ed., Milano, 1999, 294:« Il contrappunto negativo del dolo è l’errore che, in generale, può essere definito come la falsa rappresentazione o l’ignoranza di un qualunque dato della realtà naturalistica o giuridica»; Fiandaca-Musco Diritto penale. Parte generale, op.cit., 327: dopo aver messo in luce il ruolo fondamentale dell’errore nella trattazione della colpevolezza afferma: «se la volontà colpevole presuppone la conoscenza degli elementi costitutivi del fatto criminoso, la mancata o falsa rappresentazione – da parte dell’agente – di uno o più requisiti dell’illecito penale avrà come effetto di escludere la punibilità, appunto per il venir meno dell’elemento soggettivo del reato.»

[4] Croce, Filosofia della pratica, Bari, 1909, 44. La stessa definizione è riportata da: Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale op. cit.,31;Cristiani, Profilo dogmatico dell’errore su legge extrapenale, Pisa, 1955,25; Santucci, , voce Errore (dir. pen.), in Enc.. dir., op. cit., 280.

[5] Gentile, Sistema di logica, Bari, I, 1922, 103. La stessa definizione è riportata rda: Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op. cit., 31; Cristiani, op.cit.,25; Santucci, voce Errore (dir. pen.), in Enc.. dir., op. cit.,280.

[6] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op. cit., 32.

[7] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale,op. cit.,33;Pagliaro, Principi del di diritto penale, Parte generale, 5ª ed., Milano,1996.

[8] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op . cit.,34.

[9] Grosso, voce Errore(dir.pen.) in Enc. Giur. Treccani, XIII, Roma, 1989.

[10] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale,op. cit.,34.

[11] Per un’analisi della distinzione tra errore di percezione ed errore di valutazione si rinvia a quanto espresso sull’argomento da: Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, Milano, 1974, 75 ss.

[12] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale,op. cit.,31 ss; Santucci, voce Errore (dir. pen.), in Enc. dir., op. cit., 280; Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit. , 82.

[13] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit., 80,81, scrive in proposito: « io, che scrivo al mio tavolino, ignoro se una persona sta passando sotto la mia finestra, cioè non mi rappresento neppure tale possibilità, così come ignoro cosa sta accadendo in qualsiasi paese di un lontano continente. Questa forma di ignoranza, sconfinata e colossale, è giuridicamente irrilevante: i suoi confini sono irraggiungibili, il suo oggetto indeterminato, non è ignoranza di qualcosa ma solamente  e puramente ignoranza. E’ attributo della personalità nella sua umana carenza di onniscienza.».

[14] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op. cit., 44,45, utilizza, per chiarire cosa s’intende per ignoranza pura, il seguente esempio: «mentre lavoro nel mio studio, il mio giardiniere entra nel mio giardino; non solo non penso a nulla che abbia attinenza con questo fatto, ma le mie attuali rappresentazioni, e il mio contegno conseguente, non sarebbero modificati se io sapessi ciò che ignoro; cioè non mi trovo, per nessuna ragione, nella persuasione implicita che il mio giardino sia deserto, ecc…»

[15] Frosali, L’errore nella teoria del diritto penale, op. cit., 44 ss, indica questa forma d’ignoranza con le seguenti parole:«il soggetto si rappresenta la possibilità della esistenza – passata, attuale o futura – della cosa che ignora (in sé  o in una sua qualità ), o di una situazione che risulterebbe modificata se non ignorasse; e, conscio della sua ignoranza sulla cosa stessa o su cose che potrebbero modificare tale situazione, comprende che non può formarsi una persuasione, una opinione certa. Es.: penso che un bimbo affidato alla mia sorveglianza può in questo momento entrare nel mio giardino e avvicinarsi ad un pericolo,…. Oppure vedo un’ombra e non so proprio cosa possa essere( ammettendo che possa essere qualsiasi cosa che faccia ombra) oppure dubito che possa essere, ad es. un uomo.».

[16]Pedrazzi, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1995, 114; Grosso, voce Errore(dir.pen.) in Enc. Giur Treccani ,op. cit.; Santucci, voce Errore (dir. pen.), in Enc. dir., op.cit, 280 s.; Pulitanò, voce Ignoranza (dir.pen.) in Enc. dir., vol.XX, Milano,1970,24; Pagliaro, Principi di diritto penale, Parte generale, op.cit., 398:«L’errore presuppone una ignoranza, cioè un difetto di conoscenza: a sua volta, la ignoranza, quando non è pura, ma si accompagna a un qualche convincimento, determina sempre una rappresentazione distorta della realtà, e perciò un errore».

[17]Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, op.cit,328:«Distinto dall’errore o dall’ignoranza è lo stato di dubbio: finché il soggetto versa nell’incertezza circa la presenza o l’assenza di determinati requisiti di fattispecie, mancano i presupposti sia di una conoscenza del tutto esatta, sia di un vero e proprio errore. Ciò spiega come, di regola, il dubbio non possa essere come causa di esclusione della responsabilità.»

[18] De Simone, L’errore sul fatto costitutivo, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice penale. Parte generale, diretta da Bricola e Zagrebelsky, I, Torino, 2ª ed., 1996,669:« Diverso dall’errore è il dubbio, che parimenti si fonda su un difetto di conoscenza. In caso di dubbio il soggetto non si è ancora formato alcun convincimento, sia pure erroneo, in ordine ad un determinato oggetto ma naviga nell’incertezza: ritiene nel contempo plausibili molteplici rappresentazioni dello stesso oggetto senza tuttavia riuscire ad optare per una di esse. Il dubbio come tale non può dunque essere equiparato all’errore e, quando verta su un presupposto della condotta  oppure riguardi la realizzazione dell’evento naturalistico, non esclude la configurabilità di  un dolo eventuale o intenzionale.».

[19] Grosso, voce Errore(dir.pen.) ,op. cit.; Santucci, voce Errore (dir. pen.), in Enc.. dir , op. cit.280.

[20] Carnelutti, Teoria generale del reato, Padova, 1933, 166, definisce la “previsione” con queste parole: «è un balzo della mente umana nell’avvenire; ma il suo punto di partenza è  il presente: l’uomo fa i conti su ciò che è per indovinare ciò che sarà».

[21] Articolo 82 Cod. Pen.- Offesa di persona diversa  da quella alla quale l’offesa era diretta.-

[22] Articolo 83  Cod. Pen. - Evento diverso da quello voluto dall’agente.-

[23] Trapani, La divergenza tra il «voluto» e il «realizzato», Milano, 1992, 20 ss., definisce, ad esempio, l’aberratio ictus come: « divergenza tra il voluto e il realizzato in cui entrambi i termini della relazione siano costitutivi della stessa fattispecie di reato»; Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, op.cit., 347, l’aberratio delicti si verifica «allorché l’agente, per inabilità nell’esecuzione, finisce col realizzare un reato che lede beni o interessi diversi rispetto a quelli inerenti al reato originariamente presi di mira».

[24] Per un approfondimento del tema si rinvia ad es. a: Leone, Il reato aberrante, Napoli, 1940; Conti, voce Aberratio(ictus,delicti,causae), in Noviss. dig. it., I, Torino, 1957; Gallo, voce Aberratio, in Enc.dir., I, Milano,1958; Trapani, op. cit.; Regina, Il reato aberrante, Milano, 1970.

[25] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit. ,77

[26] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit. , 78;Grosso,L’errore sulle scriminanti, Milano,1961,163.

[27] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit. ,81.

[28] Palazzo, L’errore sulla legge extrapenale, op. cit. , 85.

[29] Carnelutti, Teoria generale del reato, Padova, 1933, 167:«L’errore è qualunque anomalia del giudizio. Poiché gli elementi del giudizio sono due: il dato e la regola o, sotto un altro aspetto, la percezione e la valutazione, si può distinguere, secondo la fonte, un errore di percezione da un errore di valutazione: quando io vedo un oggetto in distanza e lo credo un cavallo mentre è un asino, l’errore può dipendere o da ciò che io non vedo bene o da ciò che io non conosco bene la differenza tra l’asino e il cavallo.»

[30] Carnelutti, Teoria generale del reato, op.cit., 168.

[31]Grosso, voce Errore(dir.pen.) ,op. cit.,1.

[32]Una fotografia, ad alta definizione, delle tesi dominanti in dottrina sull’argomento è contenuta nello scritto: De Simone, L’errore sul fatto costitutivo, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Codice penale. Parte generale, diretta da Bricola e Zagrebelsky, I, Torino, 2ª ed., 1996,667: « L’errore è lo stato mentale consistente in una falsa rappresentazione della realtà naturalistica o normativa …(omissis)…è, in altre parole, un rapporto di difformità tra la cognizione e il reale, una divergenza tra un dato oggetto, quale realmente esso è e la sua percezione - valutazione soggettiva da parte dell’agente…(omissis)…Dall’errore va tenuta concettualmente distinta l’ignoranza che uno stato psichico negativo, consistente nella mancanza di conoscenza…(omissis)… In dottrina si è soliti affermare che, sotto il profilo della rilevanza giuridico - penale, i due fenomeni si equivalgono in quanto l’unica ignoranza che interessa al diritto è quella generatrice di errore, poiché il soggetto non agisce se non in base ad un convincimento. E pertanto, indipendentemente dal fatto che il legislatore faccia riferimento all’uno o all’altra, ciò che in ultima analisi assume rilievo sarebbe sempre l’errore.».

[33] Durante gli anni sessanta pochi studiosi (tra i più importanti ricordiamo Piacenza, Grosso e Santucci) si occuparono dell’errore; tra questi merita una particolare attenzione Santucci, per la magistrale capacità di tracciare, con l’esposizione del suo pensiero, una chiara sintesi delle conclusioni della dottrina sul difficile tema dell’errore. L’errore, come stato  intellettuale, è quello che attiene «all’attività conoscitiva del soggetto errante, è errore in senso psicologico»( Santucci, voce Errore,(dir.pen.) in Enc. Dir., op.cit.). L’Autore, inoltre, utilizza gli stessi argomenti, anche bibliografici,  di Frosali per annotare l’inesattezza della definizione di errore come «falsa conoscenza» e per affermare l’essenza stessa dell’errore come «stato intellettivo generalizzato e di confronto»; deduce, infine, che l’errore è un particolare stato intellettivo concretizzato in uno stato psicologico profondo ed « intenso, di convinzione e di persuasione».

[34] Flora, voce Errore, in Dig.disc.pen., op.cit.,257:« l’errore, al quale viene comunemente parificata l’ignoranza che pur concettualmente se ne distingue, viene in rilievo nel nostro sistema penale come causa di esclusione dell’elemento soggettivo del reato (dolo e colpa) ed anche della colpevolezza, intesa come requisito autonomo per la sussistenza della responsabilità e consistente nel rimprovero di avere agito nella conoscenza e nella evitabile ignoranza (od erronea conoscenza )del precetto.».

[35] Mantovani, Diritto Penale, parte generale, IV ed., 2001, 377. Fiandaca- Musco, Diritto penale. Parte generale, op.cit., 328: «All’errore è equiparata l’ignoranza, in quanto sia la mancanza di conoscenza, sia l’erronea conoscenza di un dato elemento provoca il medesimo effetto psicologico: cioè di impedire che l’agente si renda conto di commettere un fatto integralmente corrispondente ai requisiti previsti da una fattispecie incriminatrice.»

[36] Il codice penale è base importante d’ogni tipo di ricerca in materia penalistica, ma non è la prima dal punto di vista del sistema delle fonti del nostro ordinamento giuridico. Sistema costituito da un apparato di fonti complesso, nel suo insieme, e chiaro, nei suoi principi di gerarchia e di competenza. La nostra “Grundnorm” è la Costituzione della Repubblica Italiana dalla quale non si può prescindere e alla quale devono potersi ricondurre le varie norme poste dalle fonti ad essa subordinate. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale,cap. II, L’ordinamento Costituzionale Italiano, 6ª  ed., Padova, 1993, 69 e 228.

[37] Tra le espressioni maggiormente significative: «...nella supposizione erronea... »; «...erroneamente supposte...»; «...per errore di fatto abbia ritenuto di obbedire...»; «...ritiene per errore...»…

[38] «Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui l'ha commesso non era imputabile. E' imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.». D’agostino, Filosofia del diritto,Torino, 1996: « Presupposto dell’applicazione della sanzione è quindi il darsi di un’azione umana, intesa in senso proprio: come comportamento libero e responsabile, che sia cioè possibile imputare a un soggetto agente. Ogni tentativo di costruire una teoria della sanzione che prescinda dal requisito della libertà è destinato a fallire: solo se il soggetto agente è libero, l’azione ha un senso sociale e solo se l’azione ha un senso può essere giudicata ( e sanzionata).

[39] Mantovani, Diritto Penale, parte generale,op.cit. , 315: «Con la prevalente dottrina e la stessa Relazione al progetto definitivo del codice penale si può ritenere che l’art.42/1 sottolinei il principio generale che la condotta, prima che dolosa o colposa, deve essere umana, essendo tale solo la condotta dell’uomo rientrante nella «signoria della volontà» e differenziantesi come tale dagli accadimenti naturali e dalle inerzie meramente meccaniche; e che, pertanto, la responsabilità penale presuppone , innanzitutto, la coscienza e volontà della condotta.» 

[40] L’uomo, essere pensante, è pur sempre un animale in cui l'istinto, non venuto meno, è pronto a riprendere il sopravvento quando la guardia, fatta dalla ragione, viene abbassata. La nostra società, oggi più che nel passato, impone di non far venire meno l'impegno nel controllo delle nostre azioni, perché il rischio per la salute e la vita degli altri è sempre presente in ogni attività umana quotidiana.

[41] “L'azione appartiene al soggetto solo se è libera. Un'azione è libera quando è manifestazione di una libera scelta. La scelta è libera quando l'uomo è capace d'intendere e di volere” L’idea della pena come sanzione alla violazione responsabile delle regole di convivenza è espressa in modo esemplare in D’Agostino, La sanzione nell’esperienza giuridica, Torino 3ª ed., 1993, 118 ss : « …..poiché una punizione priva di giustizia non può più esser detta punizione; è semplicemente un atto di violenza. Perché punire, dunque? Perché la pena è il correlato necessario della responsabilità; la responsabilità il correlato necessario della libertà e la libertà il tratto caratterizzante dell’essere dell’uomo come essere sociale, come essere-in-relazione. La categoria della pena ci aiuta in definitiva a mettere a fuoco quella della libertà … La libertà che l’uomo può sperimentare, infatti, non è una libertà assoluta, che non è chiamata a rispondere a nessuno del suo esercitarsi, esse è sempre una libertà finita, cioè una libertà che non può mai prescindere dall’esistenza altrui. Come l’esistenza è in realtà coesistenza, così la libertà è in realtà compossibilità delle libertà.».

[42]«... l’evento… è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione ... è colposo, o contro l'intenzione, quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente …».

[43]Grosso, voce Errore (dir. pen ), op. cit.,1

[44]Grosso, voce Errore (dir. pen.), op. cit.: « Nelle ipotesi in cui si parla soltanto di ignoranza, dato che essa è implicita nell’errore, deve ritenersi che la norma si riferisca anche a questo secondo, più complesso atteggiamento psicologico…(omissis)…Nelle ipotesi in cui la norma menziona soltanto l’errore occorrerà invece verificare, appunto caso per caso , se essa coinvolga anche la semplice ignoranza , come ad esempio sembra fare l’art.47, 1° co., avvero si riferisca esclusivamente all’errore, come pare invece accadere nell’ipotesi di cui all’art.59, ult.cpv., c.p.»

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