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L’incendio boschivo: un “pericoloso” reato di danno
di Leo Stilo
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1.
Premessa
Introdotto
nel codice penale con il decreto legge n. 220 del 2000 e successivamente
convertito dalla legge n. 275 del 2000, il reato di incendio boschivo
rappresenta la cristallizzazione legale dell’esigenza, quasi catartica, dello
Stato di reagire al numero sempre più crescente di incendi dolosi di boschi e
di aree ricoperte da vegetazione[1].
L’originario
decreto legge n. 220 del 2000 è stato strutturato secondo due linee direttive:
la prima diretta ad inserire all’interno del codice penale un’autonoma
figura di reato d’incendio boschivo; la seconda diretta a coordinare le norme
previgenti con la predetta fattispecie penale. Prima dell’entrata in vigore
del predetto decreto legge l’incendio di boschi, selve e foreste veniva
ricondotto all’art. 423 c.p. sotto forma di aggravante generica del reato di
incendio[2].
L’esame
del nuovo reato di incendio boschivo, la cui disciplina è contenuta nell’art.
423 bis c.p., presuppone la conoscenza e la metabolizzazione di alcune
problematiche che ruotano attorno alle fattispecie contenute nel Titolo VI del
libro II del codice penale: “Delitti contro l’incolumità pubblica”. Gli
argomenti da approfondire possono essere in questa sede solo brevemente
indicati, ma una loro descrizione, anche se superficiale, è necessaria per
comprendere e delimitare il ruolo e l’ambito di applicazione del reato di
incendio boschivo.
2.
Il pericolo nel reato di incendio.
L’argomento
“incendio” è disciplinato dal Codice Rocco nel Titolo VI del Libro II e la
norma cardine dell’intero sistema è contenuta nell’art. 423 c.p.: «Chiunque
cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni. La
disposizione si applica anche nel caso d’incendio della cosa propria, se dal
fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica».
Il
Titolo VI, «Delitti contro l’incolumità pubblica», «ricomprende fatti
accomunati da una particolare caratteristica: si tratta cioè di fatti che
tipicamente provocano un pericolo (o danno) di tale potenza espansiva o
diffusività, da minacciare (o ledere) un numero indeterminato di persone non
individuabili preventivamente; questa caratteristica spiega perché i delitti in
questione siano anche definiti di comune pericolo, ovvero delitti vaghi o
vaganti»[3].
La
migliore dottrina individua in modo restrittivo il confine del bene “incolumità
pubblica” tendendo ad identificarlo con la vita e l’integrità fisica delle
persone; lo stesso pericolo sulle cose inanimate, infatti, rileva solo se è
idoneo a determinare un serio rischio per la salute delle persone. La
caratteristica principale di questi reati non risiede nella potenziale offesa
diretta contro una o più persone determinate, ma nella loro intrinseca capacità
espansiva atta a proiettare gli effetti negativi al di là dei singoli bersagli
oggetto dell’attività criminosa.
In
altre parole, l’incolumità pubblica «non rappresenta un bene
qualitativamente diverso dalla vita e dall’integrità delle singole persone.
Piuttosto la sua autonomia concettuale è soltanto un riflesso della particolare
tecnica di tutela adottata nel configurare le fattispecie incriminatici in
questione: facendo scattare la reazione penale già in presenza di fatti di
comune pericolo, il legislatore anticipa la tutela delle persone in modo da
salvaguardarle ancor prima che divengano concreto bersaglio delle condotte
pericolose penalmente sanzionate»[4].
La tutela dell’integrità fisica delle persone, nella volontà del legislatore
penale, è tutelata in modo pregnante attraverso l’utilizzo di una tecnica
legislativa idonea ad anticipare le difese ad un momento anteriore alla concreta
individuazione del bene soggetto a pericolo.
Chiarito
il contenuto del bene “incolumità pubblica”, ai fini della presente
trattazione, il punto nodale su cui concentrare l’attenzione diviene la
determinazione dell’essenza stessa della fattispecie penale in oggetto:
l’offesa del bene tutelato.
«E
rispetto ad essa si pone il problema della soglia di tutela del bene giuridico.(omissis)
L’offesa al bene giuridico può, perciò, consistere: 1) in una lesione, che
si concreta in un nocumento effettivo del bene protetto, consistente nella
distruzione (es.: della vita nell’omicidio), nella diminuzione (es.:
dell’integrità fisica nella lesione personale…), nella perdita del bene
giuridico (es.: del potere sulla cosa nel furto); 2) in una messa in pericolo,
che si concreta in un nocumento potenziale del bene, che viene soltanto
minacciato (ad es. la incolumità pubblica nell’incendio).»[5]
L’attenzione
deve concentrarsi, quindi, sul pericolo e sulla tecnica legislativa utilizzata
nei delitti contro l’incolumità pubblica.
«Il
pericolo, oltre che come elemento tipico di molti reati, viene in considerazione
nella teoria del reato sotto diversi profili (causalità adeguata o umana,
scriminanti, tentativo, colpa, soglia di tutela del bene giuridico). Ed è tanto
irrinunciabile per il diritto moderno, quanto di difficile definizione
scientifica, controversi essendone l’essenza, i criteri di accertamento,
l’unicità o la diversità di nozioni in rapporto ai diversi istituti. Contro
gli intuizionismi, incontrollabili, del giudice il principio di tassatività
impone che anche il pericolo sottostia a criteri razionali, capaci di
verificazione empirica.»[6]
I
reati di pericolo nelle diverse posizioni della dottrina, oscillanti tra una
bipartizione e una tripartizione degli stessi[7],
non si presentano come una realtà monolitica nella quale è identificabile, in
modo univoco, il momento in cui il rischio da marginale e trascurabile diviene
penalmente rilevante; al contrario, la fenomenologia
dei reati di pericolo si presenta costituita da diverse realtà che rendono
penalmente rilevante livelli di rischio, misurabili in termini statistici o
probabilistici[8],
sostanzialmente e qualitativamente differenti[9].
Prendendo
come punto di riferimento la posizione di FIANDACA e MUSCO, sembra preferibile
accogliere la teoria della bipartizione dei reati di pericolo in quelli di
pericolo concreto o effettivo e di pericolo presunto o astratto. La scelta è
motivata principalmente da ragioni pratiche essendo, per lo scrivente, tale
distinzione quella che meglio di altre si adatta alla concreta trasposizione
processuale del diritto sostanziale.
In
estrema sintesi: nel “concreto” «il pericolo – in genere concepito come
rilevante possibilità di verificazione di un evento -
rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice,
onde spetta al giudice, in base alle circostanze concrete del singolo caso,
accertarne l’esistenza»; nel pericolo “presunto o astratto" «si
presume, in base ad una regola di esperienza, che al compimento di certe azioni
si accompagni l’insorgere di un pericolo.
Il
legislatore, in altri termini, fa a meno di inserire il pericolo fra i requisiti
espliciti della fattispecie incriminatrice e si limita a tipizzare una condotta,
al cui compimento tipicamente o generalmente si accompagna la messa in pericolo
di un determinato bene…per semplificare si consideri il reato di incendio di
cosa altrui preveduto dall’art. 423, comma 1°: il legislatore si limita a
tipizzare il fatto mediante la formula «chiunque cagiona un incendio è punito»,
e ciò nella presunzione che l’incendio sia nella generalità dei casi un
accadimento di comune pericolo» [10].
Il reato di incendio di cosa altrui (art. 423, primo comma, c.p.), inteso come
reato di pericolo astratto, si scontra con i principi costituzionali in tema di
diritto penale e di uguaglianza[11]
nel cuore delle motivazioni di due, non recenti, pronunce della Corte
Costituzionale che giunge a confermare, in entrambe, la legittimità della
presunzione legislativa contenuta all’art. 423, primo comma, c.p.
[12].
A
ben osservare, la previsione dell'art. 49, secondo comma, c.p. è lì, ancora
una volta, ad indicarci la corretta strada per interpretare i confini al di
sotto dei quali l’evento non può essere considerato penalmente rilevante: «La
punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione o per
l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o
pericoloso». La più autorevole dottrina (FIANDACA, MUSCO, MANTOVANI) ha sempre
qualificato il reato di incendio come un reato di pericolo; il problema, però,
sorge nel momento in cui scendendo nel dettaglio della situazione oggettiva, si
voglia determinare la natura stessa del pericolo che si trova, necessariamente,
ad oscillare tra il concreto e l’astratto.
Nell’art.
423 c.p. sono le stesse caratteristiche dell'elemento incendio a determinare il
superamento del rischio insito nella presunzione di pericolo contenuta nel primo
comma del predetto articolo attraverso il recupero, in sede di interpretazione,
della corretta definizione di incendio. L’interprete, infatti,
prima di verificare l’esistenza di altri elementi deve valutare se il
fatto che si trova ad esaminare e giudicare possa rientrare nella definizione di
incendio, recuperando così in sede di interpretazione la dimensione della
concreta verifica della pericolosità dell’evento. La carenza di una puntuale
delimitazione di cosa si intenda per “incendio”, infatti, non ha impedito
alla dottrina e alla giurisprudenza di giungere ad una soddisfacente definizione
dello stesso.
E’
opportuno riflettere sul fatto che non ci troviamo davanti ad una disquisizione
scientifica di carattere squisitamente astratto, ma di fronte ad un importante
momento di demarcazione tra “qualcosa” di penalmente rilevante e
“qualcosa” di penalmente irrilevante. Per questo motivo, mentre
l’identificazione dell’evento incendio risulta semplice nelle dimensioni più
eclatanti ed estese, al contrario risulta laboriosa nei casi meno evidenti dove
l’opinione del magistrato giudicante diviene l’unico elemento determinante.
Per limitare, il più possibile, i margini di elasticità insiti in tutte le
definizioni è necessario, quindi, svolgere un’importate e insostituibile
opera di critica e interpretazione del dato normativo.
Dall’analisi
del contenuto di alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione in tema di
art. 423 c.p. si possono individuare i caratteri ricorrenti che la stessa ha
riconosciuto come attributi imprescindibili per la venuta in essere
dell’evento in oggetto[13]:
l’incendio è un fuoco violento e di vaste proporzioni che manifesta la
tendenza ad ulteriore diffusione e la cui estinzione si prospetta di difficile
attuazione.
3. Il danno nell’incendio
boschivo.
Poste
queste indispensabili premesse si possono ora affrontare i problemi
interpretativi legati all’introduzione del nuovo reato di cui all’art. 423
bis c.p.. Il predetto esame è
diretto a predisporre gli strumenti idonei a compiere un’operazione di
chirurgia giuridica che si presenta necessaria al fine di ritagliare,
all’interno della disciplina previgente, uno spazio di autonomia per il reato
d’incendio boschivo.
Innanzitutto,
l’incendio boschivo, come il reato previsto all’art. 423 c.p., rientra in
quella categoria definita dalla dottrina “reati a forma libera” (ovvero
reati causali puri); «ricorrendo a quest’ultima tecnica di incriminazione, il
legislatore mira all’obiettivo di apprestare una tutela
molto estesa del bene oggetto di protezione proprio perché sono
sottoposte a pena tutte le possibili modalità di aggressione al bene medesimo»[14].
Il
reato non richiede la presenza di particolari legami tra il soggetto attivo e
l'oggetto tutelato, derivanti ad esempio da una particolare situazione di
garanzia o di affidamento, visto che può essere commesso da “chiunque”.
Generalmente la condotta dell'agente è attiva però non si può
escludere una di tipo omissivo (ad esempio si pensi alla responsabilità
derivante da un comportamento omissivo da parte di un vigile del fuoco o di un
agente appartenente al corpo della Guardia
Forestale, cioè da parte di soggetti con un particolare dovere
istituzionale di salvaguardia e tutela dell’ambiente contro eventuali danni
provocati da incendio).
Gli
elementi caratterizzanti il nuovo reato, rispetto a quello previsto dall’art.
423 c.p., sono: 1) la specificità degli oggetti che vengono direttamente
tutelati «boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al
rimboschimento»; 2) la rimozione all’interno della nuova fattispecie della
distinzione tra incendio di cosa propria e di cosa altrui. I suddetti elementi
costituiscono la base della successiva riflessione tesa ad individuare il reale
ambito operativo della disciplina contenuta in una norma che si incunea in un
settore già disciplinato dal codice penale.
La
fattispecie di “incendio boschivo” sembrerebbe configurare, così, una
figura incriminatrice speciale in rapporto alla generica ipotesi di incendio
contenuta nell’art. 423 c.p.. Le motivazioni che hanno indotto il legislatore
a prevedere un’autonoma figura di reato, per questo particolare tipo di
incendi, deriva dall’acuirsi del fenomeno che, da contingente incidente
stagionale, sembra essersi trasformato in una costante e periodica piaga
produttrice di ingenti danni economici e, soprattutto, ambientali. Per quanto
riguarda la struttura della condotta, quest’ultima è molto simile a quella
descritta dall’art. 423 c. p.; in tale confronto la maggiore differenza che si
riscontra tra le due fattispecie è nella già citata irrilevanza della
titolarità della proprietà delle cose incendiate che possono indifferentemente
essere dell’autore o di altri soggetti, senza che tale situazione influisca
sulla venuta in essere del reato e senza che questo porti ad una modificazione
dell’oggetto dell’accertamento. In sede di conversione il legislatore ha
modificato l’originario impianto del decreto attraverso l’eliminazione del
quarto comma dell’art. 1 che introduceva nel corpo dell’art. 424 c. p.,
“Danneggiamento a seguito di incendio”: «Se al fuoco appiccato a boschi,
selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue
l’incendio si applicano le pene previste dall’art. 423 bis ».
L’eliminazione di questa disposizione si riflette sull’intero sistema,
indebolendolo considerevolmente e provocando un vistoso ritorno al passato[15].
La soppressione, secondo OBERDAN FORLENZA, è spiegabile con l’intenzione del
Parlamento di «escludere ogni parificazione quod
poenam di un’ipotesi di incendio al di là della volontà (come
conseguenza dell’appicamento del fuoco) al reato di incendio boschivo.
Ciò
forse nella considerazione di una difficile indagine sull’elemento psicologico
e la possibile sussistenza (giustificatrice della parificazione) del dolo
eventuale»[16].
Altro problema è quello di identificare cosa il legislatore voglia intendere
per "bosco"[17];
l'ambito di operatività della norma in oggetto viene definito dalla Suprema
Corte (sent., sez. I, del 26-06-2001, n. 25935) tramite l’utilizzo di un particolare parametro valutativo:
la qualità della vegetazione coinvolta nell’incendio, lasciando, in secondo
piano, la dimensione spaziale dello stesso.
«I
giudici di legittimità, infatti, hanno individuato l'elemento oggettivo del
reato di incendio boschivo anche nelle estensioni di terreno su cui sia presente
sterpaglia, boscaglia o macchia mediterranea. Lo strumento interpretativo
attraverso cui sono giunti a tale soluzione…(omissis)…è
rappresentato dall'art. 2 della legge 353 del 2000 che definisce l'incendio
boschivo quale fuoco dotato di capacità espansiva, appiccato, su "aree
boschive, cespugliate o arborate", nonché su terreni coltivati o incolti e
pascoli limitrofi a dette aree» [18].
L'art. 2 della legge 353 del 2000 è utilizzato dalla Corte di Cassazione
come norma di rilevante portata interpretativa atta a definire l'esatto
ambito di operatività dell'art. 423 bis c.p.. Il legislatore ha avvertito
l’esigenza di dettare una norma specifica per sanzionare il fenomeno degli
incendi boschivi, divenuto negli ultimi anni di dimensioni allarmanti.
«La
specificità degli oggetti materiali contro i quali si dirige l’azione
incendiaria – e cioè boschi, selve, foreste ecc. – si proietta anche sul
bene giuridico tutelato, il quale finisce con l’assumere una connotazione
polivalente: oltre all’incolumità pubblica, nella ratio
di tutela dell’art. 423 bis rientra
il patrimonio forestale, per il suo tramite, l’ambiente.»[19]
Il
fatto che questo tipo di incendi non si dimostri maggiormente pericoloso per le
persone e i loro beni, rispetto ad altri tipi (si pensi alla maggiore
pericolosità di quelli appiccati all'interno di centri urbani o di particolari
centri industriali) e il fatto che il decreto legge sia stato adottato nel mese
di agosto (con motivazioni che traggono spunto dalla reazione delle Istituzioni
a fenomeni di dilagante criminalità) inducono a ritenere che il bene tutelato
dalla norma sia, in modo specifico, quello dell’ambiente nel suo
concretizzarsi empiricamente in boschi, selve, foreste, vivai forestali
destinati al rimboschimento. Se non è compito del diritto penale tutelare un
bene contro una indeterminata serie di modalità aggressive,
è suo dovere, però, difenderlo contro particolari attacchi avvertiti
dalla società come altamente offensivi.
La
fattispecie penale in questione rappresenta l'elemento estremo (penale) di un
impianto normativo più generale, teso a difendere il prezioso e sempre più
raro patrimonio boschivo nazionale. Per questo motivo il legislatore non si è
accontentato di prevedere semplicemente un’aggravante per l'incendio delle
predette aree verdi ma ha avvertito l'esigenza di creare un'autonoma fattispecie
penale. La fattispecie descritta dall'art. 423 bis c.p. indica, espressamente,
l'oggetto della sua tutela che viene rivolta in modo primario alla aree boschive
contro una particolare offesa che è quella derivante dall’evento incendio.
Il
danno, infatti, si concretizza nel momento stesso in cui l’interprete,
analizzando l’evento, giunge a parlare di incendio e non di semplice fuoco,
alla luce della costante giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di
Cassazione e della dottrina dominante.
L'incendio
boschivo si configura, così, come un delitto di danno e non di pericolo in
quanto l’oggetto della sua tutela è il patrimonio boschivo in sé considerato
e solo “incidentalmente” l’incolumità pubblica che potrebbe essere messa
in pericolo da eventuali sviluppi dello stesso.
Leo
Stilo
[1]Le intenzioni del legislatore sono messe in evidenza nei diversi interventi sostenuti durante i lavori preparatori. Per avere un quadro dettagliato delle argomentazioni a sostegno dell’approvazione della norma in oggetto si indicano i seguenti estremi utili ai fini di un esame più approfondito della questione: atto n. 4787/2000 del Senato della Repubblica presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (AMATO), dal Ministro delle politiche Agricole (PECORARO SCANIO) e dal Ministro della giustizia (FASSINO) il 7 agosto 2000 e atto n. 7310 / 2000 della Camera dei Deputati.
[2] CAPELLI, L’uso improprio della legge penale per sanzionare quel che è già punibile – L’inedito incendio boschivo esisteva come aggravante, in Dir. e Giustizia, 2000, 37; CORBETTA, Il nuovo delitto di “incendio boschivo”: (poche) luci e (molte) ombre (commento al decreto legge 4 agosto 2000, n. 220), in Dir. pen. e proc., 2000, 1172; MUSACCHIO, L’incendio boschivo diventa reato, in Giust. Pen., II, 2000, 671; MARGIOTTA, Manuale di tutela dell’ambiente, Milano, 2002, 630 ss.
[3] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, volume I, seconda ediz., Bologna, 1997, 493.
[4] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, op. cit., 494.
[5] MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, quarta ed., Padova, 2001, 216.
[6] MANTOVANI, Diritto penale, op. cit., 220.
[7] Per un quadro sintetico delle diverse posizioni della dottrina sul punto si rinvia a ZONNO, L'incendio. In particolare la fattispecie dell'incendio boschivo (legge n. 275/2000), in AA.VV., Studi di diritto penale, Vol. II (Diritto&Formazione) a cura di CARINGELLA - GAROFOLI, Milano, 2002, 1496.
[8] Per un approfondimento del tema della probabilità nella prova penale si consiglia la lettura di FROSINI, Le prove statistiche nel processo civile e nel processo penale, Milano, 2002.
[9] Il tema dei reati di pericolo non può essere approfondito in questa sede, si rinvia per ulteriori approfondimenti a: GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen. 1969, 1 ss.; GALLO, Riflessioni sui reati di pericolo, Padova, 1970; Delitala, Reati di pericolo, in Studi Petrocelli, III, Milano, 1972, 1731; FIANDACA, Note sui reati di pericolo, ne Il Tommaso Natale, 1997, 175 ss.; GRASSO, L’anticipazione della tutela penale:i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. It. Dir. proc. pen. 1986, 689 ss.; CANESTRARI, voce Reato di pericolo, in Enc. Giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991; e la letteratura citata in FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Terza ed., Bologna, 1995 (ristampa 1997), 173, 174, 175 e MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, op.cit., 216, 217.
[10] Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, op.cit., 174.
[11] La violazione del principio di uguaglianza sancito all’art. 3 della Costituzione si sostanzierebbe nella diversa natura del trattamento normativo in rapporto all’ipotesi di incendio di cosa propria (423, secondo comma, c.p.) in cui è richiesto un supplemento di verifica diretto a vagliare «se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità».
[12] La Corte costituzionale nella sentenza 27 dicembre 1974 n. 286 ritiene che per la configurabilità del delitto di cui all’art. 423 c.p. sia necessario il verificarsi di un evento potenzialmente idoneo a instaurare una situazione di pericolo per la pubblica incolumità e nella sentenza del 16 luglio 1979 n. 71 mette in evidenza che la presunzione di pericolo è giustificata in quanto l’elemento materiale del delitto, il fuoco-incendio, abbia delle caratteristiche atte a dedurne la logica conseguenza del pericolo per la pubblica incolumità.
[13] La definizione di incendio può essere evinta dalle seguenti pronunce: Cassazione penale, sez I, 30 maggio 1984 n. 5008: « per la configurabilità del reato di incendio colposo si richiede un fuoco di vaste proporzioni, con tendenza ad ulteriore diffusione di difficile estinzione…»; Cassazione penale, sez. I, 8 luglio 1987 n. 8235: «Sussiste delitto di incendio, di cu all’art. 423 cod. pen., quando l’azione dell’appiccare il fuoco è finalizzata soltanto a cagionare l’evento con un fuoco che tenda a diffondersi, avente caratteristiche tali, per proporzioni e violenza, da determinare un pericolo per la pubblica incolumità…»; Cassazione penale, sez. IV, 24 marzo 1991 n. 3194:«…costituisce incendio un fuoco di non lievi proporzioni che tenda ad espandersi e che non possa essere facilmente estinto…»; Cassazione penale, sez. I del 7 febbraio 1990, 16264: «sussiste il delitto d’incendio di cui all’art. 423 c.p. quando l’azione di appiccare il fuoco è finalizzata a cagionare l’evento con un fuoco che tenda a diffondersi, avente caratteristiche tali, per proporzioni e violenza, da determinare un pericolo effettivo per la pubblica incolumità»;Cassazione penale, sez. I, 25 maggio 1995, n. 1802:« perché si verifichi l’ipotesi criminosa di cui all’art. 423 c.p., l’incendio, anche con riferimento alla cosa altrui, deve essere un fuoco caratterizzato da vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento».
[14] Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, op.cit., 168.
[15]Per un esaustivo approfondimento sugli effetti negativi derivanti dell’eliminazione del reato di danneggiamento a seguito di incendio boschivo si consiglia la lettura di SANTOLOCI, Incomprensibile eliminazione del reato di danneggiamento seguito da incendio boschivo, (reperibile on-line all’indirizzo www.reteambiente.it) : «… praticamente siamo tornati allo stato originario e cioè al momento antecedente all'emanazione del decreto legge. Residua l'articolo 424 generico che tratta il "danneggiamento seguito da incendio" senza l'ipotesi boschiva. E, di conseguenza, i soggetti responsabili immediatamente individuati come appena descritto, ai quali non si può contestare il nuovo art. 423/bis, non hanno una nuova sanzione specifica ma verranno puniti, come prima che il decreto antincendio venisse emanato, come una norma di carattere generale. In sostanza non è cambiato nulla nonostante tutte le chiacchiere spese».
[16]FORLENZA, Con la soppressione dell’aggravante generica il nuovo reato fa ingresso nel codice penale, in Guida al Diritto (Sole24ore), n. 39 del 28 ottobre 2000, 67.
[17] Per una panoramica, normativa e giurisprudenziale, sul problema degli incendi boschivi e, in particolare, per la definizione giuridica di “bosco” si rinvia a F.CONTI GUGLIA: W.W.F Sezione Nebrodi Orientali - Manuale A.I.B. per internet 8° edizione 2002 (reperibile on-line sul sito www.ambientediritto.it).
[18] ZONNO, L'incendio. In particolare la fattispecie dell'incendio boschivo (legge n. 275/2000), op.cit. ,1500 e 1501.
[19]
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte
Speciale, op.cit,
494.
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