AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 

 

L’incendio boschivo: un “pericoloso” reato di danno

 

di Leo Stilo


 www.AmbienteDiritto.it


 1. Premessa

Introdotto nel codice penale con il decreto legge n. 220 del 2000 e successivamente convertito dalla legge n. 275 del 2000, il reato di incendio boschivo rappresenta la cristallizzazione legale dell’esigenza, quasi catartica, dello Stato di reagire al numero sempre più crescente di incendi dolosi di boschi e di aree ricoperte da vegetazione[1].

L’originario decreto legge n. 220 del 2000 è stato strutturato secondo due linee direttive: la prima diretta ad inserire all’interno del codice penale un’autonoma figura di reato d’incendio boschivo; la seconda diretta a coordinare le norme previgenti con la predetta fattispecie penale. Prima dell’entrata in vigore del predetto decreto legge l’incendio di boschi, selve e foreste veniva ricondotto all’art. 423 c.p. sotto forma di aggravante generica del reato di incendio[2].

L’esame del nuovo reato di incendio boschivo, la cui disciplina è contenuta nell’art. 423 bis c.p., presuppone la conoscenza e la metabolizzazione di alcune problematiche che ruotano attorno alle fattispecie contenute nel Titolo VI del libro II del codice penale: “Delitti contro l’incolumità pubblica”. Gli argomenti da approfondire possono essere in questa sede solo brevemente indicati, ma una loro descrizione, anche se superficiale, è necessaria per comprendere e delimitare il ruolo e l’ambito di applicazione del reato di incendio boschivo.

 

2. Il pericolo nel reato di incendio.

L’argomento “incendio” è disciplinato dal Codice Rocco nel Titolo VI del Libro II e la norma cardine dell’intero sistema è contenuta nell’art. 423 c.p.: «Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni. La disposizione si applica anche nel caso d’incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica».

Il Titolo VI, «Delitti contro l’incolumità pubblica», «ricomprende fatti accomunati da una particolare caratteristica: si tratta cioè di fatti che tipicamente provocano un pericolo (o danno) di tale potenza espansiva o diffusività, da minacciare (o ledere) un numero indeterminato di persone non individuabili preventivamente; questa caratteristica spiega perché i delitti in questione siano anche definiti di comune pericolo, ovvero delitti vaghi o vaganti»[3].

La migliore dottrina individua in modo restrittivo il confine del bene “incolumità pubblica” tendendo ad identificarlo con la vita e l’integrità fisica delle persone; lo stesso pericolo sulle cose inanimate, infatti, rileva solo se è idoneo a determinare un serio rischio per la salute delle persone. La caratteristica principale di questi reati non risiede nella potenziale offesa diretta contro una o più persone determinate, ma nella loro intrinseca capacità espansiva atta a proiettare gli effetti negativi al di là dei singoli bersagli oggetto dell’attività criminosa.

In altre parole, l’incolumità pubblica «non rappresenta un bene qualitativamente diverso dalla vita e dall’integrità delle singole persone. Piuttosto la sua autonomia concettuale è soltanto un riflesso della particolare tecnica di tutela adottata nel configurare le fattispecie incriminatici in questione: facendo scattare la reazione penale già in presenza di fatti di comune pericolo, il legislatore anticipa la tutela delle persone in modo da salvaguardarle ancor prima che divengano concreto bersaglio delle condotte pericolose penalmente sanzionate»[4]. La tutela dell’integrità fisica delle persone, nella volontà del legislatore penale, è tutelata in modo pregnante attraverso l’utilizzo di una tecnica legislativa idonea ad anticipare le difese ad un momento anteriore alla concreta individuazione del bene soggetto a pericolo.

Chiarito il contenuto del bene “incolumità pubblica”, ai fini della presente trattazione, il punto nodale su cui concentrare l’attenzione diviene la determinazione dell’essenza stessa della fattispecie penale in oggetto: l’offesa del bene tutelato.

«E rispetto ad essa si pone il problema della soglia di tutela del bene giuridico.(omissis) L’offesa al bene giuridico può, perciò, consistere: 1) in una lesione, che si concreta in un nocumento effettivo del bene protetto, consistente nella distruzione (es.: della vita nell’omicidio), nella diminuzione (es.: dell’integrità fisica nella lesione personale…), nella perdita del bene giuridico (es.: del potere sulla cosa nel furto); 2) in una messa in pericolo, che si concreta in un nocumento potenziale del bene, che viene soltanto minacciato (ad es. la incolumità pubblica nell’incendio).»[5]    

L’attenzione deve concentrarsi, quindi, sul pericolo e sulla tecnica legislativa utilizzata nei delitti contro l’incolumità pubblica.

«Il pericolo, oltre che come elemento tipico di molti reati, viene in considerazione nella teoria del reato sotto diversi profili (causalità adeguata o umana, scriminanti, tentativo, colpa, soglia di tutela del bene giuridico). Ed è tanto irrinunciabile per il diritto moderno, quanto di difficile definizione scientifica, controversi essendone l’essenza, i criteri di accertamento, l’unicità o la diversità di nozioni in rapporto ai diversi istituti. Contro gli intuizionismi, incontrollabili, del giudice il principio di tassatività impone che anche il pericolo sottostia a criteri razionali, capaci di verificazione empirica.»[6]

I reati di pericolo nelle diverse posizioni della dottrina, oscillanti tra una bipartizione e una tripartizione degli stessi[7], non si presentano come una realtà monolitica nella quale è identificabile, in modo univoco, il momento in cui il rischio da marginale e trascurabile diviene penalmente rilevante; al contrario, la  fenomenologia dei reati di pericolo si presenta costituita da diverse realtà che rendono penalmente rilevante livelli di rischio, misurabili in termini statistici o probabilistici[8], sostanzialmente e qualitativamente differenti[9].

Prendendo come punto di riferimento la posizione di FIANDACA e MUSCO, sembra preferibile accogliere la teoria della bipartizione dei reati di pericolo in quelli di pericolo concreto o effettivo e di pericolo presunto o astratto. La scelta è motivata principalmente da ragioni pratiche essendo, per lo scrivente, tale distinzione quella che meglio di altre si adatta alla concreta trasposizione processuale del diritto sostanziale.

In estrema sintesi: nel “concreto” «il pericolo – in genere concepito come rilevante possibilità di verificazione di un evento -  rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, onde spetta al giudice, in base alle circostanze concrete del singolo caso, accertarne l’esistenza»; nel pericolo “presunto o astratto" «si presume, in base ad una regola di esperienza, che al compimento di certe azioni si accompagni l’insorgere di un pericolo.

Il legislatore, in altri termini, fa a meno di inserire il pericolo fra i requisiti espliciti della fattispecie incriminatrice e si limita a tipizzare una condotta, al cui compimento tipicamente o generalmente si accompagna la messa in pericolo di un determinato bene…per semplificare si consideri il reato di incendio di cosa altrui preveduto dall’art. 423, comma 1°: il legislatore si limita a tipizzare il fatto mediante la formula «chiunque cagiona un incendio è punito», e ciò nella presunzione che l’incendio sia nella generalità dei casi un accadimento di comune pericolo» [10]. Il reato di incendio di cosa altrui (art. 423, primo comma, c.p.), inteso come reato di pericolo astratto, si scontra con i principi costituzionali in tema di diritto penale e di uguaglianza[11] nel cuore delle motivazioni di due, non recenti, pronunce della Corte Costituzionale che giunge a confermare, in entrambe, la legittimità della presunzione legislativa contenuta all’art. 423, primo comma, c.p. [12]. 

A ben osservare, la previsione dell'art. 49, secondo comma, c.p. è lì, ancora una volta, ad indicarci la corretta strada per interpretare i confini al di sotto dei quali l’evento non può essere considerato penalmente rilevante: «La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso». La più autorevole dottrina (FIANDACA, MUSCO, MANTOVANI) ha sempre qualificato il reato di incendio come un reato di pericolo; il problema, però, sorge nel momento in cui scendendo nel dettaglio della situazione oggettiva, si voglia determinare la natura stessa del pericolo che si trova, necessariamente, ad oscillare tra il concreto e l’astratto.

Nell’art. 423 c.p. sono le stesse caratteristiche dell'elemento incendio a determinare il superamento del rischio insito nella presunzione di pericolo contenuta nel primo comma del predetto articolo attraverso il recupero, in sede di interpretazione, della corretta definizione di incendio. L’interprete, infatti,  prima di verificare l’esistenza di altri elementi deve valutare se il fatto che si trova ad esaminare e giudicare possa rientrare nella definizione di incendio, recuperando così in sede di interpretazione la dimensione della concreta verifica della pericolosità dell’evento. La carenza di una puntuale delimitazione di cosa si intenda per “incendio”, infatti, non ha impedito alla dottrina e alla giurisprudenza di giungere ad una soddisfacente definizione dello stesso.

E’ opportuno riflettere sul fatto che non ci troviamo davanti ad una disquisizione scientifica di carattere squisitamente astratto, ma di fronte ad un importante momento di demarcazione tra “qualcosa” di penalmente rilevante e “qualcosa” di penalmente irrilevante. Per questo motivo, mentre l’identificazione dell’evento incendio risulta semplice nelle dimensioni più eclatanti ed estese, al contrario risulta laboriosa nei casi meno evidenti dove l’opinione del magistrato giudicante diviene l’unico elemento determinante. Per limitare, il più possibile, i margini di elasticità insiti in tutte le definizioni è necessario, quindi, svolgere un’importate e insostituibile opera di critica e interpretazione del dato normativo.

Dall’analisi del contenuto di alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione in tema di art. 423 c.p. si possono individuare i caratteri ricorrenti che la stessa ha riconosciuto come attributi imprescindibili per la venuta in essere dell’evento in oggetto[13]: l’incendio è un fuoco violento e di vaste proporzioni che manifesta la tendenza ad ulteriore diffusione e la cui estinzione si prospetta di difficile attuazione.

 

3. Il danno nell’incendio boschivo.

Poste queste indispensabili premesse si possono ora affrontare i problemi interpretativi legati all’introduzione del nuovo reato di cui all’art. 423 bis c.p..  Il predetto esame è diretto a predisporre gli strumenti idonei a compiere un’operazione di chirurgia giuridica che si presenta necessaria al fine di ritagliare, all’interno della disciplina previgente, uno spazio di autonomia per il reato d’incendio boschivo.

Innanzitutto, l’incendio boschivo, come il reato previsto all’art. 423 c.p., rientra in quella categoria definita dalla dottrina “reati a forma libera” (ovvero reati causali puri); «ricorrendo a quest’ultima tecnica di incriminazione, il legislatore mira all’obiettivo di apprestare una tutela  molto estesa del bene oggetto di protezione proprio perché sono sottoposte a pena tutte le possibili modalità di aggressione al bene medesimo»[14].

Il reato non richiede la presenza di particolari legami tra il soggetto attivo e l'oggetto tutelato, derivanti ad esempio da una particolare situazione di garanzia o di affidamento, visto che può essere commesso da “chiunque”.  Generalmente la condotta dell'agente è attiva però non si può escludere una di tipo omissivo (ad esempio si pensi alla responsabilità derivante da un comportamento omissivo da parte di un vigile del fuoco o di un agente appartenente al corpo della Guardia Forestale, cioè da parte di soggetti con un particolare dovere istituzionale di salvaguardia e tutela dell’ambiente contro eventuali danni provocati da incendio). 

Gli elementi caratterizzanti il nuovo reato, rispetto a quello previsto dall’art. 423 c.p., sono: 1) la specificità degli oggetti che vengono direttamente tutelati «boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento»; 2) la rimozione all’interno della nuova fattispecie della distinzione tra incendio di cosa propria e di cosa altrui. I suddetti elementi costituiscono la base della successiva riflessione tesa ad individuare il reale ambito operativo della disciplina contenuta in una norma che si incunea in un settore già disciplinato dal codice penale. 

La fattispecie di “incendio boschivo” sembrerebbe configurare, così, una figura incriminatrice speciale in rapporto alla generica ipotesi di incendio contenuta nell’art. 423 c.p.. Le motivazioni che hanno indotto il legislatore a prevedere un’autonoma figura di reato, per questo particolare tipo di incendi, deriva dall’acuirsi del fenomeno che, da contingente incidente stagionale, sembra essersi trasformato in una costante e periodica piaga produttrice di ingenti danni economici e, soprattutto, ambientali. Per quanto riguarda la struttura della condotta, quest’ultima è molto simile a quella descritta dall’art. 423 c. p.; in tale confronto la maggiore differenza che si riscontra tra le due fattispecie è nella già citata irrilevanza della titolarità della proprietà delle cose incendiate che possono indifferentemente essere dell’autore o di altri soggetti, senza che tale situazione influisca sulla venuta in essere del reato e senza che questo porti ad una modificazione dell’oggetto dell’accertamento. In sede di conversione il legislatore ha modificato l’originario impianto del decreto attraverso l’eliminazione del quarto comma dell’art. 1 che introduceva nel corpo dell’art. 424 c. p., “Danneggiamento a seguito di incendio”: «Se al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue l’incendio si applicano le pene previste dall’art. 423 bis ». L’eliminazione di questa disposizione si riflette sull’intero sistema, indebolendolo considerevolmente e provocando un vistoso ritorno al passato[15]. La soppressione, secondo OBERDAN FORLENZA, è spiegabile con l’intenzione del Parlamento di «escludere ogni parificazione quod poenam di un’ipotesi di incendio al di là della volontà (come conseguenza dell’appicamento del fuoco) al reato di incendio boschivo.

Ciò forse nella considerazione di una difficile indagine sull’elemento psicologico e la possibile sussistenza (giustificatrice della parificazione) del dolo eventuale»[16]. Altro problema è quello di identificare cosa il legislatore voglia intendere per "bosco"[17]; l'ambito di operatività della norma in oggetto viene definito dalla Suprema Corte (sent., sez. I, del 26-06-2001, n. 25935)  tramite l’utilizzo di un particolare parametro valutativo: la qualità della vegetazione coinvolta nell’incendio, lasciando, in secondo piano, la dimensione spaziale dello stesso.

«I giudici di legittimità, infatti, hanno individuato l'elemento oggettivo del reato di incendio boschivo anche nelle estensioni di terreno su cui sia presente sterpaglia, boscaglia o macchia mediterranea. Lo strumento interpretativo attraverso cui sono giunti a tale soluzione…(omissis)…è rappresentato dall'art. 2 della legge 353 del 2000 che definisce l'incendio boschivo quale fuoco dotato di capacità espansiva, appiccato, su "aree boschive, cespugliate o arborate", nonché su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree» [18]. L'art. 2 della legge 353 del 2000 è utilizzato dalla Corte di Cassazione  come norma di rilevante portata interpretativa atta a definire l'esatto ambito di operatività dell'art. 423 bis c.p.. Il legislatore ha avvertito l’esigenza di dettare una norma specifica per sanzionare il fenomeno degli incendi boschivi, divenuto negli ultimi anni di dimensioni allarmanti.

«La specificità degli oggetti materiali contro i quali si dirige l’azione incendiaria – e cioè boschi, selve, foreste ecc. – si proietta anche sul bene giuridico tutelato, il quale finisce con l’assumere una connotazione polivalente: oltre all’incolumità pubblica, nella ratio di tutela dell’art. 423 bis rientra il patrimonio forestale, per il suo tramite, l’ambiente.»[19]

 Il fatto che questo tipo di incendi non si dimostri maggiormente pericoloso per le persone e i loro beni, rispetto ad altri tipi (si pensi alla maggiore pericolosità di quelli appiccati all'interno di centri urbani o di particolari centri industriali) e il fatto che il decreto legge sia stato adottato nel mese di agosto (con motivazioni che traggono spunto dalla reazione delle Istituzioni a fenomeni di dilagante criminalità) inducono a ritenere che il bene tutelato dalla norma sia, in modo specifico, quello dell’ambiente nel suo concretizzarsi empiricamente in boschi, selve, foreste, vivai forestali destinati al rimboschimento. Se non è compito del diritto penale tutelare un bene contro una indeterminata serie di modalità aggressive,  è suo dovere, però, difenderlo contro particolari attacchi avvertiti dalla società come altamente offensivi.

La fattispecie penale in questione rappresenta l'elemento estremo (penale) di un impianto normativo più generale, teso a difendere il prezioso e sempre più raro patrimonio boschivo nazionale. Per questo motivo il legislatore non si è accontentato di prevedere semplicemente un’aggravante per l'incendio delle predette aree verdi ma ha avvertito l'esigenza di creare un'autonoma fattispecie penale. La fattispecie descritta dall'art. 423 bis c.p. indica, espressamente, l'oggetto della sua tutela che viene rivolta in modo primario alla aree boschive contro una particolare offesa che è quella derivante dall’evento incendio.

Il danno, infatti, si concretizza nel momento stesso in cui l’interprete, analizzando l’evento, giunge a parlare di incendio e non di semplice fuoco, alla luce della costante giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di Cassazione e della dottrina dominante.

L'incendio boschivo si configura, così, come un delitto di danno e non di pericolo in quanto l’oggetto della sua tutela è il patrimonio boschivo in sé considerato e solo “incidentalmente” l’incolumità pubblica che potrebbe essere messa in pericolo da eventuali sviluppi dello stesso.

 

Leo Stilo 

 



[1]Le intenzioni del legislatore sono messe in evidenza nei diversi interventi sostenuti durante i lavori preparatori. Per avere un quadro dettagliato delle argomentazioni a sostegno dell’approvazione della norma in oggetto si indicano i seguenti estremi utili ai fini di un esame più approfondito della questione: atto n. 4787/2000 del Senato della Repubblica presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (AMATO), dal Ministro delle politiche Agricole (PECORARO SCANIO) e dal Ministro della giustizia (FASSINO) il 7 agosto 2000 e atto n. 7310 / 2000 della Camera dei Deputati.

[2] CAPELLI, L’uso improprio della legge penale per sanzionare quel che è già punibile – L’inedito incendio boschivo esisteva come aggravante, in Dir. e Giustizia, 2000, 37; CORBETTA, Il nuovo delitto di “incendio boschivo”: (poche) luci e (molte) ombre (commento al decreto legge 4 agosto 2000, n. 220), in Dir. pen. e proc., 2000, 1172; MUSACCHIO, L’incendio boschivo diventa reato, in Giust. Pen., II,  2000,  671; MARGIOTTA, Manuale di tutela dell’ambiente, Milano, 2002,  630 ss.

[3] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, volume I, seconda ediz., Bologna, 1997, 493.

[4] FIANDACA-MUSCO,  Diritto penale, Parte speciale, op. cit., 494.

[5] MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, quarta ed., Padova,  2001, 216.

[6] MANTOVANI, Diritto penale,  op. cit.,  220.

[7] Per un quadro sintetico delle diverse posizioni della dottrina sul punto si rinvia a ZONNO, L'incendio. In particolare la fattispecie dell'incendio boschivo (legge n. 275/2000), in AA.VV., Studi di diritto penale,  Vol. II (Diritto&Formazione) a cura di  CARINGELLA - GAROFOLI, Milano,  2002, 1496.

[8] Per un approfondimento del tema della probabilità nella prova penale si consiglia la lettura di FROSINI, Le prove statistiche nel processo civile e nel processo penale, Milano, 2002.  

[9] Il tema dei reati di pericolo non può essere approfondito in questa sede, si rinvia per ulteriori approfondimenti a: GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen. 1969, 1 ss.; GALLO, Riflessioni sui reati di pericolo, Padova, 1970; Delitala, Reati di pericolo, in Studi Petrocelli, III, Milano, 1972, 1731; FIANDACA, Note sui reati di pericolo, ne Il Tommaso Natale, 1997, 175 ss.; GRASSO, L’anticipazione della tutela penale:i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. It. Dir. proc. pen. 1986, 689 ss.; CANESTRARI, voce Reato di pericolo, in Enc. Giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991; e la letteratura citata in  FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Terza ed., Bologna, 1995 (ristampa 1997), 173, 174, 175 e MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, op.cit., 216, 217.

[10] Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, op.cit., 174.

[11] La violazione del principio di uguaglianza sancito all’art. 3 della Costituzione si sostanzierebbe nella diversa natura del trattamento normativo in rapporto all’ipotesi di incendio di cosa propria (423, secondo comma, c.p.) in cui è richiesto un supplemento di verifica diretto a vagliare «se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità».

[12] La Corte costituzionale nella sentenza 27 dicembre 1974 n. 286 ritiene che per la configurabilità del delitto di cui all’art. 423 c.p. sia necessario il verificarsi di un evento potenzialmente idoneo a instaurare una situazione di pericolo per la pubblica incolumità e nella sentenza del 16 luglio 1979 n. 71 mette in evidenza che la presunzione di pericolo è giustificata in quanto l’elemento materiale del delitto, il fuoco-incendio, abbia delle caratteristiche atte a dedurne la logica conseguenza del pericolo per la pubblica incolumità. 

[13] La definizione di incendio può essere evinta dalle seguenti pronunce: Cassazione penale, sez I, 30 maggio 1984 n. 5008: « per la configurabilità del reato di incendio colposo si richiede un fuoco di vaste proporzioni, con tendenza ad ulteriore diffusione di difficile estinzione…»; Cassazione penale, sez. I, 8 luglio 1987 n. 8235: «Sussiste delitto di incendio, di cu all’art. 423 cod. pen., quando l’azione dell’appiccare il fuoco è finalizzata soltanto a cagionare l’evento con un fuoco che tenda a diffondersi, avente caratteristiche tali, per proporzioni e violenza, da determinare un pericolo per la pubblica incolumità…»; Cassazione penale, sez. IV, 24 marzo 1991 n. 3194:«…costituisce incendio un fuoco di non lievi proporzioni che tenda ad espandersi e che non possa essere facilmente estinto…»; Cassazione penale, sez. I del 7 febbraio 1990, 16264: «sussiste il delitto d’incendio di cui all’art. 423 c.p.  quando l’azione di appiccare il fuoco è finalizzata a cagionare l’evento con un fuoco che tenda a diffondersi, avente caratteristiche tali, per proporzioni e violenza, da determinare un pericolo effettivo per la pubblica incolumità»;Cassazione penale, sez. I, 25 maggio 1995, n. 1802:« perché si verifichi l’ipotesi criminosa di cui all’art. 423 c.p., l’incendio, anche con riferimento alla cosa altrui, deve essere un fuoco caratterizzato da vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento».

[14] Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, op.cit., 168.

[15]Per un esaustivo approfondimento sugli effetti negativi derivanti dell’eliminazione del reato di danneggiamento a seguito di incendio boschivo si consiglia la lettura di SANTOLOCI, Incomprensibile eliminazione del reato di danneggiamento seguito da incendio boschivo, (reperibile on-line all’indirizzo www.reteambiente.it) : «… praticamente siamo tornati allo stato originario e cioè al momento antecedente all'emanazione del decreto legge. Residua l'articolo 424 generico che tratta il "danneggiamento seguito da incendio" senza l'ipotesi boschiva. E, di conseguenza, i soggetti responsabili immediatamente individuati come appena descritto, ai quali non si può contestare il nuovo art. 423/bis, non hanno una nuova sanzione specifica ma verranno puniti, come prima che il decreto antincendio venisse emanato, come una norma di carattere generale. In sostanza non è cambiato nulla nonostante tutte le chiacchiere spese».

[16]FORLENZA, Con la soppressione dell’aggravante generica il nuovo reato fa ingresso nel codice penale, in Guida al Diritto (Sole24ore), n. 39 del 28 ottobre 2000, 67.

[17] Per una panoramica, normativa e giurisprudenziale, sul problema degli incendi boschivi e, in particolare, per la definizione giuridica di “bosco” si rinvia a F.CONTI GUGLIA: W.W.F Sezione Nebrodi Orientali - Manuale A.I.B. per internet 8° edizione 2002 (reperibile on-line sul sito www.ambientediritto.it).

[18] ZONNO, L'incendio. In particolare la fattispecie dell'incendio boschivo (legge n. 275/2000), op.cit. ,1500 e 1501.

[19] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte Speciale, op.cit,  494.

AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Tutti i diritti sono riservati - Copyright © - AmbienteDiritto.it

Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006