DALLE
SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE UN FRENO PER”RUSPA SELVAGGIA”
E’ compito del pubblico ministero demolire
le opere abusive. Il sistema normativo: la procedura amministrativa e quella
penale. La carenza operativa dei controlli repressivi della P.G.; i mancati
sequestri dei cantieri abusivi. L’inerzia L’ordine di abbattimento delle opere
abusive e l’ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi
impartiti dal Pretore d’intervento della
pubblica amministrazione. Il dibattito sulla competenza per l’esecuzione degli
ordini di demolizione e rimessione in pristino; lasentenza delle Sezioni Unite.
Le sentenze di patteggiamento.
di Maurizio
Santoloci (Magistrato e Vice Presidente del WWF ITALIA)
Nel quadro del sistema diretto alla tutela
dell’integrità del territorio, va sottolineato un principio spesso
sottovalutato: le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno,
infatti, da tempo varato un principio di rilevanza importantissima che va ad
incidere su un aspetto determinante del settore.
L’ordine di abbattimento delle opere
abusive impartito dal pretore nella sentenza di condanna per illecito
urbanistico edilizio (art. 7 L. N. 47/85) e l’ordine di remissione in pristino
dello stato dei luoghi impartito dal pretore nella sentenza di condanna per
violazione alla legge - Galasso (art. 1 sexies L. 431/85) costituiscono due
punti assolutamente nevralgici e determinanti del sistema sinergico delle due
normative in questione a tutela degli assetti urbanistici e ambientali.
In realtà queste due procedure hanno
assunto particolare e rilevantissima importanza stante l’evoluzione di fatto
delle normative in questione con riferimento alla loro specifica applicazione
o, meglio sarebbe dire, alla loro frequente e parziale disapplicazione.
1 - Il sistema normativo: la procedura
amministrativa e quella penale
Vediamo infatti che il sistema costruito
dal legislatore apparirebbe in teoria preciso e l’iter penale dovrebbe
rappresentare un corollario finale scarsamente incidente a livello pratico -
sostanziale sulla sussistenza degli abusi e degli scempi. Questo perché parte
pregiudiziale e preliminare è riservata, come del resto appare logico,
all’operato della pubblica amministrazione.
Infatti è noto, ma vale comunque la pena
ribadirlo, che nel sistema normativo in questione l’attività sostanziale ricade
in capo al Comune, giacché dopo l’accertamento dell’abuso spetta
obbligatoriamente al sindaco emanare l’ordinanza di sospensione dei lavori e il
successivo ordine di abbattimento o acquisizione alternativa al patrimonio
pubblico; spetta naturalmente allo stesso sindaco, una volta emanate dette
ordinanze, curarne l’osservanza, o in caso contrario, la applicazione coattiva
fino agli estremi finali.
In tal modo le due procedure
(amministrativa e penale) seguono iter sostanzialmente diversi: la prima è tesa
all’accertamento materiale del fatto ed è finalizzata soprattutto ad affrontare
a livello pratico l’illecito stesso, con atti idonei per inibirne la
prosecuzione dell’ulteriore sviluppo sul territorio fino alla cancellazione
fisica dall’assetto urbanistico - territoriale (o in alternativa alla finale
acquisizione al patrimonio pubblico); la seconda è tesa ad accertare il fatto -
reato, portarlo a conoscenza dell’autorità giudiziaria ed alla fine giungere ad
una sentenza di eventuale condanna a carico del responsabile con una funzione
giurisdizionale che è dunque in linea teorica meramente accertativa e repressiva.
Ma in realtà le cose sono andate ben
diversamente e lo sviluppo quotidiano e concreto dei fatti non è coinciso
assolutamente in modo totale con il criterio razionalmente voluto dal
legislatore.
2 - La carenza operativa dei controlli
repressivi della P.G.; i mancati sequestri dei cantieri abusivi
Abbiamo visto, in primo luogo, che nel
campo di illeciti territoriali ed ambientali la vigilanza è stata spesso
piuttosto scarsa (in alcune aree del tutto inesistente) e ciò ha provocato il
dilagare del mare di abusivismo apparentemente incontrollato che è sotto gli
occhi di tutti noi.
La teoria è teoria ed i fatti sono i
fatti: l’abusivismo c’è e si vede in modo incontestabile; il che significa che
non è stato sufficientemente controllato e represso.
Ma anche allorquando gli accertamenti
sugli illeciti sono stati eseguiti, e conseguentemente le due procedure
(amministrativa e penale) sono state avviate, il corso dei relativi
procedimenti ha subito una evoluzione genetica abnorme che ci ha portato alla situazione
attuale. Infatti in genere l’organo di vigilanza (anche se di polizia
giudiziaria) ha quasi sempre limitato la sua azione a prendere cognizione del
reato e, una volta conclusi i rilievi, a denunciare l’abuso al pubblico
ministero: raramente si è operato per impedire che il reato venisse portato a
ulteriori conseguenze (attività primaria e doverosa in base al disposto del
primo comma dell’art. 55 C.P.P.).
Ciò significa che, quando si sono svolti
gli accertamenti, si è comunque provveduto in genere (e salvo casi rari) solo a
denunciare il reato all’autorità giudiziaria ma non si é provveduto ad inibire
fisicamente ed oggettivamente ai titolari dell’abuso la continuazione dei
lavori stessi: in altre parole non si è quasi mai provveduto a sequestrare il
cantiere illecito sul nascere (magari appena è iniziato lo scavo delle
fondamenta o ai primi albori della costruzione) lasciando così di fatto libero
il titolare di continuare i lavori che poi sono stati puntualmente e
regolarmente ultimati nelle more del dibattimento.
Per inciso, sul punto va rilevato che gli
organi d P.G. in generale hanno manifestato ben scarsa tendenza al sequestro
d’iniziativa in questo ed altri settori della tutela del territorio, omettendo
quindi in modo palese ed ingiustificato un proprio preciso dovere d’iniziativa
propria connesso a quel quadro di strumenti che il C.P.P. prevede come area
operativa autonoma per la P.G. prima della segnalazione al P.M.
Ed in genere si é preferito limitare
l’operato alla segnalazione al P.M. con il falso alibi di lasciare al suo
ufficio la decisione in ordine all’eventuale sequestro; ipocrito scaricabarile,
sia perché la P.G. deve attuare gli interventi di propria iniziativa
(altrimenti il codice non avrebbe creato le relative procedure) sia perché é
stato ben sempre noto a tutti che l’ingolfamento degli uffici del P.M. non
consente, di regola e soprattutto nelle grandi città, un intervento immediato
del magistrato appena ricevuta la segnalazione e dunque il tempo ha sempre
lavorato a favore dell’abuso.
In realtà i sequestri non sono stati
realizzati per una malintesa opzione di totale ed arbitraria discrezionalità
condita da paure miste tra le quali il rischio di”pagare i danni”dopo mancate
convalide e simili.
E sul delicato campo ha inciso, credo non
casualmente, una importante e severa sentenza delle Sezioni Unite della
Cassazione che” (...) il sequestro rappresenta un”atto dovuto”la cui omissione
esporrebbe gli autori a specifiche responsabilità penali (...) " (Cass.
Pen. sez. unite - 27 marzo - 16 maggio 1996 - n. 5021 - Pres. La Torre - Rel. Marvulli - Imp. Sala).
Una pronuncia che, seppur non pronunciata
espressamente con riferimento alla normativa in esame, riveste carattere
generale ed é dunque applicabile anche e soprattutto nel campo degli abusivismi
edilizi e paesaggistici e dovrebbe indurre a maggiore solerzia le tiepide
azioni di vigilanza repressiva.
3 - L’inerzia d’intervento della pubblica
amministrazione
A rigor di logica, tuttavia, a detta
parziale inerzia della polizia giudiziaria si é posta in parallelo analoga e
più frequente inerzia delle pubbliche amministrazioni competenti. Infatti una
volta accertato l’abuso edilizio, parallelamente alla procedura penale si
sarebbe dovuto attuare totalmente la procedura amministrativa: il sindaco
avrebbe dovuto emanare l’ordinanza di sospensione dei lavori e promuovere il
successivo iter per l’abbattimento o acquisizione al patrimonio pubblico.
Se questa procedura amministrativa fosse
stata sistematicamente attuata, anche omesso il sequestro penale da parte degli
organi di polizia giudiziaria, il risultato sarebbe stato il congelamento degli
abusi edilizi allo stato iniziale ed al momento del dibattimento la situazione
sarebbe risultata intatta sempre allo stato genetico.
Non avremmo dunque avuto quello che in
realtà si è verificato, e cioè che al momento del processo gli abusi edilizi
accertati in via originaria erano diventati nel frattempo manufatti magari di
rilevanti dimensioni e già abitati dai contravventori.
Del resto conferma direttamente questa
argomentazione il fatto che il condono edilizio è intervenuto su un mare di
abusi che sono stati segnalati da parte dei titolari alle pubbliche
amministrazioni per ottenere il condono stesso; l’esistenza di questa oceanica
realtà di abusi da condonare conferma che sul territorio si sono sviluppati una
serie di attività edilizie totalmente illecite che sono rimaste incontrollate
e/o comunque non represse ed abbattute come la procedura rituale avrebbe voluto
giacché alla fine il condono interviene con un provvedimento tombale che sana
tutto.
La verità è che, se negli anni trascorsi
ogni abuso fosse stato accertato e represso dalla P.G. da un lato, ma
soprattutto dalla pubblica amministrazione con le ordinanze di rito poi
coattivamente eseguite fino alle estreme conseguenze (abbattimento forzato o
acquisizione al patrimonio pubblico) ben pochi sarebbero stati i casi di
condono edilizio.
Si è verificato invece esattamente il
contrario. Si deve dunque dedurre che il sistema dell’attività pregiudiziale
imposto dal legislatore a carico della pubblica amministrazione non ha affatto
funzionato e realisticamente le cose sono andate così: è stata quasi sempre
emanata la prima ordinanza di sospensione dei lavori, vi è stata in genere
anche la seconda ordinanza per la demolizione ma le procedure di fatto sono poi
rimaste lettera morta. Infatti sia per ricorsi inibenti sia per cavilli
procedurali sia per scarsa iniziativa della pubblica amministrazione, gli abusi
che dovevano essere abbattuti e cancellati dall’assetto urbanistico -
territoriale sono rimasti lì inalterati, vivi e vegeti.
4 - L’ordine di abbattimento delle opere
abusive e l’ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi impartiti
dal Pretore
E’ logico, pertanto, che a questo punto
torna inevitabilmente a costituire particolare importanza la procedura penale
che nel frattempo è andata avanti. Si giunge quindi al dibattimento penale per
l’abuso (il quale, va ribadito, è ancora lì immutato) ed il soggetto titolare
viene condannato per la violazione alla normativa urbanistico - edilizia (e/o
alla normativa paesaggistico - ambientale).
Il Pretore penale ha l’obbligo (vale la
pena sottolinearlo: l’obbligo, non la facoltà) di ordinare in sentenza di
condanna l’abbattimento delle opere abusive se ancora non sia stato altrimenti
eseguito e parimenti ha l’obbligo di ordinare in caso di violazione alla legge
- Galasso la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a cura e spese del
condannato.
Questa ulteriore prassi, resa dal
legislatore obbligatoria a carico del magistrato giudicante panale, é
significativa in quanto evidentemente il legislatore ha percepito la scarsa
attività sostanziale attuata dalle pubbliche amministrazioni in ordine agli
abbattimenti di loro competenza amministrativa in via pregiudiziale e dunque
rafforza la procedura in questione. Il Pretore deve dunque rinnovare l’ordine
di abbattimento e rimessione in pristino evidentemente non attuato dalla
pubblica amministrazione (l’inciso dell’attuabilità nel caso che l’abbattimento
non sia stato altrimenti eseguito conferma il principio che ha mosso il
legislatore come rimedio alla eventuale inerzia amministrativa).
Ma in realtà l’esperienza pratica e
quotidiana ci insegna che quando il Pretore ha emesso questo ordine anziché
trovarsi, come dovrebbe essere, di fronte a casi residuali scampati
all’attività repressiva diretta del comune, è andato ad incidere su una
situazione di fatto che ha visto la pubblica amministrazione ingessare il proprio
operato di fronte al coattivo abbattimento o acquisizione al patrimonio
pubblico. In realtà essendo l’opera ancora lì intatta ed immutata questo ordine
emanato dal Pretore (di principio, residuale) assume così per forza di cose una
importanza assolutamente prioritaria e fondamentale.
Consegue, ed è logico, che l’esecuzione di
questo ordine di abbattimento e/o rimessione in pristino impartito dal Pretore
diventa punto vitale di tutta l’evoluzione del sistema normativo in materia
urbanistico - edilizia e paesaggistico - ambientale giacché trattasi
dell’ultima spiaggia. Infatti se l’ordine del Pretore non viene eseguito, il
cerchio si chiude in senso negativo e definitivo e tutta la procedura rimane
lettera morta; se al contrario, l’ordine del Pretore viene puntualmente e
sostanzialmente attuato consegue che effettivamente il contravventore vede la
propria opera abusiva scomparire dal mondo delle cose reali.
Non sembri questo particolare scarsamente
rilevante. Va sempre esaminato il problema sotto il profilo pratico - concreto.
Infatti è noto che nel campo degli
illeciti nel settore in questione la normativa in se stessa presenta un sistema
sanzionatorio non eccessivamente pesante, il quale viene ulteriormente reso
meno invasivo da pratiche quali il ricorso al patteggiamento o alle pene
alternative. Non dimentichiamo, peraltro, che chi delinque in questo settore
raramente presenta un certificato penale con aspetti significativi e nella
maggior parte dei casi appare anzi totalmente incensurato; quindi l’eventuale
condanna rimane pur sempre una questione puramente teorica che provoca scarso
effetto deterrente grazie alla concessione della sospensione condizionale della
pena. Peraltro non di rado si rileva che il titolare ufficiale dell’abuso non è
il vero responsabile dello stesso ma spesso i lavori sono
registrati a nome di una terza persona con
scarsi tassi di rischio (ad esempio, un genitore anziano o comunque un parente
in avanzata età i quali ben poco deterrente possono trarre da un’eventuale
condanna che a loro carico resterà a maggior ragione ancora più teorica).
In questa situazione il rischio (teorico)
di una condanna per l’abusivista edilizio medio e grande è comunque
accettabile: a fronte di un cospicuo lucro conseguente all’abuso in questione,
l’eventuale e teorica condanna, ammortizzata dalle pratiche alternative e/o
comunque dal ricorso a responsabili di facciata, ben giustifica il rischio;
anche perché vi é la certezza (quasi sempre assoluta) del godimento del bene il
quale, si sa, resta comunque inalterato e alla fine, passata la tempesta sarà
comunque godibile e comunque commerciabile.
Ecco dunque che l’abbattimento coattivo
delle opere abusive e della rimessione in pristino assume un aspetto
d’importanza veramente rilevantissima. Infatti già anche a livello deterrente,
ove il contravventore abbia invece la matematica certezza che l’opera abusiva,
seppure con il sistema penale ammortizzato di cui sopra, comunque in ogni caso
e con assoluta sicurezza alla fine sarà abbattuta e/o lo stato dei luoghi sarà
rimesso in pristino a suo danno e dunque il provento del reato non potrà
certamente essere goduto, intravede la prospettiva di un danno economico
notevolissimo a fronte di una speranza di godimento sempre più labile.
Peraltro l’abbattere le opere abusive e/o
rimettere in pristino lo stato dei luoghi rappresenta un punto di forza
importantissimo nella politica di gestione di tutela territoriale in quanto
significa stroncare fisicamente ed oggettivamente il dilagare degli abusi
facendoli scomparire dal mondo delle cose reali.
Si intuisce dunque che sull’ordine di
abbattimento e remissione in pristino pronunciata dal Pretore in sentenza di
condanna si è innestato un dibattito dottrinario e giurisprudenziale
proporzionato all’importanza vitale che detta procedura ha assunto, per forza
di cose, nell’evoluzione del sistema normativo in oggetto.
5 - Il dibattito sulla competenza per
l’esecuzione degli ordini di demolizione e rimessione in pristino; la sentenza
delle Sezioni Unite
Inizialmente, dunque, il magistrato penale
trasmetteva la sentenza di condanna con gli ordini in questione, una volta
passata in giudicato, al Comune affinché provvedesse al rinnovato ordine
d’abbattimento ma, di fatto, il cerchio si è sempre chiuso nelle stesse
modalità pregresse: in altre parole la pubblica amministrazione che non aveva
trovato prima la forza per attuare il proprio ordine di abbattimento poi non ha
trovato poi la forza neppure di attuare l’ordine dato dal Pretore.
E così le cose sono rimaste generalmente e
sostanzialmente inalterate. Da parte della giurisprudenza di merito si è
iniziato peraltro invece a mutare opinione in ordine alla competenza per
l’esecuzione di detti ordini di abbattimento e rimessione in pristino e si é
sostenuta la teoria che vuole dette esecuzioni ricadenti sempre in capo alla
funzione giurisdizionale e non alla pubblica amministrazione.
Dunque si è iniziato a stabilire che
l’esecuzione degli ordini in questione spetta al pubblico ministero e non alla
pubblica amministrazione. Come per ogni principio di proporzionata rilevanza si
sono registrate opinioni opposte.
La Corte di Cassazione ha avallato la
tendenza di opinione giurisprudenziale in questione ed ha confermato che la
competenza per l’esecuzione di tale ordine appartiene al pubblico ministero.
A titolo d’esempio si veda Cass. pen. Sez. III, 28
gennaio 1993, n. 21 Pres. Papillo - Est. Montoro:”Non sussiste difetto di giurisdizione dell'autorità
giudiziaria ordinaria in materia di esecuzione dell'ordine di demolizione di
opere abusive che il giudice deve pronunciare, con la sentenza di condanna (ove
la detta demolizione non sia stata altrimenti eseguita), ai sensi dell'art. 7,
ultimo comma, della legge urbanistica 28 febbraio 1985, n. 47; ordine, quello
anzidetto, alla cui esecuzione, quindi, legittimamente e doverosamente provvede
il P.M., avvalendosi, all'uopo, della forza pubblica."
Nella motivazione della citata sentenza la
Suprema Corte ribadisce che”(...) deve (...) confermarsi la natura penale della
sanzione de qua. (...) Quest'ultima è applicata dal magistrato penale; è
autonoma e più ampia rispetto a quella amministrativa; consegue a sentenza di
condanna. (...)". Ed infine sottolinea:”(...) Non si vede, quindi, perché
proprio l'autorità giudiziaria non potrebbe eseguire l'ordine da lei stessa
dato; in definitiva neanche la tanto conclamata funzione di supplenza vi osta,
essendo la stessa - a ben riflettere – concettualmente incompatibile con la
pretesa assolutezza della riserva amministrativa in materia.(...)".
Il suddetto orientamento ha trovato
ulteriore conforto in sentenze successive (Sez. 3, 14 aprile 1995, Francavilla,
Rv. 200924; Id., 16 novembre 1995, p.m. in proc. Cristoforo, Rv. 202794; Id. 28
novembre 1995, Granato, Rv. 203016; Id 16 gennaio 1996, p.m. in proc. Agoglia,
Rv. 203364).
Ma nel contempo, come spesso ormai accade
per fatti e principi similari la stessa Corte di Cassazione ha emanato sentenze
antitetiche sul punto tendenti a riconoscere l’esclusiva spettanza
dell’autorità amministrativa in ordine al potere di intervento sul territorio.
Sicché s’é ritenuto che il potere conferito al giudice è diretto ad”ovviare
all’inerzia della pubblica amministrazione”. Dall’altra parte, la sanzione
demolitoria”disposta dal giudice penale.... è riesaminabile in sede di
esecuzione;...... in tale sede può subire modificazioni definitive... per
incompatibilità con provvedimenti adottati dalla competente autorità
amministrativa successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di
condanna ..... o (per modificazioni) temporanee, come nel caso in cui al
sindaco sia interdetto dal giudice amministrativo di procedere alla demolizione
sia pure con provvedimento sospensivo. (In tale caso) l’ordine del supplente
(giudice penale) non ha possibilità di attuarsi in quanto l’esercizio del
potere del titolare (pubblica amministrazione) ..... è sospeso .....; è (cioè)
la potestà stessa della pubblica amministrazione, che dovrebbe eseguirlo, ad
essere .... paralizzata nel suo esercizio....”.
In tal senso si veda, ad esempio, Cass.
Pen. sez. III - 19/3/92, Conti, m. 189977; Cass. Pen. sez. III - 19/12/92,
Vanello, m. 192602; Cass. Pen. sez. III - 7/5/94, Acquafredda, m. 197617.
Si sono dunque pronunciate le Sezioni
Unite Penali della Suprema Corte le quali, dirimendo definitivamente
l’importantissima controversia hanno stabilito inequivocabilmente e in modo
assolutamente chiaro che la competenza per l’esecuzione dell’ordine di
abbattimento spetta al pubblico ministero e non alla pubblica amministrazione.
La sentenza in questione (Cass. Pen. Sez.
unite del 19/6/96 (C.C.) - n. 15 - Pres. Callà - Rel. Albamonte) é scaturita da
un ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso al Pretura Circ.le
di Trani. Con sentenza in data 12 giugno 1991, il Pretore di Trani - Sez. Dist.
Di Andria - riconosceva Monterisi Rosa responsabile del reato di cui all’art.
20 lett.”B”L. 28 febbraio 1985 n. 47, per aver costruito un manufatto in
assenza di concessione edilizia, e, per l’effetto, condannava la predetta alla
pena di giustizia, nonché ordinava la demolizione dell’opera previa di
concessione, ai sensi dell’art. 7 ult. comma legge citata.
Divenuta esecutiva la sentenza, il
pubblico ministero promuoveva l’esecuzione dell’ordine di demolizione
dell’opera edilizia, delegando il Comandante della Stazione dei Carabinieri di
Andria e l’esercito (si sottolinea la forza coattiva di questa procedura di
abbattimento, in antitesi al nulla finora attuato in genere).
Contro il suddetto provvedimento la
Monterisi proponeva incidente di esecuzione, contestando la competenza del
pubblico ministero per porre in esecuzione il provvedimento stesso per mancato
compimento dello speciale procedimento amministrativo di spettanza del comune.
Il Pretore di Trani, quale giudice dell’esecuzione accoglieva il ricorso e
dichiarava il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in
ordine all’esecuzione della demolizione (asserendo dunque la competenza del
comune in luogo della procura della Repubblica).
Proponeva ricorso per Cassazione il
pubblico ministero.
La terza sezione penale della Corte di
Cassazione, alla quale era stato assegnato il ricorso, rimetteva, con ordinanza
del 9 marzo 1995, il ricorso stesso alle Sezioni Unite ravvisando un contrasto
giurisprudenziale sulla questione dedotta (si sottolineava che la questione di
diritto concernente la sussistenza della giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria in materia di esecuzione dell’ordine di demolizione di
manufatto abusivo aveva dato luogo ad un contrasto nella giurisprudenza di
legittimità).
Il caso giungeva quindi in decisione
presso le Sezioni Unite e con la successiva citata sentenza le stesse”(...)
riconoscendo la natura di provvedimento giurisdizionale all’ordine di
demolizione (...)”stabilivano che”(...) ne è demandata l’esecuzione al pubblico
ministero ed al giudice dell’esecuzione secondo i rispettivi ruoli (...)”.
Sancivano dunque che”(...) il potere -
dovere di ordinare la demolizione dell’opera abusiva deve essere ricompreso in
quel complessivo meccanismo di deterrenza che per la commissione dell’illecito
urbanistico - ad un tempo amministrativo e penale - è stato predisposto dalla
legge n. 47 del 1985 (...)”e che”(...) la giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria riguardo all’esecuzione dell’ordine di demolizione è
conseguente alla caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in
cui viene adottato, non essendo neppure ipotizzabile che l’esecuzione di un
provvedimento adottato dal giudice venga affidata alla pubblica
amministrazione, salvo che la legge non disponga diversamente (...)”;
dunque”(...) osserva questo Collegio che, essendo il titolo esecutivo
costituito dalla sentenza irrevocabile, comprensiva dell’ordine di demolizione,
l’organo promotore dell’esecuzione va identificato nel pubblico ministero, il
quale, ove il condannato non ottemperi all’ingiunzione a demolire, non potrà
che investire il giudice di esecuzione, al fine della fissazione delle modalità
di esecuzione (...)”.
Infine le Sezioni Unite stabiliscono, sul
punto, che”(...) quanto all’aspetto delle spese, che la cancelleria del giudice
dell’esecuzione deve provvedere al recupero delle spese del procedimento
dell’esecuzione nei confronti del condannato (...) previa eventuale garanzia
reale a seguito di sequestro conservativo imposto sui beni dell’esecutato
(...)”.
Ma questa sentenza presente anche
paralleli aspetti di principi di politica giudiziaria importantissimi.
Si veda ad esempio il punto nel quale si
osserva che”(...) il territorio non solo non viene più considerato come
supporto inerte del processo edificatorio, ma risorsa economica (...)”; ed
ancora il concetto che incide sul nodo della funzione del giudice in rapporto
alla pubblica amministrazione ove si sottolinea”(...) il definitivo superamento
della visione di un giudice supplente dell’amministrazione pubblica e quindi di
garante del rispetto delle regole edilizie da parte dei privati (...)”; al
contrario, non si ravvisa alcuna interferenza nella sfera amministrativa perché
si sancisce una”(...) concezione sostanzialistica e specifica del bene tutelato
(...)”e ciò”(...) costituisce il presupposto stesso dell’attribuzione al
giudice penale del potere di disporre provvedimenti ripristinatori, cioè di
tutela specifica (...)”. Dunque non solo non vi é supplenza ed interferenza, ma
la materia è sostanzialmente giurisdizionale ed il magistrato penale viene
legittimato in toto verso le procedure connesse come proprio diretto ruolo
istituzionale. Una presa di posizione estremamente chiarificatrice nel connesso
dibattito sul ruolo del magistrato penale in ordine agli abusivismi urbanistici
e territoriali che ravviva il ruolo della magistratura penale nel settore.
Va rilevato che la già citata Cass. pen. Sez. III, 28
gennaio 1993, n. 21 Pres. Papillo - Est. Montoro estendeva già il concetto anche all’ordine di rimessione in
pristino della”legge - Galasso”; infatti nella motivazione della citata
sentenza si avvalora l'estendibilità del concetto ai reati previsti dalla legge
431/85, assegnando anzi a detti illeciti natura ancor più diretta in ordine a
detta attività di rimessione in pristino come direttamente attuabile ad opera
del magistrato. Infatti la Suprema Corte stabilisce addirittura che”(...) l'ordine
di demolizione attiene al settore edilizio - urbanistico, disciplinato non in
via primaria - fondamentale nell'assetto costituzionale; quello di ripristino
paesaggistico ha invece una evidente incidenza costituzionale, essendo diretta
espressione del ricordato art. 9. (.. .)". Ed aggiunge poi: ”(...) La
mancata introduzione di una subordinazione dell'ordine del magistrato penale
alla inerzia della Amministrazione ha un preciso significato: l’assoluta
autonomia dei due provvedimenti. Così, ad esempio, se in un bosco viene
realizzata una qualsiasi struttura ed abbattuti gli alberi, mentre
l'amministrazione potrà soltanto eliminare l'immobile, l'autorità giudiziaria
dovrà anche ordinare il ripristino delle piante (...) Nella materia
paesaggistica (...) il legislatore - vista la scarsa applicazione concreta
dell'ordine amministrativo di demolizione - ha conferito al giudice penale non
più un potere meramente surrogatorio, ma primario ed esclusivo, svincolato da
ogni altro concorrente. (...) il legislatore ha conferito il compito al
magistrato penale, che deve ordinare il ripristino dei luoghi. Conseguenziale è
evidentemente l'esecuzione penale del provvedimento con l'esclusione - questa
volta - di ogni diversa forma di esecuzione medesima. (...)"
E dunque la Suprema Corte stabilisce
chiaramente che ancor più che l'ordine di demolizione previsto dalla legge
47/85, soprattutto l'ordine di rimessione in pristino previsto dalla legge
431/85 deve essere eseguito in via giudiziaria penale e quindi dal PM.
Si ritiene dunque pacifico il concetto che
vuole anche l'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi a spese
del condannato dopo sentenza di condanna per violazione della”legge - Galasso”’
debba eseguito dal PM competente dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Per le modalità esecutive l’attività di fatto può essere eseguita da personale
idoneo di P.G. o dipendente da ente pubblico sotto il controllo di organo di
P.G. delegato dal PM.
6 - Le sentenze di patteggiamento
Va infine sottolineato che l’ordine di
abbattimento delle opere abusive e l’ordine remissione in pristino dello stato
dei luoghi deve essere obbligatoriamente inserito dal pretore anche nella
sentenza di patteggiamento ("In tema di violazioni urbanistiche, la
sanzione amministrativa prevista dall'ultimo comma dell'art. 7 legge n. 47 del
1985, ossia la demolizione delle opere abusive, va ordinata dal giudice anche
nel caso di patteggiamento.”(Cass. pen., sez. III, I marzo 1991, n. 2696, De
Martino); e questo perché”è evidente che l'ordine di demolizione delle opere
abusivamente realizzate - che ha natura di sanzione amministrativa e non di
pena accessoria debba essere impartito dal giudice anche con la sentenza di cui
all'articolo 444 del Cpp, pur nell'ipotesi che non sia stato
compreso nell'accordo tra le parti, stante
la natura obbligatoria di esso sancita dall'articolo 7, ultimo comma, della
legge 47/1985."(Cass. pen. sez. III - 24/4/95 n. 4362 - Pres. Tridico -
Rel. Grassi);”L'ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei
luoghi a spese del condannato, previsto dal secondo comma deIl'art. I sexies L.
n. 431 del 1985 (cosiddetta legge Galasso), va impartito dal giudice anche nel
caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, non trovando
applicazione il disposto del primo comma dell'art. 445 c.p.p. 1988 in quanto
l'ordine suddetto, lungi dal rappresentare una pena accessoria, va collocato
fra le sanzioni di carattere amministrativo irrogabili dal giudice
ordinario.”(Cass. pen., sez. III, I marzo 1991, n. 2695, Ventura).
Non solo. Ma il principio é stabilito
dalla Cassazione in modo talmente inequivocabile ed imperativo che la Suprema
Corte giunge a sancire che ove il pretore non adempia a tale obbligo in luogo
dell’annullamento della sentenza il Supremo Collegio provvederà direttamente ad
integrare la sentenza irregolare apponendovi l’ordine in questione:”L'ordine di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato previsto
dall'art. 1 sexies della L. 8 agosto 1985, n. 431, in relazione alla violazione
formale della realizzazione di opere di modificazione dei luoghi sottoposti al
vincolo ambientale in assenza della prescritta autorizzazione, non
comportando alcuna decisione di merito,
stante la sua assoluta obbligatorietà, può essere adottato dalla Corte di
Cassazione a norma dell'art. 620, lettera 1), allorché sia stato omesso dalla
decisione impugnata.”(Cass. Pen. sez. VI, 13 gennaio 1994, n. 195 Pres. Vessia
- Est. Albamonte).
Dall’esame sinergico di questi principi,
si trae la conferma delle rilevantissime ed innovative possibilità operative di
politica giudiziaria contro il dilagare degli abusivismi e degli scempi sul
territorio.