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ANATOCISMO

Uso normativo  -  Uso negoziale

di Pier Francesco Rizza e Guendalina Corradi *

  

La capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati sui saldi debitori del correntista, costituisce una prassi da lungo tempo applicata dai diversi Istituti di credito sui conti correnti dei propri clienti a fronte della capitalizzazione con cadenza annuale degli interessi maturati sui saldi attivi degli stessi. Tale prassi è stata applicata, per o meno con riferimento ai contratti ante luglio 92, in virtù, solitamente, dell’art. 7 delle condizioni generali (N.U.B.) allegate che testualmente prevedeva che: <<Gli interessi dovuti dal correntista all'azienda di credito, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, e producono a loro volta interessi nella stessa misura>> comma 3).

     Alcuni giudici di merito, seguiti da una parte della dottrina, fanno discendere la legittimità di tale clausola ancorandola alle disposizioni che regolano il conto corrente ordinario ossia, all’art. 1831 Cc che prevede il potere elle parti di stabilire le scadenze di chiusura e liquidazione del saldo, ove non richiesto, come prima rimessa di un nuovo conto e dell’art. 1825 Cc il quale prevede che sulle rimesse decorrono gli interessi stabiliti,  considerando tali norme una vera e propria eccezione all’art. 1283 Cc.

 L’orientamento non attribuisce adeguata considerazione alla peculiarità che il conto corrente bancario riveste rispetto al conto corrente ordinario testimoniata dal fatto che l’art. 1857 Cc, riferito appunto al conto corrente bancario, fa espresso richiamo non già degli artt. 1831, 1823 o 1825 bensì solo ed esclusivamente agli artt. 1826, 1829 e 1832 Cc. Il mancato richiamo è indubbiamente da attribuire al differente meccanismo contabile del c/c bancario rispetto a quello ordinario, solo nel primo è immediata la disponibilità del saldo. Infatti, ai sensi dell’art. 1831 Cc, in tema di conto corrente ordinario, il saldo è inesigibile fino alla chiusura, viceversa, l’art. 1852, in tema di conto corrente bancario, prevede la possibilità di disporre in qualsiasi momento del saldo attivo. Inoltre, l’art. 1853 Cc in tema di conto corrente bancario, consente la compensazione tra conti diversi anche quando i rapporti sono in corso, ancora una volta in contrasto con quanto previsto dall’art. 1823 in materia di conto corrente bancario. Tali considerazioni fungono  da vero e proprio ostacolo all’applicazione analogica delle norme relative al conto corrente ordinario al c/c bancario.

Ancora secondo tale orientamento tra la capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati sui saldi passivi del cliente a fronte di quella annuale applicata sui saldi attivi dei clienti, non sussisterebbe alcuno squilibrio atteso che essa troverebbe giustificazione nel rischio che la banca corre per l’esposizione del fido. Senonchè, a parte la sussistenza, anche nell’ambito del contratto di conto corrente bancario, del principio di sinallagmaticità che in tal modo verrebbe comunque violato, è doveroso rilevare che il rischio corso dall’Istituto di credito è in ogni caso preservato dal ruolo che, nelle aperture di credito in conto corrente, gioca la commissione di massimo scoperto, la quale rappresenta il costo che la banca sostiene per il mantenimento della disponibilità di una somma di denaro a favore del cliente. 

Al di fuori di tali considerazioni, alla luce delle quali non è lecito ricorrere all’applicazione analogica (onde farne discendere la legittimità della capitalizzazione trimestrale di interessi maturati sul saldo debitore del correntista) delle norme codicistiche che disciplinano il conto corrente ordinario al c/c bancario, attesa la sua peculiarità, è doveroso analizzare l’art. 1283 Cc titolato “Anatocismo” per verificare se il richiamo a tale norma possa essere d’aiuto per la valutazione di una possibile legittimità della capitalizzazione in oggetto.

A tal proposito è opportuno premettere, come è stato giustamente sostenuto da qualcuno, che il fenomeno dell’anatocismo, così come previsto e disciplinato dall’art. 1283 Cc, si distingue da quello della capitalizzazione e ciò in quanto non è detto, come erroneamente si ritiene, che tra di essi intercorra sempre una sinonimia giuridica.

Ed infatti. Capitalizzare significa mutare la natura giuridico del rapporto da cui deriva l’obbligazione degli interessi da accessoria, qual è appunto l’obbligazione degli interessi, a principale, qual è quella relativa al capitale, addizionando gli interessi maturati e scaduti al capitale, più specificamente, gli interessi maturati una volta aggiunti al capitale, rappresentano un nuovo capitale che a sua volta può fruttare interessi.

Ciò premesso, in linea di principio nel nostro ordinamento giuridico, è solo la somma capitale che può produrre interessi, mentre, la quota interessi può produrre a sua volta interessi solo ed esclusivamente nelle ipotesi previste dall’art. 1283 Cc. Tale norma, titolata appunto “Anatocismo” (da anà=di nuovo e tokos=usura), stabilisce espressamente che, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono a loro volta produrre interessi solo ed esclusivamente in presenza di due presupposti, ossia: dalla domanda giudiziale volta ad ottenere la condanna alla restituzione, ovvero dalla data indicata da apposita convenzione purché stipulata posteriormente alla scadenza degli interessi ed alla ulteriore condizione che si tratti di interessi già maturati e scaduti dovuti almeno per sei mesi.

L’importanza di tale disposizione (cogente) è data dal carattere imperativo che essa riveste, e ciò, non senza motivazioni. Essa è posta a tutela di interessi generali di primaria importanza, primo fra tutti, la tutela del debitore da una possibile usura che, nell’ipotesi di carenza di limitazioni e regolazioni, il fenomeno dell’anatocismo creerebbe. Se l’art. 1283 Cc non fosse circoscritto (dunque se non avesse carattere eccezionale) potrebbe porsi in contrasto, non solo con il principio di solidarietà sancito dall’art. 2 della costituzione, ma anche con il principio sancito dall’art. 47 Cost. di tutela del risparmio, soprattutto laddove si riscontri (ed è ciò che succede o, quantomeno, succedeva nella pratica) una disparità di trattamento tra interessi maturati sul saldo debitore ed interessi maturati sul saldo creditore del correntista.

Alla luce di tali considerazioni, ed in particolare, del carattere eccezionale che detta norma riveste, essa è inderogabile da parte di altre di altre norme che non abbiano valore o forza di legge. In sostanza, solo il legislatore potrebbe apportare delle deroghe a quanto in essa stabilito, le quali, trattandosi di norma eccezionale, sarebbero di stretta interpretazione.

Una deroga ai presupposti previsti dall’art. 1283 Cc è ammessa dalla stessa norma che fa espresso richiamo agli “usi contrari”. La vigenza di usi contrariè stata peraltro smentita da un radicale mutamento di indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 2374/99, 3096/99, 12507/99) la quale ha statuito che non esistono usi contrari, nel senso di usi normativi, definiti come ripetizione generale ed uniforme, costante frequente e pubblica di un comportamento accompagnato dalla convinzione che si tratti di un obbligo giuridico.

A tali usi – quale fonte di diritto oggettivo, al pari delle leggi e dei regolamenti, dunque aventi la loro stessa efficacia, ed aventi valore giuridico nelle materie riservate alle fonti superiori solo se da queste espressamente richiamate e nei confronti delle quali non possono avere un contenuto contrastante – si contrappongono gli usi negoziali consistenti in pratiche seguite da una determinata cerchia di contraenti, che prescindono dai requisiti propri dell’uso normativo (generalità ed opinio iuris ac necessitatis) obbligando le parti anche se sono da esse ignorate e prevalgono sulle norme di legge a carattere dispositivo. Ora, atteso il carattere imperativo e cogente rivestito dall’art. 1283 Cc è ovvio che gli usi richiamati da tale norma non sono sicuramente quelli negoziali, bensì, quelli normativi. Infatti, nella pratica della cap. trim. di interessi maturati sul saldo debitore del correntista, non è possibile ravvisare la spontanea adesione del correntista a quella che nella communis opinio e ritenuta una norma giuridica da rispettare e che, come tale, viene ripetutamente osservata con comportamento costante ed uniforme da tutti i consociati, in quanto si tratta di clausole predisposte dall’ABI ed inserite nei contratti di conto corrente predisposti dagli istituti di credito in conformità con le direttive delle associazioni di categoria, in suscettibili di negoziazione e la cui sottoscrizione costituisce il presupposto per accedere ai servizi bancari. Alla luce di ciò non può sicuramente parlarsi di uso normativo il quale presuppone che esso sia liberamente accettato da chi lo pratica. Ma, anche quando fosse provata l’esistenza di usi normativi in materia di anatocismo, ci si troverebbe di fronte ad una vera e propria discordanza del sistema giuridico, in quanto, una norma di portata imperativa verrebbe ad essere derogata da una mera consuetudine. In teoria, il giudice, nell’ipotesi in cui accerti la sussistenza di un uso contrario in materia di anatocismo, dovrebbe disapplicarlo in virtù del principio secondo cui l’uso normativo non può essere contrario alla legge che espressamente lo richiama.

In conclusione si rileva che nel nostro ordinamento, solo la quota capitale produce interessi, mentre la somma degli interessi può produrre a sua volta interessi solo alle condizioni contemplate dall’art. 1283 Cc. Ciò significa che la somma degli interessi scaduti non va sommata al capitale, come non vanno addizionata al capitale gli interessi maturati sugli interessi.

Dunque, atteso che l’art. 1283 Cc impone la regola di produzione di interessi semplici, vietando al tempo stesso che gli interessi possano essere sommati al capitale (capitalizzati) e che i successivi interessi si calcolino sulla somma quota capitale + quota interessi, è insussistente qualsivoglia rapporto di sinonimia tra l’anatocismo e la capitalizzazione in quanto quest’ultima prassi è con essa incompatibile e conseguentemente ed indirettamente illecita.

In ultimo. Lo stesso art. 120 TUB non sembra derogare l’art. 1283 (tra l’altro mantiene anch’esso la stessa locuzione “interessi su interessi” omettendo di parlare di anatocismo) in quanto in esso manca il sintagma “in deroga all’art. 1283 Cc”, che dunque rimane un vincolo giuridico insuperabile. Anche se l’art. 120 TUB attribuisce al CICR il potere di emanare norme in materia di anatocismo, è pur vero che i principi stabiliti dall’art. 1283 Cc sono eccezionali e di portata imperativa e possono essere derogati solo da norme di pari rango che li contrastino esplicitamente, in sostanza non è possibile che attraverso tale norma sia stato attribuito all’autorità amministrativa il potere di derogare l’art. 1283 Cc.

  * Avvocati in Siracusa.