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Commento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 307 del 2003

in materia di elettrosmog.

Di Leonardo Salvemini*



La Corte Costituzionale interviene in materia di ambiente, con tutte le sue importanti sfumature, con due sentenze importanti ( nn.307 e 308 2003) che riaffermano alcuni fondamentali principi valevoli anche ai fini della legge la loggia 131/2003.

La prima sentenza, n. 307, relatore Onida, riguarda il giudizio di legittimità costituzionale proposto con quattro distinti ricorsi il Presidente del Consiglio che ha impugnato diverse disposizioni di quattro leggi regionali: si tratta, precisamente degli articoli 3, commi 3, 4 e 6, e 7, comma 3, della legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 25 (Disciplina regionale in materia di impianti fissi di radiocomunicazione al fine della tutela ambientale e sanitaria della popolazione); degli articoli 1, comma 2, 2, commi 1, 2 e 3, 3, 7 e 8 della legge della Regione Campania 24 novembre 2001, n. 13 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti); degli articoli 3, comma 1, lettera m, 4, comma 1, e 10, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 8 marzo 2002, n. 5 (Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto da sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisioni operanti nell’intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300 GHz); e degli articoli 1, commi 1 e 2, 2, 4, comma 1, lettera b, 5, comma 1, lettera c, e comma 2, 12, comma 1, 13 e 16 della legge della Regione Umbria 14 giugno 2002, n. 9 (Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 17 e il 25 gennaio, il 10 maggio e il 23 agosto 2002, depositati in cancelleria il 26 e il 31 gennaio, il 16 maggio e il 2 settembre 2002 ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 4, 5, 35 e 52 del registro ricorsi 2002.

Secondo il Governo le disposizioni impugnate invadono la competenza esclusiva statale e violano i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

È da premettere che tutte le leggi regionali impugnate sono state emanate nel vigore del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, come risultante dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e fanno seguito altresì alla legge statale 22 febbraio 2001, n. 36 (“Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”: d’ora in poi indicata come legge quadro).

La Corte, prima ancora di inoltrarsi nell’analisi delle questioni sollevate, ritiene opportuno “sgomberare il campo da un assunto di carattere generale, che il ricorrente ( Governo) sostiene, in modo più esplicito nel ricorso contro la legge dell’Umbria, invocando la competenza legislativa esclusiva attribuita allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, in tema di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, per escludere qualsiasi competenza delle Regioni a legiferare in vista di finalità di tutela dell’ambiente.”

La Corte con decisione afferma che tale assunto non è fondato. Infatti la Corte stessa ha già chiarito che la “tutela dell’ambiente”, più che una “materia” in senso stretto, rappresenta un compito nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste; e che ciò non esclude affatto la possibilità che leggi regionali, emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (cfr. sentenze n. 407 del 2002 e n. 222 del 2003).

Quindi stato e regioni, insieme per una miglio tutela dell’ambiente.

Nel caso delle discipline regionali impugnate, esse attengono essenzialmente agli ambiti materiali – richiamati del resto anche dal ricorrente – della “tutela della salute”, minacciata dall’inquinamento elettromagnetico, dell’“ordinamento della comunicazione” (per quanto riguarda gli impianti di telecomunicazione o radiotelevisivi), della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (per quanto riguarda gli elettrodotti), oltre che, più in generale, del “governo del territorio” che comprende, in linea di principio, tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività: tutti ambiti rientranti nella sfera della potestà legislativa “concorrente” delle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e pertanto caratterizzati dal vincolo al rispetto dei (soli) principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

Quindi assume un rilievo essenziale la disciplina di principio stabilita dalla legge quadro, ai fini di verificare se le Regioni, nel deliberare le leggi impugnate, si siano attenute ai limiti fissati per l’esercizio della loro potestà legislativa.

Tale legge, per brevità, afferma che si applica a tutti gli impianti che possono comportare l’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, e in particolare sia agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici (art. 2, comma 1), stabilisce distintamente le funzioni spettanti allo Stato (artt. 4 e 5) e le competenze delle Regioni e degli enti locali (art. 8), e disciplina specificamente i piani di risanamento (art. 9), i controlli (art. 14), le sanzioni (art. 15) e il regime transitorio applicabile in attesa dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulle soglie di esposizione per la popolazione, previsto dall’art. 4, comma 2 (art. 16: cfr. oggi d.P.C.m. 8 luglio 2003).

In particolare, nel sistema della legge, gli standard di protezione dall’inquinamento elettromagnetico si distinguono (art. 3) in “limiti di esposizione”, definiti come valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori per assicurare la tutela della salute; “valori di attenzione”, intesi come valori di campo da non superare, a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine, negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate; e “obiettivi di qualità”. Questi ultimi sono distinti in due categorie, di cui una consiste ancora in valori di campo definiti “ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione” (art. 3, comma 1, lettera d, n. 2), l’altra invece – del tutto eterogenea – consiste nei “criteri localizzativi, (…) standard urbanistici, (…) prescrizioni e (…) incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili” (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1).

La legge, quindi chiaramente attribuisce allo Stato la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità del primo dei due tipi indicati, cioè dei valori di campo definiti ai fini della ulteriore progressiva “minimizzazione” dell’esposizione (art. 4, comma 1, lettera a), mentre attribuisce alla competenza delle Regioni la indicazione degli obiettivi di qualità del secondo dei tipi indicati, consistenti in criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1, e art. 8, comma 1, lettera e).

La legge affida allo Stato la fissazione delle “soglie” di esposizione, graduate, alle Regioni la disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti, cioè le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il più possibile l’impatto negativo degli impianti sul territorio, oltre che la disciplina dei procedimenti autorizzativi (art. 8, comma 1, lettera c): ciò, in coerenza con la competenza regionale per quanto attiene al governo e all’uso del territorio.

La corte tuttavia già implicitamente anticipa un giudizio sicuramente negativo del regolamento statale destinato a contenere anche misure relative alla localizzazione degli impianti e altre misure dirette ad “evitare danni ai valori ambientali e paesaggistici” e a tutelare gli “interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici e ambientali”, nonché una disciplina dei “principi” relativi ai procedimenti autorizzativi (art. 5 e art. 8, comma 1, lettera a). perché in contrasto con l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, che limita la potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di competenza statale esclusiva.

La corte afferma che “l’esame di alcune delle censure proposte nei ricorsi presuppone che si risponda all’interrogativo se i valori–soglia (limiti di esposizione, valori di attenzione, obiettivi di qualità definiti come valori di campo), la cui fissazione è rimessa allo Stato, possano essere modificati dalla Regione, fissando valori–soglia più bassi, o regole più rigorose o tempi più ravvicinati per la loro adozione.

“La risposta richiede che si chiarisca la ratio di tale fissazione. Se essa consistesse esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico, potrebbe invero essere lecito considerare ammissibile un intervento delle Regioni che stabilisse limiti più rigorosi rispetto a quelli fissati dallo Stato, in coerenza con il principio, proprio anche del diritto comunitario, che ammette deroghe alla disciplina comune, in specifici territori, con effetti di maggiore protezione dei valori tutelati” A questo fine si vedano le brillanti sentenze n. 382 del 1999 e n. 407 del 2002).

Ma in realtà, nella specie, la fissazione di valori–soglia risponde ad una ratio più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche e da questo punto di vista la determinazione delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non pregiudicare il valore protetto; dall’altro, si tratta di consentire, anche attraverso la fissazione di soglie diverse in relazione ai tipi di esposizione, ma uniformi sul territorio nazionale, e la graduazione nel tempo degli obiettivi di qualità espressi come valori di campo, la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, come quelli che fanno capo alla distribuzione dell’energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali interessi, ancorché non resi espliciti nel dettato della legge quadro in esame, sono indubbiamente sottesi alla considerazione del “preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” che, secondo l’art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro, fonda l’attribuzione allo Stato della funzione di determinare detti valori–soglia. In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori–soglia, non derogabili dalle Regioni nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese, nella logica per cui la competenza delle Regioni in materia di trasporto dell’energia e di ordinamento della comunicazione è di tipo concorrente, vincolata ai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

Tutt’altro discorso è a farsi circa le discipline localizzative e territoriali. A questo proposito è logico che riprenda pieno vigore l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché, ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi.

Infine la Corte segnala come sia fondata la questione relativamente alla previsione del potere demandato alla Giunta regionale relativo alla totale libertà attribuita alla Giunta nel dettare la procedura di impatto, senza l’indicazione di alcun criterio da parte della legge regionale stessa, violando così il principio di legalità sostanziale, oltre che consentire l’emanazione di discipline regionali eccedenti l’ambito dei poteri della Regione o contrastanti con i principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale: determinando pertanto l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.

Non solo la Corte censura l’art. 7, comma 3, della legge delle Marche che stabilisce che con atto della Giunta regionale siano determinate le distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici “destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi”, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico–artistici o individuati come edifici di pregio storico–architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi. Infatti, la totale libertà attribuita alla Giunta ai fini della determinazione delle distanze minime, e la genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto, configurano non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione. La norma impugnata eccede pertanto i limiti della competenza regionale.

Leonardo Salvemini

* Avvocato e Cultore di Diritto dell'ambiente dalla Univ. statale di Milano