Mercato mobiliare, servizi finanziari e commercializzazione a distanza nella disciplina della direttiva comunitaria
M A R C E L L O B A S S A N I
Quello della “globalizzazione” è un fenomeno ormai sotto gli occhi di tutti, al punto che quasi non se ne sente più parlare, o quando si torna a parlarne non costituisce più oggetto di meraviglia né di stupore nella maggior parte degli interlocutori. Ed è un fenomeno la cui espansione è tanto continua, quanto geometrica.
Se infatti fino ad un passato per nulla remoto (appena qualche anno addietro) era lecito parlare di circolazione globale per quanto atteneva alla semplice circolazione di informazioni (si pensi al fenomeno dei mass media), appare ormai evidente come qualsiasi aspetto della nostra vita quotidiana, dagli acquisti di libri al pagamento delle utenze domestiche, dalla prenotazione di soggiorni per le vacanze fino alla conclusione di contratti perfettamente validi, può essere rivoluzionato dall’esistenza di particolari canali per il suo espletamento. E nell’ambito di questo fenomeno è innegabile l’importanza rivestita dalla rete di Internet, attraverso la quale è possibile realizzare tutte le attività di cui sopra praticamente in tempo reale.
Ai fini che qui interessano va presa in considerazione l’utilizzabilità della rete di Internet per porre in essere attività riguardanti un tipo molto particolare di prodotti, vale a dire gli strumenti finanziari e i servizi di investimento . Risulta infatti innegabile il vantaggio apportato al mondo degli affari ed in particolare al fenomeno della circolazione della ricchezza dall’utilizzazione della rete di Internet, tanto che ormai il c. d. “trading on line” (questo è il nome, di chiara derivazione anglosassone, attribuito al fenomeno della trattazione di strumenti finanziari e servizi di investimento via internet) risulta essere una modalità di circolazione della ricchezza che coinvolge un numero sempre maggiore di persone ed una sempre più rilevante misura di capitali .
Nell’ordinamento italiano tale fenomeno è regolato dall’istituto della promozione e del collocamento a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari, istituto disciplinato dall’articolo 32 del d. lgs. n. 58 del 1998 (c. d. Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – di seguito T. U. F. ), nel cui testo è confluito quanto in precedenza dettato dall’art. 24 del d. lgs. n. 415 del 23 luglio 1996 (c. d. decreto Eurosim).
Precedentemente all’emanazione di tali disposizioni, l’istituto dell’offerta a distanza di strumenti e servizi finanziari non era disciplinato come fattispecie a se stante, essendo tacitamente ricompreso nella più ampia fattispecie dell’offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento, attualmente disciplinata dall’articolo 30 del T.U.F., il quale ha ripreso, salve importanti aggiunte di cui si dirà nel prosieguo, quanto affermato dall’art. 22 del decreto Eurosim.
Per la verità anche l’istituto dell’offerta fuori sede è venuto ad avere la sua configurazione odierna solo in tempi assai recenti. Prima dell’emanazione del decreto Eurosim, infatti, sia il legislatore che la dottrina prevalente si esprimevano nei confronti del fenomeno da ultimo considerato in termini di “vendita porta a porta di valori mobiliari” . Col passare del tempo, ed in particolar modo con l’evolversi del linguaggio legislativo, anche e soprattutto grazie alla spinta del legislatore comunitario (si veda per tutti la direttiva 93/22/CE), si è dapprima sostituito al concetto di “valore mobiliare” quello di “strumento finanziario”, da cui poi consegue quello di servizio di investimento in quanto il primo costituirebbe uno dei possibili oggetti del secondo. La successiva evoluzione normativa ha portato, infine, a trasformare la dizione “vendita porta a porta” in quella attualmente in auge di “offerta fuori sede”.
Ed è proprio dal concetto di “offerta fuori sede”, e dall’esame della sua disciplina legislativa, che ci si intende muovere, prima di passare all’esame della direttiva 2002/65/CE, di cui si dirà più avanti.
Ai sensi dell’art. 30, 1° comma del T.U.F., “per offerta fuori sede si intendono la promozione ed il collocamento presso il pubblico a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento; b) di servizi di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio”. Già dalla semplice lettura della definizione riportata si evince l’importanza che assume nella disciplina dell’istituto il concetto di “luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente,….(omissis)” . Ciò in quanto la ratio della disciplina dell’offerta fuori sede va ravvisata nella necessità di tutelare il potenziale investitore nel momento in cui egli può trovarsi nella condizione di “essere colto di sorpresa” dalla proposta di investimento che gli pervenga in una situazione in cui varie condizioni (ambientali, psicologiche e via discorrendo) possano farlo trovare impreparato di fronte alla proposta medesima.
Impreparazione che potrebbe, ove poi l’investimento si rivelasse effettivamente infruttuoso per la mancanza di un’attenta ponderazione iniziale, arrecare danni anche di dimensioni rilevanti in termini economici. Riprova di tale ratio legis risiede peraltro nel 2° comma dell’art.30 del T.U.F., ove si afferma testualmente che “non costituisce offerta fuori sede quella effettuata nei confronti di investitori professionali come definiti con regolamento della CONSOB, sentita la Banca d’Italia” . A questo punto sembra doveroso chiarire che gran parte della dottrina , partendo dal dato basilare costituito dall’espresso richiamo, contenuto nel 6° comma dell’art. 30 del T.U.F., all’art. 32 del medesimo Testo Unico, ritiene, giustamente a modo di vedere di chi scrive, che la disicplina generale dell’offerta fuori sede sia pacificamente applicabile alla fattispecie dell’offerta a distanza di cui all’art. 32 T.U.F., salvi naturalmente gli aspetti di evidente incompatibilità applicativa.
Ciò precisato, va detto come elementi caratterizzanti della disciplina dell’offerta fuori sede nell’ordinamento italiano siano, oltre alla differenziazione fra investitori professionali e non – nell’ottica di una maggiore protezione in favore degli investitori comuni ritenuti più bisognosi di tutela -, costituiti dalla previsione del diritto di recesso (il c. d. “ius poenitendi” ), nonché dagli obblighi di informazioni posti a carico dei soggetti proponenti l’investimento (e per loro conto ai promotori finanziari di cui all’art. 31 del T.U.F.) a favore degli investitori. Per quanto attiene al diritto di recesso va detto che esso consiste, così some affermato dall’art.30 comma 6 del T.U.F., nel diritto riconosciuto all’investitore di recedere dal contratto di investimento entro sette giorni dalla sua conclusione senza essere tenuto a sborsare alcunchè nei confronti del promotore, né nei confronti dell’emittente o del proponente l’investimento.
Il comma successivo ha cura poi di precisare che trattasi di c. d. “nullità relativa” , in quanto prevista ad esclusivo favore dell’investitore che per tal motivo risulta l’unico soggetto legittimato a farla valere. Un problema posto dalla dottrina civilistica con riguardo alla figura dello ius poenitendi riguarda il momento al quale far risalire la conclusione del contratto avente ad oggetto strumenti finanziari offerti fuori sede; tuttavia, non ritenendo tale argomento pienamente utile all’economia del presente lavoro, si rimanda, per eventuali approfondimenti, a trattazioni più approfondite sul tema . Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obbligo di informazione degli investitori posto a carico dei soggetti proponenti l’investimento, pare in questa sede interessante osservare come, sebbene non previsto (salvo un cenno all’indicazione della facoltà del diritto di recesso contenuto nel comma 7 dell’art. 30) dal T.U.F., sia stato minuziosamente regolato dalla CONSOB con proprio regolamento, al quale si rimanda.
Passando ora alla trattazione del fenomeno della commercializzazione a distanza dei servizi finanziari ai consumatori, che costituisce l’oggetto della direttiva 2002/65/CE, si rendono preliminarmente necessarie talune precisazioni. Va anzitutto osservato come il linguaggio utilizzato dal legislatore comunitario non sia del tutto coincidente con la terminologia riscontrabile nel T.U.F..
Nella direttiva, infatti, si parla di servizi finanziari, mentre nella normativa italiana vengono prese in considerazione addirittura due fattispecie: gli strumenti finanziari e i servizi di investimento. La principale motivazione di ciò va ricercata nel fatto che la direttiva, perseguendo l’obbiettivo di fornire una pervasiva tutela ad una categoria sociale, i consumatori, ritenuta meritevole di particolare attenzione, abbia volutamente adottato una concezione molto ampia di ciò che, costituendo oggetto di un contratto a distanza di cui una parte sia un consumatore , vada tenuto “sotto osservazione”.
Difatti, leggendo la “definizione” che l’art. 2 della direttiva fornisce con riguardo ai servizi finanziari, osserviamo che in tale categoria rientrano tutti (“qualsiasi” è il termine adottato dal legislatore comunitario) i servizi di natura bancaria, creditizia, di investimento, di pagamento, nonché i servizi pensionistici individuali. Tale elencazione, se confrontata con la definizione di cui all’art. 1, commi2 e ss. del T.U.F., risulta notevolmente più estesa se non altro perchè nel nostro ordinamento non costituiscono strumenti finanziari nè servizi di investimento i mezzi di pagamento e talune figure (la maggior parte, per la verità) dei servizi di natura bancaria, creditizia ed assicurativa. Inoltre, come è stato giustamente osservato anche altrove , il testo della direttiva si limita all’affermazione di principi “cornice” che dovranno ritenersi applicabili nel momento in cui i servizi in questione costituiscano oggetto di commercializzazione a distanza.
Tornando all’oggetto principale della direttiva in questione, si può ancora osservare come essa si occupi della “commercializzazione a distanza” di servizi finanziari, mentre nel nostro ordinamento (cfr. art. 32 del T.U.F.) è presente la fattispecie della “Promozione e collocamento” a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari. In tal caso, però, deve ritenersi che la differenza di linguaggio utilizzata ai due diversi livelli normativi non abbia gran rilievo, in quanto il legislatore comunitario si sarebbe espresso in termini di “commercializzazione a distanza” anziché in termini di “vendita a distanza” proprio nell’intento di far ricadere all’interno della direttiva anche le ipotesi si semplice “promozione” e “collocamento” senza la necessità che si raggiunga la conclusione di un’accordo contrattuale.
Pare a questo punto opportuno addentrarsi nelle disposizioni della direttiva in oggetto, al fine di tentare di comprendere quali siano le “norme portanti” che costituiscono il “cuore” della direttiva medesima. Si osserverà, così, che una prima norma molto importante è costituita dall’articolo 3, il quale si occupa di fornire un dettagliato elenco delle informazioni che il fornitore del servizio finanziario deve mettere a disposizione del consumatore prima della conclusione del contratto a distanza.
Queste sono di quattro tipi.1) quelle riguardanti il fornitore, come la sua identità, quella del suo rappresentante stabilito nello Stato membro di residenza del consumatore, l’eventuale iscrizione del fornitore in registri commerciali e gli eventuali estremi di autorizzazioni che il fornitore sia tenuto ad avere; 2) quelle riguardanti il servizio finanziario, come le sue principali caratteristiche, il prezzo totale che il consumatore dovrà pagare per esso, le modalità di pagamento ed il tempo per il quale tali informazioni dovranno ritenersi valide; 3) quelle riguardanti il contratto a distanza, come la sua durata, o l’esistenza del diritto di recesso e le istruzioni per il suo esercizio, o ancora l’esistenza di clausole riguardanti la legge applicabile; 4) ed infine quelle riguardanti l’esistenza o la mancanza di procedure extragiudiziali alle quali il consumatore possa ricorrere e l’esistenza di fondi di garanzia degli investitori.
Per quanto tale elenco possa sembrare esaustivo, va tuttavia detto che, sempre nell’ottica di tutela dell’investitore, il 21° Considerando anteposto alla direttiva afferma che, tuttavia, l’utilizzo delle tecniche di comunicazione a distanza non devono comportare una diminuzione della tutela del consumatore stesso rispetto a quella che egli riceverebbe secondo la legislazione del proprio Paese d’origine. E sembra anche il caso di rimarcare che quello prospettato dal 21° Considerando non sembra proprio il caso dell’Italia, che predispone una dettagliata disciplina normativa e regolamentare a tutela degli investitori.
Successivamente, va osservato come un’altra norma di grande momento nell’ambito della direttiva sia rappresentata dall’articolo 6, riguardante il diritto di recesso. Sebbene una tale previsione possa sembrare un’analogia con quanto disposto dall’ordinamento italiano (cfr. art. 30, commi 6 e seguenti del T.U.F.), va tuttavia osservato come la direttiva 2002/65/CE sancisca significative differenze rispetto alle norme del T.U.F..
Infatti, ai sensi dell’art. 6 della direttiva, vi sono dei casi in cui, e sono quelli disciplinati dal 2° comma, il diritto medesimo deve ritenersi inapplicabile, come nel caso di servizi finanziari il cui prezzo dipenda da fluttuazioni di mercato, o come il caso (che non è certo quello dell’Italia in virtù di quanto detto in precedenza ) in cui siano gli stessi Stati membri a prevedere la disapplicazione del diritto di recesso nelle particolari situazioni indicate dal comma 3° dell’art. 6 della direttiva medesima. Con riguardo a tali casi di esclusione del diritto di recesso vi è chi , peraltro, acutamente distingue fra ipotesi di “disapplicazione necessaria” da ipotesi di “disapplicazione eventuale” del diritto di recesso per distinguere le ipotesi previste dal comma 2 da quelle previste dal comma 3 . A parere di chi scrive non si vede motivo per discostarsi da una tale osservazione.
Prima di concludere sul punto, va inoltre osservato come vi siano altre norme della direttiva che “completino”, per così dire, il disposto dell’articolo 6 in tema di diritto di recesso. E fra queste particolare attenzione merita l’articolo 11, rubricato “sanzioni”, all’interno del quale è peraltro ravvisabile una distinzione fra diritto di recesso in funzione di “fuoriuscita”, rapportabile al semplice ripensamento da parte dell’investitore (e quindi guardando la fattispecie del recesso nell’ottica dell’investitore medesimo) e diritto di recesso con funzione “sanzionatoria”, che altro non sarebbe se non il diritto di recesso guardato però nell’ottica del fornitore di servizi finanziari commercializzati a distanza.
Altre norme di grande momento sono poi costituite dagli articoli 7 (riguardante il pagamento del servizio prima dell’esercizio del diritto di recesso), nonché gli artt. 9 e 10, riguardanti, rispettivamente, servizi e comunicazioni non richieste. Ispirate chiaramente una volta di più alla tutela della parte ritenuta più debole in questo tipo di contratt, le ultime due norme citate ripropongono tematiche già altrove sperimentate (vedasi, per tutte, la direttiva 2000/31/CE), viceversa la prima (l’art. 7) dispone, con particolare attenzione alla protezione del “consumatore” da comportamenti abusivi o, peggio ancora, tendenti al raggiro da parte del proponente l’investimento, gli effetti del recesso del consumatore medesimo su eventuali pagamenti da questi già effettuati nei confronti dell’ente finanziario.
Un’ultima norma della direttiva che, a parere di chi scrive, va presa in considerazione prima di passare a concludere, è quella posta dall’articolo13, con la necessaria aggiunta di quanto disposto dall’articolo 14. L’art. 13 della direttiva, infatti, afferma il principio della necessità che sia garantita al consumatore la possibilità di adire organi giurisdizionali nell’obbiettivo del pieno rispetto della direttiva medesima, ponendo a carico degli Stati membri l’onere di assicurare effettività al contenuto della disposizione. L’art. 14, infine, esorta gli Stati membri a promuovere l’istituzione di “adeguate ed efficaci” (così recita il disposto della norma richiamata) procedure extragiudiziali per la composizione di eventuali controversie vertenti su servizi finanziari commercializzati a distanza.
In conclusione, esternando la speranza che non si tratti del solito caso di norma comunitaria “dimenticata nei cassetti” del nostro legislatore nazionale per un vergognoso periodo di tempo (come è accaduto troppo spesso in passato e continua in alcuni casi ad accadere tuttora), si osserva come, tuttavia, il nostro legislatore abbia in parte (limitatamente agli strumenti finanziari e servizi di investimento così come delimitati dal T.U.F.) anticipato il contenuto della direttiva, salvo per l’appunto limitare l’efficacia delle norme del T.U.F. ad un solo ambito rispetto alle previsioni comunitarie. L’auspicio consiste quindi che, ancora un volta sotto la spinta del legislatore comunitario, il legislatore italiano ossa fare un altro passo in avanti in un settore così essenziale per l’economia nazionale, eventualmente limitandosi ad espandere l’efficacia degli artt. 30 e ss. del nostro T.U.F.