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La previdenza privata, i fondi pensione e il pubblico impiego.

ANTONINO SGROI


A poco meno di dieci anni dall'entrata in vigore della legge delega n. 421 del 23 ottobre 1992 - legge ove si affidava al legislatore delegato, al fine di prevedere più elevati livelli di copertura previdenziale per tutti i lavoratori, il compito di creare un sistema previdenziale "complementare del sistema obbligatorio pubblico" - è proficuo un momento di riflessione e verifica delle modalità con le quali tale compito è stato assolto, in specie con riguardo ai lavoratori del settore pubblico.


La riflessione non può che progredire dai dati legislativi che nel tempo e con modello stratigrafico si sono succeduti nel tempo per disciplinare in generale la previdenza complementare e, al suo interno, i profili di peculiarità del sistema previdenziale complementare dei pubblici dipendenti.


Il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 attuativo della menzionata delega pone l'accento, con disciplina specifica, sulla previdenza complementare dei pubblici dipendenti autodelimitando il proprio ambito soggettivo di efficacia ai soli dipendenti il cui rapporto di lavoro è contrattualizzato e affidando per costoro la costituzione dei fondi pensione alla contrattazione collettiva (art. 3, secondo comma, primo periodo che richiama l'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/93. A seguito del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 il richiamo deve intendersi all'art. 2, secondo comma).


All'opposto, il successivo periodo dell'art. 3, per il personale della P.A., c.d. non contrattualizzato (per la cui individuazione si rinvia all'art. 3 del decreto legislativo n. 165/01), riconosce la possibilità di costituire forme pensionistiche complementari "…secondo le norme dei rispettivi ordinamenti, ovvero, in mancanza, mediante accordi fra i dipendenti stessi promossi dalle loro associazioni."


Nel successivo comma quarto dell'art. 8, disposizione ove si disciplinano le modalità di finanziamento dei fondi, si fissa il principio che l'individuazione dei contributi da versare ai fondi debba essere operata contestualmente alla determinazione del trattamento economico "…secondo procedure coerenti alla natura del rapporto e in conformità ai principi del presente decreto legislativo." (1).


Esauriti i richiami a norme peculiari afferenti il pubblico impiego, il decreto legislativo n. 124/93 non dedica alcuna altra specifica disposizione al tema e ciò per la semplice osservazione che il modello a regime nello stesso delineato non ha necessità alcuna di bipartire la normazione di riferimento a seconda che si tratti del settore privato o pubblico (2).


Le peculiarità del settore pubblico sul tema sono destinate a scomparire pena l'impossibilità di creare il modello previdenziale privato e le stesse devono essere risolte antecedentemente alla creazione del fondo con accordi sindacali da trasferire in decreti.


Il nodo economico da sciogliere, che non attiene la disciplina a regime ma che si pone a monte, riguarda l'individuazione e il reperimento delle risorse attraverso le quali far decollare la previdenza complementare in genere e quella dei dipendenti pubblici in particolare.


Risorse che il legislatore individua per tutti i settori lavorativi nel trattamento di fine rapporto, istituto tipico dell'impiego privato.


Istituto che nell'impiego pubblico non ha un suo equipollente nell'indennità di buonuscita dei dipendenti delle amministrazioni statali e nell'indennità premio di servizio dei dipendenti degli enti locali.


Nessun parallelismo infatti può porsi tra il t.f.r. e le menzionate indennità di fine servizio in quanto queste ultime sono commisurate alla retribuzione finale del lavoratore, mentre il t.f.r. si commisura <> in corso di svolgimento del rapporto di lavoro.


Ancora, mentre quest'ultimo grava solo sul datore di lavoro, in quanto retribuzione differita; le prime incorporano contribuzioni che invece gravano sul lavoratore per tutta la durata del rapporto di servizio.


Infine per l'indennità di fine servizio non vi è accantonamento di sorta.


L'aliquota pagata all'I.N.P.D.A.P. dal lavoratore e dal datore di lavoro per la gestione dell'indennità di buonuscita non viene capitalizzata, ma immediatamente utilizzata dall'ente previdenziale per il pagamento delle indennità via via liquidate, con una gestione a ripartizione della stessa.


Da tale ontologica diversità ne discende per il settore pubblico, ancor prima di individuare un modello economico di trasferimento o di nuova allocazione della risorsa economica "t.f.r.", la necessità, innanzi tutto, di "trasformare" l'indennità di fine servizio in t.f.r. e, ancora, di individuare il momento temporale dal quale la menzionata trasformazione ha un'efficacia "erga omnes" e se la stessa possa operare anche nei confronti dei lavoratori in servizio e se sì, con quali modalità: trasformazione coattiva o volontaria.


Sotto quest'ultimo versante, lavoratori in servizio al momento dell'entrata in vigore della legge che muta la natura giuridica dell'indennità di buon uscita, in via astratta può ben immaginarsi una conversione automatica in t.f.r. che non sia inscindibilmente connessa con l'iscrizione al fondo pensionistico.


Il legislatore ha affrontato la spinosa questione, sin dalla legge n. 335 dell'8 agosto 1995, <> (3).


L'art. 2 della legge, significativamente intitolato <>, dedica a tale operazione i commi da 5 a 9.


Le disposizioni sul tema possono essere così disaggregate:
a) norma generale destinata a operare nei confronti dei lavoratori del pubblico impiego assunti a decorrere dal 1° gennaio 1996 con la quale si determina l'applicazione dell'art. 2120 cod. civ. (5° c.);
b) norma generale che individua per i lavoratori di cui supra, nell'art. 12 della legge n. 153/69 (così come da ultimo sostituito dall'art. 6 del decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314) i criteri e le modalità della retribuzione imponibile (9° c.);
c) assegnazione alle OO. SS. (4), in sede di contrattazione collettiva nazionale (deve ritenersi che sul punto non vi sia spazio a una contrattazione di secondo livello), di un duplice compito teso alle modalità di attuazione della disciplina generale del 2120 cod. civ. ai pubblici dipendenti: w) adeguamento della struttura retributiva e contributiva (6° c.); y) individuazione, all'interno dei singoli comparti, delle modalità tramite le quali si possa procedere a estendere l'innovazione in tema di t.f.r. anche ai lavoratori occupati alla data del 31.12.1995 (7° comma) (5);
d) emanazione di un decreto da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri ove si dà esecuzione agli accordi di cui retro sub c), entro trenta giorni dalla stipula degli accordi (commi 6° e 7°, ultimi periodi);
e) individuazione del soggetto onerato del pagamento del t.f.r. nel datore di lavoro o negli enti che, antecedentemente, erano chiamati a erogare l'indennità di liquidazione (8° c., primo periodo), esclusione di operatività per il pubblico impiego della disciplina in tema di Fondo di garanzia per il t.f.r. dettata dalla legge n. 297/82 (2° periodo);
f) il secondo e il terzo periodo contengono disposizioni che riguardano i lavoratori delle sole Regioni a Statuto speciale: Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta, e delle province autonome di Bolzano e Trento (6).


Il primo tassello dell'opera di riforma che avrebbe dovuto assicurare le risorse per la previdenza privata del p. i. era posto: fissando che a decorrere dal 1° gennaio 1996 per tutti i lavoratori del pubblico impiego dovesse farsi applicazione della regola fissata nel codice civile in tema di trattamento di fine rapporto (7).


Ma lo stesso - proprio perché rinviava alla contrattazione collettiva: da un lato gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva dei dipendenti pubblici contrattualizzati, dall'altro le modalità tramite le quali la trasformazione dell'indennità di buonuscita in t.f.r. potesse operarsi anche per i dipendenti in servizio al 31 dicembre 1995 - si poneva come una norma programmatica di secondo livello che fissava anche una normativa di dettaglio la cui concreta operatività, però, con riguardo a questi aspetti era affidata ad altri soggetti.


Malgrado tale subdelega a soggetti "non istituzionali", il legislatore, due anni dopo, è intervenuto con riguardo al secondo aspetto delineato retro con il comma 56° dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 447.


Con questa disposizione, al dichiarato fine di favorire il decollo della previdenza complementare, si introduce la possibilità che su domanda del lavoratore si possa operare la trasformazione dell'indennità di buonuscita in t.f.r. (primo periodo).


Dall'esercizio di tale facoltà, il medesimo legislatore fa scaturire l'ulteriore conseguenza della destinazione di una quota dell'aliquota contributiva pari all'1,5% relativa all'indennità di fine servizio alla previdenza complementare.


Anche in questo caso, si ha la riconferma del modello di relazioni industriali e politiche delineato retro, le modalità di attuazione del menzionato storno di parte dell'aliquota contributiva sono affidate a una specifica trattativa con le OO. SS. dei lavoratori.


Infine il successivo 57° comma estende l'ambito di efficacia delle disposizioni contenute nello stesso articolo alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano.


A questo punto possono compiersi una breve serie di considerazioni di tipo interpretativo ponendo a confronto i due testi legislativi chiamati a disciplinare la medesima materia: la trasformazione dell'indennità di buonuscita in t.f.r.


Mentre dalla lettura del primo testo legislativo poteva trasparire una possibilità di trasformazione affidata alla contrattazione collettiva senza necessità alcuna di consenso da parte dei lavoratori coinvolti.


Con il secondo testo, in linea con le affermazioni di libertà che fungono da criteri guida del sistema di previdenza complementare, si afferma che, in ogni caso, tale trasformazione è il frutto della libera scelta del lavoratore.


Libera scelta che è incentivata con l'operazione contabile, prevista dal secondo periodo, di allocazione parziale delle risorse derivanti dall'indennità di fine servizio per il finanziamento della previdenza complementare.


E' questo primo spezzone normativo l'aspetto più rilevante della disposizione che evita in capo al lavoratore scelte coartate e guidate dall'alto (8).
Le ulteriori disposizioni del comma 56° invece si pongono quale ricognizione del potere affidato alle OO. SS., solo, si ripete, in sede di contrattazione collettiva nazionale, sul punto e infine le stesse predeterminano una soglia numerica di destinazione somme ai nuovi fondi previdenziali (aliquota contributiva dell'1,5%).


Su quest'ultimo versante deve ritenersi che in sede di contrattazione collettiva la stessa costituirà un limite invalicabile.


L'individuazione delle somme frutto del modello di scelta delineato dal comma 56° avviene con l'art. 26 della legge 23 dicembre 1998, n. 448.


Il comma diciottesimo fissa la risorsa "…da destinare effettivamente ai fondi gestori di previdenza complementare… in lire 200 miliardi annue. Nei limiti di tale importo sono trasferite ai predetti fondi quote degli accantonamenti annuali del trattamento di fine rapporto dei lavoratori interessati."
E' da rilevare subito che tale stanziamento, come il successivo disposto nell'art. 74 della legge n. 388/00, costituisce il contributo a carico del datore di lavoro per finanziare i fondi pensione dei soli dipendenti delle amministrazioni dello Stato, ivi comprese quelle a ordinamento autonomo.


Di contro con riguardo ai dipendenti degli enti locali e degli enti pubblici non economici tali risorse dovranno essere individuate da una specifica direttiva dei comitati di settore all'A.R.A.N.


Direttiva che dovrà definire la quantità di risorse da destinare ai fondi pensione, quale contributo a carico del datore di lavoro.
Il successivo comma affida a un D.P.C.M. il compito:
a) di "…disciplinare l'accantonamento, la rivalutazione e la gestione dell'1,5 per cento dell'aliquota contributiva relativa all'indennità di fine servizio…del personale che opta per la trasformazione…";
b) di "…definire, ferma restando l'invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all'applicazione del t.f.r…."


Le ipotesi delineate pare che portino con sé una limitazione del circolo: legge - accordi sindacali- D.P.C.M.


Infatti con esse il legislatore elimina il "trait d'union" fra sé e l'esecutivo e incarica quest'ultimo del compito di determinare una serie di modelli operativi atti a garantire risultati gestionali ed economici in punto aliquota destinata a finanziare la previdenza complementare e adeguamenti struttura retributiva e contributiva.


Solo nel 1999 si ha la prima concreta attuazione del modello legislativo che vede coinvolte le Organizzazioni Sindacali, l'A.R.A.N. e l'Esecutivo.


L'accordo quadro firmato il 29.7.1999 è stato recepito nel successivo D.P.C.M. 20 dicembre 1999, successivamente modificato dal D.P.C.M. del 2.3.2001.


Prima di verificare il contenuto di quest'ultimo, appare proficuo fermare l'attenzione sulle dichiarazioni e note a verbale, in quanto le stesse possono da un lato costituire valido criterio interpretativo delle disposizioni dell'accordo medesimo, poi recepito nel decreto, e dall'altro evidenziano le difficoltà, ben note almeno alle organizzazioni sindacali, che non consentono un facile decollo dei fondi.


In una dichiarazione, sottoscritta anche da parte datoriale, si reitera la necessità "…di ottenere dalle amministrazioni interessate la disponibilità di risorse strumentali con cui far fronte al funzionamento dei fondi pensione…"


L'affermazione della inadeguatezza dei fondi è ripetuta più volte in altre note o dichiarazioni a verbale e le tre maggiori centrali sindacali si impegnano a richiedere al datore di lavoro P. A. lo stanziamento di risorse adeguate per addivenire alla completa riunificazione dei trattamenti pensionistici.


Infine sul tema, in altra nota a verbale, si rileva che le fonti di finanziamento a carico del datore di lavoro sono insufficienti a garantire una prospettiva previdenziale che possa integrare in maniera concreta ed effettiva il sistema pubblico pensionistico.


In breve può affermarsi che, malgrado la sottoscrizione dell'accordo, tutte le parti hanno ben presente la circostanza che in mancanza di risorse adeguate la previdenza complementare nel pubblico impiego avrà un difficile e tormentato parto.


Può ora passarsi alla disamina, per grandi linee, del testo dell'accordo e, successivamente del testo del decreto.


L'art. 1 dell'accordo individua i destinatari dello stesso nei lavoratori del pubblico impiego cc. dd. contrattualizzati.


Il successivo articolo è chiamato a disciplinare le modalità applicative e la decorrenza del nuovo modello e sui contenuti dello stesso bisogna appuntare la nostra attenzione.


Il primo comma statuisce che la disciplina codicistica in tema di trattamento di fine rapporto si applica "ai dipendenti assunti a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dall'art. 2, commi 6 e 7, della legge n. 335/1995 e richiamato dalla legge n. 448/1998"; mentre ai dipendenti assunti nel lasso temporale che va dall'1.1.1996 alla data di entrata in vigore del citato decreto si applica la disciplina precedente (secondo comma).


Infine l'ultimo comma statuisce che la facoltà di trasformazione dell'indennità di fine servizio in t.f.r. è riconosciuta a tutti i lavoratori in servizio sino al giorno precedente la data di entrata in vigore del decreto governativo.


Tale disposizione ha un'efficacia dirompente, a nostro parere, innanzi tutto sul sistema delle fonti e poi, in via graduata, sul contenuto delle disposizioni legislative sulle quali incide.


In realtà come esposto nel corso di questa esposizione, il legislatore del 1995 ha introdotto un principio generale di efficacia della normativa codiciale per tutti i lavoratori assunti dall'1.1.96.


Lo stesso alle OO. SS. e al Governo non assegnava il compito di individuare il momento di efficacia della regola, ma solo le modalità di attuazione della stessa.


Di converso con l'accordo del Luglio 1999 l'A.R.A.N. e le OO. SS. spostano il momento di efficacia della regola generale portandolo al momento di entrata in vigore dell'atto amministrativo chiamato a eseguire gli accordi scaturiti in sede di contrattazione collettiva.


C'è da chiedersi se tale potere esista in capo ai menzionati soggetti o se gli stessi abbiano travalicato il modello legislativo sul punto senza che ad essi fosse stata affidata tale possibilità.


In questa sede c'è da prendere solo atto che, così facendo, il momento di entrata in vigore anche per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche della disciplina in tema di trattamento di fine rapporto è posticipato al momento di entrata in vigore di un atto amministrativo.


Il successivo articolo 2, al primo comma, si limita a dichiarare quel che è già fissato nell'art. 59/56° c. l. cit. e cioè che alla facoltà di opzione è connessa inscindibilmente l'applicazione della disciplina codicistica di cui all'art. 2120.


Il successivo comma, in applicazione del principio di irretroattività delle disposizioni legislative, individua il tempo di applicazione, rispettivamente, delle disposizioni in tema di indennità di fine servizio e di trattamento di fine rapporto.


Ma il terzo periodo dispone che la rivalutazione e la liquidazione dell'indennità di fine servizio calcolata sino alla data di esercizio dell'opzione è fatta secondo le regole dell'art. 2120, con ciò alla normativa in tema di indennità è disconosciuta alcuna ultrattività.


Ultrattività che, all'opposto nel successivo periodo, è riconosciuta alla disciplina fiscale, infatti all'indennità di fine servizio e e alla sua rivalutazione, malgrado la stessa sia calcolata facendo uso dei parametri in tema di t.f.r. si continua ad applicare la disciplina fiscale in tema di indennità.


Gli adempimenti connessi sono affidati all'I.N.P.D.A.P. per i dipendenti iscritti alle gestioni dallo stesso gestite e ai singoli datori di lavoro per i lavoratori non iscritti al suddetto ente.


L'articolo 4, al primo comma, individua, con elencazione non tassativa, le voci della retribuzione sulle quali si calcola il t.f.r.; il successivo comma consente alla contrattazione di comparto di considerare ulteriori voci della retribuzione, ma a condizione che sia garantita la finanza pubblica con riguardo alla spesa corrente programmata e alle condizioni di bilancio degli enti previdenziali interessati.


L'articolo 5 fissa il momento di liquidazione del t.f.r. quando vi è cessazione dal servizio e ne affida la liquidazione all'I.N.P.D.A.P. o, per gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca e sperimentazione e le camere di commercio direttamente da questi.


L'articolo 7 è specificamente dedicato ai rapporti di lavoro a tempo determinato per i quali si riconosce l'applicazione della disciplina del t.f.r. solo per il periodo lavorativo successivo all'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.


Ma contestualmente è riconosciuta la possibilità di riscattare, il sintagma è utilizzato nel significato pubblicistico del termine, i periodi di lavoro prestati antecedentemente nel corso del rapporto di lavoro a tempo determinato.


Il capo II dell'Accordo è destinato all'individuazione dei principi che dovranno essere utilizzati per la costituzione dei fondi pensione.


Il primo degli articoli del capo, il 9, fissa tre principi cardine e precisamente:
a) il principio di volontarietà dell'adesione (1° c., primo periodo);
b) il principio di capitalizzazione individuale in regime di contribuzione definita (comma cit., 2° periodo);
c) il principio di creazione di un numero ristretto di fondi per limitare l'incidenza dei costi di gestione e l'ulteriore specificazione di tale principio è affidata alla contrattazione di comparto e di area (2° c.).


L'art. 10 individua i destinatari dei fondi nei lavoratori occupati alla data del 31.12.95 e in quelli entrati in servizio fra l'1.1.96 e il giorno precedente l'entrata in vigore del citato decreto e che abbiano esercitato l'opzione di trasformazione dell'indennità di fine servizio in t.f.r.


L'art. 11 individua le fonti di finanziamento dei fondi distinguendo, al suo interno, fra i lavoratori individuati nell'art. precedente e i lavoratori assunti successivamente all'entrata in vigore del decreto del presidente del Consiglio.


Per i primi, il primo comma, stabilisce che la quota di t.f.r. da destinare ai fondi non possa essere superiore al 2% della retribuzione base di riferimento per il calcolo del t.f.r. medesimo (9).


Per i secondi, al successivo comma, invece, si stabilisce che gli accantonamenti individuali di t.f.r. successivi all'iscrizione al fondo sono integralmente destinati ai fondi medesimi.


Il terzo comma individua le risorse immediatamente disponibili per ogni anno e necessarie al finanziamento delle operazioni di cui ai due precedenti commi e le fissa in 200 miliardi, restando sempre la possibilità che in sede di contrattazione si possano individuare ulteriori risorse da conferire (settimo comma).


Poiché tali risorse non sono certamente sufficienti le parti pattuiscono che le quote eccedenti di t.f.r. sono trattate alla stregua di accreditamenti figurativi e saranno rivalutate secondo un tasso di riferimento fissato nello stesso Accordo al successivo articolo 12, senza che però in tale importo siano computate le quote di t.f.r. destinate ai fondi pensione.


Infine si concorda che l'importo di 200 miliardi sia reso immediatamente disponibile in favore dei fondi pensione costituiti e, transitoriamente, si fissa un modello astratto di ripartizione della menzionata somma fra gli stessi che sarà superato dal modello a regime che terrà solo conto del numero di iscritti a ciascun fondo all'inizio di ogni anno e con clausola di chiusura si pattuisce che in caso di risorse non utilizzate le stesse possono essere utilizzate l'anno successivo (commi 8° e 9°).


L'articolo12 individua il momento in cui dal virtuale si passa al reale, cioè il momento in cui il fondo ha la concreta disponibilità delle risorse.


Tale momento è individuato nella cessazione del rapporto di lavoro.


Cessato il rapporto di lavoro l'I.N.P.D.A.P. provvede a conferire al fondo l'importo maturato con gli accantonamenti figurativi applicando un tasso di riferimento che, in via transitoria, è fissato dallo stesso articolo.


Lo stesso modello operativo è esteso per i lavoratori non iscritti al predetto ente previdenziale.


In un secondo momento, non individuato stante l'uso dell'avverbio "successivamente", verificato il consolidamento della struttura finanziaria dei fondi si utilizzerà lo stesso rendimento netto di ciascun fondo.


Per la procedura di costituzione dei fondi si rinvia al decreto legislativo n. 124/93 e alla legge n. 335/95 e si affida alla contrattazione collettiva il compito di modificare e integrare le discipline contrattuali a tale scopo (art. 13).


Infine l'attuazione dell'accordo per gli enti pubblici economici e gli enti di ricerca e sperimentazione è affidata alla contrattazione di comparto che dovrà tenere conto delle disposizioni fissate all'art. 64 della legge n. 144/99 (art. 14).


Esaurito l'esame dell'accordo può passarsi all'esame del testo del decreto governativo al fine di verificare le modalità di esecuzione del primo.


L'art. 1 disciplina da un lato il trattamento di fine rapporto e dall'altro individua il soggetto che istituzionalmente gestisce il fondo del t.f.r.


Nello specifico:
a) il primo periodo del primo comma connette indissolubilmente l'esercizio della facoltà di scelta fra t.f.r. e indennità di buona uscita all'adesione, il testo parla di sottoscrizione del modulo di adesione, al fondo complementare di pensione e indica quale conseguenza automatica l'applicazione della legge n. 297/82 (10);
b) i successivi periodi del medesimo comma individuano, facendo uso di normali criteri di diritto intertemporale, nella domanda di adesione lo spartiacque fra indennità di fine servizio e trattamento di fine rapporto: la prima, maturata sino alla domanda, sarà calcolata secondo i parametri legislativi antecedentemente fissati e con il medesimo trattamento fiscale, il secondo sarà calcolato secondo le disposizioni della legge n. 297/82;
c) il trattamento fiscale dell'indennità di fine servizio conserva una sua ultrattività in quanto continua ad applicarsi alla rivalutazione dell'indennità di fine servizio;
d) l'opzione porta con sé, a decorrere dalla sua efficacia, ma anche in questo caso deve ritenersi conformemente al modello t.f.r. come legislativamente fissato, la non sottoposizione, per i dipendenti pubblici in capo al quale era fissato l'obbligo, delle somme maturate a tale titolo al contributo previdenziale obbligatorio fissato per i dipendenti pubblici ma all'interno dell'indennità di buona uscita (2° c., che riprende il testo dell'art. 6, primo comma, dell'Accordo);
e) il terzo comma individua il modello tramite il quale si assicura l'invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali qualora vi sia l'esonero dal contributo di previdenza di cui retro sub d) (anche in questo caso si ripete una disposizione dell'Accordo: il 2° comma, dell'art. 6);
f) l'ipotesi normativa di cui retro sub d) ed e) è estesa anche a quei lavoratori che sono assunti dopo l'entrata in vigore del medesimo decreto:
g) i successivi commi procedono all'individuazione dell'ente chiamato a gestire il fondo per il t.f.r. e a erogare il medesimo:
h) per i dipendenti dell'amministrazione pubblica il fondo è gestito dall'I.N.P.D.A.P., che provvede ad accantonare figurativamente e a liquidare (commi 6°, 7° e 8°);
i) per i dipendenti degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e sperimentazione e di tutti gli altri enti il cui personale non sia iscritto all'I.N.P.D.A.P. le operazioni di cui retro sub h) sono affidate allo stesso datore di lavoro, a cui carico esclusivo è posta l'erogazione del t.f.r. (commi ult. cit.);
j) il penultimo e l'ultimo periodo del comma sesto individuano l'aliquota per la determinazione delle quote di accantonamento al fondo utilizzando quella fissata per i dipendenti dei settori privati iscritti all'I.N.P.S., detraendo le quote da tale base di calcolo le quote che, annualmente, sono destinate ai fondi pensione;
k) solo per l'amministrazione pubblica è fissato il contributo previdenziale da versare al fondo gestito dall'I.N.P.D.A.P., di contro nulla è detto con riguardo alle altre amministrazioni per le quali deve ritenersi che tutto sia rinviato a un accordo in sede A.R.A.N., previa direttiva del comitato di settore.
Il successivo articolo 2, destinato a disciplinare i fondi pensione, è stato rimaneggiato dal D.P.C.M. del 2 marzo 2001.


Il primo comma fissa, in fase di prima attuazione e in misura da ritenersi immodificabile, la quota massima di t.f.r che i lavoratori possono destinare alla previdenza complementare.


I lavoratori interessati sono quelli:
a) occupati alla data del 31.5.1995,
b) assunti nel lasso temporale che va dall'1.1.96 al 31.12.200
e che, in entrambe le ipotesi, abbiano esercitato l'opzione di trasformazione di cui al 56° dell'art. 59 l. cit.


La quota non potrà superare il 2% della retribuzione base di riferimento per il calcolo del t.f.r. (in questa sede valgono le osservazioni fatte retro sub nota 10).


Secondo l'art. 4 dell'accordo del luglio 1999 il t.f.r si calcola sulle seguenti voci: a) intero stipendio tabellare, b) intera indennità integrativa speciale, c) retribuzione individuale di anzianità, d) tredicesima mensilità, e) gli altri emolumenti considerati utili ai fini del calcolo dell'indennità di fine servizio comunque denominata.


La quota, superata la fase di prima attuazione, sarà definita successivamente in forza di accordo fra le parti.


Deve ritenersi che tale ridefinizione possa avvenire al momento della stipula del nuovo contratto collettivo nazionale concluso successivamente alla messa in opera dei fondi.


Nel secondo comma si prevede che per gli assunti a decorrere dal primo di gennaio 2001 il t.f.r. è disciplinato secondo la disciplina ordinaria della legge n. 297/82 e, nell'ipotesi di iscrizione a un fondo, l'intero t.f.r. sarà devoluto allo stesso.


Ancora solo per il personale in servizio e che abbia optato per l'iscrizione a un fondo esclusivamente appartenente all'amministrazione dello Stato iscritto all'I.N.P.D.A.P. è previsto (comma 4°) il conferimento al fondo della quota pari all'1,5% della base contributiva di riferimento ai fini dei vigenti trattamenti d fine servizio.


Tale quota, che è definita "…elemento figurativo…", si somma ai conferimenti da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro.


Sempre a favore dei lavoratori iscritti all'I.N.P.D.A.P. e per incentivare l'iscrizione ai fondi il legislatore (comma 3-sexies) ha previsto il conferimento di una quota aggiuntiva del contributo del datore di lavoro.


Contributo che per chi si iscrive durante il primo anno di vita del fondo sarà erogato per la durata di un anno e avrà una misura pari al contributo versato dal datore di lavoro; mentre per chi si iscrive durante il secondo anno di vita del fondo, ferma restando la durata annuale del beneficio, lo stesso è fissato nel 50% del contributo posto a carico del datore di lavoro.


All'I.N.P.D.A.P. è affidato il compito di ripartire proporzionalmente le risorse disponibili a tutti i fondi e la proporzionalità scaturisce dal trattamento retributivo medio e dal numero dei dipendenti in servizio (commi 3, 3-quater, 3-quinquies); al medesimo ente per la costituzione dei fondi è consentito l'utilizzo delle risorse stanziate con l'art. 3 del decreto legge 24 novembre 2000, n.346.


Quest'ultimo articolo stanziava per il finanziamento e il funzionamento dei fondi di previdenza complementare per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato anche a ordinamento autonomo 100 miliardi di lire per l'anno 2000.


Il decreto legge non è stato convertito, i suoi effetti sono stati fatti salvi con la legge di sanatoria contenuta nel comma 33° dell'art. 78 della legge n. 388/00.


Legge che all'art. 74 ha reiterato il medesimo stanziamento ma questa volta solo per il finanziamento dei fondi per l'anno 2001.


Alcun finanziamento è previsto per il 2002 e per il 2003, mentre per gli anni successivi per la determinazione delle risorse si rinvia all'art. 11, comma 3, lett. d) della legge n. 468/78.


Sarà l'I.N.P.D.A.P. che, alla cessazione del rapporto di lavoro, conferirà al fondo pensione il montante maturato, costituito dagli accantonamenti figurativi delle quote di trattamenti di t.f.r. e dagli accantonamenti relativi all'aliquota del 1,5%.


Su entrambi gli accantonamenti il legislatore parametra, in via transitoria per il periodo di consolidamento della struttura finanziaria dei fondi, il tasso di rendimento "…alla media dei rendimenti netti di un <> di fondi di previdenza complementare presenti sul mercato da individuarsi tra quelli con maggiore consistenza di aderenti, con decreto del Ministro del tesoro,…sentite le organizzazioni sindacali…"


Lo stesso modello è applicato, al comma 6°, per i datori di lavoro pubblici i cui lavoratori non sono iscritti all'I.N.P.D.A.P.


Dal delineato quadro in tema di trasformazione dell'indennità di buona uscita in t.f.r. e di allocazione risorse per la creazione di fondi può dirsi che a oggi le uniche risorse stanziate siano quelle fornite dallo Stato per i lavoratori iscritti all'I.N.P.D.A.P.


Di converso per tutti i lavoratori pubblici non iscritti a questo ente previdenziale, malgrado il tenore dell'art. 14 dell'accordo del luglio 1999 affidasse alla contrattazione di comparto il compito di dare attuazione all'accordo medesimo, nulla è accaduto.


In ordine cronologico l'ultima delle disposizioni legislative in argomento è rappresentato dall'art. 74 della legge n. 388/00, testo fatto oggetto di esame in precedenti passi.


In questa sede è necessario soffermare ancora l'attenzione sul testo del terzo comma che, così come è strutturato, pone una deroga temporalmente limitata alla clausola generale che fissava al 31.12.95 il momento finale di esistenza delle indennità di fine servizio (art. 2, commi 5° e 6°, l. n.335/95).


Di converso il testo, consentendo l'esercizio della facoltà di opzione anche ai lavoratori assunti successivamente alla menzionata data e sino al 31.12.00, permette di affermare che sino a quest'ultima data non vi è per nessun dipendente del pubblico impiego applicazione dell'art. 2120 cod. civ.


Ma tale disposizione in realtà ha operato su un tessuto normativo che antecedentemente aveva subito una modifica in forza del menzionato Accordo del Luglio 1999 che, con gli artt. 1 e 2, aveva spostato il momento di efficacia dell'art. 2120 cod, civ. nel mondo del pubblico impiego al giorno successivo all'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.


Infine l'excursus legislativo sul tema ci costringe a fare un passo indietro e a soffermarci sull'art. 64 della legge n. 144/99.


Quest'articolo è chiamato a disciplinare la previdenza integrativa degli enti di cui alla legge n. 70/75.


In esso si affida alla contrattazione di comparto il compito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima, di istituire forme di previdenza complementare.


Nel frattempo si prevede la soppressione dei fondi previdenza integrativa dell'A.G.O. (2° c.), si riconosce agli iscritti dei fondi integrativi soppressi il diritto a vedersi riconosciuto l'importo del trattamento pensionistico integrativo calcolato sulla base delle norme dei menzionati fondi in vigore sino all'1.10.99.


Cristallizzato a questa data l'importo, lo stesso sarà rivalutato annualmente secondo gli indici ISTAT ed erogato in aggiunta ai trattamenti pensionistici erogati dall'A.G.O. (3° comma).


Quest'articolo si connette con le disposizioni sul tema dettate dall'art. 18 del decreto legislativo n. 124/93.


Esaurito l'esame del quadro normativo di riferimento deve prendersi atto che allo stato l'unico fondo previdenziale che risulta essere scaturito da un accordo fra l'A.R.A.N. e le OO. SS. è il Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola, denominato <>.


L'ipotesi di accordo risulta essere stata firmata presso l'A.R.A.N. il 24.1.2001 e lo Statuto e il Regolamento del Fondo sono stati approvati dalle parti il successivo 23 marzo.


Non risulta, al momento in cui si scrive, che vi sia stata ancora la rituale trasmissione alla Covip per all'approvazione del Fondo.


In questa sede si procederà a un breve esame di parte dei contenuti dei menzionati atti al fine di verificare la congruità o meno degli stessi al trend legislativo sulla materia; specificamente si soffermerà l'attenzione sulle modalità di associazione e sulle modalità di reperimento delle risorse.


L'ipotesi di accordo individua i lavoratori, "necessari" destinatari del fondo, in quelli con un contratto a:
a) tempo indeterminato;
b) tempo indeterminato ma part-time;
c) tempo determinato di durata non inferiore a tre mesi (art. 2, 2° c.).


Il successivo comma allarga la platea dei destinatari ai lavoratori appartenenti a settori affini a quello della scuola.


Tale allargamento è operato innanzi tutto con riguardo ai lavoratori coinvolti, infatti sotto questo versante oltre alle categorie di lavoratori, come retro individuate, si aggiunge l'ulteriore categoria dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro.


L'allargamento con riguardo ai datori di lavoro è operato comprendendo fra i destinatari del fondo: il personale di scuole private, parificate e legalmente riconosciute; il personale di Enti o Istituti per la formazione professionale (11).


Ma il menzionato allargamento è condizionato dal venir in essere di appositi accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali e da una successiva delibera di adesione da parte del Consiglio di amministrazione.


Infine, ma questa volta in via naturale, possono iscriversi al fondo i lavoratori dipendenti delle OO. SS. firmatarie dell'accordo o dei C.C.N.L...


Tali disposizioni sono riprese all'art. 5 dello Statuto.


Individuati i destinatari si dove provvedere a delineare le modalità di adesione al Fondo e a tal uopo dispongono rispettivamente gli artt.: 13 dell'ipotesi di accordo e 7 dello statuto.


Il primo riafferma il principio di libera scelta individuale quale condizione necessaria per l'iscrizione al fondo (1° c.).


Ma tale scelta oltre a essere libera deve essere informata e pertanto al lavoratore, antecedentemente, deve essere consegnata una scheda informativa approvata previamente della Covip (2° c.).


Gli stessi principi li si ritrova nell'art. 7 dello statuto, disposizione ove però è dato reperire ulteriori specificazioni sulla materia.


Preliminarmente il fondo deve provvedere alla consegna di una scheda informativa relativa alle principali caratteristiche dello stesso, predisposta secondo quanto previsto dal D.M. n. 211/97, sulla base dello schema generale emanato dalla Covip il 18.6.97 e previamente approvata da quest'ultima (comma quinto).


In un tempo successivo il lavoratore può liberamente sottoscrivere la domanda di adesione al fondo che deve anche contenere: l'impegno da parte del lavoratore a versare la contribuzione e la delega al datore di lavoro affinché lo stesso possa direttamente sulla retribuzione spettante operare la trattenuta della contribuzione da versare al fondo (12).


L'atto unilaterale di adesione, avendo natura recettizia, dovrà essere portato a conoscenza del datore di lavoro.


Sia l'ipotesi di accordo, sia lo statuto connettono alla domanda, automaticamente, l'iscrizione al fondo anche della P. A. da cui il lavoratore dipende.


Tale automatismo risulta mediato a monte nell'ipotesi di iscrizione di lavoratori appartenenti a settori affini.


Oltre alla contribuzione fisiologicamente versata in forza dell'adesione dei lavoratori, ulteriori risorse, in sede di prima istituzione, sono individuate nell'ipotesi di accordo del gennaio 2001.


L'art. 16 prevede in capo all'I.N.P.D.AP., per la fase istitutiva del fondo e all'atto della sua costituzione e la fine di fronteggiare i costi di avvio, il versamento di una quota di iscrizione per ogni lavoratore di lire 5.000.


L'importo necessario sarà prelevato dalle risorse trasferite all'ente previdenziale con il decreto legge, non convertito, n. 346/00.


Non solo, il quinto e ultimo comma dello stesso articolo, esplicitamente, prevedono che le spese di esercizio del fondo del primo anno di vita siano integralmente ricoperte con le medesime risorse di cui al menzionato decreto legge.


Infine, cambiando oggetto di indagine, appare opportuno spendere qualche parola sugli organi dell'associazione e sulle modalità di individuazione dei soggetti chiamati a farne parte.


Su di essi vi è una normazione a regime e una normazione transitoria.


Gli organi del Fondo sono:
a) l'assemblea dei delegati;
b) il consiglio di amministrazione;
c) il Presidente e il vice Presidente;
d) il collegio dei revisori contabili.


Per i primi due organi, di natura collegiale, è esplicitamente prevista una ripartizione paritaria fra lavoratori e datori di lavoro.


Specificamente i componenti dell'assemblea dei delegati sono 60, mentre 18 sono i membri del consiglio di amministrazione.


Ma per procedere all'individuazione dei soggetti componenti del primo è necessaria un'elezione e tale elezione potrà avvenire solo dopo il raggiungimento del numero di 30.000 adesioni (Ipotesi di accordo, art. 5).


In attesa del raggiungimento di tale soglia minima deve provvedersi alla nomina del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori contabili, a tale scopo nell'ipotesi di accordo vi è una specifica disciplina nell'art. 18.


L'individuazione dei soggetti facenti parte di tali organi è affidata ai soggetti che costituiscono il fondo medesimo.


Esplicitando gli organi chiamati a gestire il fondo sorgono da un difetto di democrazia diretta, in quanto l'A.R.A.N. e le OO. SS. provvederanno in questa fase a individuare le persone chiamate a far parte degli organi collegiali che, in via fisiologica, dovrebbero scaturire, invece, dalla scelta dell'assemblea dei delegati, a loro volta scaturiti da un'elezione per i rappresentanti dei lavoratori e da una designazione per i rappresentanti dei datori di lavoro (13).


Tutto questo manca e anche per i rappresentanti dei lavoratori si utilizza il modello individuativo tipico dei rappresentanti dei datori di lavoro: la designazione.


Ad ogni buon conto gli organi collegiali, frutto dell'applicazione della norma transitoria, decadranno automaticamente nel momento in cui insediata l'assemblea dei delegati, questa provvederà a eleggere i componenti del consiglio di amministrazione.


Mentre per i componenti del collegio dei revisori contabili si procederà all'elezione secondo la specifica disciplina di cui all'art. 8, Ipotesi di accordo, e all'art. 20 dello Statuto.
 


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NOTE

1. Di primo acchito l’osservazione che può essere fatta riguarda la vaghezza dell’espressione “procedure coerenti alla natura del rapporto…”, espressione che può essere riempita di qualunque contenuto.

2. Altre disposizioni attengono la previdenza integrativa antecedentemente alla legge n. 421/92 e sono contenute nell’art. 18.

3. Ancor prima della presente legge, nel decreto legislativo n. 29/93, al quarto comma dell’art. 71 il legislatore affidava sempre alla contrattazione collettiva il compito di regolamentare “ex novo” la materia del trattamento di fine rapporto. La stessa disposizione è stata ripetuta nel T. U. del 2001 al secondo comma dell’art. 69.

4. Anche in questo caso, come accade in generale nelle disposizioni in tema di previdenza complementare, si delinea un circolo “virtuoso” in cui si assiste alla creazione di una disposizione legislativa che al suo interno rinvia per la concreta applicazione o per la migliore specificazione di quanto statuito a una fase di concertazione fra le parti sociali, concertazione che nel momento in cui si conclude con un accordo rifluisce in un atto dell’esecutivo che imprima all’accordo privato una valenza pubblicistica.

5. Il discrimine temporale fissato è pertanto il 31.12.1995: sino a quella data per i dipendenti del pubblico impiego la regola generale è l’indennità di fine servizio. All’opposto dall’1.1.1996 la regola generale, secondo le intenzioni del legislatore del 1995, sarebbe dovuta essere l’applicazione del t.f.r.
Su questo quadro normativo è però nuovamente intervenuto il legislatore con il comma terzo dell’art. 74, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Secondo quest’ultima disposizione, in fase di prima attuazione, “…la quota di trattamento di fine rapporto che i dipendenti già occupati alla data del 31 dicembre 1995 e quelli assunti nel periodo dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 2000 che hanno esercitato l’opzione di cui all’articolo 59, comma 56, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, possono destinare ai fondi pensione, non può superare il 2 per cento della retribuzione base di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Successivamente la predetta quota del trattamento di fine rapporto è definita dalle parti istitutive con apposito accordo.”
Orbene dalla lettura di tale disposizione deve inferirsi che la vigenza della regola generale di cui al quinto comma dell’art. 2 della legge n. 335/95 sia stata posticipata all’1.1.2001 e pertanto sino al 31.12.2000 tutti i lavoratori della P.A., senza distinzione alcuna connessa alla data di assunzione, hanno diritto a vedersi riconoscere l’indennità di buona uscita e la trasformazione di questa in t.f.r. e la destinazione parziale dello stesso a un fondo previdenziale è collegata a una scelta volontaria del lavoratore medesimo.

6. Per una prima esperienza di previdenza complementare su base regionale si v. la Legge della Regione Trentino - Alto Adige del 27 febbraio 1997, n. 3 ove si prevede l’istituzione di Fondi pensione per lavoratori dipendenti, autonomi e liberi professionisti residenti nel territorio regionale o che nello stesso espletano in via preminente la propria attività (artt. 1 e 2).

7. La contrattazione collettiva, chiamata a individuare le modalità di attuazione del principio, e il successivo decreto, chiamato a sua volta a dettare norme di esecuzione, non incidono in via astratta sulla validità ed efficacia della disposizione.
La realtà dei fatti è però che, sino a quando non si provvede da parte delle OO. SS. a individuare i nuovi modelli retributivi e contributivi e gli stessi non sono posti in esecuzione dal Governo, non si potrà avere l’abbondono dell’indennità di buona uscita a favore del t.f.r.

8. Ma tale soluzione trova ulteriore sostegno normativo nella lettura del quarto comma dell’art. 3 del decreto legislativo n. 124/93.
Tale comma impone alle fonti istitutive delle forme pensionistiche di cui al primo comma di stabilire le modalità di adesione garantendo la libertà di adesione individuale.
In realtà il principio di libertà di adesione di cui la disposizione fa menzione rappresenta uno spicchio del più generale principio di libertà che il legislatore intende garantire ai lavoratori. Da ciò consegue che lo stesso è applicabile anche per le ipotesi di costituzione di fondi nel pubblico impiego discendendone che per la trasformazione dell’indennità di fine servizio in t.f.r. e la sua destinazione a finanziare i fondi di previdenza complementare è necessaria la volontà del lavoratore.
Da tale principio ne discende ulteriormente che la disposizione in commento troverà concreta applicazione solo dopo che il lavoratore abbia sottoscritto l’adesione al fondo e giammai prima, essendo impossibile immaginare la creazione di una posizione pensionistica individuale presso un fondo previdenziale solo in forza dell’esercizio della facoltà di opzione e senza che vi sia stato un ulteriore atto di volontà teso all’iscrizione al fondo.

9. Questa disposizione è da porre in stretta correlazione con il disposto dell’art. 74, terzo comma, della legge n. 388/00.
In questa il primo periodo rappresenta la fotocopia del disposto del comma in commento. Ma a questo periodo il legislatore ne ha aggiunto altro che non trova riscontro nel testo dell’accordo del 1999 e che recita: “Successivamente la predetta quota del trattamento di fine rapporto è definita dalle parti istitutive con apposito accordo.” Si deve ritenere che in forza di tale disposizione in sede di contrattazione collettiva e per i lavoratori che hanno esercitato la facoltà di opzione si possa prevedere un aumento di quota da destinare al finanziamento dei fondi medesimi.

10. Una prima considerazione da fare attiene la scelta legislativa di legare indissolubilmente l’opzione al t.f.r. con la sottoscrizione del modulo di adesione al fondo. In via di logica astratta dalle precedenti disposizioni tese alla trasformazione delle indennità di fine servizio in t.f.r. non scaturisce la necessità che tale scelta vada di pari passo con l’iscrizione a un fondo. Aggiungasi che tale opzione legislativa pare che comporti che, sino a quando non vi sarà un fondo regolarmente costituito, non potrà aversi alcuna trasformazione. Infine bisogna chiedersi se, nel momento in cui vi sia il fondo e pertanto la trasformazione sia anch’essa possibile, se sia anche possibile da parte del lavoratore far retrocedere il momento di decorrenza della stessa sino a farlo coincidere con le date legislativamente fissate.
Una seconda considerazione attiene il momento individuativo di adesione al fondo. La sottoscrizione del modulo di adesione deve essere portata a conoscenza del datore di lavoro e tale conoscibilità potrà avvenire in qualunque maniera, non essendo prevista alcuna forma dall’ordinamento. Ancora dalla sottoscrizione dell’adesione scaturirà, in via fisiologica, automaticamente l’adesione al fondo con decorrenza dal momento della sottoscrizione. Il problema intertemporale che si pone invece attiene l’ipotesi di un fondo regolarmente autorizzato ma che sia dichiarato decaduto perché non inizi la propria attività entro 12 mesi o perché non abbia raggiunto la prevista base minima entro 18 mesi. In questo caso la decadenza dell’autorizzazione trascina con sé anche l’opzione fatta dal lavoratore a favore del t.f.r.? Deve ritenersi che la stretta connessione genetica posta dal legislatore fra opzione e iscrizione al fondo sia da limitare, in quanto modello eccezionale, al solo momento della sottoscrizione. Passato tale momento, le eventuali patologie che incidono sul fondo non possono avere alcun effetto automatico sulle scelte liberamente operate dal lavoratore.
Altro e diverso problema è invece se il lavoratore, alla luce della situazione dianzi descritta, possa revocare la sua opzione. In tal caso la risposta pare debba essere positiva non rinvenendosi alcuna disposizione che vieti a chi ha fatto una scelta di ritornare sui propri passi allorquando fattori esterni allo stesso non consentano il raggiungimento dello scopo.

11. Tale allargamento porta a uno “snaturamento” del fondo che non riguarda più i soli dipendenti pubblici del settore scuola, ma può riguardare anche i dipendenti privati del medesimo settore.

12. Si ripete il modello, noto in diritto tributario, del sostituto d’imposta.
Si aggiunga infine che per i lavoratori in servizio alla data del 31.12.00 la stessa domanda, secondo le intenzioni del legislatore, deve anche contenere l’opzione a favore della trasformazione in t.f.r. dell’indennità di fine servizio.

13. Sull’individuazione dei rappresentanti dei datori di lavoro è da aggiungere che la stessa potrebbe ulteriormente complicarsi se al fondo dovessero iscriversi i lavoratori dipendenti delle scuole private