AmbienteDiritto.it 

Legislazione  Giurisprudenza

 


 Copyright ©  Ambiente Diritto.it

La reclamabilità dell’ordine di ispezione ex art. 2409 comma 2 del Codice Civile

Nota a Ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Catania 1^ Sezione civile il 23.10.2001

di Valeria Di Stefano[1]*

   

Con la pronuncia che si annota la Corte d’Appello di Catania affronta il tema dell’immediata reclamabilità dell’ordine di ispezione disposto dal tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c..

La soluzione della reclamabilità, seguita dalla Corte, trova fondamento in considerazioni di ordine formale e sistematico, conformemente all’orientamento espresso da una parte della giurisprudenza di merito e dalla Corte di Cassazione nella nota sentenza del 1993 n 1327[2] .

Segnatamente, l’argomento formale si trae dalla lettera dell’art. 2409 c.c. che, nell’indicare i diversi provvedimenti che il Tribunale può assumere, non distingue “tra quelli istruttori e quelli conclusivi del procedimento” e dall’art. 103 delle Disp. Att., a norma del quale i provvedimenti del tribunale nel procedimento in esame assumono la forma del decreto. Da ciò si desume che, poiché gli artt. 739 e 742 bis c.p.c. pongono la regola generale della reclamabilità al giudice superiore dei decreti emessi nei procedimenti in camera di consiglio, anche il decreto che ordina l’ispezione, in difetto di una deroga alla regola generale, è immediatamente reclamabile.

Sotto il profilo sistematico si rileva la non coincidenza della natura della consulenza tecnica e dell’ispezione della società, caratterizzandosi quest’ultima per la particolare estensione dei poteri dell’ispettore, tali da poter superare il livello di riservatezza della sfera attinente alla direzione della società, di solito esclusa dalla cognizione e dal controllo della compagine sociale. Si riconosce, pertanto, all’ispezione un carattere  cautelare singolare e di tale incisività sulla vita della società da giustificare l’immediata reclamabilità.

Le argomentazioni suesposte sono state sottoposte al vaglio critico della dottrina e di una parte della giurisprudenza di merito, anche successiva alla citata sentenza della Corte di Cassazione.

In ordine all’elemento formale si osserva in primo luogo che la forma del decreto non appare disposta per ogni provvedimento adottato dal tribunale nel procedimento in esame. In particolare, l’ordine di ispezione, avendo un contenuto istruttorio, dovrebbe più propriamente assumere la forma dell’ordinanza, tipica dei provvedimenti di natura ordinatoria[3], così come letteralmente dispone la norma[4], ritenendo che l’art. 103 disp. Att., nell’indicare la forma del decreto per i provvedimenti del tribunale nel procedimento in esame, si riferisca esclusivamente ai provvedimenti conclusivi. Ciò trova conferma nel rilievo che a norma dello stesso articolo i provvedimenti in questione vanno comunicati entro cinque giorni , a cura del cancelliere all’ufficio del registro delle imprese per la registrazione, formalità che, all’evidenza, è fuor di luogo se estesa ad ogni provvedimento emesso dal tribunale nel corso del procedimento (si pensi alla convocazione degli amministratori e dei sindaci o ad eventuali provvedimenti interlocutori volti ad assumere informazioni ai sensi dell’art. 738 c.p.c. in relazione ai quali non si può certo ravvisare un interesse dei terzi da tutelare mediante l’indicata forma di pubblicità) e che, nella prassi, viene attuata esclusivamente per i provvedimenti conclusivi del procedimento.

Inoltre, l’ispezione è prevista dal secondo comma dell’art. 2409 c.c. mentre i diversi provvedimenti conclusivi sono contemplati dal comma terzo della norma[5], prevedendo il legislatore, secondo una successione logico-temporale, i diversi momenti del procedimento: una prima fase volta ad accertare la sussistenza delle irregolarità della gestione attraverso uno strumento di indagine conoscitiva quale l’ispezione ed una seconda fase, condizionata dagli esiti dell’accertamento, nella quale il tribunale adotta i provvedimenti cautelari e nei casi più gravi procede alla revoca degli amministratori e dei sindaci definendo il procedimento.

Distinti, infine, sono i presupposti: fondato sospetto di gravi irregolarità per l’ispezione e certezza delle gravi irregolarità per i provvedimenti cautelari, la convocazione dell’assemblea e la revoca degli amministratori e sindaci di cui al terzo comma.

In ogni caso, dalla forma del provvedimento non può desumersi il regime dell’impugnabilità, dovendo questo, piuttosto, trarsi dalla natura del provvedimento stesso. Ed invero, l’art. 739 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che il decreto reclamabile è unicamente quello che conclude il procedimento camerale, sebbene la norma non distingua espressamente tra provvedimenti interlocutori e provvedimenti conclusivi. Così, non può dubitarsi della non impugnabilità immediata dei provvedimenti con i quali, nell’ambito del procedimento camerale, il giudice disponga in ordine all’assunzione di informazioni di cui all’art. 738 c.p.c. ed in genere in ordine all’acquisizione di elementi istruttori.

Al riguardo, appare decisiva una ulteriore considerazione relativa al regime generale della impugnabilità dei provvedimenti istruttori nell’ambito del processo civile. Nel nostro ordinamento processuale non è consentito un controllo immediato sui provvedimenti istruttori emessi dal giudice di primo grado da parte di un giudice superiore e, dopo la riforma introdotta dalla L n 353/90, è escluso, altresì, il reclamo immediato al collegio avverso le ordinanze in materia di prove emesse dal giudice istruttore nei giudizi riservati alla decisione del collegio. Di contro, il nostro ordinamento prevede un sistema di impugnazione immediata dei provvedimenti cautelari emessi sia prima che nel corso del giudizio di merito.

A questo punto, e passando all’esame dell’argomento sistematico addotto a sostegno della tesi della reclamabilità, diventa decisiva per la soluzione della questione la verifica della natura del provvedimento che dispone l’ispezione, dovendosi escludere l’immediata reclamabilità se si opta per la natura istruttoria del provvedimento in questione, potendosi ammettere nell’ipotesi in cui si accerti la natura  cautelare, sia pure singolare, così come mostra di fare la pronuncia in commento.

La giurisprudenza consolidata esclude l’equiparazione dell’ispezione dell’amministrazione della società alla consulenza tecnica[6]. Diverse sono le funzioni: la consulenza tecnica non è un mezzo di prova bensì uno strumento per valutare la prova quando siano richieste competenze tecniche che non rientrino nel bagaglio di conoscenze del giudice mentre l’ispezione è uno strumento di indagine conoscitivo volto alla ricerca ed alla raccolta della prova. E’ innegabile che i poteri dell’ispettore possano essere di tale ampiezza “da superare il livello di riservatezza che caratterizza l’attività di direzione dell’impresa, acquisendo poteri normalmente coincidenti con quelli del collegio dei sindaci, potendo anche prendere cognizione dei momenti decisionali, espressi nell’area del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo  o del consigliere delegato, che di solito sono esclusi dai controlli esterni alla compagine che guida la società, come espressione della maggioranza”[7].

Tuttavia, tale ampiezza di poteri, che trova giustificazione nel principio inquisitorio cui è informato il procedimento in esame,  non autorizza ad escludere la natura istruttoria dell’ispezione.

L’ispezione dell’amministrazione della società presenta maggiore ampiezza rispetto alla consulenza tecnica e partecipa anche dei caratteri della ispezione giudiziale di cui agli artt. 118 e  258 c.p.c.,[8]che il giudice può disporre per conoscere dei fatti della causa, ispezione giudiziale che ha normativamente carattere istruttorio e che, in ipotesi, il tribunale avrebbe ben potuto disporre anche in difetto dell’esplicita previsione dell’art. 2409 c.c.[9], facendosi assistere da un consulente ed assumendo chiarimenti dalle parti ed informazioni dai terzi. L’ispezione di cui all’art. 118 c.p.c. può essere disposta solo ove non provochi danni gravi al soggetto, mentre per l’ispezione societaria tale limitazione non sussiste[10]. Da ciò discende che l’ispezione societaria ha un carattere più penetrante dell’ispezione ordinaria e della consulenza tecnica, ma come strumento volto a conoscere i fatti di causa e a valutare la sussistenza delle irregolarità dell’amministrazione non muta la propria natura di provvedimento istruttorio[11].

Il rilievo secondo il quale l’ispezione è un provvedimento di natura particolarmente incisiva ed intrusiva nella vita della società è esatto ma non risolutivo.

La considerazione degli effetti potenzialmente lesivi degli interessi societari, sia sotto il profilo del superamento della riservatezza delle scelte direzionali sia sotto il profilo, non meno rilevante, dell’incrinatura dell’immagine societaria, con il conseguente possibile riflesso negativo sul mercato, costituendo un mero effetto di fatto dell’ordine di ispezione non può influire sulla ricostruzione della funzione e della natura dell’ispezione stessa. L’ispettore non ha alcun potere nella gestione societaria, non può intralciare l’attività degli amministratori o dei sindaci, né limitare i poteri dell’assemblea. Inoltre, il possibile pregiudizio che può derivare dall’esecuzione dell’ordine di ispezione è valutabile preventivamente dal tribunale e trova un contemperamento nella possibilità di imporre una cauzione.

Appare evidente che la funzione dell’ispezione è quella di acquisire i necessari elementi di valutazione in vista della verifica della sussistenza delle gravi irregolarità che costituiscono il presupposto dei provvedimenti conclusivi di contenuto decisorio. E’, pertanto, un provvedimento istruttorio ed interlocutorio, con efficacia esclusivamente endoprocessuale[12].

Né appare condivisibile la qualificazione dell’ordine di ispezione come provvedimento cautelare, sia pure singolare, difettando gli elementi propri dei provvedimenti cautelari. La funzione propria dei provvedimenti cautelari è quella di assicurare la soddisfazione della pretesa azionata (o da azionare) prevenendo il danno che potrebbe derivare dal decorso del tempo necessario allo svolgimento del processo e ciò attraverso misure provvisorie conservative (della situazione di fatto o di diritto su cui deve incidere il giudizio ordinario di cognizione) o anticipatorie (della soddisfazione della pretesa)[13] . L’ordine di ispezione non assume tale funzione, non avendo carattere conservativo né anticipatorio rispetto al provvedimento conclusivo del procedimento, ma è, piuttosto, rivolto ad acquisire al giudizio gli elementi necessari per l’adozione del provvedimento finale[14]. Inoltre, si osserva che la stessa lettera dell’art. 2409 c.c. distingue tra provvedimenti cautelari, di cui al terzo comma, collegati all’accertamento della sussistenza di gravi irregolarità e l’ordine di ispezione fondato sul mero sospetto delle irregolarità.

Natura cautelare in senso lato può riconoscersi al procedimento ex art. 2409 c.c.[15], sia pure con caratteristiche peculiari rispetto a quelle dello schema tipico dei provvedimenti cautelari, atteso che il procedimento instaurato con la denuncia di irregolarità non è necessariamente strumentale rispetto ad una successiva azione di merito, quale in ipotesi l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci[16]. Il procedimento in esame ha finalità proprie ed è autonomo rispetto all’eventuale azione di responsabilità[17], pertanto, ad esso può riconoscersi natura cautelare soltanto in senso lato. In ogni caso, come è stato esattamente rilevato[18], non possono definirsi cautelari tutti i provvedimenti che possono essere pronunciati nel procedimento in esame, poiché natura cautelare, sia pure con le particolarità sopra indicate, si può riconoscere soltanto ai decreti previsti nell’art. 2409, terzo comma, prima parte, ma non al provvedimento interlocutorio di ispezione che una funzione meramente conoscitiva.

In conclusione deve ritenersi che il provvedimento con il quale il tribunale ordini l’ispezione della amministrazione della società sia un provvedimento interlocutorio di natura istruttoria, preordinato all’accertamento delle gravi irregolarità commesse dagli amministratori e dai sindaci, con efficacia meramente endoprocessuale e, pertanto, volto ad acquisire la prova dei fatti che possono giustificare l’adozione dei provvedimenti di cui al terzo comma, ai quali ultimi, nel senso sopra indicato, può riconoscersi natura cautelare.

Ritenuta la natura istruttoria del provvedimento di ispezione della società, deve escludersi, alla luce dei principi generali sul regime dei provvedimenti istruttori, l’immediata ed autonoma reclamabilità dello stesso[19]. I provvedimenti istruttori, infatti, non sono autonomamente impugnabili al giudice superiore in base al principio di concentrazione processuale: l’illegittimità della loro ammissione (ed assunzione) può farsi valere unicamente con l’impugnazione del provvedimento conclusivo del procedimento innanzi al primo giudice. Ad analoghi principi si è ispirato il legislatore della riforma del 1990 in materia di cause riservate alla decisione del collegio eliminando l’istituto della rimessione istruttoria della causa al collegio e del reclamo avverso le ordinanze istruttorie. Tale sistema presenta il rischio che il giudice superiore o il collegio, nelle cause ad esso riservate, ritengano inammissibile l’attività istruttoria quando, appunto, l’attività stessa sia stata già esperita e la prova assunta, con evidente dispendio di tempo e di mezzi. Trattasi, tuttavia, di un rischio calcolato e comparativamente valutato dal legislatore in relazione alle esigente di celerità del procedimento e di ordine sistematico, per evitare che in pendenza del procedimento e prima della decisione definitiva sul medesimo provvedimento interlocutorio abbiano a pronunciarsi giudici diversi, rischio che non può giustificare una deroga al principio generale alla stregua del maggiore o minore pregiudizio di fatto e riflesso che lo svolgimento dell’attività istruttoria potrebbe determinare per gli interessi coinvolti (pregiudizio di fatto che, in ipotesi, potrebbe sussistere anche nel caso di ordine di esibizione o di ispezione di cui all’art. 118 c.p.c.).

Ulteriore conferma alla tesi della irreclamabilità autonoma si trae, infine, dalla natura di gravame propria del reclamo, che potrebbe consentire al giudice superiore di arrestare irreversibilmente un procedimento che si trova in una stadio iniziale, quantunque difetti di un provvedimento che determini una situzione giuridica conclusa,  con evidente incongruenza del sistema[20].

La natura istruttoria del provvedimento di ispezione, le esigenze di celerità proprie dei procedimenti camerali, la natura di gravame del reclamo inducono a concludere per l’irreclamabilità immediata dell’ordine di ispezione disposto ex art. 2409 c.c..

  *Magistrato presso il Tribunale civile di Siracusa.                                                                                                                                                      

*******

LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA

Prima Sezione Civile

riunita in camera di consiglio; composta dai magistrati:

Dott. Guido Marletta                                                                                                                       Presidente

Dott. Francesco Ventura                                                                                                            Consigliere

Dott. Angelo Giorlando                                                                                            Consigliere rel. est.

visto il procedimento N° **/2001 R.G.

 

promosso da:

I.M., nato a L. il ****, c.f.: **** nella qualità di amministratore unico della società "T.T. S.r.l." con sede in A. e I.D., nata a S. il ****, entrambi elett. dom. in Catania presso lo studio dell'avv.  Dario Sammartino

Ricorrenti

nei confronti di:

B.S., nato a S.iracusa il **** ed ivi res., elett. dom. in Catania presso lo studio dell'avv.  Anna Ciancico

Resistente

Visto il reclamo proposto in data 2.3.2001 da I.M., nato a L. il **** nella qualità di amministratore unico della società "T.T. S.r.l." e I.D., nata a S. il ****, avverso il decreto reso dal Tribunale di Siracusa in data 16.1.2001 con il quale era stato disposta l'ispezione dell'amministrazione della società "T.T. S.r.l. con sede in A.; sentite le parti, viste le memorie e i documenti dalle stesse prodotti, la Corte ha osservato:

deve preliminarmente affermarsi l'ammissibilità del reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale dispone procedersi ad ispezione dell'amministrazione di società.

Infatti la Suprema Corte, sia pure con affermazione incidentale, ha da tempo riconosciuto l'ammissibilità del reclamo avverso un provvedimento emesso a norma dell'art. 2409 c.c. (v.  Cass. 15 gennaio 1985 n. 60).

Deve rilevarsi che detta reclamabilità corrisponde sia ad un'esigenza formare, sia ad un'interpretazione sistematica della normativa in materia.  Sotto il primo profilo, deve rilevarsi che l'art. 2409 c.c., nell'indicare i vari provvedimenti che possono essere assunti dal tribunale, non pone alcuna distinzione tra quelli istruttori e quelli conclusivi del procedimento.  Poiché per tutti l'art. 103 delle Disp.  Att. c.c. stabilisce la forma del decreto, senza ulteriori distinzioni, deve dedursi che il decreto, in difetto di esplicita deroga, segua la regola generale della reclamabilità immediata al giudice superiore ex art. 742 bis in relazione all'art. 739 c.p.c., che esprime, tra l'altro, un’esigenza costante dell'ordinamento processuale dopo la novella del 1950.

Sotto il profilo sistematico si deve porre in rilievo la particolarità dell'ordine di ispezione emesso in base al secondo comma dell'art. 2409 c.c., caratterizzato dalla natura particolarmente incisiva ed intrusiva nella vita della società e che si risolve in poteri non coincidenti con quelli previsti dagli artt. 61 e 191 c.p.c. peri consulenti tecnici.  In effetti l'ordine di ispezione della società non si riduce alla semplice nomina di un consulente tecnico d'ufficio, figura in riferimento alla quale fino alla definizione del processo nel grado, sono consentiti solo controlli nell'ambito dello stesso grado di giurisdizione (artt. 177 e 178 c.p.c.). Ben oltre possono essere estesi i poteri dell'ispettore, il quale svolge un'attività parzialmente integrativa dell'opera del giudice, nel senso che l'attività dell'ausiliare è volta alla ricerca ed alla raccolta della prova, con  la possibilità di superare il livello di riservatezza che caratterizza l'attività di direzione dell'impresa, acquisendo poteri normalmente coincidenti con quelli del collegio dei sindaci, potendo anche prendere cognizione dei momenti decisionali, espressi nell'area del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo o del consigliere delegato, che di solito sono esclusi dai controlli esterni alla compagine che guida la società, come espressione della maggioranza.

Il rilievo delle situazioni inerenti alla disposizione dell'ispezione dell'am­ministrazione di una società, pur avendo funzione strumentale rispetto al provvedimento conclusivo, assume un carattere cautelare singolare e di tale incisività sulla vita della società da giustificarne l'impugnabilità immediata (cfr.  Cass. 16.3.1993 n' 3127; Cass. 21.6.1999 n° 6241).

Le svolte considerazioni portano, quindi, ad affermare il principio che il decreto del Tribunale con cui si disponga l'ispezione dell'amministrazione della società a norma dell'art. 2409, 2 comma, c.c. è soggetto ad immediato reclamo a norma dell'art. 739 in relazione all'art. 742 bis c.p.c.

Ciò posto, osserva la Corte che con il primo motivo di reclamo è stato rilevato che alla data del 16.11.2000 B.S. era titolare di una quota capitale della società T.T. S.r.l. inferiore al decimo richiesto dalla legge, in quanto con verbale di assemblea straordinaria del 14.11.2000 era stato deliberato l'aumento del capitale sociale da £. 20.000.000 a £. 100.000.000 ed il socio I. M., già titolare di una quota di £. 13.400.000 aveva sottoscritto parte del deliberato aumento per £. 53.400.000 e versato i corrispondenti decimi. I reclamanti affermano che la delibera di aumento di capitale avrebbe "efficacia immediata".

L'assunto è infondato.

Risulta, infatti, che ai sensi degli artt. 2439 e 2495 c.c., se l'aumento di capitale non è integralmente sottoscritto nel termine risultante dalla deliberazione, il capitale sarà aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente previsto.  Nel caso in esame, mentre il verbale di assemblea straordinaria del 14.11.2000, con cui era stato deliberato l'aumento del capitale sociale da £.20.000.000 a £. 100.000.000 ha concesso il termine di giorni trenta dal deposito del verbale nel Registro delle Imprese per l'esercizio del diritto di opzione da parte dei soci, non prevede espressamente che il capitale sarà aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte anche se l'aumento di capitale non dovesse essere integralmente sottoscritto.  E’ evidente, quindi, che l'esecutività della delibera, lungi dall'avere "efficacia immediata", risulta condizionata al verificarsi di eventi futuri ed incerti, quale l'integrale sottoscrizione dell'aumento allo spirare del termine previsto, termine decorrente solo dal momento del deposito del verbale nel Registro delle Imprese.

Risulta, pertanto, che alla data del 16.11.2000 il capitale della società T.T. S.r.l. era ancora pari a £. 20.000.000 e che il socio B.S. a quella data era titolare di una quota pari al 33 % del capitale. E’, peraltro, pacifico che successivamente B.S. ha sottoscritto una parte dell'aumento fino a raggiungere una quota dell'11 % del capitale sociale.

Accertata l'infondatezza del primo motivo di gravame, deve rilevarsi che i reclamanti hanno lamentato, nel merito, la mancanza dei requisiti per il provvedimento adottato.

L'assunto è infondato.

Rileva, infatti, la Corte che B.S. ha denunciato l'esistenza di gravi irregolarità nella contabilità societaria, poste in essere allo scopo di occultare rilevanti introiti sociali ed a riprova di ciò ha rilevato che l'assemblea (totalitaria) convocata per il giorno 20.6.2000 con all'ordine del giorno l'approvazione del bilancio di esercizio al 31.12.1999 non ha approvato tale bilancio.

I reclamanti hanno affermato che, nel caso di specie, la mancata approvazione del bilancio di esercizio da parte dell'assemblea (totalitaria) sarebbe da attribuire non alla irregolarità del bilancio bensì alla condotta del socio di minoranza che "ha espresso (strumentalmente) il voto contrario”.

Osserva la Corte che l'esame del bilancio di esercizio da parte dell'assemblea rappresenta il momento di più penetrante controllo operato dai soci sulla gestione sociale.  Pertanto, la mancata approvazione da parte di un'assemblea totalitaria del bilancio di esercizio formato dall'amministratore rappresenta una dichiarazione di sfiducia nell'operato dell'organo amministrativo, tanto più se ciò avvenga sulla scorta dei rilievi formulati soltanto da un socio di minoranza il cui voto non può risultare in alcun modo determinante.

Risulta, peraltro, che nel caso in esame il bilancio di esercizio al 31.12.1999 è stato approvato solo in data 2.4.2001, in occasione dell'assemblea appositamente convocata nelle more del presente reclamo, dopo che il socio I.M. è divenuto titolare del 67 % del capitale sociale e con il solo voto favorevole dello stesso.

In tale occasione l'amministratore ha dato atto della mancata contabilizzazione di fitti passivi per £. 7.710.000 e della mancata contabilizzazione di compensi ricevuti per £. 17.007.950.

Risulta dal verbale in atti che in tale circostanza Ira Maurizio ammetteva che "le ricevute dei fitti passivi sono state smarrite, mentre le fatture dei compensi sono state ritrovate in un secondo tempo", dando pienamente atto del "disordine contabile" in cui la società era stata gestita.

Risulta, inoltre, che l'amministratore ha deciso di inserire i compensi per £. 17.007.950            nel bilancio del successivo esercizio 2000 (nel quale, tuttavia, come sopra rilevato, sono radicalmente mutate le partecipazioni al capitale ed agli utili dei vari soci ed in particolare di I.M.).

Risulta, poi, che l'amministratore ha deciso di non fare figurare del tutto nella contabilità societaria i fitti passivi per £. 7.710.000 "per la circostanza che falserebbero alcuni conti".

Nello stesso verbale risulta, ancora, che non è stato esposto in bilancio un debito di £. 50.000.000 per retribuzioni relative agli anni progressi, come da verbale di assemblea dell' 1.2.2000, in quanto "tali retribuzioni andavano contabilizzate dal precedente consulente, così come le imposte anticipate per l'anno 1997" (per £. 2.452.000).

Nulla è stato fatto per eliminare tali accertate irregolarità, che sono alcune di quelle rilevate dal socio B..

Non si tratta di irregolarità meramente formali, ma della mancata appostazione in bilancio di voci di importo considerevole, specie se rapportate alle dimensioni societarie e quindi particolarmente rilevanti ai fini della corretta valutazione della situazione economica della società.

Appare quindi evidente che tali ammissioni, provenienti dallo stesso odierno reclamante, lungi dal dimostrare il venire meno del requisito della attualità, dimostrano al contrario che i sospetti di gravi irregolarità nella contabilità sociale, indicati dal socio B., sono più che fondati e sono ancora attuali, tanto da rendere quanto mai opportuno il ricorso alla disposta ispezione giudiziale al fine di verificare l'esattezza della situazione economica della società quale risultante dal bilancio e la sua effettiva situazione patrimoniale, rilevando le eventuali irregolarità.

Accertata l'infondatezza anche del relativo motivo di gravame, deve rilevarsi che i reclamanti hanno, infine, richiesto di subordinare la ispezione giudiziale alla prestazione della cauzione di £ 200.000.000. A sostegno di tale richiesta i reclamanti hanno lamentato che il provvedimento ispettivo avrebbe comportato "il discredito della società che opera in un mercato altamente concorrenziale (telefonia) ed inciderà inevitabilmente ed in modo negativo sulle prospettive di sviluppo della attività sociale".

L'assunto è infondato.

Rileva, infatti, la Corte che non appare condivisibile l'affermazione dei ricorrenti secondo cui il provvedimento ispettivo debba comportare "il discredito della società", trattandosi di provvedimento non destinato alla diffusione tra il pubblico dei consumatori, clienti della società, che non rivolge i propri servizi a ristrette cerchie di addetti ai lavori, tra i quali eventuali notizie sulle vicende giudiziarie della società potrebbero più facilmente diffondersi. Risulta, poi, del tutto generica l'affermazione dei ricorrenti secondo cui il provvedimento ispettivo "inciderà inevitabilmente ed in modo negativo sulle prospettive di sviluppo della attività sociale". Infatti, nessuna incidenza negativa potrà avere l'accertamento dell'esattezza della situazione economica della società quale risultante dal bilancio, mentre solo l'accertamento di eventuali gravi irregolarità potrebbe avere i paventati effetti negativi che saranno da addebitarsi non tanto alla ispezione giudiziale quanto alla eventuale non corretta amministrazione.

Nel caso in esame, esaminati tutti gli elementi della fattispecie, non si ritiene opportuno subordinare la ispezione giudiziale alla prestazione di una cauzione.

Tutti i motivi di reclamo risultano, pertanto, infondati e devono essere rigettati, con integrale conferma del provvedimento impugnato.

B.S. ha chiesto la rifusione delle spese processuali.

La richiesta è infondata, perché le riscontrate peculiarità del procedimento ex art. 2409 cod. civ. non consentono di identificare, ai fini dell'onere delle spese, parti vittoriose e parti soccombenti, trattandosi di qualità che presuppongono la definizione di un conflitto in sede contenziosa e precludono il riferimento alle disposizioni degli artt. 91 e segg. cod. proc. civ. Le spese medesime devono, così, rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate assumendo l'iniziativa od interloquendo nel procedimento stesso (v. Cass. n° 498 del 23 gennaio 1996 e Cass. n° 7424 del 16 dicembre 1983).  Tale rilievo trova inequivoco conforto nell'ultimo comma dell'art. 2409 cod. civ., il quale, per l'ipotesi in cui la richiesta dell'intervento del Tribunale sia avanzata dal pubblico ministero, fa gravare le spese sulla società, trattandosi di norma che riposa sull'implicito presupposto dell'inapplicabilità delle comuni regole della soccombenza, rispondendo all'esigenza di reperire un obbligato alle spese medesime quando l'istanza non sia formulata da una parte privata che possa all'uopo provvedere (cfr.  Cass. 2.10.1997 n° 9636).

P. Q.  M.

La Corte,

rigetta il reclamo proposto in data 2.3.2001 da I.M., nella qualità di amministratore unico della società "T.T. S.r.l." e da I.D., avverso il decreto reso dal Tribunale di Siracusa in data 16.1.2001 e depositato in data 20.1.2001, che conferma.

Si comunichi.

Così deciso in Catania nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile il 08.06.2001

Il Presidente

Dott. Guido Marletta  

Depositato in Cancelleria, addì  23.10.2001

_____________________________

[1] Si allega copia integrale dell’ordinanza.

[2] Corte di Cassazione sez. I civile, 16.3.1993, n. 3127 in Foro It. 1995, I, 975; Giust. Civ. 1994, I, 2328. Si deve osservare, comunque, che il principio enunciato dall’indicata sentenza è stato superato dalla successiva elaborazione giurisprudenziale, la quale ha posto in rilievo come la non ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. non trovi deroga neppure quando la corte d’appello risolva, positivamente o negativamente, le questioni inerenti all'ammissibilità del reclamo, atteso che la pronuncia sull’osservanza delle norme che regolano il processo ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale per cui il processo è preordinato, di modo che, se tale atto sia privo di decisorietà, detta pronuncia non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio (così Cass. 6241-99; Cass. 6315-98;Cass. 9636-97). Tra le pronunce di merito si segnalano a favore della tesi della immediata reclamabilità dell’ordine di ispezione: Corte d’Appello Venezia, 21.3.2000, in Gius 2000, 1374; Corte d’Appello Bologna, 21.11.1991, Le società 1992, 503; Corte d’Appello  Firenze 21.11.1991, in Giur. comm. 1992, II, 956, Corte d’Appello Palermo 3.5.1991, in Giur. comm.. 1992, II, 258.

[3] A. Patelli “Reclamabilità dell’ordine di ispezione” in Le Società 1992, 503. L’Autore sottolinea che l’ispezione ex art. 2409 c.c. ha carattere istruttorio, tant’è che la sua naturale forma dovrebbe essere essere quella dell’ordinanza , come peraltro imporrebbe la dizione letterale della norma. Nello stesso senso Corte d’Appello Milano 24.5.1996, in Le Società 1996, 1161 con nota adesiva di A. Matcinkiewicz; F. Carnelutti “Appellabilità del decreto del tribunale che ordina l’ispezione dell’amministrazione di una società per azioni?” in Riv. Dir. Proc. , 1958, 414; Corte d’Appello Lecce 4.3.1995, in Le Società 1995, 934.

[4] “Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministartori e i sindaci, può ordinare l’ispezione dell’amministrazione della società…”

[5] cfr. Tribunale Milano 24.5.1996 cit. muove  una decisiva obiezione <topografica>: di ispezione si parla nel secondo comma dell’art. 2409, cioè in luogo diverso dal terzo comma, dove si dice degli altri provvedimenti”.

[6] Cfr. oltre a Cass. n 3127/93 cit. ,  Tribunale Roma 13.7.2000, in Giur. it. 2000, 2103; Tribunale Napoli 13.3.1989, in Foro it. 1990, I 2753; Tribunale Genova 30.3.1988, in Le Società, 1988, 194; Tribunale Pordenone, 4.11.1983, in Dir. Fall. 1983, II 1133; contra Tribunale Milano 24.11.1988, in Le Società 1989, 290.

[7] Cass. n 3127/93 cit.

[8] Si è, altresì, evidenziata una affinità con l’esame contabile di cui all’art 198 c.p.c. anche se, a differenza di quanto previsto da tale norma, l’ispettore può prendere visione di libri e scritture non prodotte anche senza il consenso di tutte le parti: F. Gatta “Il problema della soggezione a reclamo immediato dell’ordine di ispezione giudiziale ex art. 2409 c.c.” in Giur. it. 1991, I, 2,601; Corte d’Appello Lecce, 4.3.1995, in Le Società 1995, 934.

[9] Corte d’A ppello  Milano 24.5.1996, in Foro it. 1996, I, 2898.

[10] A. Barone in nota aCass. Civ. sez.I 16.3.1993, n. 3127 in Foro It. 1995, I, 975 rileva che nell’ispezione dell’amministrazione sociale il grave danno è in re ipsa, giacché con essa non solo si pregiudica il bene giuridico dei segreti societari, portati a conoscenza sia dell’ispettore che dei ricorrenti, ma si infligge un profondo, e difficilmente sanabile vulnus, all’immagine della società.

[11] F. Gatti in “Il problema della soggezione a reclamo immediato dell’ordine di ispezione giudiziale ex art. 2409 c.c.” cit.: si tratta in sostanza di un peculiare strumento di indagine e di ricerca della verità offerto al giudice nell’ambito di un procedimento di giurisdizione volontaria, il quale specifica il generale potere inquisitorio di assunzione di informazioni previsto dall’art. 738 c.p.c.

[12] A Patelli “Reclamabilità dell’ordine di ispezione” cit.; Corte d’Appello Lecce 4.3.1995, in Le Società 1995, 934; Corte d’Appello Milano 24.5.1996, in Le Società 1996, 1161, Corte d’Appello Venezia 29.5.1990, in Foro it. 1991, I, 1237; Corte d’Appello Roma 28.5.1998, in Giur. it. 1999, 1887; Corte d’Appello Roma 16.1.1999, in Giur. it 1999, 1888; Corte d’Appello Milano 15.5.1996, in Giur. comm. 1997, II, 301, Corte d’Appello Salerno, 12.2.1993, in Giur. it. 1994, I, 2, 780, Corte d’Appello roma , 8.3.1980, in Giur. comm. 1980, II, 967.

[13] Dini I provvedimenti d’urgenza Giuffrè Milano, 1997.

[14] Riconosce la natura cautelare dell’ordine di ispezione R. Lolli in Le Società 1995, 934. M.G. Paolucci, in Le Società 1998, 403 rileva l’impossibilità di ritenere cautelari i provvedimenti, emessi a norma dell’art. 2409 c.c.; osserva, in particolare, che non si riscontra in essi la funzione cautelare, intesa quale generica esigenza di assicurare la realizzazione degli effetti cui sono indirizzati i procedimenti di cognizione e di esecuzione; rileva, inoltre, che nel procedimento cautelare l’indagine sul diritto è limitata ad un giudizio di probabilità e di verosimiglianza, mentre il decreto di revoca degli amministratori e dei sindaci può essere pronunciato soltanto ad esaurimento di tutti gli accertamenti all’uopo necessari e quindi non si fonda su una cognizione sommaria.

[15] In giurisprudenza: Cass. civ. sez. I,  8.5.2001, n 6365; Cass. civ. sez. I, 16.6.2000, n. 8226; Cass. civ. sez. I, 5.8.1987, n. 6720.

[16] Cass. Civ.  sez. I, 26/06/98 n° 6315 : il provvedimento ex art. 2409 c.c. ha natura cautelare solo in senso atecnico: i provvedimenti previsti dall’art. 2409 c.c. sono volti alla tutela dell’interesse della società, in quanto adottati per il suo riassetto amministrativo e contabile e non perché nei confronti degli amministratori e-o di sindaci vengono fatti valere diritti da parte di altri soggetti: le finalità perseguite e l'ambito di applicazione, quindi, sono diversi rispetto a quelli di successive ed eventuali azioni volte ad accertare la responsabilità dei titolari di dette cariche, con evidente inconfigurabilità delle misure cautelari e provvisorie, adottate ex art. 2409 c.c., quali necessario o vincolante antecedente logico giuridico di possibili azioni di responsabilità..

[17] In dottrina: R. Dabormida “Il controllo giudiziario sulla gestione delle società” in Le Società 1990, 1177; G. Guarnieri “La nuova procedura cautelare nel diritto delle società” Le Società, 1991, 153 .

[18] G.U. Tedeschi “Funzione preventiva del controllo giudiziario” in Le Società 1989, 610.

[19] E. Bonavera “Il controllo giudiziario sulla gestione delle società” in Le Società 1990. 1222 riconosce funzione istruttoria al provvedimento di ispezione e tuttavia, in considerazione delle funzioni particolarmente ampie conferite all’ispettore, ritiene opportuno consentire un immediato reclamo avverso tale provvedimento. 

[20] Una ulteriore difficoltà potrebbe derivare dalla eventualità che il tribunale, ricorrendone i presupposti, revochi l’ordine ai sensi dell’art. 742 c.p.c., possibilità riconosciuta da una parte della giurisprudenza: Corte d’Appello Venezia 29.3.1990, in Giur. it. 1991, I, 2, 601.