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Evoluzione legislativa e disciplina del bilancio di esercizio(*)

 

Paola Balzarini


Nella storia del diritto commerciale non è dato rinvenire copiose informazioni sulla materia del bilancio. Le notizie possedute sono spesso scarse ed oscure, tanto che "non è possibile stabilirne con esattezza né l'origine, né la forma, nei primi tempi della sua adozione, né l'importanza giuridica. Tuttavia da quelle pochissime notizie risulta indubbiamente che il bilancio ebbe presso le prime compagnie per azioni, nei cui statuti è ricordato, un posto modestissimo, quello di un sommario rendiconto, non disciplinato da alcuna regola di diritto né di contabilità, e che solo molto più tardi se ne venne, a poco a poco, riconoscendo l'importanza" .
Il riconoscimento dell'importanza del bilancio nell'ambito del diritto societario tardò ad arrivare: anzi, possiamo dire che tutt'oggi, nonostante le notevoli evoluzioni avvenute nella legislazione e negli orientamenti della dottrina, i giuristi non hanno ancora colto appieno la rilevanza del documento contabile, spesso considerato come un oggetto misterioso dal quale sia opportuno stare lontani. 
Alla disciplina del bilancio di esercizio il legislatore italiano non ha mai dedicato particolare attenzione . È a tutti noto che il codice di commercio del 1882 prevedeva al riguardo il solo articolo 176, nel quale venivano espresse regole attinenti alle funzioni ed al contenuto del bilancio, destinato a "dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti e le perdite sofferte" e ad indicare distintamente il "capitale sociale realmente esistente" e la "somma dei versamenti effettuati e di quelli in ritardo" . 
A questa sintetica regolamentazione, il codice civile del 1942 sostituì una disciplina più organica, introducendo la previsione di un contenuto minimo dello stato patrimoniale, fissando un complesso di regole e di criteri di valutazione. Mancava, tuttavia, qualsiasi normativa in tema di conto profitti e perdite e di relazione degli amministratori. 
Queste lacune furono colmate con l'emanazione della l. 7 giugno 1974, n. 216, che introdusse gli artt. 2425 bis e 2429 bis c.c. ed ampliò l'art. 2424 c.c. in tema di stato patrimoniale. La disciplina del bilancio d'esercizio è stata, infine, riformata in modo incisivo dal capo II del d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, con il quale è stata attuata la direttiva CEE 25 luglio 1978, n. 78/660 relativa ai conti annuali delle società , e successivamente variata da altri provvedimenti . Le modificazioni apportate dal legislatore alla disciplina del bilancio di esercizio con la riforma del 1991 sono significative e riguardano la struttura dei documenti contabili, il contenuto della relazione degli amministratori, scissa in due documenti (la relazione sulla gestione e la nota integrativa) e le regole di valutazione.
Risulta di tal guisa ampiamente migliorata la qualità dell'informazione desumibile dal bilancio di esercizio per i soci e per i terzi interessati alle vicende della società per azioni, sulla spinta dell'evoluzione del ruolo svolto dall'impresa nell'attuale contesto economico e giuridico. 
Nell'impresa convergono, infatti, istanze ed interessi diversi, anche di ordine etico e sociale; la funzione imprenditoriale non può più essere circoscritta all'aspetto meramente economico, si inserisce nel più generale ambito della vita quotidiana, coinvolge aspetti che travalicano la mera attività produttiva.
Anche il legislatore deve perciò seguire, se non precedere, l'evolversi degli accadimenti. In questo contesto, assumono un significato ancor oggi attuale ed incontestabile le espressioni contenute nella sentenza che ha inaugurato il nuovo corso della giurisprudenza : "la normativa che regola la redazione del bilancio d'esercizio ... non è volta in via immediata e diretta ad evitare pregiudizi patrimoniali ai soci o ai terzi"; "l'oggetto principale ed immediato di quelle norme va intravisto nell'informazione cui sono tenuti amministratori e sindaci non solo nell'interesse dei soci e dei terzi ma anche nell'interesse della società medesima".
Possiamo altresì osservare che abbiamo assistito nel recente passato all'aumento delle "fonti" della disciplina del bilancio . In Italia, e negli altri paesi della Unione Europea, la direttiva comunitaria ed i singoli provvedimenti di attuazione hanno codificato e tradotto in norme un gran numero di principi elaborati dalla tecnica e dalla scienza contabile e ciò per "consentire per un verso l'elaborazione di un bilancio che assolva la sua funzione strutturale all'interno dell'impresa e dell'organizzazione societaria (strumento di misurazione del reddito distribuibile e dei diritti individuali correlati), ma soprattutto rendere una tale ricostruzione intelleggibile e verificabile da parte di tutti i potenziali destinatari" . La maggiore legificazione delle norme contabili riduce lo spazio lasciato alla discrezionalità dei redattori del bilancio e rende più omogenei e comparabili i bilanci delle società.


2. La natura delle norme sul bilancio

La dottrina prevalente attribuisce alle norme civilistiche emanate dal legislatore per disciplinare il bilancio d'esercizio la natura di norme imperative, pur se esse sono a contenuto prevalentemente "tecnico-economico-contabile" e ciò perché tali regole non sono dettate nell'interesse esclusivo dei soci, ma "nell'interesse di una serie indefinita di soggetti (anche) "terzi" rispetto alla società" . 
La conclusione testè enunciata non muta neppure quando si voglia porre l'accento sulla funzione del bilancio di esercizio quale rendiconto della gestione effettuata dagli amministratori. Anche in questo caso, il bilancio non mira a soddisfare soltanto l'interesse individuale del socio, ma si pone come mezzo per il buon funzionamento dell'istituto societario, perché "la funzione informativa dei bilanci si inquadra in quel sistema di reciproci controlli che costituisce, nelle società di capitali, garanzia di buona amministrazione" . 
In questa linea di pensiero si è inserita la giurisprudenza, di legittimità e di merito, formatasi a partire dal leading case del Tribunale di Milano del 1968 , quasi unanimemente concorde nel configurare il bilancio di esercizio come documento destinato a soddisfare un interesse generale e nel classificare le regole giuridiche che lo disciplinano come norme inderogabili.
L'attribuzione della natura imperativa alle norme disciplinanti il bilancio di esercizio è stata però autorevolmente contestata, prima della riforma del 1991, da una dottrina , che, considerata la distinzione tra principio di verità e principi di chiarezza e precisione, rinveniva l'imperatività soltanto nel principio di verità e non la ammetteva per i principi di chiarezza e precisione rappresentanti la parte positiva del bilancio. 
Le regole contenute negli artt. 2424 e 2425 c.c. - a parere della citata dottrina - erano soltanto "norme tecniche", "criteri tratti dalla tecnica contabile aziendale anche se obbligatori e che conservano quindi la loro natura di criteri tecnici, anche quando siano stati scelti ed imposti dal legislatore" . Questa considerazione è avvalorata dal fatto che, da un lato, per società svolgenti particolari attività, si applicava al bilancio non la disciplina codicistica, ma quella contenuta in leggi speciali; dall'altro, lo stesso art. 2425 consentiva, in tema di valutazioni delle poste del bilancio, di adottare criteri diversi e, quindi, si deduceva , i criteri ivi previsti sono obbligatori sì, ma non in ogni caso .
Questa posizione, peraltro assunta da autorevole ma minoritaria dottrina, fu subito avversata, constatando, da un lato, che le norme contenute negli artt. 2424 ss. c.c. sono senza dubbio norme di origine tecnica, provenienti infatti da una disciplina, quella contabile, alla quale il legislatore ha attinto in luogo di creare ex novo specifiche regole. Tuttavia, esse sono poi state inserite in un contesto giuridico ed hanno di tal guisa assunto il carattere di giuridicità. In altre parole, i criteri indicati dal legislatore hanno origine tecnica, ma questa loro origine non influisce sulla loro natura, perché una norma può benissimo avere origine tecnica ed essere imperativa oppure può avere origine giuridica ed essere dispositiva: "È l'interesse tutelato dalla norma quello che decide della sua natura imperativa o dispositiva" . 
Dall'altro punto di vista, la previsione legislativa di specifiche discipline del bilancio per società operanti in particolari settori non prova affatto che le norme del codice civile non abbiano carattere imperativo, ma semmai dimostra che, per realizzare in quei settori un'informazione adeguata, il legislatore ha sentito la necessità di modificare strutture e schemi del bilancio per garantire lo stesso livello minimo di chiarezza oppure ha affidato ad organi amministrativi (per esempio Banca d'Italia) il compito di determinare le forme tecniche del bilancio, evitando così di lasciare agli amministratori della società la scelta delle modalità a loro avviso più idonee per realizzare il precetto della chiarezza .
Occorre ricordare che l'indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato ha registrato in passato la presenza di una corrente , tra i giudici di legittimità, propensa a rimettere in discussione la portata del principio di chiarezza ed a porre i principi della verità, della precisione e della chiarezza su distinti piani, ribadendo, in sostanza, che la chiarezza è un principio strumentale a quello di verità e non gode di propria autonomia . Questo principio è necessario per apprendere la consistenza del risultato di esercizio, che, se eventualmente esatto, sul piano contabile ed economico, rende superflua la chiarezza del percorso contabile attraverso il quale si costruisce e si espone questo risultato .
In altre parole, i giudici sostengono che la validità della deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio dipende dalla precisione del risultato e non dalla chiarezza della sua esposizione, a meno che il documento contabile sia oscuro a tal punto da impedire la conoscenza dello stesso risultato dell'esercizio. Di conseguenza, la delibera di approvazione del bilancio non chiaro è annullabile e non nulla.
La tesi venne sempre avversata dalla giurisprudenza di merito e dalla dottrina, nella constatazione che la chiarezza non poteva essere altro che un requisito essenziale del bilancio, alla luce della funzione informativa propria del documento contabile.
Questo ha portato anche la Suprema Corte, dapprima, ad ammorbidire le proprie posizioni , e poi a sconfessarle fino ad arrivare ad affermare la parità di posizione e dignità di chiarezza e precisione . A tale cambiamento ha senz'altro contribuito anche l'attuazione della IV direttiva comunitaria che nel novellato art. 2423 ha sancito, esplicitamente, la piena autonomia del principio di chiarezza, ha riconosciuto ad esso importanza analoga al principio di verità , anzi ne ha forse accentuato il peso e la rilevanza.
Alcune delle implicazioni che nella disciplina previgente si traevano dalla clausola generale sono nella normativa attuale esplicitamente affermate da precetti specifici : continua a permanere il carattere di imperatività del principio, come sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti e ciò perché continua ad essere parimenti considerato rilevante l'interesse anche dei terzi alla chiarezza del bilancio, all'analiticità delle voci, ad ottenere una informazione adeguata.
La effettiva portata del principio di chiarezza viene finalmente sottolineata nella sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione, nella quale, ammettendo che il bilancio è un mezzo per fornire informazioni sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, si conclude che il documento contabile deve necessariamente essere chiaro per poter assolvere alla funzione che gli è attribuita : "da nessuna norma è possibile desumere una sorta di supremazia del principio di verità su quello di chiarezza, supremazia che è anzi esclusa dall'analisi del sistema normativo" . 
La conseguenza della sua violazione non può perciò essere diversa da quella che si ammette per la violazione del principio di verità, la nullità della delibera, perché il difetto di chiarezza del bilancio e dei suoi allegati rende impossibile "desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte" .

3. Le fonti indirette della disciplina del bilancio di esercizio

Accanto alle fonti illustrate nel primo §, definite come fonti dirette della disciplina del bilancio, si pongono le cosiddette fonti indirette , atti che, pur non avendo la qualificazione attribuibile alle prime, assumono, tuttavia, notevole importanza nell'ambito del diritto contabile. Esse sono la giurisprudenza civile, penale e tributaria; i provvedimenti della Consob ; le circolari e risoluzioni ministeriali, soprattutto in materia tributaria; i principi contabili nazionali ed internazionali . 
Il problema di individuare la gerarchia delle fonti non si pone né per la giurisprudenza, del cui fondamentale ruolo nell'interpretazione del diritto nessuno discute, pur nella consapevolezza che il precedente giudiziario non ha alcuna forza vincolante nel nostro ordinamento, né per le circolari e risoluzioni ministeriali che sono destinate a chiarire alcuni aspetti delle norme legislative. Più delicato è il problema riguardo alle altre fonti sopra elencate. 
Particolarmente, si è posto e si pone ancora oggi l'interrogativo circa la rilevanza giuridica dei principi contabili generalmente accettati (si tratta ovviamente dei principi contabili non codificati) e del rapporto tra gli stessi e la disciplina del bilancio 39, principi contabili qualificati via via come vere e proprie consuetudini od usi normativi, come mere interpretazioni della legge, come regole tecniche richiamate da norme giuridiche a contenuto indeterminato .
La questione è stata oggetto di un ampio dibattito in passato , e si è rivitalizzata allorchè il legislatore, nell'emanare il d.p.r. 31 marzo 1975, n. 136 sulla revisione contabile obbligatoria delle società quotate, ha inserito nell'art. 4, la norma secondo la quale nella sua relazione la società di revisione doveva indicare se i fatti di gestione erano stati rilevati "secondo corretti principi contabili". Si riaccese così il tema della individuazione e selezione dei principi contabili corretti, all'estero già arrivata ad uno stadio avanzato, e soprattutto si ripropose il problema della rilevanza giuridica dei principi contabili, ai quali faceva genericamente riferimento la Consob nello stabilire le modalità di redazione della relazione di certificazione.
Il richiamo contenuto nel provvedimento regolamentare della Commissione induceva i revisori contabili a preoccuparsi di verificare "il rispetto dei principi contabili prima ancora che il rispetto della legge" , conducendo a relazioni di certificazione che censuravano qualsiasi scostamento dai principi contabili, anche se questo era effettuato nel pieno rispetto della norma. In buona sostanza, la questione ruotava attorno all'interrogativo circa la portata del rinvio contenuto nell'art. 4 citato e l'individuazione della rilevanza giuridica dei principi contabili e del rapporto tra essi e la legge.
In occasione dell'attuazione della IV direttiva CEE in materia societaria, il problema di cui si discute ha assunto nuova veste in conseguenza - come si è detto - della parziale codificazione di alcuni principi contabili, che ha trasformato le regole tecniche in disposizioni giuridiche , e della diminuita facoltà per il redattore del bilancio di trovare in fonti estranee al diritto la disciplina del documento contabile che deve redigere. Con questa riforma il legislatore ha cancellato dall'art. 4 il riferimento esplicito ai corretti principi contabili , ma ha inserito nell'art. 2423, 2° comma, l'obbligo di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria ed il risultato economico della società. 
L'intervento del legislatore è senza dubbio da condividere per la finalità di chiarezza cui mira: tuttavia, esso apre la porta ad una attenta riflessione sul significato da attribuire alla correttezza della rappresentazione della situazione societaria, espressione che potrebbe costituire un implicito rinvio ai corretti principi contabili di cui si discorre .
Infatti, da un lato permane nell'ordinamento la norma di carattere generale, e riferibile anche al bilancio di esercizio , dettata dall'art. 2219 c.c., che impone la tenuta delle scritture contabili "secondo le norme di un'ordinata contabilità" ; dall'altro, diventa legittimo domandarsi che cosa esprime la clausola generale della rappresentazione "corretta", clausola sovraordinata alla redazione del bilancio, e concludere che essa serve a rinvenire ulteriori fonti capaci di riempire di contenuto i concetti giuridici indeterminati. 
La sovraordinazione attribuita alla clausola generale della correttezza rispetto alle altre disposizioni della disciplina del bilancio non comporta un mero rinvio alle norme legislative. Occorre ricordare che lo stesso art. 2423, 3° comma, pone l'obbligo sia di fornire informazioni complementari "quando le disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta", sia di disapplicare (art. 2423, 4° comma) le stesse disposizioni di legge se incompatibili con la rappresentazione veritiera e corretta. È pertanto evidente che la clausola generale non trova attuazione esclusiva nei precetti legislativi, ma si realizza anche con la possibile integrazione dei principi contabili. 
Questa è la posizione del legislatore che, nella Relazione ministeriale, fa notare che imponendo di esattamente rilevare i fatti di gestione "si è operato un implicito rinvio ai principi contabili ... e se ne è così chiarito il ruolo di criterio tecnico meramente interpretativo-integrativo delle norme di legge che disciplinano la formazione e il contenuto dei documenti contabili" . In altre parole, i principi contabili assumono un ruolo interpretativo ed integrativo della norma giuridica , alla quale sono pur sempre subordinati: tale posizione è condivisa dalla dottrina giuridica . 
Certamente, la pubblicazione dei principi contabili ad opera di questo o quell'organismo, principi che soltanto teoricamente potranno essere in contrasto con norme di legge, non è di per sé sufficiente a garantirne la correttezza e, pertanto, il redattore del bilancio prima ed il giudice poi non sono esonerati dall'obbligo di verificare la conformità dei principi contabili alla luce delle norme giuridiche vigenti .
I principi contabili sono perciò regole elaborate da altri ordinamenti, ai quali la norma giuridica fa rinvio tutte le volte in cui richiama genericamente un'ordinata contabilità oppure esplicitamente i corretti principi contabili. Essi però non possono mai essere recepiti senza essere sottoposti ad un giudizio di compatibilità con il sistema legale. È quest'ultimo infatti che individua lo scopo conoscitivo dei conti annuali, che qualche volta codifica alcuni principi contabili, che misura la compatibilità di un principio contabile con la disciplina legale . 
La discussione sul ruolo dei principi contabili ha ricevuto nuova linfa al momento dell'emanazione della riforma delle società quotate di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, il cui art. 117, 2° comma, conferisce al Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, su proposta della Consob, formulata d'intesa con la Banca d'Italia e l'ISVAP, il compito di individuare "tra i principi contabili riconosciuti in ambito internazionale e compatibili con quelli delle direttive emanate in materia dall'Unione Europea quelli sulla base dei quali gli emittenti strumenti finanziari quotati sia in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell'Unione sia in mercati di paesi extracomunitari possono, in deroga alle vigenti disposizioni in materia, redigere il bilancio consolidato, sempre che i suddetti principi siano accettati nei mercati di paesi extracomunitari". 
Questa norma riserva alle società, italiane ed estere, emittenti strumenti finanziari quotati sia in mercati regolamentati italiani o dell'Unione Europea sia in mercati extracomunitari (cosiddette global players), la possibilità di applicare i principi contabili riconosciuti in sede internazionale per la redazione del bilancio consolidato , purchè questi principi soddisfino a determinate condizioni: carattere internazionale, compatibilità con le direttive UE, accettazione sui mercati di quotazione al di fuori della Unione Europea. È un esplicito richiamo ai principi contabili, non italiani, ma internazionali , limitato ai soggetti legati al mercato finanziario, ma molto significativo.
Scopo della disposizione contenuta nel citato art. 117, 2° comma, è stato quello di ammodernare ed armonizzare l'informazione contabile dei gruppi di società operanti a livello internazionale . Tuttavia, essa ha aperto la strada ad una potenziale disparità di trattamento riguardo ad altre società, anche non quotate, che possono trovarsi nella stessa condizione, quella di doversi presentare sul mercato internazionale con una informazione contabile omogenea e comparabile. Per questo motivo, la l. 3 ottobre 2001, n. 366, (legge delega per la riforma del diritto societario italiano nella parte non toccata dal decreto Draghi), contiene un principio diretto a stabilire "le condizioni in presenza delle quali le società, in considerazione della loro vocazione internazionale e del carattere finanziario, possono utilizzare per il bilancio consolidato principi contabili riconosciuti internazionalmente".
Il campo di applicazione delle emanande norme è sempre circoscritto al bilancio consolidato e riferito a società, pur non global players, ma proiettate nel mercato internazionale: tuttavia, si apre un varco nell'ordinamento attraverso il quale fanno il loro ingresso i principi contabili internazionali, che si codificano e giuridicizzano, anche se rimane aperto il problema di quali siano i principi ai quali la norma intende riferirsi .

4. La funzione informativa del bilancio e l'informazione contabile per il mercato

Le tesi elaborate dalla dottrina aziendale e da quella giuridica in ordine alle funzioni del bilancio d'esercizio hanno subito nel corso degli anni un'evoluzione sintetizzabile con la formula dei "corsi e ricorsi storici" . Ad una concezione, prevalente fino alla fine del secolo scorso, essenzialmente basata sulla constatazione che il bilancio e le scritture contabili fossero lo specchio della "vera e totale situazione" dell'impresa, gli aziendalisti sostituirono il principio secondo cui " il fine ... in vista del quale un bilancio viene redatto, è quello che unicamente ed intieramente attribuisce un significato alle valutazioni che ne costituiscono l'attivo e il passivo" . 
Tale presa di posizione portò all'affermazione della necessità di bilanci diversi a seconda che si volessero conoscere il valore di liquidazione del patrimonio aziendale ovvero quello da attribuire all'azienda in occasione della sua cessione oppure il valore dell'azienda in funzionamento ed il reddito prodotto nell'esercizio. Non solo: anche nella stesura del bilancio d'esercizio, gli aziendalisti accolsero l'opinione secondo la quale questo potesse mostrare valori diversi in connessione con i fini propri dei suoi compilatori. Occorreva perciò trovare il punto di equilibrio tra i fini e gli interessi coinvolti: questo era il compito politico dei redattori del bilancio . 
L'utilizzo di politiche di bilancio non trovava ostacoli da parte della giurisprudenza dell'epoca, che considerava non impugnabile la delibera di approvazione del bilancio contenente sopravvalutazioni oppure sottovalutazioni e ciò sulla spinta dell'opinione di quella dottrina per la quale "salva l'osservanza delle regole speciali che fossero iscritte nello statuto e salvo il caso di frode ... la deliberazione dell'assemblea è sovrana". A questa tendenza, che aveva finito per legittimare una prassi nella redazione dei bilanci sottratta a qualsiasi limite legale, si reagì per l'ipotesi di frode, vale a dire per la redazione di bilanci pregiudizievoli dei diritti di alcuni soggetti. In seguito all'emanazione della l. 4 giugno 1931, n. 660, che all'art. 2 previde il reato di fraudolenta esposizione di fatti falsi nei bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, la Cassazione affermò che "la delibera assembleare di una società anonima che approva il bilancio è impugnabile" per l'esposizione nel documento contabile di fatti non veri. 
A tale risultato si pervenne poi anche per ipotesi di bilanci falsi che importassero lesione dei diritti patrimoniali del socio, quali il diritto alla liquidazione della quota del socio recedente, il diritto alla conservazione della stessa, il diritto agli utili. 
Negli anni successivi, la dottrina osservò che la legge aveva attribuito al bilancio la funzione di imparziale informazione di tutti gli interessati (soci, creditori, partecipanti agli utili, potenziali creditori, risparmiatori in quanto eventuali acquirenti delle azioni) sulla composizione quantitativa e qualitativa e sul valore del patrimonio sociale, sull'entità degli utili ovvero delle perdite prodottesi nel corso dell'esercizio, sull'integrità del capitale, e così via. 
Ciò significava porre al centro della discussione la disciplina oggettiva del bilancio e - come abbiamo scritto sopra - attribuire alle norme in essa contenute natura imperativa, perché poste non solo nell'interesse esclusivo dei soci, i soli legittimati a consentire la deroga alle norme di legge, ma anche nell'interesse di un numero indefinito di soggetti non facenti parte della società . 
La conseguenza di questa diversa impostazione era la possibilità per il giudice di ritenere contra legem un bilancio indipendentemente dall'intento fraudolento dei suoi redattori o dalla consapevolezza della sua illegalità o della lesione di specifici diritti di soci ovvero di terzi : di tal guisa, la delibera di approvazione del bilancio diventava una delibera avente oggetto illecito e perciò nulla. E tale posizione è stata accolta dalla giurisprudenza 71 ed è oggi l'orientamento prevalente anche in dottrina .
Il fondamento della tesi dell'imperativa attribuzione al bilancio d'esercizio della funzione di informazione si fondava, nella legislazione precedente al 1991, nella lettera della norma ("dal bilancio devono risultare la situazione patrimoniale e l'utile o la perdita", vecchio testo art. 2423), nel fatto che il bilancio è l'unico strumento che svolge la funzione di rendiconto della gestione effettuata nell'arco dell'esercizio e dei suoi risultati (e tale funzione è incompatibile con l'attribuzione ai redattori della facoltà di compiere sottovalutazioni e sopravvalutazioni per politiche di bilancio), nella sottoposizione del bilancio alla certificazione da parte di una società di revisione. 
La riforma del 1991 ha ulteriormente confermato la funzione di obiettiva informazione del bilancio e la natura imperativa della norme che ne presiedono la redazione . Quanto alla prima, segnali di questa accentuata funzione informativa del bilancio si ritrovano: nel 2° comma dell'art. 2423, dove si asserisce che il bilancio deve essere redatto con chiarezza e rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale finanziaria ed il risultato economico della società; nell'art. 2423 bis nel quale sono stati codificati alcuni principi di redazione del bilancio, quali la prudenza, l'obbligo di indicare soltanto gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio, l'obbligo di tener conto dei rischi e degli oneri di competenza dell'esercizio anche se conosciuti successivamente alla sua chiusura; nella riformulazione dei criteri di valutazione nel l'art. 2426.
Tutto questo conduce ad affermare con sicurezza "che la tesi del l'utilizzabilità del bilancio per politiche di gestione è ormai formalmente condannata dalla legge, e che la finalità di oggettiva informazione è ormai espressa con la più pregnante e stringente fra le formulazioni ipotizzabili" .
Non bisogna altresì dimenticare che il bilancio è oggetto di numerose utilizzazioni "legislative". Ad esso si fa riferimento per determinare le somme da accantonare a riserva legale, per individuare l'utile oggetto di eventuale distribuzione, per quantificare le partecipazioni agli utili di soggetti quali amministratori, fondatori, promotori, dipendenti, per determinare l'eventuale perdita del capitale e l'obbligo di rispettare gli adempimenti di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. Tali utilizzazioni legali del bilancio risultano pertanto inconciliabili con ipotetiche politiche di bilancio comportanti sottovalutazioni e sopravvalutazioni .
Ancora, la funzione di informazione insita nel documento contabile è altresì considerata dalla Cassazione 77 strumentale per un consapevole esercizio del diritto di voto in assemblea da parte del socio: "il progetto di bilancio è il principale mezzo di informazione dal quale il socio può rilevare le notizie sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società e nella disciplina del procedimento di formazione del bilancio delle società di capitali uno dei beni tutelati è il diritto del socio all'esatta informazione al fine dell'esercizio consapevole del diritto di voto nell'assemblea fissata per l'approvazione del bilancio stesso". 
Le considerazioni sopra riportate una volta di più confermano la funzione (o meglio la pluralità di funzioni ) propria del bilancio, funzione esplicitamente tutelata dall'ordinamento giuridico con la fissazione delle clausole generali sovraordinate alla redazione del bilancio ed attorno alla quale ruota tutto il complesso delle notizie, contabili e non , che le società devono divulgare tra il pubblico. L'informazione contabile è altresì completata, con riferimento alle società quotate, con la previsione di ulteriori momenti infrannuali, quali la redazione della relazione semestrale ed ora anche di quella trimestrale (continua )


(*) Queste pagine sono parte di capitolo del volume collettaneo AA.VV. Il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato ,che è volume del Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione presso l'editore Giappichelli e comprensivo dei contenuti indicati dall'indice che qui si trascrive

INDICE 


PARTE PRIMA
IL BILANCIO D'ESERCIZIO
(di Paola Balzarini)


CAPITOLO I
INTRODUZIONE

1. Evoluzione della legislazione in materia di bilancio d'esercizio
2. La natura delle norme sul bilancio
3. Le fonti indirette della disciplina del bilancio di esercizio
4. La funzione informativa del bilancio e l'informazione contabile per il mercato
4.1. La relazione semestrale e la relazione trimestrale
5. Il significato dell'espressione "bilancio"
6. Ambito di applicazione della disciplina del bilancio d'esercizio


CAPITOLO II
PRINCIPI GENERALI E PRINCIPI DI REDAZIONE DEL BILANCIO DI ESERCIZIO

1. Le clausole generali in tema di redazione del bilancio di esercizio
2. Il principio della rappresentazione veritiera e corretta
3. Il principio della chiarezza
4. La deroga in presenza di "casi eccezionali"
5. I principi di redazione del bilancio di esercizio
5.1. Il principio di prudenza
5.2. Il principio di continuazione dell'attività (going concern)
5.3. Il principio dell'effettiva realizzazione degli utili
5.4. Il principio di competenza
5.5. Il principio della separatezza degli elementi eterogenei
5.6. Il principio di immodificabilità dei criteri di valutazione
5.6.1. La deroga al principio di continuità ed il rapporto con la deroga di cui all'art. 2423, 4° comma, c.c.


CAPITOLO III
LA STRUTTURA DEL BILANCIO
1. Premessa: le innovazioni degli schemi di bilancio
1.1. La struttura dello stato patrimoniale: l'attivo
1.2. La struttura dello stato patrimoniale: il passivo
2. I conti d'ordine
3. La struttura del conto economico
4. La nota integrativa
5. Il bilancio in forma abbreviata
6. Il bilancio in euro


CAPITOLO IV
GLI ALLEGATI AL BILANCIO 
1. La relazione sulla gestione
1.1. Il contenuto della relazione sulla gestione: il 1° comma dell'art. 2428 c.c.
1.2. Il contenuto della relazione sulla gestione: il 2° comma dell'art. 2428 c.c.
1.3. Il contenuto della relazione sulla gestione: le informazioni sui rapporti di gruppo
2. Gli altri allegati al bilancio
3. La relazione del collegio sindacale
3.1. La relazione del collegio sindacale nelle società quotate
4. La relazione della società di revisione


CAPITOLO V
I CRITERI DI VALUTAZIONE DEI BENI ISCRITTI NELLO STATO PATRIMONIALE
1. Principi generali in tema di valutazioni
2. Il criterio del costo
2.1. Le ragioni dell'adozione del criterio del costo
2.2. Gli effetti derivanti dalla scelta del criterio del costo
3. Le immobilizzazioni materiali
3.1. Valutazione delle immobilizzazioni acquistate da terzi
3.2. Valutazione delle immobilizzazioni prodotte all'interno della società
3.3. L'ammortamento delle immobilizzazioni
3.4. I beni gratuitamente devolvibili
3.5. La valutazione a valore costante delle attrezzature
4. Le immobilizzazioni immateriali
4.1. I costi pluriennali
4.2. L'avviamento
5. Le immobilizzazioni finanziarie
5.1. La valutazione delle partecipazioni in società controllate ovvero collegate
6. Le rimanenze e gli altri beni dell'attivo circolante
6.1. Gli altri beni dell'attivo circolante
7. Le commesse pluriennali
8. I crediti


CAPITOLO VI
IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL BILANCIO E LE IRREGOLARITÀ DELLA DELIBERA DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO
1. Premessa
2. La redazione del progetto di bilancio
3. Il controllo del collegio sindacale
4. Il controllo della società di revisione
5. Deposito ed approvazione del progetto di bilancio
6. La pubblicità del bilancio
7. L'irregolarità della delibera di approvazione del bilancio
7.1. I vizi di contenuto della delibera di approvazione del bilancio
7.2. Interesse ad agire e nullità del bilancio
7.3. Gli effetti della dichiarazione di invalidità del bilancio
8. L'impugnativa del bilancio controllato dalla società di revisione
8.1. Legittimazione ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio di esercizio
8.2. Legittimazione della Consob
8.3. Altre disposizioni: esoneri e società cooperative

PARTE SECONDA
IL BILANCIO CONSOLIDATO


CAPITOLO I
IL BILANCIO CONSOLIDATO COME STRUMENTO D'INFORMAZIONE SUL "GRUPPO" DI IMPRESE
(di Luciano Quattrocchio)
1. Le nozioni di "gruppo" e i riflessi sulle tecniche di redazione del bilancio consolidato
2. La nozione di bilancio consolidato
3. Le teorie sulla funzione giuridica del bilancio consolidato
4. (Segue) La funzione del bilancio consolidato nella disciplina di attuazione


CAPITOLO II
L'EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA RELATIVA AL BILANCIO CONSOLIDATO
(di Luciano Quattrocchio)
1. La disciplina contenuta nella l. n. 216/1974
2. L'evoluzione normativa in sede comunitaria
3. La disciplina di attuazione
4. Il decreto "Draghi"


CAPITOLO III
L'AREA DI CONSOLIDAMENTO
(di Luciano Quattrocchio)
1. Le imprese controllanti obbligate alla redazione del bilancio consolidato
2. L'area di consolidamento
3. I casi di esonero dall'obbligo di consolidamento: i gruppi di modeste dimensioni
4. (Segue) Il controllo a catena
5. I casi di esclusione dal consolidamento: l'esclusione obbligatoria
6. I casi di esclusione dal consolidamento: l'esclusione facoltativa


CAPITOLO IV
I METODI DI CONSOLIDAMENTO
(di Luciano Quattrocchio)
1. I metodi di consolidamento. Il consolidamento integrale
2. Il consolidamento integrale: il passaggio dal "bilancio aggregato" al "bilancio consolidato" e le rettifiche di consolidamento
3. Il trattamento delle differenze di consolidamento
4. Il consolidamento proporzionale
5. Le partecipazioni non consolidate: il criterio del patrimonio netto
6. Il criterio del costo


CAPITOLO V
I PRINCIPI GENERALI
(di Oreste Cagnasso)
1. Il dato normativo
2. La disciplina comunitaria
3. Il sistema normativo in tema di bilancio di esercizio e consolidato: principi generali, regole concernenti le strutture dei documenti contabili e criteri di valutazione
4. Le "funzioni" dei principi generali ed il bilancio consolidato
5. I principi contabili


CAPITOLO VI
LA STRUTTURA DEL BILANCIO CONSOLIDATO ED I CRITERI DI VALUTAZIONE
(di Luciano Quattrocchio)
1. La struttura e il contenuto dello stato patrimoniale e del conto economico consolidati
2. La nota integrativa
3. La relazione sulla gestione
4. La data di riferimento del bilancio consolidato
5. I criteri di valutazione


CAPITOLO VII
IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL BILANCIO CONSOLIDATO
(di Luciano Quattrocchio)
1. La formazione del bilancio consolidato
2. Il controllo del bilancio consolidato
3. La pubblicità del bilancio consolidato


CAPITOLO VIII
I VIZI E LE SANZIONI
(di Maurizio Irrera)
1. I vizi
2. I rimedi obbligatori
3. I rimedi reali prima del d.lgs. n. 58/1998 (t.u.f.)
4. I rimedi reali oggi: una scelta di tutela debole; i problemi interpretativi
5. L'estensione soggettiva della disciplina contenuta nell'art. 157, 1° comma, parte seconda, del t.u.f. alle società non quotate
6. La progressiva "epifania" del bilancio consolidato
7. I vizi di contenuto: l'azione di accertamento
8. I vizi di procedimento


CAPITOLO IX
I GRUPPI "TRANSFRONTALIERI"
(di Luciano Quattrocchio)
1. Premessa
2. Il caso della capogruppo italiana
3. La conversione dei bilanci
4. L'informazione nella nota integrativa


CAPITOLO X
I BILANCI CONSOLIDATI DI SETTORE
(di Luciano Quattrocchio)
1. Il bilancio consolidato dei gruppi editoriali
1.1. Premessa: l'iter legislativo
1.2. L'attuale disciplina del bilancio d'esercizio e del bilancio consolidato per le imprese editoriali
1.2.1. Il d.l. n. 129/1994
1.2.2. La l. n. 650/1996
2. Il bilancio consolidato dei gruppi assicurativi
2.1. Premessa
2.2. Le imprese obbligate alla redazione del bilancio consolidato e l'area di consolidamento
2.3. I principi di redazione e la composizione del bilancio consolidato
2.4. I principi di consolidamento
2.5. La nota integrativa e la relazione sulla gestione
2.6. Il controllo e la pubblicazione del bilancio consolidato
3. Il bilancio consolidato dei gruppi bancari
3.1. Premessa
3.2. Le imprese obbligate alla redazione del bilancio consolidato e l'area di consolidamento
3.3. I principi di redazione e la composizione del bilancio consolidato
3.4. I principi di consolidamento
3.5. La nota integrativa e la relazione sulla gestione


INDICE ANALITICO