Funzioni ispettive in materia previdenziale e principi della legge delega in materia di occupazione e lavoro.
Antonino Sgroi
I - Ricognizione del testo normativo
Il legislatore delegante, con l'articolo in commento - inserito non originariamente ma in sede di approvazione del disegno di legge da parte della Camera dei Deputati - si prefigge lo scopo, reso manifesto dal testo della rubrica, di razionalizzare le ispezioni amministrative in materia previdenziale e del lavoro, ispezioni affidate, come noto, non solo agli ispettori del lavoro ma, parallelamente agli stessi, fra l'altro, anche agli ispettori dell'I.N.P.S. e dell'I.N.A.I.L.
In questa sede si soffermerà l'attenzione sugli aspetti oggetto dell'intervento del legislatore senza toccare altri e certamente altrettanto importanti aspetti quali, a titolo esemplificativo: la ripartizione dei poteri ispettivi assegnati anche a soggetti diversi dagli enti previdenziali e/o insistenti su parti limitate del territorio nazionale, l'esame specifico dei poteri assegnati agli ispettori degli enti previdenziali e degli altri enti a cui è affidata la tutela della posizione dei lavoratori.
Per entrambi questi aspetti non può che rinviarsi alla lettura della legislazione in materia, legislazione non coinvolta nell'opera di rifondazione della legge delega in commento.
Né tantomeno si potrà soffermare l'attenzione, se non per quegli aspetti di maggiore rilievo e connessi all'attuazione della legge delega, sulla Convenzione di Ginevra dell'11.7.1947, n. 81, ratificata con legge 2 agosto 1952, n. 1305 e sulla successiva Convenzione di Ginevra del 25.6.1969, n. 129, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 157.
Il primo comma della disposizione finalizza l'intervento nella specifica materia all'obiettivo della creazione di "un sistema organico e coerente di tutela del lavoro".
All'interno di tale quadro generale si pone l'intervento del legislatore delegato che, "nel rispetto delle competenze affidate alle regioni", dovrà emanare uno o più decreti delegati:
a) "per il riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro",
b) "per la definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza."
Il raggiungimento di questi obiettivi, precisa il legislatore delegante al sesto e ultimo comma, "non deve comportare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica."
Il secondo comma enumera, dalla lett. a) alla lett. g), i principi e i criteri direttivi della delega.
I menzionati principi possono essere raggruppati, per comodità espositiva, in due macro-aree, senza che ciò escluda la reciproca interferenza fra le stesse per gli aspetti di confine della trattazione.
La prima area, lettere a), c), d) ed f), racchiude i principi finalizzati alla riorganizzazione della funzione ispettiva.
La seconda area, composta dalle lettere b) ed e), comprende i criteri finalizzati alla risoluzione paragiustiziale delle controversie individuali di lavoro - risoluzione che ha, come stelle polari, l'equità e l'efficienza menzionate all'ultimo periodo del precedente primo comma - e all'individuazione di modelli operativi che consentano la soddisfazione dei crediti di lavoro correlativamente all'esperimento di metodi conciliativi.
Con riguardo a quest'ultimo versante il legislatore delegante affida al legislatore delegato:
- da un lato il compito di individuare "…un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali di lavoro." (lett. b, secondo comma),
- dall'altro il compito di semplificare la procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro in correlazione con la promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica (lett. e).
Al primo aspetto sono destinate disposizioni molto più consistenti anche solo se si osservano queste dal punto di vista lessicale.
Infatti:
- si delinea un nuovo sistema ispettivo chiamato a prevenire e promuovere, anche attraverso la valorizzazione dell'attività di consulenza svolta dagli ispettori, l'osservanza delle disposizioni che afferiscono: a) il rapporto di lavoro, b) il trattamento economico e normativo minimo e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale, c) gli obblighi previdenziali (lett. a, secondo comma);
- si intende ridefinire l'istituto della prescrizione e della diffida tipici della direzione provinciale del lavoro (lett. c);
- si vuole da un lato semplificare i procedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative e, dall'altro, dare la possibilità di ricorrere avverso le ordinanze ingiunzioni davanti alla direzione regionale del lavoro (lett. e);
- si vuole riorganizzare l'attività ispettiva in materia lavoristica e previdenziale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la creazione di una direzione generale a cui è affidato il compito di dirigere e coordinare le strutture periferiche del Ministero per assicurare l'unitarietà della funzione il tutto tenendo conto della funzione di polizia giudiziaria che ha l'ispettore del lavoro (lett. f);
- infine si vuole razionalizzare l'attività ispettiva svolta da tutti gli organi di vigilanza, facendosi menzione esplicita anche degli istituti previdenziali, e si attribuisce la direzione e il coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del lavoro che opereranno attenendosi alle direttive adottate dalla direzione generale di prossima creazione.
La disposizione, nei commi terzo, quarto e quinto, contiene le norme d'uso in tema di legislazione delegata, norme che fissano l'iter procedurale per l'adozione dei decreti legislativi (3° e 4° comma) e che consentono al Governo l'emanazione altresì di disposizioni modificative e correttive entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi emanati in forza di tale delega (quinto comma).
Delineato riassuntivamente il quadro legislativo di riferimento e preso atto della impossibilità, legislativamente statuita, di fruire di risorse economiche ulteriori a quelle stanziate per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla delega, deve chiedersi quali nuovi modelli operativi, senza costi aggiuntivi per l'erario, possano scaturire dall'attuazione dei principi e criteri della disposizione in commento e, a tal fine, è opportuno verificare:
a) se, antecedentemente alla legge in commento e per i medesimi aspetti oggetto di specifica attenzione, esistessero disposizioni nel nostro ordinamento del lavoro e previdenziale;
b) una volta che sia stata data risposta positiva all'investigazione di cui retro sub a), quale modello ricostruttivo per ogni singolo istitutivo si possa delineare a seguito dell'odierno intervento legislativo e se questo costituisca l'evoluzione graduale del sistema o, all'opposto, rappresenti, un'assoluta novità nel panorama legislativo.
II - Individuazione delle linee di politica del diritto scaturenti dalla riforma
Punto di partenza obbligato non può che essere rappresentato dal "Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia - Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità" dell'Ottobre 2001.
L'unico passo del Libro Bianco che, parzialmente, può dirsi riguardare il nostro argomento lo si ritrova laddove si prende atto che "…la nuova normativa sulla sicurezza è stata interpretata in chiave repressiva che preventivo consulenziale e, quindi, poco orientata verso la creazione di buone prassi che si traducessero in reale aiuto alle imprese anche sotto il profilo organizzativo gestionale…Manca sufficiente chiarezza e, quindi, certezza del diritto, in materia di applicazione soggettiva delle norme. Ciò vale, soprattutto, con riferimento alle emergenti e sempre crescenti tipologie di lavoro alternative al modello tradizionale dell'impiego a tempo pieno, a tempo indeterminato e svolto in ambito aziendale…"
Dalla lettura del trascritto passo è legittimo inferire che:
a) il legislatore ha soffermato la sua attenzione solo su una parte del contenuto dell'articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30;
b) l'attività preventiva di consulenza è limitata alla normativa in tema di sicurezza del lavoro;
c) l'affermata incertezza del diritto è connessa al solo sorgere di nuove tipologie lavorative.
II.1 - La funzione ispettiva e consultiva degli ispettori del lavoro.
L'ispezione, nelle intenzioni del legislatore delegante, prima di essere un'attività tesa a controllare la correttezza dei comportamenti tenuti dal soggetto sottoposto a verifica, diviene un'attività tesa "…alla prevenzione e promozione dell'osservanza.." di una serie di obblighi, attività che dovrà svolgersi "…anche valorizzando l'attività di consulenza degli ispettori…"
Il legislatore delegante ha affidato al legislatore delegato il compito di delineare, all'interno dei principi della legge delega, un modello operativo di tipo preventivo e promozionale che, rebus sic stantibus, è facile profetizzare non avrà alcun concreto effetto.
Preso atto di questo rischio deve rilevarsi che una funzione di consulenza da parte dell'ispettorato del lavoro avente l'obiettivo di promuovere l'applicazione della legislazione del lavoro e previdenziale e di prevenire eventuali errori dei datori di lavoro nella sua applicazione non può che passare attraverso un modello operativo che: da un lato separi chi dà la consulenza da chi è chiamato a ispezionare le aziende e, dall'altro, assegni un qualche valore all'attività di consulenza consentendo al datore di lavoro che si è adeguato alla consulenza di spenderla in sede di successiva ispezione.
L'attività di consulenza svolta dagli ispettori del lavoro potrà decollare solo se:
- si separano gli ispettori che danno consulenza da quelli che ispezionano se, all'opposto, chi dà consulenza può essere chiamato a verificare la legittimità dell'operato dell'azienda per la quale ha svolto consulenza potrebbe corrersi il rischio che l'ispettore-verificante non smentisca l'ispettore-consulente;
- alla consulenza dell'ispettore del lavoro potrà riconoscersi un valore aggiunto rispetto all'ordinaria consulenza svolta da altri soggetti, valore che giustifichi agli occhi del datore di lavoro, che richiede la consulenza, la scelta in favore del soggetto pubblico di consulenza, se ciò non accade non si vede perché un datore di lavoro debba chiedere una consulenza al soggetto che istituzionalmente è chiamato successivamente a verificare il suo comportamento.
Ulteriori perplessità sorgono se poi si passa alla lettura della disciplina legislativa sull'applicazione della quale si devono svolgere, da parte degli ispettori del lavoro, le menzionate attività.
Il legislatore delegante elenca la disciplina che attiene:
a) gli obblighi previdenziali;
b) il rapporto di lavoro;
c) il trattamento economico e normativo minimo;
d) i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
La menzione delle discipline legislative di cui retro dalla lett. a) alla lett. c) non crea grossi problemi individuativi, si tratta di un riepilogo delle leggi sulle quali istituzionalmente gli ispettori sono sempre stati chiamati a vigilare.
Problemi contenutistici, all'opposto, pone l'ultima delle discipline legislative affidata all'attività di promozione, prevenzione e verifica dell'Ispettorato del lavoro. Innanzitutto deve prendersi atto che si è davanti all'estensione dei compiti affidati al menzionato Corpo ispettivo ma, detto questo, ci si deve fermare, in quanto l'individuazione dei diritti civili e sociali per i quali è prevista l'erogazione da parte dell'ordinamento di un trattamento economico non è compito del legislatore delegato. Il problema è costituito dalla circostanza che non è dato conoscere, in questo momento, l'elenco dei diritti civili e sociali per i quali si prevede, da parte dello Stato o di altri enti pubblici territoriali e non, l'erogazione di prestazioni e, sotto il profilo economico, quale sia il trattamento economico minimo da garantire su tutto il territorio nazionale.
A monte di quest'assegnazione di compiti dovrebbe esserci stata da parte del legislatore nazionale, al fine di facilitare l'attività affidata agli ispettori, se non l'elencazione dei diritti civili e sociali per i quali si prevede l'erogazione di un trattamento economico, quanto meno l'individuazione di quel trattamento economico minimo che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale.
La menzionata opera di ricostruzione del sistema in materia di diritti civili e sociali si pone a monte dell'odierna legge delega e sino a quando non vi sarà un quadro unitario all'interno del quale l'attività degli ispettori possa svolgersi, pare che quest'ulteriore compito assegnato agli ispettori del lavoro, che vede come soggetti da verificare gli enti pubblici che sono chiamati a erogare prestazioni, non potrà concretamente svolgersi.
II.1.A - Prescrizione e diffida.
Il legislatore delegante alla lettera b) pone l'obiettivo di "ridefinire" l'istituto della prescrizione e della diffida.
Pare che tale obiettivo sia lessicalmente mal posto in quanto i due termini indicano da un lato la diffida il contenuto e, dall'altro, la prescrizione è il contenitore, entrambi sono disciplinati nell'art. 9 d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520
Da tale constatazione discende che è difficile pensare a una ridefinizione che, secondo le intenzioni del legislatore, sfoci in un nuovo contenuto di entrambi gli istituti, dato che l'istituto è il medesimo.
Chiarito questo aspetto non resta che da chiedersi se il legislatore delegante abbia voluto, con questa norma, affidare al legislatore delegato il compito di:
a) risolvere la problematica connessa all'emanazione della diffida e della necessaria contestuale comunicazione all'Autorità Giudiziaria;
b) individuare nuovi e diversi contenuti agli istituti della diffida e della disposizione separatamente disciplinati negli artt. 9 e 10 del d.P.R. cit.
L'utilizzo, anche se errato, dei termini contenuti nel solo articolo 9 porta ad accogliere la prima delle ipotesi ricostruttive delineata sub a).
Come noto il problema sorto in sede applicativa della diffida è rappresentato dalla circostanza che l'ispettore del lavoro una volta rilevata l'inosservanza della legge e quindi l'eventuale esistenza di un illecito penale oltre a potere fissare un termine per la regolarizzazione è tenuto a comunicare il sorgere dell'illecito all'Autorità Giudiziaria (sulla necessità di tale comunicazione anche in presenza della diffida, come noto, si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, v. retro).
Su questo quadro è chiamato a intervenire il legislatore delegante senza che però vi sia all'interno della delega alcun principio direttivo infatti, certamente, non può ritenersi principio direttivo l'uso del termine "ridefinizione".
Con questo si può ipotizzare che si voglia assegnare un nuovo contenuto e un nuovo contenitore alla diffida, ma non è fissato alcun criterio e principio direttivo che possa sorreggere e indirizzare l'operato nella creazione della legislazione delegante, il ché comporta, non potendosi riconoscere al Governo un potere legislativo delegato fuori da qualunque verifica di congruità e logicità rispetto ai principi della legge delega, che l'eventuale normazione delegata sul punto possa far sorgere non indifferenti problemi di tenuta costituzionale.
Chiarito quest'aspetto si può tentare, in ogni caso, di delineare, brevemente, le possibili soluzioni del prospettato problema. Per far ciò è necessario prendere le mosse dall'art. 9 del d.P.R. n. 520 del 1955.
All'ispettore del lavoro è riconosciuta la facoltà, ove lo ritenga opportuno e valutate le circostanze del caso (si è davanti a una valutazione caso per caso di difficile riconduzione sistematica), "…di diffidare con apposita prescrizione il datore di lavoro fissando un termine per la regolarizzazione."
Appare chiaro che:
- la violazione di legge si è consumata ed è irrilevante, agli odierni fini, la circostanza che la stessa persista o meno, all'opposto è rilevante che un successivo ravvedimento operoso possa condurre alla eliminazione degli effetti causati dal precedente agire dello stesso soggetto;
- non in tutti i casi in cui si è constatata la violazione di legge vi è l'esercizio da parte dell'ispettore del potere-facoltà a lui riconosciuto nell'art. 9;
- l'esercizio di tale potere-facoltà, con la fissazione di un termine per regolarizzare, conduce, sotto il profilo amministrativo, a una quiescenza dell'attività svolta dall'ispettore in attesa di verificare se il datore di lavoro si è attenuto alla diffida.
Se questa è la situazione de jure condito, le soluzioni di politica del diritto per evitare l'obbligatorietà della comunicazione da parte dell'ispettore del lavoro all'Autorità Giudiziaria immaginabili in vitro sono due.
Si potrebbe ipotizzare una modifica dell'art. 9 d.P.R. cit. ove, in linea con quanto previsto dal terzo comma dell'art. 50 cod. proc. pen., si preveda espressamente la sospensione o interruzione dell'azione penale nell'ipotesi di diffida da parte dell'ispettore del lavoro.
Tale soluzione si porrebbe, altresì, in linea con la sentenza della Cassazione del 6.11.92, sentenza ove il giudice della nomofilachia lasciava aperta questa possibilità proprio laddove affermava che non era esplicitamente prevista dal legislatore nel caso di specie.
Ulteriore e più dirompente soluzione, che però non si ritiene percorribile, è quella di affermare che nessuna delle violazioni delle leggi, la verifica della cui corretta applicazione è affidata all'Ispettorato del lavoro, costituisca un reato, ma si sia solo davanti a illeciti amministrativi per i quali si procede all'irrogazione di sanzione amministrativa.
Per entrambe le soluzioni prospettate non pare che vi sia potere in capo al legislatore delegato; certamente, ridefinire l'istituto non significa escludere dall'obbligo della comunicazione l'ispettore del lavoro in caso di diffida e, a fortiori, non significa procedere alla depenalizzazione di tutti i reati nella nostra materia.
In breve e riassuntivamente ben può ipotizzarsi una modifica legislativa che sospenda o interrompa l'azione penale nell'ipotesi di diffida ma, tale modifica legislativa non pare rientrare nei poteri del legislatore delegato stante l'assoluto vuoto contenutistico del principio fissato nella lett. c) dell'articolo in commento.
Esaurito questo aspetto della legge delega, sotto questo versante resta da esaminare l'ultimo dei principi e cioè quello che attiene la semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e la possibilità di ricorrere alla direzione regionale del lavoro.
Come noto il profilo della irrogazione delle sanzioni amministrative passa attraverso la legge n. 689 del 24 novembre 1981 al cui interno, per quel che rileva la nostra investigazione, si pongono gli articolo 13 e 14: il primo che disciplina gli atti di accertamento e che deve, a sua volta, porsi in connessione con la disciplina specifica delle attività compiute dagli ispettori del lavoro, il secondo che disciplina la contestazione e notificazione.
La delega appare riguardare solo il secondo dei summenzionati aspetti non potendosi, in via astratta, predicare la comprensione dei poteri assegnati agli ispettori del lavoro per l'espletamento della propria attività all'interno dell'espressione "procedimenti sanzionatori amministrativi".
Delimitato il campo di efficacia della legge delega c'è da chiedersi in che cosa possa concretizzarsi la "semplificazione".
In ogni caso con la stessa non si potrà pervenire all'abbassamento dei livelli di tutela riconosciuti al soggetto sottoposto a verifica nel nostro ordinamento.
La semplificazione dovrà pertanto limitarsi a prefigurare modelli di contestazione e notifica dell'illecito amministrativo che, senza comportare lesioni del livello di tutela riconosciuto al datore di lavoro, consentano agli ispettori del lavoro di compiere la propria attività senza duplicazioni della stessa e più celermente.
L'innalzamento dei livelli di tutela è invece previsto sulla scorta del secondo principio fissato dalla lett. d) dell'art. 8.
Sotto il profilo astratto può concordarsi con la scelta del legislatore di prevedere, prima dell'emanazione dell'ordinanza ingiunzione, un ricorso amministrativo alla direzione regionale del lavoro.
Al legislatore delegato è pertanto affidato il compito di ricostruire il procedimento paragiustiziale che si concluderà o con l'annullamento del verbale ispettivo o con l'irrogazione della sanzione.
II - 2 La funzione conciliativa
Il legislatore delegante, sotto questo versante, ha individuato due linee di intervento: la prima tesa a individuare un "raccordo efficace " fra funzione ispettiva e quella di conciliazione delle controversie individuali; la seconda, da connettersi sempre alla conciliazione pubblica delle controversie di lavoro, tesa alla soddisfazione dei crediti di lavoro.
Ma, ancor prima di soffermarci sui principi delineati nelle menzionate lettere, è necessario compiere un passo indietro e dedicarsi alla lettura dell'ultimo periodo del primo comma dello stesso articolo.
Il periodo contiene ulteriori principi direttivi dell'operato del Governo, anche se gli stessi non sono etichettati come tali, al pari di quelli contenuti nel successivo secondo comma.
Il legislatore delegante vuole che "…la prevenzione delle controversie di lavoro in sede conciliativa, (sia) ispirato a criteri di equità e efficienza."
Si pone pertanto la necessità di riempire di contenuto e coniugare i due menzionati termini che appaiono costituire i principi fondamentali della nostra materia che devono essere rispettati anche dai successivi principi fissati dallo stesso legislatore delegante.
L'utilizzo dell'equità significa: rettificazione della legge laddove essa si rivela insufficiente per il suo carattere universale, valutazione del fatto che travalica la valutazione che ne fa la norma d diritto.
Il summenzionato compito è affidato nel nostro ordinamento al giudice che, nell'applicazione della legge, se a ciò autorizzato dal legislatore o dalle parti, può utilizzare l'equità come valore alternativo, integrativo o sostitutivo in materia di risarcimento danni.
Nella legge delega l'utilizzo dell'equità in via conciliativa è affidato non più al giudice ma un funzionario della P.A., funzionario che ne farà uso in sede di conciliazione al fine di prevenire le controversie.
Ancora, non è chiarito se l'equità di cui si parla avrà funzione alternativa o integrativa della legge da applicare, su questo versante pare che l'unica soluzione, che è possibile prospettare, è quella che assegni all'equità in questa materia un compito integrativo della legislazione e non si ponga invece come strumento sostitutivo della medesima.
Ma all'equità, termine il cui significato è da rinvenire in ambito giuridico filosofico, il legislatore connette anche l'efficienza, termine il cui significato è, invece, da rinvenire in ambito economico.
Efficienza vuol significare, in via generale, l'alta produttività che presentano le risorse impiegate o le tecniche produttive assunte da un'impresa.
Orbene se si devono porre in connessione i due termini, con il dichiarato fine di prevenzione delle controversie individuali di lavoro, si deve ritenere che nell'opera di conciliazione affidata all'ispettorato del lavoro questi dovrà pervenire a un risultato che:
- da un lato soddisfi le pretese del lavoratore non con l'applicazione rigida della legge ma con una rilettura della stessa alla luce del caso concreto,
- dall'altro assicuri l'azienda di non avere ripercussioni del caso concreto sulla sua produttività.
Deve però in ogni caso ammettersi l'intervento dell'ispettorato del lavoro solo in forza di richiesta delle parti senza che si possa prefigurare alcun intervento autonomo dell'organo pubblico.
Acclarato il significato dei due termini di cui supra e delineato il possibile modello di collegamento fra gli stessi per il raggiungimento dell'obiettivo fissato dal lavoratore può infine passarsi all'esame di quelli che lo stesso legislatore delegante chiama principi e criteri direttivi.
Non resta che immaginare in che cosa si possa concretizzare il "raccordo efficace" fra le due funzioni di cui parla la lettera b) dell'articolo.
L'unico pregio dell'espressione è la vaghezza.
Il trait d'union fra le due funzioni dovrebbe condurre a un modello operativo che consenta la conciliazione delle possibili controversie individuali radicate su un precedente intervento dell'ispettorato del lavoro.
Esemplificativamente l'intervento del legislatore delegante e, successivamente, del legislatore delegato dovrebbe riguardare quelle singole fattispecie di lesione dei diritti del lavoratore emerse e contestate in sede di accesso ispettivo e per le quali il lavoratore potrebbe decidere, in mancanza di adempimento spontaneo del suo datore di lavoro, di esperire azione giudiziaria.
All'interno di questo quadro ed esclusivamente su richiesta di entrambe le parti del rapporto di lavoro, si potrebbe immaginare un intervento pubblico teso a tutelare i diritti del lavoratore senza che da tale tutela vi sia un sacrificio estremo della posizione del datore di lavoratore.
Tale funzione conciliatoria e di prevenzione sarà tanto più efficace quanto più dubbiosa o carente di riscontri è la fattispecie concreta rilevata e contestata in sede ispettiva, solo in queste ipotesi potrà legittimamente immaginarsi la richiesta di intervento della P.A. e l'abbondono parziale di ciascuna parte delle posizioni di chiusura alle affermazioni dell'altra parte.
Si aggiunga infine che, a tale dubbiosità della questione, altro elemento che potrà favorire tale funzione è costituito dai tempi della giustizia ordinaria che, ovviamente, se lunghi, come nel nostro sistema, giocano a favore della parte economicamente più forte e spingono la più debole ad accettare una soluzione stragiudiziale della controversia che gli permetta di riscuotere subito una parte del denaro a lui spettante.
All'interno di questa cornice la posizione dell'ispettorato del lavoro dovrebbe essere tesa a perseguire contestualmente un risultato privato, la conciliazione fra le parti, al quale è indissolubilmente legato il risultato pubblico dell'adeguamento del contegno del datore di lavoro alle prescrizioni legislative; nel raggiungimento di tale duplice obiettivo può ritenersi che si inveri l'efficacia di cui fa menzione il legislatore delegante.
Dall'aspetto concilatorio può passarsi al secondo e connesso aspetto di "…soddisfazione dei crediti di lavoro" da correlarsi alla promozione di soluzione conciliative in sede pubblica (lett. e), art. cit.).
In questa seconda ipotesi si deve immaginare che non via contestazione di sorta del dovuto da parte del datore di lavoro e lo stesso non abbia provveduto a onorare il suo debito nei confronti del lavoratore.
L'ordinamento prevede in capo al lavoratore-creditore la possibilità di esperire le ordinarie azioni di recupero delle somme dovute nei confronti del datore di lavoro-debitore.
Nella legge delega si parla genericamente di semplificazione della procedura per il recupero di tali somme.
Orbene prendendosi atto che non si potrà operare sui modelli processuali e, ancor più a monte, sostanziali, che rimangono in piedi così come sono, modelli che riconoscono il diritto di azione in capo al lavoratore, non resta che chiedersi quale è il quid di innovativo contenuto in questo principio connesso, non si dimentichi, alla promozione di soluzioni conciliative.
L'ambito operativo di tale principio non pare possa spingersi sino ad affermare che all'ispettorato del lavoro possa essere riconosciuto autonomamente il potere di recuperare i crediti di lavoro, crediti la cui titolarità esclusiva è e rimane in capo al lavoratore.
Allora non resta che immaginare quel che già esiste e cioè la possibile utilizzazione, per il recupero del credito di lavoro, da parte del lavoratore, del verbale di conciliazione stragiudiziale eventualmente sottoscritto presso la direzione provinciale del lavoro, altro e diverso grado di semplificazione della procedura per il recupero dei crediti di lavoro non pare esservi, almeno sino a quando il recupero coattivo delle somme di denaro passa attraverso l'ordinaria disciplina prevista dal codice di rito.
Ulteriore passo in avanti su questo tema che si può astrattamente ipotizzare è l'utilizzo, sempre da parte del lavoratore, dei conteggi compiuti dall'ispettore del lavoro in sede di accesso ispettivo per il calcolo delle retribuzioni omesse.
In verità tali conteggi, sin da ora, trovano ingresso nel processo quale prova documentale.
Allora il problema successivo potrebbe essere assegnare agli stessi una forza probatoria privilegiata ma, appare chiaro, che tale investigazione non rientra nel presente tema di indagine né, tantomeno, l'odierna delega assegna un potere legislativo di tal fatta al Governo.
II - 3 La funzione di direzione e coordinamento delle attività ispettive da parte dell'Ispettorato del lavoro.
In questa sede si danno per noti tutti i modelli di vigilanza integrata e coordinata esistenti e ci si verificherà solo quale sia o possa essere il grado di novità della disposizione.
Se si prendono le mosse dal profilo lessicale può facilmente constatarsi che l'unico termine nuovo, che è dato ritrovare, è rappresentato dal sostantivo "direzione" sul cui contenuto e caratteristiche è opportuno soffermarsi brevemente rifacendosi agli insegnamenti della dottrina amministrativa.
Il rapporto di direzione rappresenta una figura di soprordinazione diverso dalla gerarchia e può essere interorganico e intersoggettivo, con esso si riconosce in capo a chi lo esercita il potere di emanare direttive la cui applicazione da parte del soggetto destinatario della stessa è sottoposta a un giudizio valutativo.
Da tale definizione ne consegue innanzitutto che:
- il potere di vigilanza riconosciuto dall'ordinamento a ogni ente, diverso dall'ispettorato del lavoro, rimane fermo in capo al menzionato ente;
- tale potere di vigilanza continua a essere autonomamente espletato da ciascun ente previdenziale attraverso il proprio Corpo ispettivo che rimane incardinato all'interno dell'ente di cui fa parte;
- lo stesso legislatore delegante riconosce in capo al Ministero il potere di emanare direttive, atti tipici della figura "direzione".
L'assegnazione del potere di direzione alle direzioni regionali e provinciali del lavoro non comporta alcuna scomparsa dei poteri di vigilanza degli enti previdenziali, né tantomeno comporta la creazione di un unico Corpo ispettivo alle dipendenze del Ministero del lavoro. Affinchè avvenga quest'ultima ipotesi di riunificazione è necessario che si rimuova in capo agli enti previdenziali il potere autonomo di vigilanza e verifica loro riconosciuto dalla legislazione vigente.
Unitamente al potere di vigilanza è ribadito il potere di coordinamento, potere che consiste nell'attribuire potestà di scelta, decisione e coordinamento a uno dei soggetti equiordinati.
L'esercizio del potere di direzione e coordinamento ha come scopo la razionalizzazione degli accessi ispettivi, razionalizzazione che dovrebbe evitare pluralità di accertamenti, difformità di trattamento fra le imprese sottoposte a verifica e ingiustificati intralci al normale ritmo dell'attività produttiva e, si aggiunga, dovrebbe consentire di utilizzare al meglio le poche risorse umane e strumentali di cui dispone la Pubblica Amministrazione, nella sua accezione lata, in questo campo.
II - 4 L'organizzazione dell'Ispettorato del lavoro.
La lett. f) del secondo comma dell'art. 8 prevede la riorganizzazione dell'attività ispettiva tenendo conto "…della specifica funzione di polizia giudiziaria dell'ispettore del lavoro".
Quest'ultimo inciso lascia trasparire la volontà del legislatore di non intaccare tale peculiare funzione che si affianca alla funzione latamente amministrativa svolta dell'ispettore del lavoro.
Detto questo, nell'assoluta mancanza di criteri e principi direttivi, non può definirsi tale la parola "riorganizzazione" che richiama alla mente aspetti di tipo aziendale, non può che rammentarsi in questa sede l'esistenza delle Convenzioni O.I.L. in materia di ispezione.
Convenzioni, come detto, ratificate dal nostro Stato, ove vi è una disciplina specifica proprio con riguardo alla posizione da riconoscere agli ispettori del lavoro e che certamente rappresentano lo standard minimo di riferimento sul tema.