AmbienteDiritto.it 

Sito giuridico ambientale                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

Consiglio Stato Sez. VI, 16 febbraio 2002, n. 963.

 

REPUBBLICAITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta)

 

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

 

sul ricorso proposto dal COMUNE di GROSSETO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Roberto Ciociola e Paolo Stolzi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via A. Bertoloni n. 27,

contro

IMPRESA EDILE STRADALE RUGGERO MANCINI. in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Dell’Anno e presso questo elettivamente domiciliato, in Roma, via Cicerone n.60,

e contro

dell’ENTE PARCO DELLA MAREMMA, in persona del Presidente pro tempore, n.c.

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana II sez., dell’8 giugno 2000, n.1126.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Impresa suindicata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Udita alla pubblica udienza del 10 luglio 2001 la relazione del Consigliere Santoro e uditi, altresì, l’avv. Ciociola e l’avv. Dell’Anno;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

F A T T O

 

Il Comune di Grosseto chiede la riforma della sentenza del TAR Toscana suindicata, di annullamento dell'ordinanza sindacale n. 127 dell’8 aprile 1999, con la quale era stato ordinato all’impresa odierna appellata di provvedere alla rimozione, al recupero ed al ripristino dello stato dei luoghi nei quali erano stati collocati materiali bituminosi derivanti dalla manutenzione della strada statale SS 1 Aurelia. Il primo giudice aveva ravvisato sia l'errata applicazione dell'art. 14, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), in quanto la condotta contestata non sarebbe stata riconducibile ad "abbandono incontrollato di rifiuti", sia l'erronea qualificazione del materiale bituminoso di risulta come "rifiuto speciale pericoloso".

Il Comune deduce cinque motivi di illegittimità:

1) Violazione di legge per falsa e/o omessa applicazione degli artt. 2, 6, 7, 10 e 14 del D.Lgs. 5.2.1997 n. 22. Eccesso di potere per contraddittorietà, carenza nei presupposti, travisamento degli atti e dei fatti, carenza di motivazione. Il materiale di risulta sarebbe qualificabile almeno come rifiuto speciale e l'attività di cessione a terzi non autorizzati a trattarlo costituirebbe abbandono incontrollato ai sensi dell'art. 14 cit.

2) Violazione dei principi in tema di effetto devolutivo del ricorso. Ultrapetizione. Violazione sotto ulteriore profilo degli artt. 6, 7 e 10 del D.Lgs. 22/97. La sentenza, nel negare la natura di rifiuti del materiale de quo, avrebbe commesso ultrapetizione, essendo stata ammessa dall’interessata tale qualificazione. Inoltre, non si tratterebbe di materiali stoccati in attesa di riciclo, ma di vero e proprio smaltimento, mediante cessione incontrollata a soggetti non autorizzati.

3) Violazione dell'allegato "D" del d.lgs. 22/97 in tema di qualificazione dei rifiuti, dove il materiale di cui trattasi sarebbe qualificato rifiuto da smaltire secondo forme e modalità previste tassativamente dal decreto legislativo citato, prescindendo dalla sua qualificazione di rifiuto speciale o pericoloso, con la conseguente applicabilità dell’art. 14 del decreto stesso, essendo oltretutto quella in esame riconducibile all’ipotesi prevista nel citato allegato, di costruzione e demolizione, anche di strade, comportante com’è noto l’accumulo tra l’altro di catrame.

4) Violazione di legge per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione ed illogicità. Secondo il comune appellante, il provvedimento impugnato in primo grado si fonderebbe sulla violazione non soltanto della normativa sui rifiuti, ma anche quella inerente il controllo dell’attività edilizia e la tutela paesaggistico-ambientale.

L'attività in questione non potrebbe inoltre essere ricondotta alla nozione di manutenzione ordinaria, e dunque avrebbe dovuto essere assistita da nulla osta paesaggistico.

Si è costituita la resistente impresa edile stradale Ruggero Mancini, sostenendo pregiudizialmente l’inammissibilità del ricorso, perché tendente a sostituire la motivazione dell’ordinanza sindacale impugnata, invocando norme ed artt. che essa neppure aveva indicato in rubrica. Inoltre, la sola elencazione di disposizioni nel preambolo del provvedimento non sarebbe idonea ad individuare con certezza le violazioni ascritte all’impresa.

Controdeduce quindi puntualmente nel merito dei motivi di ricorso, contestando preliminarmente la riproposizione di motivi assorbiti, trattandosi di deduzione di una parte che era resistente in primo grado.

 

D I R I T T O

 

1. L’eccezioni pregiudiziali sollevate dalla resistente sono da respingere, in quanto l’appello correttamente contesta la sentenza appellata nelle parti in cui sono accolte le censure di primo grado, e non amplia il thema decidendum, attraverso un’insussistente integrazione della motivazione del provvedimento.

Ed è appena il caso di rilevare che l’evidente inesattezza della riproposizione di motivi assorbiti in realtà si risolve nella riproposizione di difese dell’amministrazione resistente, svolte in primo grado ed in questo riproposte.

2. Con la sentenza appellata è stata annullata l’ordinanza del sindaco del comune di Grosseto n. 127 del 8 aprile 1999, con la quale era stato ordinato all’impressa odierna resistente di provvedere alla rimozione, al recupero ed al ripristino dello stato dei luoghi nei quali era stato collocato il materiale di risulta, avente natura bituminosa, derivante dalla manutenzione della SS. 1 Aurelia.

Il motivo dell’annullamento giurisdizionale era stato individuato innanzitutto nel rilievo, in punto sia di diritto che di fatto, secondo cui il materiale in questione non sarebbe stato oggetto di abbandono da parte dell’impresa resistente e non sarebbe stato conseguentemente assoggettato all’obbligo di conferimento in discarica da parte della stessa.

Sarebbe viceversa risultato dagli atti di causa che l’impresa resistente aveva semplicemente ceduto il materiale bituminoso in questione ai proprietari di alcuni fondi, i quali lo avrebbero utilizzato per sistemare alcune aree adibite a piazzale.

La sentenza inoltre ritiene di dovere escludere che il materiale in questione potesse essere qualificato rifiuto speciale pericoloso, essendo piuttosto un rifiuto speciale ai sensi dell’art. 7 terzo comma lettera b) D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

La Sezione al riguardo osserva che l’art. 8, 1° comma del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dall'art. 1, D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389 e dall'art. 10, comma 1, L. 23 marzo 2001, n. 93, dispone che «sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto … in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: …f-bis) le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme”.

Questa disposizione, invocata dalla difesa dell’impresa resistente, è certamente irrilevante nella fattispecie di causa, in quanto non è controverso che il materiale di cui trattasi non sia riconducibile a semplici terre o rocce da scavo utilizzabili per le finalità indicate nella disposizione ultima citata, ma sia viceversa costituito da conglomerati derivanti da attività di demolizione, scavo o costruzione, riconducibili conseguentemente all’ipotesi di cui all’art. 7 terzo comma lettera b), prima parte, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione).

Questi materiali non possono dunque essere equiparati a rifiuti pericolosi, oltretutto perché la loro presenza sul terreno è normale nelle opere eseguite sul territorio – ad esempio stradali - nelle quali essi concorrono a comporre i materiali impiegati, ma sono invece ascrivibili alla categoria dei rifiuti speciali.

Tali materiali conseguentemente, in quanto rifiuti speciali, non possono essere abbandonati indiscriminatamente sul terreno, senza il rispetto degli obblighi e l’assunzione delle responsabilità previste nell’art.10 del D.Lgs. 22/97 cit.

Non è senza significato che il piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000 vigente all’epoca dei fatti, approvato con D.P.R. 23 luglio 1998, rilevasse, all’Obiettivo III, che «desta preoccupazione la produzione di rifiuti speciali (in particolare di quelli pericolosi) per i quali una costante attività di monitoraggio ambientale è richiesta al fine di evitare fenomeni di disseminazione non controllata».

Tra tali obblighi, il secondo comma dell’art. 10 del D.Lgs. 22/97 cit. impone al produttore dei rifiuti speciali, nell’ordine:

a) l’autosmaltimento dei rifiuti;

b) il conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti;

c) il conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione;

d) l’esportazione dei rifiuti con le modalità previste dall'articolo 16 del presente decreto.

La prima delle ipotesi delineate nell’art. ultimo citato consente certamente all’impresa di costruzioni stradali, in quanto produttrice dei rifiuti in questione, di reimpiegare i residui del materiale bituminoso estratto nell’esecuzione di opere analoghe, ad esempio per riciclare gli asfalti mediante fusione ovvero riutilizzarli più semplicemente, previa frammentazione, per realizzarne il sedime.

Ma non è questo quanto è avvenuto nella specie, poiché è la stessa impresa resistente ad ammettere di aver ceduto a soggetti non autorizzati allo smaltimento, ai sensi delle vigenti disposizioni, il materiale in questione, con evidente violazione delle disposizioni richiamate.

Ed è appena il caso di rilevare che l’autosmaltimento non può equivalere – tantomeno per analogia - alla cessione a terzi, non autorizzati, dei rifiuti speciali.

L’ordinanza impugnata in primo grado si rivela pertanto legittima, in relazione alle censure proposte dalla originaria ricorrente, nella parte in cui ha imposto il ripristino dei luoghi interessati dalle violazioni di cui trattasi.

L’appello deve dunque accogliersi ed, in riforma la sentenza appellata, deve rigettarsi il ricorso di primo grado.

Le spese di giudizio possono tuttavia essere compensate.

 

P. Q. M.

 

  Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello ed, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di giudizio di entrambi i gradi.

  Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

  Così deciso in Roma, addì 10 luglio 2001 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Sesta - riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Giorgio        GIOVANNINI                        Presidente

Sergio          SANTORO                                      Consigliere Est.

Luigi            MARUOTTI                                      Consigliere

Chiarenza    MILLEMAGGI COGLIANI       Consigliere

Pietro          FALCONE                                       Consigliere

 

 

IL PRESIDENTE

 

L'ESTENSORE                                  IL SEGRETARIO

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Il 16.02.2002

Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

 

 

Massima

I rifiuti speciali, (in particolare i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione di strade) non possono essere abbandonati indiscriminatamente sul terreno, senza il rispetto degli obblighi e l’assunzione delle responsabilità previste nell’art. 10 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

 

Vedi anche i canali:

Appalti;

Urbanistica;

Rifiuti.