Sito giuridico ambientale Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale Adunanza Plenaria
Decisione
n. 9 del 14 dicembre 2001 n.
9/2001 reg.dec. - n. 8 reg.ric
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale, ANNO 2001
ha pronunciato la seguente
sul ricorso in appello n. 508 del 2001 (n.
8 del 2001 del ruolo dell’Ad. Plen.), proposto dal Ministero per i beni e le
attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, e dalla
Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Brescia, in persona del
Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via
dei Portoghesi n. 12,
contro
i signori Italo Pollini, Giuseppe
Righetti, Fedele Pollini e Jole De Monti, rappresentati e difesi dagli avvocati
Giacomo Bonelli ed Enrico Romanelli ed elettivamente domiciliati in Roma, alla
via Cosseria n. 5, presso lo studio dell’avvocato Enrico Romanelli,
e nei confronti
del Comune di Gardone Riviera, in persona
del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia, Sezione di Brescia, 18 ottobre 2000, n. 811, e per
la reiezione del ricorso di primo grado n. 1524 del 1999;
Visto il ricorso in appello, con i
relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio
degli appellati, depositato in data 25 gennaio 2001;
Vista l’ordinanza della Sez. VI, 30
gennaio 2001, n. 707, con cui è stata accolta la domanda incidentale
dell’appellante ed è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata;
Vista la decisione della Sez. VI, 4
settembre 2001, n. 4439, con cui è stato in parte accolto l’appello ed è stata
rimessa per le altre parti la decisione all’Adunanza Plenaria;
Viste le memorie depositate dagli
appellati in data 25 gennaio 2001 e 12 ottobre 2001;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Udita la relazione del Consigliere di
Stato Luigi Maruotti all’udienza del 29 ottobre 2001;
Uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe
Fiengo per il Ministero per i beni e le attività culturali e l’avvocato Enrico
Romanelli per gli appellati;
Considerato in fatto e in diritto quanto
segue:
1. I signori Italo Pollini, Giuseppe
Righetti, Fedele Pollini e Jole De Monti hanno chiesto al Comune di Gardone
Riviera il rilascio dell’autorizzazione a realizzare alcuni edifici
residenziali su aree sottoposte al vincolo paesistico.
Il responsabile dell’Ufficio tecnico
comunale ha accolto l’istanza col provvedimento n. 608 del 12 agosto 1999, che
è stato annullato dalla Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di
Brescia, col provvedimento n. 12436 dell’11 ottobre 1999.
2. Col ricorso n. 1524 del 1999, proposto
al TAR per la Lombardia, Sezione di Brescia, i signori sopra indicati hanno
impugnato il provvedimento della Soprintendenza, lamentando che esso è stato
notificato oltre la scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dall’art.
82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, e deducendo altri profili di
illegittimità.
Il TAR, con la sentenza n. 811 del 2000,
ha accolto il motivo concernente la tardività della notifica ed ha annullato il
provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione comunale.
3. Con l’appello n. 508 n. 2001, il
Ministero per i beni e le attività culturali ha impugnato la sentenza ed ha
chiesto che, in sua riforma, sia respinto il ricorso di primo grado.
Gli appellati si sono costituiti in
giudizio ed hanno chiesto che il gravame sia respinto, perché infondato.
Con l’ordinanza 30 gennaio 2001, n. 707,
la Sezione Sesta ha accolto la domanda incidentale dell’appellante ed ha
sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.
Con la decisione 4 settembre 2001, n.
4439, la Sezione Sesta:
a) ha accolto il motivo d’appello sulla
irrilevanza della notifica dell’atto statale di annullamento dopo il termine di
sessanta giorni, poiché l’articolo 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977
ha disposto che entro tale termine sia emanato il provvedimento, e non anche
che sia notificato;
b) è passata all’esame del secondo, del
terzo e del quarto motivo del ricorso di primo grado (assorbiti dal TAR e riproposti
dagli appellati);
c) ha sottoposto alle valutazioni
dell’Adunanza Plenaria la questione se il Ministero per i beni e le attività
culturali (nell’esercizio dei poteri previsti dall’articolo 82, nono comma, del
decreto legislativo n. 616 de 1977) possa solo valutare gli aspetti della
legittimità dell’autorizzazione ovvero se possa anche esercitare un
"sindacato esteso al merito delle scelte paesistico-ambientali".
4. Con una memoria depositata in data 12
ottobre 2001, che ha richiamato i precedenti scritti difensivi, gli appellati
hanno negato che lo Stato possa esercitare un controllo di merito sulle
autorizzazioni paesistiche ed hanno chiesto l’accoglimento delle loro censure
formulate in primo grado.
Con una memoria di data 14 ottobre 2001,
il Ministero per i beni e le attività culturali ha chiesto che l’art. 82, nono
comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 sia interpretato nel senso che
consente un controllo statale di merito sulle autorizzazioni paesistiche e, in
subordine, ha dedotto l’incostituzionalità del medesimo art. 82 per contrasto
con l’art. 9 Cost, ove esso vada interpretato nel senso della insussistenza di
tale potere.
5. All’udienza del 29 ottobre 2001 le
parti hanno insistito nelle loro deduzioni e la causa è stata trattenuta in
decisione.
1. Gli appellati hanno chiesto al Comune
di Gardone Riviera il rilascio dell’autorizzazione paesistica per realizzare
alcuni edifici residenziali su un’area contermine al lago di Garda, sottoposta
al vincolo col decreto del Ministro per la pubblica istruzione di data 6
febbraio 1959 e rientrante nell’ambito delle categorie disciplinate dal quinto
comma dell’articolo 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616 (come
modificato dal decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito nella legge 8
agosto 1985, n. 431).
Una prima autorizzazione comunale di data
6 maggio 1999 è stata annullata dalla Soprintendenza dei beni ambientali e
architettonici di Brescia, col decreto n. 8291 del 9 luglio 1999, che non è
stato impugnato.
A seguito dell’annullamento statale, in
data 20 luglio 1999 gli appellati hanno reiterato l’istanza di autorizzazione,
presentando un progetto parzialmente diverso da quello precedente (in relazione
alla tavola 4 e alla sistemazione arborea).
La seconda istanza è stata accolta dal
responsabile dell’Ufficio tecnico comunale col provvedimento n. 608 del 12
agosto 1999, che a sua volta è stato annullato dalla Soprintendenza, col
provvedimento n. 12436 dell’11 ottobre 1999, impugnato in primo grado.
In accoglimento del primo motivo del
ricorso degli appellati, la sentenza impugnata del TAR per la Lombardia,
Sezione di Brescia, ha annullato il provvedimento statale dell’11 ottobre 1999,
rilevando la violazione del termine di sessanta giorni previsto dal nono comma
dell’art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, in quanto l’atto è stato
notificato oltre la sua scadenza.
Con la decisione n. 4439 del 2001, la
Sezione Sesta ha accolto l’appello principale del Ministero per i beni
culturali ed ambientali (poiché la notifica del tempestivo atto statale di
annullamento può avere luogo anche dopo la scadenza del termine di sessanta
giorni) ed è passata all’esame dell’appello incidentale, che ha richiamato le
censure di primo grado, assorbite dal TAR.
Al riguardo, la Sezione Sesta:
- ha sottoposto alla valutazione
dell’Adunanza Plenaria la questione se il Ministero (nell’esercizio dei poteri
previsti dall’articolo 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977)
possa valutare gli aspetti della sola legittimità dell’autorizzazione
paesistica ovvero se possa anche esercitare un "sindacato esteso al merito
delle scelte paesistico-ambientali";
- ha evidenziato che, per la costante
giurisprudenza, il Ministero può annullare l’autorizzazione paesistica quando
essa risulti illegittima anche per qualsiasi profilo di eccesso di potere;
- ha richiamato i principi affermati dalla
Corte Costituzionale sulla tutela dell’ambiente e del paesaggio e sulla
contitolarità di poteri dello Stato e delle Regioni;
- ha sottolineato come da tali principi e
dall’espressione "in ogni caso" (contenuta nel nono comma
dell’art. 82) possono trarsi argomenti per affermare che al Ministero sono
consentite "valutazioni di merito in ordine alle scelte
ambientaliste" effettuate in sede di rilascio dell’autorizzazione
paesistica;
- ha sollecitato una complessiva
rimeditazione sulla rilevanza dei principi di rango costituzionale ed ordinario
nella materia paesistica, per determinare l’ambito dei reciproci rapporti tra i
poteri dello Stato e quelli della Regione in sede di rilascio della
autorizzazione.
2. La questione di massima sollevata dalla
Sesta Sezione riguarda dunque il quarto periodo del nono comma dell’art. 82 del
decreto legislativo n. 616 del 1977 (come modificato dalla legge 8 agosto 1985,
n. 431, e trasfuso, senza modificazioni, nell’art. 151, comma 4, secondo
periodo, del testo unico n. 490 del 1999), per il quale "il Ministero
può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione
regionale entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa
documentazione".
Ritiene l’Adunanza Plenaria che vada
ribadita la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio sulla sussistenza
del potere del Ministero di annullare l’autorizzazione regionale affetta da
qualsiasi vizio di legittimità (e non anche "per ragioni di merito"),
sulla base delle seguenti considerazioni concernenti:
a) l’evoluzione della normativa paesistica
sui poteri dello Stato e delle Regioni;
b) l’esame dei lavori parlamentari che hanno
condotto all’approvazione della legge n. 431 del 1985, di conversione, con
modificazioni, del decreto legge n. 312 del 1985;
c) la natura del potere esercitabile dal
Ministero, l’ambito dei vizi per i quali può essere annullata l’autorizzazione
e i dati testuali dell’art. 82.
3. La legge 29 giugno 1939, n. 1497, ha
attribuito ampi poteri per la "protezione delle bellezze naturali"
al Ministero dell’educazione nazionale (cui sono succeduti nel corso del tempo
il Ministero della pubblica istruzione, il Ministero per i beni culturali ed
ambientali e il Ministero per i beni e le attività culturali).
Perfezionando la originaria normativa
posta a tutela di "ville, parchi e giardini di interesse storico e
artistico" e delle "bellezze artistiche e panoramiche"
(v. le leggi 23 giugno 1912, n. 688, e 11 giugno 1922, n. 778), la legge n.
1497 del 1939:
a) ha tutelato, all’art. 1, quattro
tipologie di bellezze naturali (riconducibili alle "bellezze di
insieme" e alle "bellezze individue", in relazione al procedimento
per l’imposizione del vincolo paesistico);
b) ha qualificato tali beni di "notevole
interesse pubblico", nel senso che si tratta di beni di "uso
controllato" in ragione della loro protezione e della titolarità di
interessi della collettività nazionale;
c) ha attribuito al Ministero i poteri di
determinare in concreto i beni da sottoporre al vincolo (artt. 2 e ss.), di
approvare i piani paesistici per evitare che le "bellezze di insieme"
siano "utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica"
(art. 5), di autorizzare o meno la realizzazione di opere tali da distruggere o
modificare l’aspetto dell’area vincolata (art. 7), di reprimere i relativi
abusi (artt. 14 e 15).
Per la salvaguardia dei valori paesistici
e per consentire alle successive generazioni la loro fruibilità, la legge
fondamentale ha attribuito all’amministrazione statale il potere di sottoporre
determinati beni ad un peculiare regime giuridico, di controllare il rispetto
del vincolo e di gestire uno specifico ius in rem in sede di esame della
domanda di autorizzazione prevista dall’art. 7 (definita anche come "nulla
osta" o "parere" o "favorevole avviso": art. 25 del
r.d. n. 1357 del 1940), avente natura concessoria (art. 82, secondo comma, del
decreto legislativo n. 616 del 1977) e di licenza (come già disposto dalla
legge n. 788 del 1922), in considerazione dei ‘poteri di ingerenza’ basati su
giudizi di valore e valutazioni tecnico-discrezionali, in quanto tali
insindacabili nella sede giurisdizionale di legittimità.
4. Sotto il profilo dei valori coinvolti,
l’art. 9 della Costituzione ha disposto che la tutela del paesaggio rientra
nell’ambito dei principi fondamentali della Repubblica.
Come si evince anche dai lavori
dell’Assemblea Costituente, si è così ampliato il novero delle aree
sottoponibili alla protezione ambientale, non limitate alle sole bellezze
naturali, ma estese al paesaggio nel suo complesso, e cioè alla parte del
territorio che il legislatore (con norme impositive del vincolo o per il
tramite di atti amministrativi) ritenga meritevole di particolare protezione
per ragioni di ordine ambientale, ecologico o culturale.
Mentre la prima sottocommissione ancora si
riferiva alla "protezione dello Stato" per "i monumenti
artistici, storici e naturali, in qualsiasi parte del territorio della
Repubblica e a chiunque appartengano" (con ciò riferendosi ai caratteri
naturali di rilievo monumentale), già il comitato di redazione aveva poi
proposto il testo dell’art. 27 (composto da un primo simile periodo,
riguardante "i monumenti artistici e storici", e da un secondo
periodo, per il quale "compete allo Stato anche la tutela del
paesaggio") con l’abbandono del criterio monumentale.
Nel corso dei lavori della seduta plenaria
del 30 aprile 1947, riguardanti l’art. 29, allo scopo (segnalato dai vari
oratori) di evidenziare come il paesaggio fosse "d’importanza non
solamente nazionale, ma mondiale", è stato infine accolto l’emendamento
per il quale "il patrimonio artistico e storico della Nazione è sotto la
tutela della Repubblica" e "compete allo Stato anche la tutela del
paesaggio".
In sede di coordinamento finale, l’art. 9
della Costituzione (il cui primo comma ha disposto che "la Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica")
al secondo comma è stato formulato nel senso che la Repubblica "tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".
La Costituzione in tal modo ha consentito
la protezione non solo dei beni rientranti nel novero delle bellezze naturali e
determinati in concreto in sede amministrativa nell’ambito delle categorie
indicate dalla legge e originariamente di interesse pubblico (Corte Cost., 29
maggio 1968, n. 56), ma anche delle aree del territorio nazionale determinate
dalla legge ‘per categoria’ (Corte Cost., 8 maggio 1998, ord. n. 158; 23 luglio
1997, n. 262; 3 ottobre 1990, n. 430; 20 luglio 1990, n. 344; 27 giugno 1986,
n. 151) e ritenute meritevoli di particolare protezione dal legislatore, a
seconda dei casi, col divieto assoluto di interventi modificativi ovvero con la
subordinazione di ogni modifica alla prescritta autorizzazione.
Anche al fine di determinare l’ambito
della tutela disposta con la legge n. 431 del 1985 (di seguito trattata),
rilevano in materia i principi più volte enunciati dalla Corte Costituzionale,
per la quale:
- "la tutela del paesaggio è compito
della Repubblica e quindi in primo luogo dello Stato" (Corte Cost., 27
luglio 2000, n. 378), che ben può delegare le relative funzioni amministrative
alle Regioni (Corte Cost., 29 dicembre 1982, n. 239);
- le esigenze di tutela del paesaggio si
pongono quale "valore di straordinario rilievo" (Corte Cost., 1°
aprile 1985, n. 94), primario ed insuscettibile di essere subordinato a
qualsiasi altro (Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 18 ottobre 1996, n. 341;
28 luglio 1995, n. 417; 20 febbraio 1995, n. 46; 24 febbraio 1992, n. 67; 9
dicembre 1991, n. 437; 11 luglio 1989, n. 391; 27 giugno 1986, n. 151; 21
dicembre 1985, n. 359);
- la tutela del paesaggio "va intesa
nel senso lato della tutela ecologica" (Corte Cost., 3 ottobre 1990, n.
430) e della "conservazione dell’ambiente" (Corte Cost., 11 luglio
1989, n. 391), ha "una strettissima contiguità con la protezione della
natura, in quanto contrassegnata da interessi estetico-culturali", ed è
"basata primariamente sugli interessi ecologici e quindi sulla difesa
dell’ambiente come bene unitario, pur se composto da molteplici aspetti
rilevanti per la vita naturale e umana" (Corte Cost., 15 novembre 1988, n.
1029) e per la salute (Corte Cost., 3 giugno 1989, n. 391);
- l’imposizione in concreto del vincolo
paesistico "contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente e del
paesaggio" (Corte Cost., 21 novembre 1997, n. 345) e ne evita le
alterazioni (Corte Cost., 22 ottobre 1996, n. 355);
- in sintesi, l’art. 9 della Costituzione
"tutela il paesaggio-ambiente, come espressione di principio fondamentale
dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo e si sviluppa la
persona umana" (Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378; 1° aprile 1998, n.
85).
Sotto tale profilo, va rimarcato che, sia
pure in un quadro normativo mutevole, il legislatore ordinario ha attuato i
principi costituzionali con regole univoche e consolidatesi per la
determinazione dei concetti di ambiente e di paesaggio:
a) la legge 8 luglio 1986, n. 349, ha
considerato l’ambiente "un bene immateriale unitario sebbene a varie
componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e
separatamente, oggetto di cura e di tutela ma tutte, nell’insieme, sono
riconducibili ad unità" (Corte Cost. 30 dicembre 1987, n. 641; 28 maggio
1987, n. 210), sicché vi rientrano tutti gli aspetti, anche non strettamente
naturalistici, concernenti le "condizioni ambientali" e la
"qualità della vita" anche in ambito locale e in particolare
la tutela del paesaggio, del suolo, delle acque e dell’aria e la gestione o la
materiale modificazione del territorio (il che determina l’ambito di
applicazione dei commi 1 e 5 dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986);
b) la tutela del paesaggio (quale parte del
territorio meritevole di particolare protezione, secondo le valutazioni del
legislatore o, in concreto, dell’autorità amministrativa, in ragione dei valori
naturali, culturali e archeologici) ai sensi dell’art. 9 Cost. comporta la
titolarità delle funzioni statali e di interessi localmente non frazionabili,
nei loro rapporti con le autonomie, cui possono essere attribuite competenze in
ordine alla gestione del vincolo, in coerenza col principio di sussidiarietà.
La stretta connessione tra la tutela dell’ambiente
e quella del paesaggio è stata ulteriormente rafforzata:
- dal Trattato istitutivo della Comunità
europea (come modificato col Trattato di Amsterdam del 1999), che al titolo XVI
e all’art. 130 R (sull’"ambiente") si riferisce alla "politica
della Comunità in materia ambientale" (tendente agli obiettivi della
"salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente",
della "utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali",
della prevenzione dei danni all’ambiente, in cooperazione con gli Stati membri)
e all’art. 130 S prevede la competenza del Consiglio sulle "misure
concernenti l’assetto territoriale" e la "destinazione dei
suoli";
- dal vigente art. 117, secondo comma, lettera
s), della Costituzione (come modificata dalla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3), che, in stretta connessione con l’art. 9, ha attribuito alla
legislazione esclusiva dello Stato "la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema
e dei beni culturali" (con la possibilità di attribuire alle Regioni
condizioni particolari di autonomia, come previsto dal novellato art. 116,
terzo comma).
Dai principi suesposti emerge, dunque, che
mediante la tutela del paesaggio e l’imposizione dei vincoli paesistici si
salvaguarda l’ambiente (nel suo complesso tutelato dalle normative di settore
concernenti l’uso globale del territorio), tanto che la legislazione ordinaria
è oramai da tempo univocamente orientata nel senso di qualificare i beni
sottoposti a vincolo paesistico come aree "di particolare interesse
ambientale" (v. la stessa intitolazione del decreto legge n. 312 del
1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, e dell’art. 82 del decreto
legislativo n. 616 del 1977).
5. Sotto il profilo delle competenze, a parte
le specifiche previsioni degli statuti delle Regioni a statuto speciale, anche
dopo l’entrata in vigore della Costituzione i poteri previsti dalla legge
fondamentale n. 1497 del 1939 sono stati esercitati dalle autorità statali e
non sono stati decentrati agli enti locali.
Con l’istituzione delle Regioni a statuto
ordinario e l’entrata in vigore dell’art. 1, ultimo comma, del decreto
legislativo 15 gennaio 1972, n. 8, lo Stato ha trasferito alle Regioni il solo
potere di approvazione dei piani paesistici (in considerazione della stretta
connessione con i poteri di pianificazione urbanistica - contestualmente
trasferiti -, per consentire una razionale programmazione ed evitare di far
sorgere aspettative di modifica di aree meritevoli di protezione sotto il
profilo paesistico).
Tutti gli altri poteri previsti dalla
legge n. 1497 del 1939 (riguardanti la imposizione del vincolo paesistico,
l’autorizzazione di opere sull’area vincolata, il controllo sulle attività, la
vigilanza e la repressione degli abusi) sono rimasti nella titolarità dello
Stato, con una scelta che la Corte Costituzionale (sent. 24 luglio 1972, n.
141) ha ritenuto consentita dalla netta distinzione sancita nella Costituzione
in ordine alla tutela del paesaggio e alla materia dell’urbanistica (Corte
Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 28 luglio 1995, n. 417; 22 luglio 1987, n. 183;
27 giugno 1986, n. 152; 29 dicembre 1982, n. 239).
In base al sistema non modificato nel
1972, salve le autonomie speciali soltanto lo Stato era titolare del potere,
tra gli altri, di accogliere o di respingere la domanda di autorizzazione
paesistica, senza alcun margine di diverse valutazioni regionali o di enti
locali territoriali.
6. In un’ottica di particolare
valorizzazione e di responsabilizzazione delle Regioni a statuto ordinario, il
primo comma dell’art. 82 del citato decreto legislativo n. 616 del 1977 ha
delegato alle Regioni "le funzioni amministrative esercitate dagli
organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze
naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle
relative sanzioni".
Il secondo comma ha in particolare
delegato il potere di "individuazione delle bellezze naturali"
(lett. a) e quello concernente "la concessione delle autorizzazioni o
nulla osta per le loro modificazioni" (lett. b).
Lo Stato (oltre ai poteri di direttiva e
di coordinamento previsti in generale dalla legge delega 22 luglio 1975, n.
382) ha mantenuto i poteri:
a) "di integrare gli elenchi delle
bellezze naturali approvate dalla Regione" (secondo comma, lett. a);
b) di esprimere parere contrario alla
revoca e alla modifica del vincolo disposto con "le notifiche di
notevole interesse pubblico delle bellezze naturali e panoramiche"
(terzo comma);
c) di "inibire lavori" o
di "disporne la sospensione, quando essi rechino pregiudizio a beni
qualificabili come bellezze naturali anche indipendentemente dalla loro
inclusione negli elenchi" (quarto comma).
In base alle riportate disposizioni
dell’art. 82, la materia del paesaggio è stata delegata alle Regioni, alcune
delle quali (per quanto rileva il presente giudizio, v. anche l’art. 4 della
legge della Regione Lombardia 9 giugno 1997, n. 18) hanno per lo più
subdelegato ai Comuni il potere di rilasciare l’autorizzazione paesistica.
Pertanto, a seguito della riforma del
1977, in base ad una regola opposta a quella precedente:
- nel proprio territorio soltanto la
Regione (ovvero l’ente subdelegato) poteva esercitare il potere di rilasciare
l’autorizzazione paesistica, senza alcuna possibilità dello Stato di consentire
la realizzazione delle opere;
- il Ministro, però, era titolare
dell’incisivo potere interdittivo previsto in via generale dal quarto comma, e
cioè del potere di "inibire lavori" e di "disporne la
sospensione", quando, secondo la sua discrezionale valutazione, essi
avessero recato "pregiudizio a beni qualificabili come bellezze
naturali anche indipendentemente dalla loro inclusione negli elenchi".
In altri termini, nel sistema disegnato
dal decreto legislativo n. 616 del 1977, lo Stato:
a) non poteva fare prevalere le sue
valutazioni eventualmente favorevoli alla modifica dei luoghi, se la domanda di
autorizzazione paesistica era respinta dall’autorità delegata o da quella
subdelegata,
b) sulla base di proprie valutazioni tecnico-discrezionali,
opposte a quelle dell’autorità delegata o subdelegata, poteva però impedire (in
assenza di un limite temporale) la modifica dei luoghi anche nel caso di
rilascio della autorizzazione, ad estrema difesa del vincolo per impedire ogni "pregiudizio"
su aree già vincolate o ancora non vincolate, ma qualificabili come bellezze
naturali.
Nella prassi, tale potere interdittivo
riguardava anche lavori su aree già soggette al vincolo paesistico (v. anche
Corte Cost., 21 dicembre 1985, n. 359, che si è pronunciata su un ricorso
proposto contro un atto statale di data 20 giugno 1984) e comportava che, anche
dopo la conclusione del procedimento col rilascio dell’autorizzazione
paesistica, il Ministero poteva operare un giudizio ‘di merito’, contrario alla
realizzazione di quanto autorizzato, per esigenze di salvaguardia dell’area
protetta.
7. E’ poi stato emanato il decreto legge
n. 312 del 1985, convertito con modificazioni nella legge n. 431 del 1985, che ha
profondamente innovato la normativa sostanziale a tutela dell’ambiente e del
paesaggio e quella concernente la determinazione dei poteri statali e di quelli
regionali.
7.1. Come è stato più volte sottolineato
nel corso dei lavori parlamentari della legge n. 431 del 1985, il decreto legge
n. 312 del 1985 ha inteso introdurre una "normativa ponte" e
"non definitiva" (Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 151) per due
ragioni ben determinate, che hanno ispirato i redattori sia del decreto legge,
sia dell’articolato finale della legge di conversione.
In primo luogo, nel corso dei lavori che
hanno condotto alla approvazione della legge 28 febbraio 1985, n. 47,
riguardante il condono degli abusi edilizi commessi entro il 1° ottobre 1983,
il Governo e pressoché tutte le forze politiche avevano segnalato la necessità
di introdurre rapidamente norme più efficaci sulla tutela dell’ambiente e del
paesaggio.
In sede politica era infatti emersa la
necessità di evitare il ripetersi delle "deturpazioni", che avevano
notevolmente peggiorato la situazione già lucidamente rappresentata nei lavori
finali della commissione istituita ai sensi della legge 26 aprile 1964, n. 310
[cfr. anche i riferimenti del relatore per l’VIII Commissione (Istruzione)
all’emersione "dei dissesti determinati a danno del patrimonio naturale
del nostro Paese": p. 30045 del resoconto delle discussioni nella seduta
del 24 luglio 1985 dell’Assemblea della Camera dei Deputati].
Come ha osservato al riguardo la Corte
Costituzionale (31 marzo 1988, n. 369), "il legislatore, con la legge
citata, ha inteso chiudere un passato d’illegalità di massa, alla quale aveva
anche contribuito la non sempre perfetta efficienza delle competenti autorità
amministrative ed ha mirato a porre ‘sicure’ basi normative per la repressione
futura di fatti che violavano fondamentali esigenze sottese al governo del
territorio, come … la funzione sociale della proprietà (art. 42, secondo comma,
Cost.) la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9,
secondo comma, Cost.)".
In secondo luogo, il TAR per il Lazio, con
la sentenza 31 maggio 1985, n. 1548, aveva annullato l’art. 1 del decreto di
data 21 settembre 1984 del sottosegretario di Stato del Ministero per i beni
culturali ed ambientali (per la parte in cui esso aveva sottoposto al vincolo
paesistico una serie di zone e di località individuate ed elencate per
categorie, riconducibili all’intero territorio nazionale), in ragione del suo
contrasto col principio di legalità.
7.2. Al dichiarato scopo di introdurre con
una norma di rango legislativo i vincoli di salvaguardia imposti con l’art. 1
del decreto annullato in sede giurisdizionale, l’art. 1, comma 1, del decreto
legge n. 312 del 1985 sotto il profilo sostanziale ha sottoposto al vincolo
paesistico (non assoluto) i "beni e luoghi" elencati dalla
lettera a) alla lettera l).
Rispetto alla tutela dei singoli beni
vincolati con gli atti previsti dalla legge n. 1497 del 1939, la legge di
conversione n. 431 del 1985 ha introdotto "una tutela del paesaggio
improntata a integralità e globalità" ed ha spostato "l’accento dalle
bellezze naturali, intese come dimensione (solo) estetica del territorio, al
bene ambientale come bene culturale, con ciò riconoscendo valore
estetico-culturale a vaste porzioni del territorio nazionale" (Corte
Cost., 8 maggio 1998, ord. n. 158; 28 luglio 1995, n. 417; 24 luglio 1986, n.
151).
La legge ha sottoposto al vincolo
paesistico le categorie di beni ambientali e culturali ivi determinate (ed
elencate dal quinto comma del novellato art. 82 del decreto legislativo n. 616
del 1977) ed ha significativamente ampliato l’ambito delle aree sottoposte al
vincolo, prevedendo una normativa non modificabile dalle Regioni (Corte Cost.
22 luglio 1996, n. 270) e una "protezione minimale, che non esclude né
preclude normative regionali di maggiore o pari efficienza" (Corte Cost.,
7 novembre 1994, n. 379; 13 luglio 1990, n. 327; 27 giugno 1986, n. 151), che
contengano "imposizioni anche immediatamente vincolanti a difesa dei
valori paesistici ed ambientali" (Corte Cost. 27 luglio 2000, n. 378), del
resto anche tutelabili con leggi regionali di carattere urbanistico (Corte
Cost., 29 dicembre 1982, n. 239).
Per rafforzare la tutela delle aree
vincolate dalla legge n. 431 del 1985, l’art. 1 sexies (trasfuso nell’art. 163,
comma 1, del testo unico n. 490 del 1999) ha disciplinato una specifica figura
di reato, per i casi di esecuzione di "lavori di qualsiasi genere"
"senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa"
(tranne quelli previsti dal dodicesimo comma del novellato art. 82), così
prevedendo, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 5 del codice penale, un
sistema nel quale sussistono particolari doveri di diligenza e di informazione
per l’interessato, in relazione alle condotte vietate ed al momento della
produzione degli effetti del titolo abilitativo (Cass. pen., Sez. III, 7 marzo
1997, Arcucci).
7.3. Quanto alle competenze, al comma 2,
l’art. 1 del decreto legge n. 312 del 1985 aveva previsto che:
- "le funzioni di vigilanza e
tutela sull’osservanza del vincolo di cui al comma 1 sono esercitate anche
dagli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali", e cioè
in concorrenza con i poteri dell’autorità delegata (o subdelegata);
- solo gli organi del Ministero "provvedono
altresì al rilascio del parere di cui all’articolo 7 della legge 29 giugno
1939, n. 1497".
Il decreto legge aveva dunque previsto la
sostanziale abrogazione della lettera b) del secondo comma dell’art. 82 del
decreto legislativo n. 616 del 1977, riattribuendo allo Stato il potere
esclusivo di provvedere sulle domande volte ad ottenere l’autorizzazione
paesistica.
7.4. A seguito dell’ampio dibattito svolto
alla Camera dei Deputati nel corso dei lavori per la conversione del decreto
legge, già nella seduta del 10 luglio 1985 il relatore della IX Commissione
(lavori pubblici) aveva formulato osservazioni sull’opportunità di non fare
esercitare soltanto dallo Stato il potere di esaminare le istanze di
autorizzazione.
Al termine dei lavori della seduta, le
Commissioni riunite VIII e IX hanno disposto la nomina di un comitato
ristretto, che ha poi redatto il nuovo testo dell’art. 1, prevedendo l’aggiunta
di otto commi agli originari quattro commi dell’art. 82 del decreto legislativo
n. 616 del 1977: il nono comma del novellato art. 82 (non modificato nel corso
dei successivi lavori parlamentari) ha ridisciplinato i rapporti tra i poteri
statali e quelli regionali.
Nel suo testo finale, la legge n. 431 del
1985, da un lato, non ha modificato il quarto comma dell’art. 82 (specificamente
riguardante le "bellezze naturali" e attributivo di un potere
di veto, basato anche su considerazioni di merito: v. il precedente punto 6),
e, dall’altro, ha inserito quattro periodi nel nono comma (ora trasfuso nei
distinti commi 3, 4 e 5 dell’art. 151 del testo unico n. 490 del 1999):
- il primo ha attribuito alle Regioni il
potere di esaminare la domanda di autorizzazione paesistica, entro il termine
perentorio di sessanta giorni dalla richiesta dell’interessato;
- il secondo ha fissato l’obbligo delle
Regioni di trasmettere immediatamente allo Stato la comunicazione del rilascio
della autorizzazione e la relativa documentazione;
- il terzo ha attribuito allo Stato il
potere di emanare l’autorizzazione paesistica, nel caso di inerzia della Regione;
- il quarto, già sopra riportato, ha
disposto che lo Stato "può in ogni caso annullare, con provvedimento
motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla
relativa comunicazione".
7.5. Contrariamente a quanto ha osservato
il punto 3.4. della decisione di rimessione, il sistema della delega delle
funzioni statali alle Regioni (introdotto col decreto legislativo n. 616 del
1977 e modificato con la legge n. 431 del 1985) è ancora attuale, poiché gli
articoli 56 e 57 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, hanno
riguardato il territorio e l’urbanistica e non hanno trasferito i compiti di
tutela del paesaggio e dell’ambiente.
In primo luogo, la titolarità da parte
dello Stato dei valori del paesaggio (più volte rimarcata anche dalla Corte
Costituzionale in base all’art. 9 Cost.) comporta che la materia, pur se
evolvesse nel senso della riduzione dei poteri statali, non potrebbe
caratterizzarsi per il loro trasferimento (v. anche il vigente art. 117 Cost.).
In secondo luogo, i richiamati articoli 56
e 57 vanno interpretati tenendo conto delle complessive disposizioni del capo I
della legge delega 15 marzo 1997, n. 59, che non ha riguardato la materia del
paesaggio e, alla lettera c) del comma 4 dell’art. 1, ha escluso dalla delega
"i compiti di rilievo nazionale … per la tutela dell’ambiente".
Come già si è evidenziato nel precedente
punto 4, nell’ambito della "tutela dell’ambiente" (di cui
all’art. 1, comma 4, della legge n. 59 del 1997) rientra anche quella del
paesaggio:
- nell’ordinamento interno, ciò si evince
sia dai principi costituzionali (dal novellato art. 117 e dall’9 Cost., che
"tutela il paesaggio-ambiente": Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 378;
1° aprile 1998, n. 85), sia dalla legislazione ordinaria (v. la legge n. 431
del 1985, che si è riferita alla "tutela delle zone di particolare
interesse ambientale");
- nell’ordinamento comunitario, il
trattato dell’Unione Europea ha previsto che la politica della Comunità
riguardi, sotto tutti gli aspetti, la salvaguardia, la tutela e il
miglioramento della qualità dell’ambiente (in una prospettiva per cui le
istituzioni della Repubblica rispondono anche in sede comunitaria delle loro
scelte).
In coerenza con il richiamato art. 1,
comma 4, della legge n. 59 del 1997, il comma 3 dell’art. 57 del decreto
legislativo n. 112 del 1998 pertanto ha tenuto "fermo quanto disposto
dall’articolo 149, comma 6", e cioè ha disposto che "restano
riservate allo Stato le funzioni e i compiti statali in materia di beni
ambientali", previsti dall’art. 82 del decreto legislativo del 1977,
come modificato nel 1985.
Le complessive disposizioni degli artt.
149 ss. del testo unico n. 490 del 1999 hanno poi riportato le disposizioni
della legge n. 431 del 1985, in quanto non incise dal decreto legislativo n.
112 del 1998 circa l’ambito dei poteri del Ministero e delle Regioni.
Correttamente, pertanto, il sistema della
delega è stato richiamato nelle premesse e nel testo dell’accordo concluso il
19 aprile 2001 tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome (pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 18 maggio 2001, n. 114, e avente per oggetto il
coordinamento dei loro poteri in materia di tutela del paesaggio).
8. Quanto precede comporta che, nel
sistema vigente alla data di emanazione dell’atto impugnato in primo grado e
ancora attuale, salve le autonomie speciali il potere di rilasciare
l’autorizzazione paesistica spetta:
- alla Regione (quale autorità delegata)
ovvero all’ente subdelegato (con legge regionale, ai sensi del previgente art.
118, terzo comma, della Costituzione e del vigente art. 118, secondo comma), ai
sensi del primo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 2,
del testo unico n. 490 del 1999);
- al Ministero, solo nel caso di inerzia
della Regione (o dell’ente subdelegato), ai sensi del terzo periodo del nono
comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 5, del testo unico), e previa
comunicazione dell’istanza all’amministrazione inerte (salvi i casi previsti
dai commi decimo e undicesimo dell’art. 82, di seguito esaminati).
8.1. In ragione di tale "concorrenza
di poteri" (Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 151), nel caso di inerzia
(dell’autorità delegata e dello Stato) l’interessato può adire il giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034
(nel testo introdotto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205),
notificando il ricorso ad entrambe le autorità inerti (Sez. VI, 13 febbraio
2001, n. 685).
8.2. Qualora l’autorità delegata (o
subdelegata) respinga la domanda di autorizzazione paesistica, il relativo
diniego comporta la conclusione del procedimento, è immediatamente impugnabile
e non comporta l’esercizio di poteri statali.
In tal caso, come nel sistema in vigore
dal 1977, lo Stato non può sovrapporre la propria valutazione a quella
dell’autorità delegata, anche se, in ipotesi, il diniego di autorizzazione sia
viziato: salva la tutela giurisdizionale dell’interessato, il legislatore non
ha previsto alcun potere statale di sindacare il diniego, perché questo, per
definizione, non consente alcun mutamento dello stato dei luoghi e non richiede
una ulteriore difesa del vincolo.
8.3. Qualora la Regione (o l’autorità
subdelegata) accolga la domanda di autorizzazione paesistica, l’art. 82, nono
comma, ha determinato i limiti, anche temporali, entro i quali può essere
esercitato il potere statale "ad estrema difesa del vincolo" (Corte
Cost., 27 giugno 1986, n. 151)
In tal caso, la legge dispone la
prosecuzione del procedimento: va attivata una sua ulteriore fase necessaria e
non autonoma (Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771; Sez. VI, 22 febbraio 1995, n.
963), nella quale il Ministero può annullare l’autorizzazione paesistica entro
il prescritto termine di sessanta giorni.
Nell’ambito dell’unitario procedimento
complesso (Sez. II, 31 marzo 1999, n. 268), volto al riscontro della
possibilità giuridica di mutare lo stato dei luoghi, l’atto regionale (o
dell’autorità individuata con la legge regionale o provinciale) conclude dunque
il procedimento se respinge l’istanza, ma se l’accoglie diventa il presupposto
formale (voluto dall’interessato, che "ne è già edotto in virtù di
legge": Sez. VI, 12 maggio 1994, n. 771) la cui comunicazione al Ministero
attiva il necessario riesame del contenuto della autorizzazione (che,
nell’inerzia della autorità emanante, lo stesso richiedente può sollecitare:
Corte Cost., 4 giugno 1997, n. 170).
Entro il termine perentorio sancito dalla
legge, il Ministero può pronunciarsi re adhuc integra quando ancora non
è consentita la mutazione dello stato dei luoghi (Sez. VI, 3 novembre 1999, n.
1693; Sez. VI, 20 novembre 1998, n. 1581; Sez. VI, 6 ottobre 1998, n. 1348),
perché non avrebbe avuto senso attribuirgli il potere di annullare
l’autorizzazione, quando già i luoghi fossero stati modificati (Sez. VI, 13
febbraio 2001, n. 685).
Infatti, salva la necessità degli
ulteriori prescritti titoli abilitativi, l’ordinamento consente la modifica dei
luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili, e
in particolare quando il Ministero con un atto espresso ritenga di non
annullare l’autorizzazione paesistica, ovvero lasci decorrere il termine di
sessanta giorni senza disporne l’annullamento (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 26
maggio-7 luglio 1999, n. 8631; Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 1998, Svara;
Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. VI, 20 ottobre 2000, n.
5651; Sez. V, 15 settembre 1997, n. 963).
L’autorità che ha emesso l’autorizzazione
deve in tal caso prendere atto del perfezionamento della fattispecie legale costitutiva
dei suoi effetti e deve comunicare la circostanza all’originario richiedente,
affinché possano cominciare i lavori (ove non siano richiesti altri titoli
abilitativi) e siano svolte le dovute attività di vigilanza.
9. Al fine di determinare l’ambito delle
valutazioni che il Ministero può porre a base dell’annullamento della
autorizzazione, vanno ora precisati la natura e gli effetti (sostanziali e
processuali) dell’atto di annullamento e va verificato come tali effetti
incidano sull’equilibrio dei poteri statali e regionali.
9.1. Al riguardo, vanno ancora richiamati
i lavori preparatori della legge n. 431 del 1985.
Nel corso delle sedute del 24 e del 25
luglio 1985 (come si evince da pp. 30054 ss. e 30245 ss. del resoconto delle
discussioni delle Commissioni riunite VIII e XI), un componente del comitato
ristretto (che ha contribuito alla stesura dell’articolato, confluito
nell’emendamento poi accolto) ha evidenziato:
- come (rispetto al sistema del 1977) sia
stato modificato il procedimento di rilascio della autorizzazione, "al
fine di attuare anche qui il principio della concorrenza nel procedimento tra
Regioni e Stato", in quanto "consente sia alle Regioni che al
Ministero di svolgere un proprio ruolo (consente al Ministero di far valere
esigenze nazionali di tutela, di salvaguardia anche nei confronti di Regioni
che non se ne facciano carico e, nel contempo, responsabilizza anche queste
ultime)";
- come l’art. 82 abbia così previsto
"una nuova strumentazione di quella concorrenza di competenze e di poteri
tra Regione e Stato che già era stabilita dall’art. 82 del decreto n. 616, con
una soluzione peculiare e adatta alle particolari caratteristiche degli
interventi, nei quali si sommano interessi e competenze di cui sono portatrici
le collettività locali e regionali, quelli alla pianificazione ed alla gestione
del territorio, e interessi e competenze di cui sono portatori la collettività
nazionale e lo Stato, quelli alla difesa dei valori paesistici e
ambientali" (v. p. 30246).
Tenuto conto di tali lavori (che hanno
richiamato un potere di riesame e non di controllo sulla autorizzazione) e
valutati i principi costituzionali sopra richiamati sulla titolarità dello
Stato dei poteri riguardanti la tutela del paesaggio (più volte rimarcati dalla
Corte Costituzionale), deve ritenersi che, anche in relazione al procedimento
in esame, la "concorrenza di poteri" tra lo Stato e la Regione (o
l’ente subdelegato) si fonda sulla cogestione dei valori paesistici e si
manifesta mediante provvedimenti di amministrazione attiva: l’annullamento
della autorizzazione costituisce espressione del potere di cogestione del
vincolo, ad estrema sua difesa (Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 341; 27 giugno
1986, n. 151).
9.2. La sussistenza di un potere di
cogestione dei valori paesistici emerge anche dalle disposizioni degli statuti
delle Regioni a statuto speciale e dai principi costituzionali riguardanti i
rapporti tra lo Stato e le altre Regioni.
Per quanto riguarda le Regioni a statuto
speciale, poiché le disposizioni dell’art. 1 della legge n. 431 del 1985 (cioè
quelle del novellato art. 82) per il successivo art. 2 "costituiscono
norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica" e
applicabili per tutte le Regioni (v. Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437; 18
ottobre 1996, n. 341; 22 luglio 1996, n. 270; 9 dicembre 1991, n. 437; 27
giugno 1986, n. 151), il novellato nono comma è stato impugnato in via diretta
innanzi alla Corte Costituzionale, per il dedotto suo contrasto con gli statuti
speciali, che non ammettono alcun controllo statale sugli atti regionali (e
prevedono in alcuni casi soltanto il controllo della Corte dei Conti, mentre
per la Valle d’Aosta è previsto il controllo di una commissione di
coordinamento: v. il decreto legislativo n. 44 del 1998).
Tali impugnazioni sono state respinte
dalla Corte Costituzionale (con la sentenza 27 giugno 1986, n. 151, punti 5, 6
e 7 della motivazione), che ha complessivamente ricostruito i poteri statali,
rilevando "che la visuale della concorrenza di poteri tra Stato e Regione
secondo un modello inspirato al principio di cooperazione rende non utile il
richiamo alla tematica dei controlli".
Per quanto riguarda le altre Regioni,
ugualmente va esclusa la sussistenza di un potere statale di controllo, poiché:
a) il potere statale ha la medesima natura
in relazione a tutte le autorizzazioni paesistiche (escluso che vi sia un
controllo per le autorizzazioni emesse dalle Regioni a statuto speciale, deve
escludersi che esso sussista per le autorizzazioni emesse dalle Regioni a
statuto ordinario o dagli enti subdelegati);
b) l’originario art. 125 della
Costituzione, al primo comma, disponeva che "il controllo di
legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma
decentrata, da un organo dello Stato", sicché, ove il potere di
annullamento del Ministro fosse riferibile ad una funzione di controllo
"in sede centrale" (e pure a seguito del decreto ministeriale del 18
dicembre 1996, che ha in parte delegato i poteri ai Soprintendenti), non
potrebbe che affermarsi l’incostituzionalità parziale del medesimo art. 82,
nono comma (ciò che la Corte Costituzionale ha decisamente escluso, proprio per
l’assenza di un potere statale di controllo);
c) il medesimo art. 125, primo comma,
aveva delimitato tassativamente l’ambito dei poteri di annullamento in sede di
controllo degli atti regionali, che non possono essere previsti dalla
legislazione ordinaria [Corte Cost., 21 aprile 1989, n. 229, sulla parziale
incostituzionalità dell’art. 2, terzo comma, lett. p), della legge 23 agosto
1988, n. 400, in tema di annullamento straordinario governativo degli atti
regionali].
Per la verifica dei fondamenti
costituzionali del nono comma dell’art. 82, risulta pertanto ininfluente
l’abrogazione del primo comma dell’art. 125 Cost., disposta con l’art. 9, comma
2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
9.3. Del resto, mentre secondo i principi
generali alla decisione di annullamento di un atto controllato va riconosciuta
natura vincolata e di atto dovuto (Sez. V, 25 maggio 1998, 681; Sez. V, 5
giugno 1997, n. 598 ; Sez. IV, 7 luglio 1993, n. 672 ; Sez. IV, 14
maggio 1993, n. 536), è pacifico che il Ministero (salva la tutela
giurisdizionale di chi impugni l’autorizzazione) può anche ritenere pienamente
giustificato l’accoglimento dell’istanza e non annullare l’autorizzazione
paesistica, qualora essa non risulti adeguatamente motivata (Sez. VI, 13
febbraio 2001, n. 685)
Pertanto, anche la natura discrezionale e
non vincolata del potere statale di annullamento dell’autorizzazione (Corte
Cost., 25 ottobre 2000, n. 437) esclude la configurabilità di un potere di
controllo.
9.4. Il Ministero, come la Regione,
esercita dunque il potere previsto dal richiamato nono comma dell’art. 82 (e
dall’art. 151, comma 4, del testo unico) quale titolare degli interessi primari
protetti, in funzione di gestione e di salvaguardia dei valori paesistici
coinvolti (Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. VI, 20 ottobre 2000, n.
5651).
Così come in sede di approvazione di uno
strumento urbanistico la Regione gestisce gli interessi urbanistici di cui è
titolare nell’ambito di una fattispecie a formazione progressiva (Corte Cost.,
15 novembre 1985, n. 286), così lo Stato gestisce gli interessi di cui è
titolare quando riesamina la legittimità delle autorizzazioni paesistiche e con
le proprie determinazioni incide sul momento costitutivo dei loro effetti e
sulla modificabilità delle aree sottoposte a salvaguardia.
Vi sono tuttavia rilevanti differenze tra
il potere della Regione di approvare il piano urbanistico (quale titolare delle
funzioni previste dall’art. 117 Cost, nel suo testo originario ed in quello
sostituito con la legge costituzionale n. 3 del 2001) e quello dello Stato di
annullare le illegittime autorizzazioni paesistiche:
- nell’attuale sistema, l’approvazione
regionale del piano urbanistico è indefettibile (Corte Cost., 26 giugno 2001,
n. 206), non può avere luogo per silenzio-assenso a seguito della mera inerzia
e, inoltre, può apportare modifiche al piano adottato dal Comune (v. l’art. 10
della legge 17 agosto 1942, n. 1150), sicché esso può essere qualificato come
atto complesso (sia pure a complessità diseguale o non paritaria);
- invece, una volta rilasciata
l’autorizzazione paesistica, da un lato il mancato esercizio del potere di annullamento
nel termine di sessanta giorni, come constatato dall’autorità emanante,
comporta un sostanziale silenzio-consenso e la produzione degli effetti della
autorizzazione (sicché la fattispecie abilitativa si perfeziona anche in
assenza di un espresso atto statale di consenso), e dall’altro la legge non
consente che il tempestivo provvedimento statale modifichi l’autorizzazione e
influisca su cosa possa essere realizzato.
Se le caratteristiche progettuali
autorizzate risultano manifestamente irragionevoli o si fondano su una inidonea
istruttoria o valutazione (anche degli interessi nazionali), il Ministero non
può imporre modifiche o subordinare il conseguimento dell’efficacia della
autorizzazione all’adeguamento del progetto alle sue diverse valutazioni,
perché in tal modo i luoghi sarebbero modificati in difformità delle
valutazioni della Regione (o dell’ente subdelegato), ciò che il legislatore
radicalmente non ha ritenuto di consentire.
In altri termini, in sede di riesame della
legittimità della autorizzazione, il Ministero o ritiene di prestarvi il
proprio consenso (manifestato con un atto espresso o col silenzio-consenso per
il decorso del termine legale per l’annullamento) oppure manifesta il proprio
dissenso e ne dispone l’annullamento: tertium non datur.
Pertanto, quando il Ministero annulla
legittimamente l’autorizzazione paesistica, l’autorità delegata può riesaminare
l’originaria istanza tenendo conto delle valutazioni del Ministero sui vizi
della autorizzazione annullata.
Similmente, qualora il suo provvedimento
(impeditivo del silenzio-consenso) sia annullato per un vizio attinente alla
motivazione o di natura procedimentale (diverso dal superamento del termine), re
adhuc integra il Ministero può emanare l’ulteriore atto tenendo conto delle
statuizioni del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 26 della legge n.
1934 del 1971, sull’esercizio del potere amministrativo nel caso di
annullamento di un atto illegittimo, ma rispettoso del termine (Sez. VI, 13
febbraio 2001, n. 685; Sez. V, 8 luglio 1995, n. 1034).
10. Quanto alle valutazioni che il
Ministero può formulare in sede di esercizio di gestione dei valori paesistici
e ambientali "ad estrema difesa del vincolo", e al fine di definire
cosa debba intendersi per "vizio di legittimità" e per "vizio di
merito", va richiamata la incontestata giurisprudenza per la quale
l’autorizzazione paesistica può essere annullata per qualsiasi vizio di
incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
Al riguardo, vanno sottolineate alcune
regole essenziali riguardanti l’esame della domanda di autorizzazione
paesistica, sia per determinare quale sia "il controllo di merito"
che per la decisione di rimessione potrebbe effettuare il Ministero, sia per
esaminare la questione di costituzionalità da questo proposta, per il caso in
cui il nono comma dell’art. 82 non consenta tale "controllo di
merito".
10.1. Per la pacifica giurisprudenza, il
Ministero può annullare l’autorizzazione paesistica anche quando risulti un suo
profilo di eccesso di potere (per sviamento, insufficiente motivazione, difetto
di istruttoria, illogicità manifesta).
In particolare, in considerazione della
tendenziale irreversibilità dell’alterazione dello stato dei luoghi, l’atto che
esamina la domanda di autorizzazione deve essere coerente col piano paesistico
(ove emanato), si deve basare su una idonea istruttoria e su una adeguata
motivazione (da cui devono risultare le ragioni poste a base della affermata
prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria) e deve
tenere conto del principio di leale cooperazione che in materia domina i
rapporti tra il Ministero e le Regioni (Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437; 4
giugno 1997, n. 170; 18 ottobre 1996, n. 341; 7 novembre 1994, n. 379; 10 marzo
1988, n. 302; 27 giugno 1986, n. 151 e 153; 21 dicembre 1985, n. 359; 1° aprile
1985, n. 94).
10.2. Per quanto riguarda la coerenza col
piano paesistico, va rimarcato che l’art. 1 bis della legge n. 431 del 1985 ha
sancito l’obbligo per le Regioni:
- di sottoporre "a specifica
normativa d’uso e di valorizzazione ambientale" le aree previste dal
quinto comma del novellato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977;
- conseguentemente, di redigere il piano
paesistico, ovvero quello urbanistico-territoriale con "specifica considerazione
dei valori paesistici ed ambientali".
Il legislatore ha ritenuto che tali piani
siano essenziali per la programmata e razionale gestione del vincolo, anche per
evitare che in sede di rilascio delle singole autorizzazioni vi siano
valutazioni episodiche o non consapevoli, avulse da una considerazione più
ampia del contesto ambientale su cui incidano i lavori autorizzati e influite
"dalla pressione condizionante del singolo progetto" (Sez. II, 20
maggio 1998, n. 549): "da un controllo estemporaneo, frammentario e caso
per caso, nel quale il piano è meramente eventuale (e perciò raro), si passa,
con i piani previsti dalla legge n. 431 del 1985, ad un controllo razionale,
programmato e necessario" (Corte Cost., 28 luglio 1995, n. 417).
I piani paesistici risultano tanto
essenziali per la razionale gestione e conservazione del vincolo, da avere
indotto il legislatore (oltre a imporre vincoli assoluti, in loro attesa) ad
incidere sul trasferimento del potere di approvazione, già disposto con l’art.
1 del decreto legislativo n. 8 del 1972: per il caso di persistente inattività
della Regione, l’art. 1 bis della legge n. 431 del 1985 (trasfuso nell’art.
149, comma 3, del testo unico) ha previsto il potere sostitutivo statale (nel
rispetto della leale cooperazione: Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 36).
Al riguardo, la Corte Costituzionale ha
ritenuto che l’art. 1 bis sia conforme ai principi costituzionali, in
considerazione dell’esigenza di tutelare il paesaggio non solo sotto il profilo
"conservativo e statico", ma anche per quello "gestionale e
dinamico" (sent. 27 giugno 1986, n. 151).
In tal modo, il piano paesistico determina
l’ambito delle consentite modifiche delle aree protette, fissa predeterminati e
trasparenti criteri di esame delle domande ed evita che le scelte
tecnico-discrezionali di gestione del vincolo siano effettuate (per la prima
volta ed episodicamente) dopo il sorgere di aspettative di edificazione e a
seguito della conclusione dei procedimenti urbanistici o edilizi, che rendono
più frequenti e marcati i conflitti in ordine agli interessi che debbano
prevalere.
E’ altamente significativo, al riguardo,
constatare come nella sede amministrativa (e, conseguentemente, in quella
giurisdizionale) le divergenze tra il Ministero e le Regioni (e le autorità da
queste rese competenti) sorgano maggiormente in assenza delle previsioni del
piano paesistico, e cioè in fattispecie caratterizzate dal mancato rispetto
dell’obbligo di approvazione del medesimo piano.
Proprio per prevenire conflitti, per concertare
le soluzioni e per evitare previsioni urbanistiche incompatibili con le
esigenze di salvaguardia per ragioni ambientali, nella sede della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, in
data 19 aprile 2001 è stato concluso l’accordo richiamato al precedente punto
7.6., concernente i criteri fondamentali per l’elaborazione dei piani
paesistici, nei loro rapporti con i piani urbanistici, e per il rilascio delle
autorizzazioni.
L’accordo:
- ha rimarcato la rilevanza della
Convenzione europea del paesaggio, firmata a Firenze il 20 ottobre 2000, ed ha
impegnato tutte le Autorità a redigere i piani paesistici di salvaguardia nel
rispetto del principio di leale collaborazione e di altri principi ivi
indicati;
- ha individuato alcuni criteri, cui
comunque si deve attenere l’autorità competente ad esaminare la domanda di
autorizzazione (tanto che l’accordo ha previsto che sia revocata la subdelega,
nel caso di loro inosservanza da parte dell’ente subdelegato).
10.3. Ciò comporta che la domanda di
autorizzazione va esaminata tenendo conto delle previsioni del piano paesistico
e dei principi correlativi alla regola-cardine della leale cooperazione (anche
esplicitati formalmente nel citato accordo): se l’autorizzazione contrasta con
le previsioni del piano, dà una ingiustificata preferenza ai soli interessi
della collettività locale e comunque si pone in contrasto col principio di
leale cooperazione, è configurabile un vizio di legittimità, che può essere
posto a base dell’atto ministeriale di annullamento.
Ove ancora non sia stato adempiuto
l’obbligo di redazione del piano paesistico, l’esame della domanda di
autorizzazione va effettuato ugualmente nel rispetto dei principi correlativi
alla regola della leale cooperazione, con motivate valutazioni sull’incidenza
complessiva e della visibilità dell’intervento progettato nel più vasto
contesto ambientale.
In particolare, l’autorità che esamina la
domanda:
- deve manifestare la piena consapevolezza
delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere e non può fondarsi
"su un modulo-tipo", da cui non si evincano le specifiche
caratteristiche dei luoghi e del progetto (Sez. VI, 25 luglio 1994, n. 1267);
- deve verificare se la realizzazione del
progetto contrasti con le direttive e gli atti di coordinamento (previsti
dall’art. 4 del decreto legislativo n. 616 del decreto legislativo n. 616 del
1977), incida sul razionale esercizio del potere di pianificazione paesistica o
comporti una progressiva o ulteriore compromissione dell’area protetta (Sez.
II, 17 giugno 1998, n. 853; Sez. VI, 22 dicembre 1995, n. 1402; Sez. VI, 28
agosto 1995, n. 820);
- deve valutare gli interessi nazionali
(riferibili al particolare pregio dell’area nota a livello internazionale, al
suo carattere monumentale o di bellezza naturale, all’esigenza di evitare
l’antropizzazione o sconvolgimenti per la fauna o la flora) e rispettare gli
obblighi assunti in sede comunitaria (v. artt. 130 R ss. del Trattato) o con
convenzioni internazionali (v. Corte Cost., 12 dicembre 1991, n. 464; 25 luglio
1984, n. 223; 23 luglio 1980, n. 123, sul rilievo degli interessi statali,
"anche nelle materie trasferite o delegate alle Regioni, attinenti ai
rapporti internazionali", ai sensi dell’art. 4, primo comma, del
decreto legislativo n. 616 del 1977).
Se la salvaguardia riguarda un’area
vincolata con uno specifico atto amministrativo (che ne abbia constatato il
particolare pregio), la domanda di autorizzazione va altresì esaminata tenendo
conto delle specifiche valutazioni effettuate nel decreto di vincolo, sul cui
oggetto si intende incidere (Sez. VI, 11 giugno 1990, n. 600)
In ogni caso, la domanda di autorizzazione
va valutata tenendo conto della funzione di tale atto, che non è quella di rimuovere
il vincolo, ma "di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento
col mantenimento e l’integrità dei valori dei luoghi" (Sez. VI, 14
novembre 1991, n. 828, che ha formulato il principio, unanimemente richiamato
dalla successiva giurisprudenza, per cui l’annullamento statale può essere
disposto anche quando, per la mancata considerazione di un rilevante elemento
di fatto, "la valutazione di compatibilità, che si traduca in una
oggettiva deroga, si risolve in una autorizzazione illegittima per sviamento o
travisamento": Sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685; Sez. II, 10 gennaio
2001, n. 1614; Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sez. VI, 6 luglio 2000, n.
3793; Sez. II, 31 marzo 1999, n.268; Sez. IV, 4 dicembre 1998,
n. 1734; Sez. VI, 9 aprile
1998, n. 460; Sez. VI, 17 aprile 1997, n. 609; Sez. VI, 19 luglio 1996, n.
968).
Ovviamente, tali principi si applicano
anche nei casi in cui la legge regionale o provinciale abbia attribuito ad
un’altra amministrazione il potere di esaminare la domanda: l’autorità che
esercita la funzione in luogo della Regione è tenuta a rispettare le regole di
buona amministrazione ed il principio di leale cooperazione, che ispira
l’esercizio della funzione devoluta.
Concludendo sul punto, si deve affermare
che anche la mancata valutazione degli interessi nazionali o di rilevanti
circostanze di fatto e l’inadeguatezza della motivazione comportano
l’illegittimità dell’autorizzazione paesistica per eccesso di potere, che può
dare luogo all’annullamento.
11. Anche se l’atto statale di
annullamento è espressione di un potere di amministrazione attiva "ad
estrema difesa del vincolo" (Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 341; 27
giugno 1986, n. 151), contrariamente a quanto prospettato nella decisione di
rimessione, va invece escluso che il Ministero possa annullare l’autorizzazione
paesistica sulla base di proprie considerazioni tecnico-discrezionali,
contrarie a quelle effettuate dalla Regione o dall’ente subdelegato, rispettose
dei principi sopra esposti.
La soluzione ‘estensiva’ va esclusa sulla
base di alcuni argomenti testuali e sistematici.
11.1. In primo luogo, l’art. 82 ha
espressamente previsto i casi in cui il Ministero possa gestire l’area
vincolata con scelte tecnico-discrezionali prevalenti su quelle assunte dalla
Regione:
- in base al terzo periodo del nono comma
(v. art. 151, comma 5, del testo unico), il Ministero può effettuare le proprie
scelte tecnico-discrezionali sulla accoglibilità della domanda, quando la
Regione non l’abbia tempestivamente esaminata;
- in base al decimo e all’undicesimo comma
(v. l’art. 156 del testo unico), in relazione alle "opere da eseguirsi
da parte di amministrazioni statali" il Ministero può anche provvedere
"in difformità della decisione regionale".
Sotto tale aspetto, va rimarcato che il
decimo comma dispone che il Ministero "in ogni caso" può
effettuare le proprie valutazioni "anche in difformità della decisione
regionale", proprio per evidenziare che, solo per tali opere, la
scelta finale spetta al Ministero, che può effettuare valutazioni (sugli
interessi coinvolti) diverse ed opposte a quelle già formulate dalla Regione.
Pertanto, l’espressione del nono comma su
cui si è incentrata la Sesta Sezione nella decisione di rimessione (in base
alla quale il Ministro può annullare "in ogni caso" l’autorizzazione
regionale) non può essere intesa nel senso che da sola (e in assenza di ogni
elemento testuale simile a quello previsto dal decimo comma) costituisca il
fondamento del potere ministeriale di riesame ‘di merito’:
- il decimo comma ha attribuito un potere
decisorio discrezionale (con l’espressione "può in ogni caso"),
in base al quale la scelta finale spetta al Ministero ("anche in
difformità della decisione regionale");
- il nono comma ha attribuito un simile potere
tecnico-discrezionale (con l’identica espressione "può in ogni caso"),
soltanto in relazione alla scelta di annullare o di non annullare
l’autorizzazione illegittima (qualora l’originaria domanda si manifesti in sé
accoglibile), ma ha precluso che la scelta finale sia effettuata dal Ministero,
perché non ha ripetuto l’ulteriore espressione "in difformità della
decisione regionale".
11.2. In secondo luogo, il novellato nono
comma dell’art. 82 non ha attribuito al Ministero un potere corrispondente a
quello previsto dal suo originario quarto comma, riguardante il potere di
evitare "pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali".
Come si è osservato nel precedente punto
6, prima della riforma del 1985 il quarto comma dell’art. 82 ha previsto il
potere del Ministero di formulare valutazioni di merito e contrarie alla
modifica dei luoghi (anche se era stata rilasciata l’autorizzazione), mediante
un atto successivo alla conclusione del procedimento.
Mediando il riparto dei poteri tra lo
Stato e le Regioni, il novellato nono comma dell’art. 82:
- ha fissato il principio per cui il
Ministero può impedire la realizzazione delle opere autorizzate, mediante
l’esercizio del potere di annullamento (sicché il quarto comma è divenuto
inapplicabile per i casi in cui la Regione abbia emesso una autorizzazione
divenuta efficace, perché essa è annullabile entro il prescritto termine di
sessanta giorni);
- ha disciplinato il potere di
annullamento con una espressione ben diversa da quella contenuta nel quarto comma
(che espressamente ha attribuito il potere di impedire che sia arrecato "pregiudizio"
all’area tutelata), con ciò disponendo univocamente che il Ministero non può
effettuare una scelta finale difforme da quella legittimamente effettuata dalla
Regione.
11.3. In terzo luogo, la legge non ha
consentito al Ministero di modificare il contenuto dell’autorizzazione e di
imporre modifiche progettuali, poiché in base al nono comma (come a suo tempo aveva
osservato la circolare ministeriale 31 agosto 1985, n. 8, al punto b’) solo la
Regione (o l’ente individuato dalla legge) può autorizzare la modifica dei
luoghi, senza spazio per le determinazioni modificative unilaterali del
Ministero, che può solo opporre il proprio veto alla modifica dei luoghi.
Poiché il legislatore ha valorizzato fino
a tale punto le valutazioni regionali sulle modalità progettuali, non sarebbe
coerente ammettere che il Ministero annulli la legittima autorizzazione quando
non condivida tali modalità ovvero contesti radicalmente la realizzabilità
delle opere.
11.4. Infine, non può sottacersi che, come
ha dato atto la decisione di rimessione, la giurisprudenza di questo Consiglio
(sin dalla richiamata decisione della Sez. VI, 14 novembre 1991, n. 828) si è
costantemente orientata nel senso che il Ministero possa annullare
l’autorizzazione solo quando essa risulti illegittima (sia pure sotto ogni
profilo di eccesso di potere), e non anche per "ragioni di merito"
(Sez. VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sez. VI, 20 ottobre 1999, n. 1480; Sez. VI,
20 novembre 1998, n. 1249; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sez. VI, 22
giugno 1997, n. 952; Sez. VI, 30 dicembre 1995, n. 1415; Sez. VI, 12 maggio
1994, n. 771; Sez. VI, 29 gennaio 1994, n. 75; Sez. VI, 12 novembre 1993, n.
849).
Appare dunque significativo che nessuna
norma interpretativa sia stata emanata nel frattempo, per superare tale
"diritto vivente", più volte ribadito e contro il quale neppure sono
state formulate particolari osservazioni in sede dottrinaria.
12. Il Ministero ha ritenuto che tale
interpretazione ‘riduttiva’ dell’art. 82, nono comma, si porrebbe in contrasto
con gli articoli 3, primo comma, 9, secondo comma, 97 e 118 della Costituzione,
perché vi sarebbe un sistema irrazionale, caratterizzato dalla insufficiente
salvaguardia dei beni ambientali e dalla sostanziale prevalenza delle
valutazioni dell’autorità delegata (o subdelegata).
12.1. Ritiene l’Adunanza Plenaria che le
sollevate questioni vadano dichiarate manifestamente infondate.
Il legislatore ha previsto una concorrenza
di poteri dello Stato e della Regione in relazione al procedimento di esame
della domanda di autorizzazione paesistica, sulla base di scelte discrezionali
non manifestamente irragionevoli, che hanno tenuto conto dei valori in
conflitto ed hanno comunque ribadito in materia la rilevanza dei principi di
legalità e del buon andamento dell’azione amministrativa (per i quali qualsiasi
modifica del territorio nazionale deve basarsi su un atto amministrativo
legittimo: Sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2030).
In base ad un sistema peculiare (che ha
evitato le ipotesi estreme, verificatesi prima del 1985, dell’esercizio
unilaterale del potere autorizzativo da parte dello Stato, sino al 1977, o
della Regione, dal 1977 al 1985), il nono comma dell’art. 82 (come modificato
con la legge n. 431 del 1985) ha attribuito ampi poteri al Ministero, che, pur
non potendo sovrapporre le proprie determinazioni a quelle della Regione o
dell’ente da questa individuato, può salvaguardare l’ambiente ed il paesaggio
(senza bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale), mediante il motivato
annullamento della autorizzazione che risulti illegittima, anche per eccesso di
potere e pure per gli specifici profili di inadeguata valutazione delle
circostanze o per insufficiente motivazione, illogicità manifesta e violazione
del principio di leale cooperazione per mancata considerazione degli interessi
nazionali.
Considerata la latitudine dei poteri di
annullamento ministeriale, va considerata non insufficiente la tutela del
paesaggio e dell’ambiente, disposta dalla normativa in esame.
Va pertanto pienamente condiviso
l’orientamento della Corte Costituzionale, per il quale le riforme avutesi nel
1977 e nel 1985 hanno ripartito i relativi poteri allo Stato e alle Regioni,
con uno "spessore dei poteri statali", e correlativamente dei poteri
delle Regioni, che trova il suo fondamento nell’art. 9 della Costituzione
(Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 36; Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 153).
12.2. L’equilibrio dei poteri disposto dal
nono comma dell’art. 82 non appare irrazionale, anche se confrontato con le
diverse e sopravvenute soluzioni istituzionali, previste dalle leggi quando le
valutazioni vanno effettuate in sede di conferenza di servizi.
Ai sensi del comma 3 dell’art. 14 quater
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (nel testo modificato dalla legge 24 novembre
2000, n. 340), nel caso di "motivato dissenso" "espresso
da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico
territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, la
decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri, ove l’amministrazione
dissenziente o quella procedente sia un’amministrazione statale".
In relazione al "procedimento di
rilascio del permesso di costruire", identici principi sono stati
disposti dal comma 6, primo periodo, dell’art. 20 del testo unico in materia
edilizia 6 giugno 2001, n. 380, che ha richiamato l’art. 14 quater della legge
n. 241 del 1990.
Tale normativa:
- mirando a semplificare l’azione
amministrativa, ha previsto un istituto (volto alla contestuale valutazione di
un progetto o di una domanda di permesso di costruire, da parte di più
amministrazioni) che può concludersi con un "provvedimento finale conforme
alla determinazione conclusiva favorevole", che "sostituisce,
a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di
assenso comunque denominato delle amministrazioni partecipanti, o comunque
invitate a partecipare alla conferenza";
- col richiamo a ogni "atto di
assenso comunque denominato" si riferisce anche ai casi di modifica di
un bene sottoposto al vincolo paesistico e al potere autorizzativo regionale ed
a quello statale di riesame dell’autorizzazione, che possono manifestarsi col
consenso o col dissenso, con le conseguenze previste dall’art. 14, quater,
commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990.
Rispetto al potere esercitabile prima
della conclusione del procedimento ai sensi del nono comma dell’art. 82 del
decreto legislativo n. 616 del 1977 (e dell’art. 151, comma 4, del testo unico
n. 490 del 1999), nell’ambito del procedimento riguardante la conferenza di
servizi il Ministero è titolare del più ampio potere di veto, che può basarsi
su valutazioni di salvaguardia diverse e opposte da quelle formulate dalla
Regione o dall’ente titolare del potere di rilasciare l’autorizzazione.
Tuttavia, la notevole diversità dei moduli
procedimentali in comparazione (e della distinta ratio posta a loro
base) fa escludere la manifesta irrazionalità della regola dell’annullabilità
dell’autorizzazione paesistica per i soli suoi vizi di legittimità:
- la conferenza di servizi si caratterizza
per l’esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti e per la
semplificata possibile acquisizione del consenso delle Amministrazioni, con una
propria disciplina sulla relativa conclusione, anche in ordine alle varie
scansioni temporali del procedimento;
- il procedimento previsto dal richiamato
nono comma dell’art. 82 si concentra sulla sola valutazione degli interessi
paesistici e ambientali e comporta un diverso spatium deliberandi per il
Ministero, che prima della conclusione del procedimento, entro sessanta giorni,
a difesa del vincolo può impedire la produzione degli effetti
dell’autorizzazione che risulti illegittima;
- il dissenso manifestato in sede di
conferenza dal Ministero non si sovrappone ex se e definitivamente alle
valutazioni eventualmente difformi dell’autorità competente al rilascio
dell’autorizzazione paesistica, poiché (similmente a quanto avviene
nell’ipotesi inversa, di consenso statale ad un progetto non condiviso da tale
autorità) attiva l’ulteriore competenza del Consiglio dei Ministri, la cui
motivata determinazione finale comporta la conclusione del procedimento, in
sede di alta amministrazione.
13. Sulla questione di massima sollevata
dalla Sesta Sezione, ritiene dunque l’Adunanza Plenaria che:
a) in sede di esame dell’istanza di
autorizzazione paesistica, ai sensi dell’art. 82, nono comma, del decreto
legislativo n. 616 del 1977 (come trasfuso nell’art. 151 del testo unico n. 490
del 1999), la Regione (o l’autorità designata dalla legge regionale) deve
rispettare il principio-cardine della leale collaborazione con gli organi del
Ministero e gli altri consueti principi sulla legittimità dell’azione
amministrativa, sicché dalla motivazione della autorizzazione si deve potere
evincere che essa è immune da profili di eccesso di potere, anche per quanto
riguarda l’idoneità dell’istruttoria, l’apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze
di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla
prevalenza di un valore in conflitto diverso da quello tutelato in via
primaria;
b) in sede di esame del contenuto della autorizzazione
paesistica e prima della conclusione del procedimento, il Ministero può
motivatamente valutare se la gestione del vincolo avviene con un atto
legittimo, rispettoso di tutti tali principi, e annullare l’autorizzazione che
risulti illegittima sotto qualsiasi profilo di eccesso di potere (senza il
bisogno di ricorrere in sede giurisdizionale e ancor prima della modifica dei
luoghi), ma non può sovrapporre le proprie eventuali difformi valutazioni sulla
modifica dell’area, se l’autorizzazione non risulti viziata.
In sostanza, i poteri del Ministero si
caratterizzano per le seguenti peculiari soluzioni procedimentali:
- il Ministero può esercitare un potere
tecnico discrezionale sul "se" annullare l’autorizzazione, nel senso
che può gestire il vincolo prestando il proprio consenso (anche quando
l’autorizzazione non risulti adeguatamente motivata), qualora l’originaria
domanda risulti di per sé accoglibile e non lesiva per i valori salvaguardati
(salva la tutela giurisdizionale di chi sia legittimato ad impugnare
l’autorizzazione illegittima);
- qualora ritenga di non prestare il
proprio consenso e di avvalersi del potere di annullamento (a salvaguardia del
principio di legalità ovvero per evitare il pregiudizio all’area tutelata), il
Ministero può svolgere l’ampio sindacato di legittimità consentito
dall’ordinamento (corrispondente a quello che potrebbe esercitare il giudice
amministrativo nel caso di impugnazione dell’autorizzazione non annullata in
sede amministrativa);
- in questo secondo caso, il Ministero (a
differenza di quanto avviene in sede giurisdizionale, in cui la legittimità
della autorizzazione divenuta efficace va esaminata nei limiti dei motivi
dell’impugnazione) può esaminare d’ufficio tutte le questioni e porre a base
dell’annullamento ogni riscontrato vizio (con una motivazione che non può
dunque ridursi ad una mera clausola di stile sul pregiudizio ai valori
ambientali).
13. Sulla base di tali considerazioni, si
può passare all’esame delle censure assorbite dal TAR e riproposte con l’appello
incidentale.
13.1. Con l’impugnato decreto di data 11
ottobre 1999, la Soprintendenza ha ritenuto che l’autorizzazione comunale
sarebbe illegittima per eccesso di potere sotto il profilo della
"incongruità della motivazione", poiché:
- "pur individuando correttamente fra
gli elementi di rischio l’alterazione della orografia originaria, approva
notevoli movimenti di terra e sbancamenti";
- "non individua fra gli elementi di
rischio la alterazione del quadro naturale di non comune bellezza",
indicato nel decreto di vincolo del 6 febbraio 1959;
- "non esplicita nessuna valutazione
sulla percepibilità dell’intervento dal lago";
- l’intervento, "per le sue
dimensioni, appare significativamente incidente sul quadro paesaggistico",
"con sostanziale alterazione dell’area soggetta a vincolo".
13.2. Col secondo, terzo e quarto motivo
del ricorso di primo grado, gli appellati hanno lamentato che in tal modo la Soprintendenza
ha annullato l’autorizzazione paesistica sostituendo il proprio apprezzamento
discrezionale a quello espresso dal Comune di Gardone Riviera, e dunque sulla
base di un non consentito "sindacato di merito".
In particolare, essi:
- hanno dedotto che l’autorizzazione è
stata emanata sulla base di una istruttoria e di una motivazione che hanno tenuto
conto di un precedente atto statale, che aveva annullato l’autorizzazione già
rilasciata il 6 maggio 1999;
- hanno evidenziato che rispetto
all’originario progetto è stata prevista la riduzione degli sbancamenti;
- hanno osservato che l’originario decreto
impositivo del vincolo era volto a salvaguardare la visibilità del lago
dall’area vincolata (e non la visibilità dal lago delle aree vincolate, come
erroneamente ritenuto dalla Soprintendenza);
- hanno lamentato che, con una motivazione
generica, la Soprintendenza non ha posto a base dell’annullamento un vero e
proprio vizio di legittimità dell’autorizzazione.
13.3. Le censure così riassunte risultano
fondate e vanno accolte.
Il provvedimento statale di annullamento
della autorizzazione paesistica non può basarsi su una propria valutazione
tecnico-discrezionale sugli interessi in conflitto e sul valore che in concreto
deve prevalere, né può apoditticamente affermare che la realizzazione del
progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla
esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella
motivazione), che non siano stati esaminati dall’autorità che ha emanato
l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati, in
contrasto con la regola-cardine della leale cooperazione o con gli altri
principi sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Nel caso di specie, la Soprintendenza ha
formulato un proprio giudizio sulla non compatibilità dell’intervento con le
esigenze di salvaguardia dell’area vincolata, con alcune osservazioni sul
pregiudizio ambientale, le quali (pur non inficiando di per sé l’atto di
annullamento, poiché miranti a fare emergere la rilevanza dei valori tutelati)
non hanno evidenziato uno specifico vizio della autorizzazione comunale, ove si
consideri che:
- la ratio decidendi basata sul
progettato sbancamento risulta apodittica e non si è fondata su una specifica
motivazione, in concreto necessaria perché il parere posto a base della
autorizzazione (di data 30 luglio 1999) aveva già rilevato come "una
riduzione della terra di scavo comporterebbe un incremento dei riporti ed il
sopralzo del piano d’imposta dei fabbricati, con conseguente peggioramento
delle visuali panoramiche" (è decisivo considerare che il decreto dell’11
ottobre 1999 non ha preso in esame tali considerazioni tecniche e, meramente
richiamando una circostanza già emersa nel corso del procedimento, neppure si è
pronunciato sulle specifiche caratteristiche del terreno, sotto il profilo
geologico);
- il richiamo alla incidenza delle opere
(anche per le loro dimensioni) sul "quadro naturale di non comune
bellezza" è stato anch’esso effettuato apoditticamente e con una clausola
di stile, senza indicare in concreto uno o più elementi in base ai quali la valutazione
comunale sulla modificabilità dei luoghi si sarebbe potuta considerare
pregiudizievole per il razionale esercizio del potere di pianificazione
paesistica, ovvero manifestamente illogica, in ragione dei valori tutelati, o
invasiva delle competenze statali (art. 82, terzo comma) in ordine alla revoca
del vincolo.
Sotto tale aspetto, va rimarcato che il
decreto di annullamento non ha specificamente ravvisato la mancata
considerazione degli interessi nazionali, né ha individuato uno specifico
profilo di anomalia della scelta comunale anche in relazione alla regola della
leale cooperazione.
L’unico specifico profilo, posto dalla
Soprintendenza a base del suo atto di annullamento, è ravvisabile nella assenza
di valutazioni comunali "sulla percepibilità dell’intervento dal
lago" (nella specie non contestata).
Al riguardo, ritiene l’Adunanza Plenaria
che, in linea di principio, la maggiore o minore visibilità delle opere
progettate debba essere oggetto di una specifica valutazione in sede di esame
della domanda di autorizzazione, poiché per la tutela dell’ambiente e del
paesaggio è essenziale che le valutazioni amministrative risultino consapevoli
della concreta incidenza delle opere sul contesto ambientale e della
irreversibile riduzione dei tratti naturali esistenti e di quelli percepibili,
anche in relazione alle previsioni dei piani paesistici.
In concreto, tuttavia, la Soprintendenza
non ha tenuto conto delle indicazioni contenute nella parte finale del già citato
parere (posto a base della autorizzazione), il quale ha specificamente indicato
i luoghi dai quali le opere sarebbero risultate visibili.
Per tal parte, il decreto di annullamento
ha incongruamente ravvisato un eccesso di potere della autorizzazione, poiché
ha sic et simpliciter richiamato una circostanza di fatto sì rilevante,
ma già evidenziata e considerata nel corso del procedimento, e non ha esposto
alcuna motivazione su elementi fondanti una manifesta irragionevolezza della
valutazione comunale o sulla obiettiva sussistenza di altre prospettive di
visibilità, non segnalate dal Comune.
14. Per le ragioni che precedono, il
decreto della Soprintendenza impugnato in primo grado risulta illegittimo e va
annullato, poiché ha dato prevalenza alle proprie valutazioni sulla esigenza di
salvaguardare il bene ambientale, rispetto a quello formulate dal Comune, senza
esporre una adeguata motivazione sulla sussistenza di uno specifico profilo di
illegittimità dell’autorizzazione paesistica.
Pertanto, in accoglimento dell’appello
incidentale, va confermato il dispositivo della sentenza impugnata, con cui è
stato già disposto l’annullamento del decreto dell’11 ottobre 1999.
Sussistono giusti motivi per compensare
tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Adunanza Plenaria), pronunciando sull’appello n. 508 del 2001
e n. 8 del 2001 dell’Ad. Plen., e in accoglimento dell’appello incidentale,
conferma il dispositivo della sentenza impugnata e mantiene fermo
l’annullamento del provvedimento n. 12436 dell’11 ottobre 1999 della
Soprintendenza dei beni ambientali e architettonici di Brescia
Compensa tra le parti le spese e gli
onorari dei due gradi del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia
eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di
consiglio tenutasi il giorno 29 ottobre 2001, presso la sede del Consiglio di
Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori:
Alberto de Roberto Presidente
Sergio Santoro Consigliere
Domenico La Medica Consigliere
Costantino Salvatore Consigliere
Giuseppe Farina Consigliere
Anselmo Di Napoli Consigliere
Corrado Allegretta Consigliere
Luigi Maruotti Consigliere estensore
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Marcello Borioni Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Pietro Falcone Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il..............14/12/2001...........................
(Art. 55, L.
27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE