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Tribunale di Como Ordinanza 30 novembre 2001

 

 

Omissis

1 – Va premesso che i ricorrenti Bertoldo Losanna + altri e intervenuti (nessuna considerazione ostando a tale intervento non foss’altro che per i motivi di economia processuale, e nessun diritto di difesa risultando leso in danno della parete resistente, quantomeno nella presente fattispecie procedimentale, in danno delle parti resistenti) hanno, come in molti degli analoghi casi risolti (in via cautelare e di merito) nelle numerose pronunce giurisprudenziali (invocate da parte ricorrente così come resistente), lamentato la presenza di immissioni costituite da campi elettromagnetici (di qui in poi C.E.M.) in particolare a bassa frequenza (di qui in poi, E.L.F. – etremely low frequency) asseritamene – e del resto, incontestatamente e pertanto pacificamente, quantomeno per i fini cautelari che qui rilevano – prodotti da due linee di elettrodotti "ad alta tensione", rispettivamente di 132 KV e 220 KV, posizionati a poca distanza dalle loro abitazioni, con conseguente richiesta, in via e sede cautelare, di emissione di ordinanza che imponga all’E.N.E.L. S.P.A. (ora, per tali questioni, T.E.R.N.A. S.P.A.) e all’ente gestore della rete (G.R.T.N. S.P.A.) ogni misura idonea a ricondurre dette immissioni nell’ambito della "normale tollerabilità", in prospettiva di articolate – ed esplicitamente espresse in ricorso – domande principali risarcitorie (solo in via di subordine richiedendo indennizzo per il deprezzamento dei rispettivi immobili).

2 – Occorre in primo luogo dare soluzione alla questione (comunque elevabile d’ufficio) preliminare, ampiamente assorbente ove accolta l’eccezione del difetto di giurisdizione, posta sempre tardivamente da parte resistente, in particolare "T.E.R.N.A." che ha invocato l’applicazione dell’art. 33 comma 1 (e 2 lett. e) del D. Leg.vo 31/03/1998 n. 80, così come modificato dalla L. 21/07/2000 n. 205.

2.1 – La questione è infondata: va ritenuta infatti sussistere la competenza giurisdizionale dell’A.G.O. (e quindi di questo Tribunale) a conoscere della presente controversia.

Quest’ultima appare certamente, da un lato, riconducibile all’ipotesi escludente di cui alla seconda parte della lettera e) del 2° c. di detto articolo 33, e, d’altro canto, non sussumibile nella previsione di cui alla prima parte della medesima lettera e). Sotto tale ultimo aspetto, va osservato che qui non si controverte di modalità di esecuzione (generale o financo particolare) del servizio di erogazione e distribuzione di energia elettrica in quanto tale e in particolare sotto il profilo, per così dire, "ontologico" della natura e finalità (collettive e/o contrattuali) del servizio stesso, bensì piuttosto dalle accertande conseguenze intollerabilmente lesive e verso i fondi viciniori di emissioni – immissioni provenienti da già esistenti impianti di elettrodotto, il che ha condotto parte ricorrente a prospettare, appunto (con riferimento e a riscontro del primo aspetto di cui sopra) una domanda eminentemente risarcitoria (in subordine, indennitaria), nel concetto di risarcimento ridondando certamente anche quello in forma specifica, rispetto a cui è palesemente preordinata e finalizzata la soprarichiamata domanda di tutela cautelare (V. Cass. Sezioni Unite Civili 15/10/1908 n. 10.186, sul punto della correlazione tra richiesta di ordine di cessazione delle immissioni e richieste risarcitorie, nonché Cass. 9/12/00 n. 9893).

2 – Chiarito ciò, prima di addentrarsi nell’esame del merito della presente vicenda cautelare, è altresì opportuno premettere che, almeno nella attuale fase storica le norme giuridiche abbisognano ancora di una operazione eminentemente umana, quella della "interpretazione" similmente a ciò che avviene – mutatis mutandis – per uno spartito musicale ove le note altro non sono che segni cartacei, che diventano suono nel modo scelto dall’esecutore, il quale non potrà in alcun caso modificare tali note, ma ne darà la sua "lettura" (sono ben conosciute anche notevoli differenze di significato – pur restando nei predetti invalidabili limiti – che possono assumere le diverse versioni del medesimo brano musicale, ma ciò del resto vale anche per altri campi artistici, come il teatro la danza, ecc.).

3 – E proprio nel vasto ambito di problematiche interpretative a vario titolo inerenti l’art. 844 c.c., cui del resto esplicitamente i ricorrenti (e gli interventori hanno ancorato la propria iniziativa cautelare, va innanzitutto puntualizzato che è ormai da tempo consolidato il principio secondo cui il concetto di "simili propagazioni" (superanti la normale tollerabilità) non può essere ristretto alle sole immissioni immediatamente avvertibili su un piano "organolettico", con cinque sensi dell’essere umano (ma va esteso anche a quelle idonee comunque, anche solo in prospettiva (purchè reale, e non solo putativa), ad influire – evidentemente, in modo lesivo – sull’organismo umano.

Basti considerare, che così non orientandosi, si perverrebbe alla conseguenza – anche secondo il senso comune palesemente incongrua – che, sancita ex art. 844 c.c. un’attività del fondo vicino la cui unica nocività si riassuma nel rumore (eccedente il limite, consolidato in giurisprudenza, del "supero" di 3 DBA rispetto al "fondo), resterebbe invece indenne sotto il medesimo profilo la emanazione verso il fondo "protetto" di fortissime radiazioni nucleari, com’è noto non avvertibili immediatamente ma dalle altrettanto di comune conoscenza micidiali conseguenza (V. per tutte, Cass. n. 1404/79).

4 – Nel caso di specie, si ha a che fare con un’entità che, pur pacificamente non certo immaginaria (anche secondo la pur vigorosa impostazione difensiva dei due resistenti, "T.E.R.N.A., e G.R.T.N.") si presenta comunque come, in senso stretto, "eterea", poiché, - e anche ciò rientra ormai in massima di comune sentire – i campi elettromagnetici (tra cui anche quelli "E.L.F."), o meglio le loro conseguenze non necessitano di un particolare vettore (quale aria, terra, acqua, o altro).

5 – Conseguentemente sviluppo di quanto sopra è che l’immissione sussimibile nella previsione dell’art. 844 c.c. è non soltanto quella che lede immediatamente, che produce subito un vulnus all’essere umano, ma è anche quella che comporti elementi di "rischio", nel senso di cui qui appresso.

5.1. – Premesso che per "rischio" deve intendersi, sempre secondo l’accezione universalmente accettata, la possibilità del verificarsi di un evento a vario titolo pregiudiziale (possibilità che può essere più o meno intesa, purchè esistente: ad esempio si può assicurare un immobile, purchè non venuto meno, contro rischi che per essere assolutamente remoti non cessano per ciò di essere tali), va affermato in linea generale (e salvo, ovviamente, le verifiche che qui in motivazione seguiranno in ordine alla sussistenza di tutti gli altri necessari presupposti) che può trovare tutela nell’ambito dell’art. 844 C.C., anche la fattispecie, come quella in esame, in cui si verte non tanto di lesione già in atto all’attualità, quanto di rischio – purchè esistente e, si vedrà poi qui di seguito, e oltre una certa soglia – che determinati fattori (i campi E.L.F.) siano produttivi, già oggi, di concreto pericolo che, domani, si verifichi, o meglio si estrinsechi perfezionandosi, una lesione.

Traducendo tutto quanto sopra in termini soggettivi, può dirsi allora che il soggetto protetto dall’articolo 844 C.C. ha diritto di essere esente non solo da propagazioni immediatamente – avvertibilmente dannose, ma anche da propagazioni "rischiose", e ciò sia sotto il profilo del diritto soggettivo della persone e sia del diritto soggettivo dominicale (il fondo gravato da un tale rischio è oggettivamente e indebitamente menomato per causa imputabile non al suo proprietario, ma al vicino).

5.1.1. – Occorre tuttavia verificare se "il rischio" sia esistente e concreto.

Premettendo che anche nei casi di conclamata pregnanza di determinati fattori rispetto a gravi patologie umane (in particolare, neo-plastiche, con inquadramento secondo i criteri, più volte menzionati in atti, dello I.A.R.C., in classe 1), sempre e comunque di "rischio", e mai di certezza, si tratta (per esempio, è noto ed esperienza comune di ognuno che vi sono accaniti fumatori che pervengono ad anche tardissima età e decedono poi per tutt’altre cause che tumori polmonari, cos’ come essi vengono contratti anche da individui assolutamente esenti da sempre dal vizio del fumo), in linea generale, così come con riferimento alla specifica fattispecie qui in esame, può formularsi il seguente paradigma graduale:

a) il rischio non esiste in assoluto, è puramente immaginario e psicologico: pur essendosi comunque una "lesione" (seppur non al "soma", ma alla "psiche") non può esservi tutela;

b) il rischio esiste, ma resta nettamente al di sotto di una ragionevole soglia, con valori che eventualmente accomunano una determinata fattispecie con una serie in definitive di altre (ad esempio, non vi è porzione della superficie terrestre che sia esente dal rischio della caduta di aeromobili): anche in tal caso non troverebbe giustificazione la tutela ex art. 744 c.c.;

c) il rischio esiste, e supera una soglia la cui "ragionevolezza", trattandosi tra l’altro, come nel caso in esame, appunto di immissioni non organoletticamente avvertibili, deve essere determinata scientificamente (C.T.U. Dr. Berzino).

In tale ultima ipotesi, deve concludersi che il danno, sotto forma di rischio, è già in atto, ed allora esso va pervenuto – risarcito (risarcimento in forma specifica), anche se si tratta, come del resto sempre nel caso di "rischio", di un’ipotesi, per così dire, "ambulatoria", nel senso che non si sa quando e chi l’evento materialmente lesivo colpirà (ma invece si sa che quanto esso colpirà sarà giuridicamente "troppo tardi", nel senso che un evento lesivo che si poteva prevenire si è invece già verificato, il che costituisce di per sé una rottura dell’ordine giuridico, il quale è improntato al privilegio – come si evince dalla normativa nei più svariati settori – verso la prevenzione, e in subordine la riduzione del danno rispetto al suo risarcimento per equivalente monetario, "ultima thule" tra i vari rimedi giuridici).

Esclusa a priori la sussumibilità della fattispecie in esame nell’ipotesi di cui qui sopra sub a) (neppure le due parti resistenti, in nessun atto, hanno financo soltanto ipotizzato trattasi di ossessioni psicopatologiche dei ricorrenti, occorre invece, qui e ora, optare tra le altre due possibilità, quella sub b) (rischio esistente ma sotto la soglia) ovvero quella sub c) (rischio oltre la soglia), anche, (ma non solo e soprattutto non meccanicamente, trattandosi di categoria concettuale che vige nell’ambito di normative pubblicistiche, i cui destinatari, più che i "cives", appaiono essere le Pubbliche Autorità), alla luce del noto principio (del resto non coincidente ma contiguo con il concetto di "cautela" sotto ogni profilo considerato) di "precauzione".

Ove si consideri inverata l’ipotesi di cui sopra sub c), e sussistendo tutti gli altri presupposti di legge, dovrà allora rinvenirsi quale sia il rimedio giuridicamente e tecnicamente esperibile (CTU Prof. Berizzi).

6 – Come riferito anche dal C.T.U. Dr. Berzino nella "comunità scientifica" si indaga sulla possibile correlazione tra esposizione umana e campi "E.L.F." e insorgenza di "diverse patologie, in particolare…neoplastiche" "fin dalla fine degli anni 70".

6.1. – In proposito, va innanzitutto osservato che non è evidentemente pensabile che così numerosi scienziati e/o gruppi di scienziati via via succedutisi nel tempo e nelle varie nazioni della terra si siano cimentati a verificare tali possibili correlazioni per pura ed astratta curiosità speculativa (non è data sapere che siano mai state iniziate indagini epidemiologiche in ordine a mezzi causali tra fattori palesemente innocui o addirittura anti-patogeni e malattie), mentre è da ritenere che essi si siano dipartiti, se non da concreti indizi in senso, quantomeno da serie ipotesi di lavoro.

6.2. – E’ ovvio che ciò non è certamente sufficiente neppure in termini di mera precauzione (per quanto non sarebbe irragionevole che taluno, agendo sul "proprio", si atteggi in modo da evitare fattori rispetto a cui vi sia meno lieve sospetto di pericolosità-lesività).

Occorre invece formulare valutazioni eziologiche, in positivo o al contrario in negativo, in ordine alla relazione tra tali fattori (nella fattispecie, patologie, umane in particolare neoplastiche).

6.2.1. – Non ci si può esimere tuttavia dal menzionare, seppur sommariamente, il "tormento" interpretativo che, in materia di nesso di causalità, ha pressocchè da sempre, attanagliato giudici e giuristi (e non solo: "A saldare questo circolo, per cui non si dà tecnica se non come esercizio della ragione, e non si dà ragione se non come procedura tecnica, è la previsione, l’attributo di Prometeo che "vede in anticipo" e anticipando l’evento, può stabilire nessi consequenziali tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo. In questi nessi ei esprime la nozione di causalità, nata in Occidente come difesa dell’angoscia di fronte all’imprevedibilità dell’accadere degli eventi a cui gli uomini soccombono per volere del destino.

"Conoscere la causa significa prevedere l’effetto, prepararsi al suo evento, sottrarsi all’accadimento imprevisto, ridurre il timore, placare l’angoscia in un sapere che sa di sé del corso immutabile delle cose" – U. Galimberti, "Psiche e teche"; "è indispensabile acquisire la scienza delle cause prime: infatti diciamo di conoscere una cosa quanto riteniamo di conoscere la causa prima" – Aristotele, "metafisica", libro I.

Più concretamente, e più attualmente, non può non tenersi conto in particolare che, da tempo, la Suprema Corte, sia civile sia penale, di questo Paese ha accolto nell’alveo della tematica del nesso eziologico il concetto di possibilità – probabilità meramente statistica.

Per il penale:

"il Giudice, avvalendosi del metodo della sussunzione sotto leggi statistiche ove non disponga di leggi universali, dirà che è probabile che la condotta dell’agente costituisca una condizione necessaria dell’evento, probabilità che altro non significa se non probabilità logica o credibilità razionale che deve essere di alto grado, nel senso che il giudice dovrà accertare che senza il comportamento dell’agente l’evento non si sarebbe verificato appunto con alto grado di probabilità (Cass. 06/12/90 su foro it. 1992, II, 36, nonché Cass. 20/01/1999 imp. Hautmann, Cass. 19/01/1999 imp. Montagner; Cass. 04/08/1998 imp. Ferrari; Cass. 19/01/1998 imp. Ferraglia; Cass. 04/02/1987 imp. Zucchi).

Per il civile:

"Nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione; e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale:" (Cass. 20.09.00 n. 12909, nonché Cass. N. 6388/98) e, nello stesso senso:

"In materia di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, l’accertamento dell’eziologia professionale di una malattia neoplastica è correttamente effettuato sulla base della rilevante probabilità della incidenza causale o concausale dei fattori nocivi professionali". (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la natura professionale anche del tumore polmonare da cui era risultato affetto un lavoratore, sofferente di broncopneumopatia non contestatamene professionale, il quale aveva assunto nel corsi di molti anni notevoli quantità di sostanze nocive provviste, secondo le attuali conoscenze in materia, anche di potenzialità cancerogene) (Cass. 7.4.1998 n. 3602).

6.3 – Da quanto sopra è scaturita l’opportunità di esperire una C.T.U. che consentisse a questa autorità giudiziaria di operare una ricognizione critica delle conoscenze scientifiche in ordine al nesso in questione.

La scelta del perito non è stata effettuato secondo i criteri casuali, ma individuando un soggetto che non solo per crediti e accreditamenti tecnico-scientifici, ma soprattutto per specifica professionalità consentisse di pervenire a valutazioni il più possibile attendibili: il C.T.U. (nominato previa specifica autorizzazione Presidenziale, in atti) Dr. Berzino, non è infatti un financo prestigioso, e financo specializzato in determinate patologie, sempre mediche, bensì è il direttore dell’unità epidemiologica dell’Istituto dei Tumori di Milano (e non paiono recepibili in proposito le riserve avanzate da parte resistente in ordine alla considerazione che egli, come scienziato, abbia potuto nel passato esprimere valutazioni anche sue proprie, poiché, a tale stregua, anche i giudicanti che abbiano emesso decisioni di un determinato segno teorico in analoga materia dovrebbero essere ricusati, col risultato che ogni Giudice, in tali materie, potrebbe emettere una sola sentenza, la prima in senso cronologico, in tutta la sua carriera).

6.3.1. – Orbene, il C.T.U., ha dato risposta nel modo che segue al quesito, che qui, per maggior comodità di lettura si riporta:

a) dica il C.T.U., se sulla base dei dati e valutazioni accreditati nella comunità scientifica i livelli di campi elettromagnetici denunciati da parte del ricorrente e interventrice e di cui all’analisi repertata come doc. 1 del fascicolo di parte ricorrente (superamento dei parametri di 0,2 nonché 0,5 nonché 1 microtesla nei punti ivi descritti) in rapporto alle specifiche condizioni abitative possano o meno costituire concreto rischio per la salute, specificando, nell’affermativa natura, entità e grado di tale rischio.

b) Dica il C.T.U. sulla base di cui sopra, quali siano i valori al di sotto dei quali anche sotto il profilo del "principio di precauzione", non sia ragionevolmente ipotizzabile il rischio di cui sopra o quantomeno al di sotto dei quali non risulti segnalato alcun eccesso di rischio sanitario".

6.2.2. – Premettendo che il già menzionato I.A.R.C. (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) di Lione aveva a suo tempo classificato "i campi E.L.F. nella categoria" 2 B (possibili cancerogeni categoria di cui peraltro fanno parte non soltanto, come veritieramente ma suggestivamente ricordato negli atti delle due parti resistenti, "la saccarina e il caffè", ma anche DDT e piombo) ed elencando in apposite tavole sinottiche (7a e 8a facciata) una esauriente serie di speciali studi di settore a livello internazionale, il C.T.U. ha convincentemente dato rilievo a due studi che si differenziano sostanzialmente dagli altri per essere, in sostanza, di essi la sintesi e al tempo stesso l’ampliamento (non è necessaria una particolare conoscenza dell’epidemiologia e scienze statistiche in generale per comprendere che più ampio e numeroso è il materiale esaminato più attendibile è il risultato e al tempo stesso meno significativa l’incidenza di fattori estranei alla ricerca e/o in generale gli eventuali errori e casualità).

Ci si riferisce qui a due studi che costituiscono entrambi "meta-analisi" (realizzate, tra gli altri, da "alcuni dei più stimati metodologi in campo epidemiologico) ossia rianalisi e sintesi di numerosi altri precedenti studi nella medesima materia, ed entrambi pubblicati nell’anno 2000 (effettivamente, quindi, successivamente ad almeno parte dei provvedimenti dei giudici di merito invocati da parte resistente, che comunque di essi non fanno menzione alcuna).

In particolare, dallo studio di AHLBON ET AL si desume argomentatamente la esistenza di un R.R. (cioè la traduzione in termini matematici dell’aumento o diminuzione, se sotto l’unità – della possibilità ammalarsi) di 2,00 (con "intervallo di confidenza", cioè, in sostanza, probabilità che il dato sia esatto, del 95%) con riferimento alle specifiche patologie costituite dalle leucemie infantili per i soggetti che siano esposti a campo ELF "uguali o maggiori di 0,4 microtesla" (valore di misura dell’intensità di tali campi).

Sempre con lo stesso, rassicurante, "intervallo di confidenza" del 95% ad analoghe conclusioni (RR=2,06) è pervenuta anche l’altra "metanalisi" valorizzata, di Grenland Et Al, sempre dell’anno 2000, come si è detto e sempre con esclusivo riferimento alla leucemia.

Ben motivatamente (v. anche argomentazioni alla 3a 4a e 5a facciata) quindi il C.T.U., scettica o quantomeno non altrettanto univoca essendo la valutazione nell’elaborato per quanto riguarda altre patologie, perviene, dopo aver anche riferito (elemento questo che suscita particolare attenzione nell’operatore giuridico del campo civilistico, permeato dall’esistenza e attribuzione degli oneri probatori) della assenza – implicitamente riconosciuta del resto poi anche dai C.T.P. delle due parti resistenti – di "studi che vanno inequivocabilmente nell’altra direzione (ossia che non si limitino a ritenere non sufficientemente dimostrato il nesso eziologico-statistico-epidemiologico), che "nei bambini esposti a livelli superiori a 0,4 mocrotesla il rischio di leucemia" (infantili, evidentemente) "è aumentato del 70% (R.R.=1,7) e che "nei bambini esposti a livelli superiori a 0,4 microtesla il rischio è aumentato del 100% (cioè raddoppiato).

Pure documentatamene il C.T.U. ha dato conto di come "le segnalazioni di rischio per livelli inferiori" superiori a 0,3 microtesla "non possono essere considerate che ipotesi" (ipotesi che peraltro, subito appresso valuta come comunque da seriamente considerare, seppur non utilmente ai fini che qui rilevano).

6.3.3. – Le risultanze di detta C.T.U. del Dr. Berzino sono state sottoposte a vivace critica da parte delle due società resistenti, e cioè dai relativi difensori e C.T.P. (Prof. Carlo La Vecchia e Prof. Enrico Piera).

Parimenti convincente è risultata la replica contenuta nella successiva nota 13.09.2001 in atti del C.T.U. le cui considerazioni appaiono pregnanti ed assorbenti.

In particolare, è opportuno richiamare qui la corretta (e utile anche in ordine a quanto qui oltre al punto 7.3.4) e argomentata considerazione ivi contenuta, secondo cui "il fatto che l’esposizione a campi magnetici di intensità tale da poter causare un aumento di rischio significativo di leucemia infantili riguardi solo una piccola frazione della popolazione generale (dell’ordine dell’un per cento) non toglie nulla al fatto che per quella frazione sussista un concreto rischio per la salute".

Pure congruo appare il rilievo che "mentre nella consulenza tecnica" (10.04.2001) si è fornito un quadro complessivo degli studi disponibili, mostrando come nel loro insieme raggiungano una massa di informazioni sufficiente a raggiungere una relazione di causa-effetto, i commenti del dr. La Vecchia (come pure quelli del dr. Piera alla relazione della dott.ssa Taioli) contengono una serie di citazioni da singoli studi di cui autori si preoccupavano giustamente di sottolineare che le loro osservazioni non potevano essere considerate individualmente conclusive, "laddove il quesito, come opportunamente sottolineato dal C.T.U.", non riguardava la conclusività dei singoli studi, bensì dell’insieme dei dati e valutazioni accreditati nella "comunità scientifica".

Espressione, quest’ultima certamente ampia e, per certi aspetti, metaforica – non esiste né un tempo né uno spazio comune a tutti gli "scienziati" – ma comunque certamente non coincidente col concetto autoritativo espresso dalle parti resistenti (V. in particolare memoria 24.10.2001 di parte "T.E.R.N.A." pagg. 1-2) secondo cui alle sole "istituzioni scientifiche" (che peraltro sono sfere "contaminate" da valutazioni, opportunità, e, "last but not least", soggettività politiche ed economiche) "è demandato il compito di accertare la pericolosità o meno dei campi elettromagnetici per la salute umana", non sopportando invece la scienza – perlomeno da quando si è affermato, dopo il medio-evo il metodo empirico e sperimentale – altra gerarchia e autorità se non quella degli argomenti nella loro validità.

6.4. – Conclusivamente su questo, peraltro essenziale, punto, ritiene questo Giudice della cautela, anche e in particolare con riferimento agli indefettibili requisiti del "fumus boni iuris" ed altresì anche del "periculum un mora" (poiché se, come qui si rileva, il rischio nel senso sopra richiamato esiste, i tempi necessariamente assai più prolungati del giudizio di piena cognizione appaiono incompatibili con l’urgenza della tutela anche in ordine alla problematica della irreparabilità), che l’impostazione sopra sunteggiata del CTU debba essere recepita:

E ciò non (sol) tanto perché formulata da personalità non solo notoriamente accreditate proprio nella banca specialistica occorrente alla bisogna, ma operante nella presente sede come soggetto "super partes" ausiliario del Giudice e come quest’ultimo "ontologicamente" terzo rispetto alle parti ed altresì vincolato dal giuramento (a differenza dei CTP, altrettanto per definizione "partigiani" e che la fisiologia quotidiana del processo civile anche in questioni che dovrebbero essere estremamente più semplici e quindi meno controvertibili – come le valutazioni medico-legali sulla singola persona – mostra come portatori di tesi anche e spesso diametralmente opposte a quelle del CTU, così come del resto altrettanto fisiologico – ancorché non certo obbligato – è il grado di maggiore attendibilità che in genere le Corti attribuiscono alle elaborazioni tecnico scientifiche dei consulenti dalle stesse nominati), bensì sulla base della valutazione critica di cui sopra del percorso logico-argomentativo che ha condotto il CTU (Dr. Berzino) alle conclusioni così come qui recepite.

Deve quindi ritenersi, alla luce di tutto quanto sopra, che con valori di intensità superiori a 0,3 microtesla dei campi E.L.F. in oggetto, e quindi in tutte e nelle sole situazioni – non contestate da parte resistente – interessanti le parti ricorrenti e/o intervenienti, sussista il concreto rischio in oggetto, da inquadrarsi quindi nell’ipotesi, favorevole alla necessità di intervento giurisdizionale, sunteggiata alla lettera c) del punto 5.1.1. di cui sopra della presente ordinanza.

6.5. – Non può nel caso in esame farsi ricorso al criterio, peraltro pacificamente sussidiario e invocato dalle pur "agguerrite" difese delle parti resistenti, con non particolare intensità della priorità d’uso, e ciò proprio alla luce di quanto sopra riferito dal C.T.U., Dr. Berzino ossia che solo in epoca recente sono iniziati i primi studi scientifici (non necessariamente noti a persone di media cultura) sulla possibile necessità dei campi magnetici.

6.6. – Neppure rileva, in particolare tenuto conto che, come testè richiamato, ci si muove nell’ambito normativo dell’art. 844 c.c., se nelle abitazioni dei ricorrenti e/o interventori in cui i campi "E.L.F." indotti dagli elettrodotti in questione superino la suddetta soglia abitino o meno bambini, perché, a parte che ciò è comunque irrilevante sotto il profilo della tutela dominicale (in ordine alla integrità del fondo e del suo valore, d’uso e di scambio), in ogni caso non si vede come tale eventualità (figli, nipoti, ecc.) possa essere a priori "malthusievamente" esclusa.

7 – Quanto al profilo già sopra al punto 6.4 accennato, va considerato che le parti resistenti, posta in dubbio la possibilità di cognizione del Giudice ordinario civile sotto un profilo processuale nel senso di cui sopra al punto 2.1 (difetto di giurisdizione), hanno "poi" (in senso logico-giuridico) dedotto che, in realtà, a nessuna valutazione sostanziale della fattispecie potesse addivenire tale Giudice civile ordinario, se non nei limiti, o meglio, ove non superati (come pacificamente non lo sono in nessuna delle situazioni lamentate dai ricorrenti e interventori) i limiti (in concreto, di 100 microtesla) stabiliti dalla normativa pubblicistica, in particolare di cui al D.P.C.M. 23/04/1992 e, poi dalla L. 22/02/2001 n. 36 (il cui art. 16, peraltro reintroduce in gioco, suppur in via meramente interinale, ma comunque con applicabilità, "ratione temporis", alla fattispecie in esame, il limite di cui a detto D.P.R.C. 23/04/1992).

7.1.1 – Non è, evidentemente, compito del Giudice civile (e della giurisdizione in generale) dare soluzione a problemi di ordine precipuamente collettivo, e comunque diversi e al di là – anche se eventualmente almeno in parte coincidenti – di quelli posti da chi agisce (e quindi, anche di chi ricorra in via di urgenza in vista di successiva azione) in giudizio, anche se l’interprete non deve trascurare, quantomeno ai fini delle determinazioni concettuali (ad esempio, in tal senso può anche tenersi conto, per puntualizzare il concetto di "principio di precauzione", delle risultanze di momenti di confronto internazionale e/o interstatuale come quelli, menzionati in ricorso introduttivo – trattato di Maastricht, conferenza di Rio de Janeiro) più vasti elementi.

7.1.2 – Così, in fattispecie, processual-sostanziali in cui come nella presente, vengono prospettate problematiche e diritti individuali che si inquadrano e/o comunque interagiscono con questioni di ordine collettivo (per esempio, è possibile che venga adita l’A.G.O. eventualmente con riferimento proprio all’art. 844 c.c. in ordine a questioni inerenti rifiuti speciali o tossici – nocivi che interferiscono nella sfera dei diritti individuali di taluno/i, il che non toglie la rilevanza generale, sotto altro, appunto pubblico – pubblicistico, profilo, della questione dello smaltimento dei rifiuti).

E pertanto, quanto all’energia elettrica, non è qui in discussione e neppure in esame (se non ai limitati fini di cui qui oltre al punto 8.1) la necessità di approvvigionamento di energia, in particolare elettrica, così come è pacifico e indiscusso che per essere distribuita (salvo che in un ipotetico futuro il progresso scientifico individui diverse modalità, oggi probabilmente impossibili, come del resto altre soluzioni oggi di diffusione anche popolare apparivano inconcepibili anche solo pochi anni addietro) tale energia necessiti di una rete territoriale.

Se questi sono i fini, ciò non comporta la loro eterogenesi, nel senso in particolare che, per raggiungere tali scopi, non necessariamente debbono del tutto obliterarsi diritti soggettivi individuali (delle persone così come dominicali), facendo così indebitamente assurgere la pur indiscutibile e la pur generale collettiva esigenza di approvvigionamento energetico a dignità di indiscutibile e, per così dire (le espressioni solo apparentemente appaiono incompatibili) religioso-scientifico dogma in forza del quale sia possibile e lecito colpire chicchessia "alla cieca".

Occorre invece un approccio, per così dire "laico" ai vari nodi e snodi di questioni, che, quanto al caso in esame potrebbero rappresentarsi come tre cerchi di diversa dimensione, non concentrici e solo parzialmente coincidenti, il tutto con la puntualizzazione che il terzo, più piccolo dei tre cerchi, a differenza degli altri due non può tollerare discriminazioni territoriali (per esempio, ben possono diversamente determinarsi due diverse Regioni nella programmazione delle politiche nel territorio, ma non potrebbe il cittadino di una delle due soffrire di limitazioni di diritti soggettivi individuali che competono ai "cives" dello Stato italiano.

7.2. – Occorre ora premettere come sia indiscutibile che l’idea stessa di una disapplicazione non già in un mero provvedimento amministrativo ("incidenter tantum", giusta i principi di ripartizione dei poteri di cui in particolare alla legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865) bensì di una legge o comunque di un atto normativo da parte del Giudice costituisca un autentico "ossimoro", poiché è chiaro che compito del Giudice è proprio quello di applicare la legge.

La questione è invece verificare, caso per caso in esame, se la fattispecie sottoposta al Giudice rientri o meno nella sfera di applicazione di questo o quell’atto normativo, con quella operazione di interpretazione (ossia di messa in relazione di astrazione e concretezza) di cui si è detto sopra al punto 2.

7.3 – In proposito non può essere condivisa né la tesi di parte resistente secondo cui l’applicabilità in via esclusiva degli altri limiti di cui al D.P.C.M. 1992 sarebbe risolutiva (nel senso della negazione della tutela invocata da ricorrenti e interventori) di ogni questione, né la, contigua, tesi sempre dei resistenti secondo cui "l’azione non può prescindere dai piani di risanamento, contro i quali soltanto dovrebbero in ipotesi, essere indirizzate le eventuali critiche e doglianze" (V. memoria 03/05/2001 di G.R.T.N., pag. 5) con riferimento alla già richiamata L. n. 36/2001, che tali piani (in graduati termini pluriennali) contempla.

Tale automatismo giuridico, infatti, anche alla luce delle enunciazioni generali di cui sopra ai punti 7.1.1 e 7.1.2, non può essere accettato (anche perché, portato alle estreme, ma non incongrue conseguenze, sottrarrebbero alla tutela le situazioni non normate).

7.3.1 – Valgono in proposito, e devono essere qui integralmente recepite, anche tenuto conto della funzione "nomofilattica" della Corte di legittimità le seguenti considerazioni, contenute nella sentenza 27/07/2000 n. 9893 della Suprema Corte: dopo la premessa secondo cui: "Contrariamente a quanto ha affermato la Corte d’Appello, non è necessario che il danno si sia verificato, perché il titolare del diritto possa reagire contro la condotta altrui, se esso si manifesta in atti suscettibili di provocarlo.

In termini generali, può dirsi che la protezione apprestata dall’ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca prima nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto e poi nel sanzionare gi effetti lesivi della condotta illecita, obbligando il responsabile al risarcimento del danno.

Con specifico riferimento al diritto alla salute, sarebbe contraddittorio affermare che esso non tollera interferenze esterne che mettano in discussione l’integrità a ammettere che alla persona sia data la sola tutela del risarcimento del danno e non anche quella preventiva".

La Corte conclude, tra l’altro che l’ordinamento non manca di una disciplina specifica circa i limiti massimi di esposizione ai campi elettrici e magnetici generali dagli elettrodotti: essa è stata dettata con il d.p.c.m. 23 aprile 1992, emanato in base all’art. 4, 2° comma, L. 23 dicembre 1978 n. 833.

Che una disciplina di questo tipo ci sia mostra che, allo stato delle conoscenze scientifiche, l’esposizione ai campi elettrici e magnetici generati da elettrodotti, se siano superati determinati limiti massimi, è considerata fonte di possibili effetti negativi sulla conservazione dello stato di salute.

Essa costituisce d’altro canto espressione di uno degli obiettivi del sistema sanitario, la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita, oltre che di lavoro (art. 2 L. n. 833 del 1978).

Dato il presupposto che è allo loro base, e data la natura di normazione secondaria che è loro propria, discipline di questo tipo hanno il valore di impedire che possa essere tenuta una condotta che vi contasti.

Non hanno quello di rendere per sé lecita la condotta che vi si uniformi.

7.3.2 – E’ evidente che il principio interpretativo di diritto di cui sopra vale in ogni caso anche con riferimento ai piani di risanamento di cui a detta L. 36/2001 (che peraltro reintroduce, come già accennato, in via sommaria il noto D.P.C.M. 1992).

7.3.3 – Analogamente del resto, in sede penale, è pacificamente acquisito che l’art. 674 c.p. ("disturbo delle occupazioni o del riposo" della generalità delle persone norma penale, in quanto tale quindi a tutela della collettività) trova applicazione nei soli casi in cui siffatta lesione interessi appunto tale indistinta generalità, laddove qualora solo il singolo ne sia investito egli può esser tutelato solo in sede civile, con riferimento appunto, quantomeno anche, all’art. 844 c.p.

7.3.4 – Pertanto, per tornare nell’ambito afferente il caso in esame, e anche e con riferimento alle deduzioni (cui, come si è visto, il CTU Dr. Berizzi ha congruamente replicato) di parte resistente in ordine alla limitatezza della porzione di popolazione esposta al rischio di cui qui è procedimento, ben (o male, a seconda dei punti di vista, che qui peraltro in nessun modo rilevano) potrebbe il potere legislativo ed esecutivo decidere, in funzione di ciò, di omettere qualsiasi misura preventiva, ma ciò non potrebbe far venir meno il diritto del singolo alla tutela della singola situazione di lesività – rischio.

7.3.5 – Del resto è invece condivisibile l’impostazione secondo cui la tematica delle situazioni quali quella in esame è assolutamente analoga a quella inerente le immissioni rumorose: giurisprudenza ampiamente consolidata della Suprema Corte, la quale, anzi ha recepito il criterio, di "invenzione" giurisprudenziale, del supero del valore di fondo nella misura di 3 D.B.A. (che, trattandosi di valori logaritmici, corrisponde al raddoppio dell’intensità del rumore) ha distinto i limiti di accettabilità, di natura pubblicistica, da quelli di tollerabilità, da questi ultimi del tutto indipendenti, di natura privatistica, sempre con riferimento all’art. 844 c.c.

8. – Rilevato, chiarito e considerato tutto quanto sopra, e accertato quindi il vulnus inquadrabile nella fattispecie di cui al primo comma dell’art. 844 c.c., occorre ora esaminare quali ne possano essere i rimedi risarcitori, e ciò anche tenuto conto della necessità di contemperamento imposta dal secondo comma del detto articolo di legge ai fini della invocata cautela e della causa di merito.

8.1. – Proprio per tale scopo (v. ordinanza riservata 16/05/2001 qui in atti) era stata disposta la seconda CTU, demandata al Prof. Alberto Berizzi, docente di "sistemi elettrici per l’energia" c/o il dipartimento di elettrotecnica del "Politecnico di Milano", assegnandogli i due quesiti che seguono:

"Esaminati atti e documenti di causa, disposti gli opportuni sopralluoghi, degli immobili di detti ricorrenti e interventori originari al di sotto del limite di 0,5 microtesla nonché di 0,4 microtesla, compatibilmente con la necessità di non produrre un’interruzione definitiva dell’approvvigionamento di corrente elettrica con riferimento alle condutture in oggetto specificandone, almeno in linea di massima modalità esecutive e costi.

A fini dell’accertamento di cui sopra, ai punti 1 e 2, tenga conto il CTU delle distanze metriche tra ogni singola abitazione di cui è causa e le linee elettriche in oggetto".

8.1.1 – Quanto al primo quesito il CTU, previa rigorosi e precisi accertamenti di fatto e tecnico-scientifici, da cui è emerso tra l’altro il pressocchè costante superamento del limite (come sopra ritenuto di tollerabilità) di 0,4 microtesla nelle abitazioni e pertinenze in oggetto, e che il relativo piano-terra delle stesse si trova, rispetto al conduttore più basso, a distanza tra la minima di mt 8 e la massima di mt. 31 (con prevalenza di valori intorno ai mt. 12) quanto agli elettrodotti n. 265 e 266 Cislago-Sondrio da 220 KV e tra mt. 12 e mt 19 quanto all’elettrodotto n. 532 Cucciago-Noverate da 132 KV, è pervenuto alla seguente, recisa conclusione.

"Nonostante le discrepanze rilevate, è comunque possibile concludere che i lavori misurati sono nella grande maggioranza compatibili con le correnti circolanti nelle fasi degli elettrodotti, e quindi che la presenza dei campi magnetici così come denunciata da parte ricorrente e interventrice è riconducibile alla presenza delle condutture elettriche".

Tale conclusione non è stata in alcun modo avversata da alcuna delle parti in causa, e può quindi ritenersi definitivamente acquisita.

8.1.2 – Il secondo quesito demandato al C.T.U. Prof. Berizzi era quello più strettamente inerente alla necessità del predetto contemperamento ex art. 844, 2° comma c.c.

Soltanto un accertamento e un’indicazione tecnico-scientifica, infatti, poteva dar conto delle possibili variabili in ordine al rimedio – risarcimento rispetto all’illecito civile come sopra accertato, rispetto a cui, per esempio, una risposta totalmente negativa ovvero contemplante come unica opzione concretamente praticabile lo smantellamento delle intere linee di elettrodotti con conseguente definitiva interruzione dell’importante asse di approvvigionamento e distribuzione elettrica avrebbe potuto risultare pregnante ai fini di cui al predetto 2° comma dell’art. 844 c.c.

Rilevato che, anche in tal caso nessuna parte in causa ha posto in discussione le risultanze dell’elaborato peritale, anzi, esplicitamente valutato come attendibile, va dato atto che pure al secondo quesito il CTU ha dato, sempre previa e sulla base di vigorose e argomentate considerazioni scientifiche, precisa risposta: quanto al carico indotto dall’elettrodotto Cislago-Sondrio da 220 KV.

L’unica soluzione al secondo quesito della CTU, sia considerato il carico massimo dell’elettrodotto, sia prendendo in considerazione il valore medio, consiste nell’interramento in cavo del tratto compreso tra i tralicci 293 e 296, con un costo complessivo dell’intervento quantificabile in 4368 milioni di lire e, quanto al carico indotto invece dall’altro elettrodotto Cucciago-Noverate, da 132 KV.

"Se invece si ritiene necessario che l’intera abitazione sia soggetta a valori di induzione inferiore a 0,4 microtesla, è necessario innalzare di 10 m. l’intero tratto di linea compreso tra il traliccio 14 e il traliccio 18 e adottare per i conduttori la configurazione ST, con costo dell’intervento stimabile in circa 625 milioni di lire".

Da quanto sopra si desume che il rimedio risarcitorio è concretamente praticabile senza alcun modo porre in discussione il servizio di erogazione dell’energia elettrica, ed anzi senza neppure modifica di tracciato dei due elettrodotti, e con costi certamente consistenti (in particolare quanto al primo, da 220 KV) in assoluto, ma la ci rilevanza non può non essere parametrata alle – ampiamente notorie – dimensioni economiche oggettive del servizio e soggettive delle parti resistenti, di talchè non si presenta certamente come irrealistico e/o gravatorio l’ordine di ottemperare tali indicazioni come meglio specificato qui oltre in dispositivo.

In ogni caso, si è qui optato per le soluzioni chiaramente presentate da detto CTU come le più idonee allo scopo e al tempo stesso per quelle meno gravose economicamente (in specie quanto all’elettrodotto da 132 KV Cucciago-Noverate), perché ciò era dovuto, sulla base delle risultanze procedimentali (anche se, trattandosi di controversia di tipo privatistico, come fin qui ben evidenziato, restano ovviamente libere le parti di addivenire a qualsivoglia altra soluzione in via transattivi).

Ragionevole appare, in relazione agli interessi delle parti e ai presumibili tempi di concreta realizzazione tecnica il termine di esecuzione di 15 mesi di cui in dispositivo.

Infine, non trovando applicazione, per le medesime considerazioni ampiamente formulate sopra, nella presente controversia civile l’invocato art. 9 della predetta L. 36/201, non rileva qui, all’interno della solidarietà passiva dei due soggetti resistenti, la ripartizione dei costi.

 

P.T.M.

 

a 1) ordina alle resistenti "T.E.R.N.A. S.P.A." e G.R.T.N. S.P.A." in solido tra loro di interrare in cavo, nel modo e nel senso di cui alla CTU 19/09/2001 del Prof. Alberto Berizzi in atti, il tratto dell’elettrodotto Cislago-Sondrio (n. 265 e 266) compreso tra i tralicci 293 e 296;

a 2) ordina alle medesime resistenti T.E.R.N.A. S.P.A." e G.R.T.N. S.P.A." in solido tra loro di innalzare di mt. 10 l’intero tratto di linea dell’elettrodotto Cucciago-Noverate (n. 532) compreso tra il traliccio 14 e il traliccio 18 e di adottare per i conduttori la configurazione ST;

a 3) entrambi gli adempimenti di cui sopra ai capi a 1) e a 2) nel termine di mesi 15 dalla comunicazione della presente ordinanza;

b) assegna il termine di giorni 30 per l’inizio della causa di merito.

Si comunichi.

Como, 30/11/01

IL GIUDICE DESIGNATO

(Dr. Massimo Croci)