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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Massimo VARI Presidente - Riccardo CHIEPPA Giudice - Gustavo ZAGREBELSKY “ - Valerio ONIDA “ - Carlo MEZZANOTTE “ - Fernanda CONTRI “ - Guido NEPPI MODONA “ - Piero Alberto CAPOTOSTI “ - Annibale MARINI “ - Franco BILE “ - Giovanni Maria FLICK “ - Francesco AMIRANTE “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, 5, comma 1, lettera c, e 12, comma 1, della legge della Regione Umbria, riapprovata il 30 luglio 2001, recante “Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 17 agosto 2001, depositato in cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 37 del registro ricorsi 2001.
Visto l’atto di costituzione della Regione Umbria;
udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che con ricorso notificato il 17 agosto 2001 e depositato in cancelleria il successivo 24 agosto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, 5, comma 1, lettera c, e 12, comma 1, della delibera legislativa della Regione Umbria “Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, già approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 21 maggio 2001 e – a seguito di rinvio governativo – riapprovata, a maggioranza assoluta, con modificazioni, nella seduta del 30 luglio 2001;
che l’art. 2, comma 1, della delibera legislativa – il quale introduce il “principio di giustificazione”, richiedendo ai gestori ed ai concessionari la dimostrazione delle ragioni obiettive della indispensabilità degli impianti che producono emissioni elettromagnetiche ai fini della operatività del servizio – violerebbe, ad avviso dell’Avvocatura, l'art. 97 della Costituzione e il principio generale di ragionevolezza, giacché, non avendo la Regione il potere di valutare l’indispensabilità degli impianti né il carattere obiettivo delle ragioni addotte, la previsione normativa sarebbe del tutto inutile, risolvendosi nella imposizione al privato di formalità onerose che non preludono a nessun controllo o ad interventi da parte dell'amministrazione competente;
che l’art. 5, comma 1, lettera c, della delibera legislativa, là dove attribuisce alla Giunta regionale il potere di fissare, con regolamento, i criteri per l’elaborazione e l'attuazione dei piani di risanamento degli impianti radioelettrici, di telefonia mobile e di radiodiffusione, sarebbe incostituzionale perché la materia è riservata allo Stato: siccome l’art. 4, comma 4, della legge 22 febbraio 2001, n. 36 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la determinazione dei criteri di elaborazione dei piani di risanamento, eventuali spazi di attribuzione regionale potrebbero essere desunti solo dall’emanando d.P.C.m., mentre non sarebbe consentito che la Regione provveda prima che lo Stato abbia fissato i livelli consentiti di inquinamento ed i criteri per porvi rimedio; e ciò in quanto si versa in una materia – osserva l’Avvocatura – che richiede necessariamente una disciplina uniforme su tutto il territorio dello Stato, in modo che sia adeguatamente tutelato l'interesse nazionale che l’art. 127, terzo comma, della Costituzione pone come limite al potere legislativo delle Regioni;
che l’art. 12, comma 1, della delibera legislativa oggetto di impugnativa impone la procedura di valutazione di impatto ambientale “nei casi previsti dal regolamento di cui all’art. 5”; e che, ad avviso del ricorrente, la fonte dell'attribuzione regionale non può essere il regolamento richiamato, perché sulla valutazione d’impatto ambientale la competenza apparterrebbe allo Stato, anche ai sensi dell’art. 2, comma 6, lettera a, della legge 31 luglio 1997, n. 249, che attribuisce all’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni il potere, sentite le Regioni, di fissare la localizzazione degli impianti con un piano articolato che consenta di realizzare i molteplici obiettivi fissati nella stessa norma: sarebbe escluso, pertanto, che ogni Regione possa valutare autonomamente le determinazioni del piano con la possibilità che ne derivi un danno anche ad altre Regioni;
che nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la Regione Umbria, chiedendo che le sollevate questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate manifestamente infondate, in particolare osservando che la delibera legislativa impugnata persegue essenzialmente due obiettivi: da un lato, quello della tutela della salute della popolazione dagli effetti della esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, dall’altro, quello della salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, nel rispetto del principio comunitario di precauzione e dei principi fondamentali dettati dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36. In questa prospettiva si giustificherebbe l’art. 2 della delibera legislativa impugnata, il quale mira ad una maggiore responsabilizzazione dell’imprenditore, tendendo a raccogliere elementi conoscitivi non soltanto sull’adeguatezza dell’impianto, ma anche sulla sua necessità rispetto allo scopo perseguito;
che infondata sarebbe anche la censura rivolta all’art. 5: sia perché dal combinato disposto degli artt. 4, comma 1, lettera d, e 9, comma 2, della legge n. 36 del 2001 risulterebbe che la riserva allo Stato della determinazione dei criteri si riferisce esclusivamente ai piani di risanamento degli elettrodotti; sia perché l’intervento regionale non potrebbe essere subordinato alla preventiva emanazione del previsto d.P.C.m., posto che altrimenti si riconoscerebbe allo Stato il potere di rinviare sine die l’emanazione di una disciplina di rilevante importanza per la materia cui si riferisce, così precludendosi alle Regioni di esercitare il proprio potere normativo;
che, infine, la questione di costituzionalità avente ad oggetto l’art. 12 muoverebbe da un’inesatta ricostruzione del sistema, giacché non terrebbe conto né dell’art. 2-bis, comma 2, del decreto legge 1° maggio 1997, n. 115, né del fatto che la procedura di valutazione di impatto ambientale, essendo diretta alla corretta gestione del territorio, appartiene alla materia urbanistica nella sua accezione più ampia;
che, in prossimità della camera di consiglio, la difesa della Regione Umbria ha depositato una memoria, nella quale, oltre a ribadire le precedenti conclusioni di merito, eccepisce l’improcedibilità del ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri alla luce dell’intervenuta modificazione dell’art. 127 della Costituzione.
Considerato che l’art. 8 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) ha sostituito interamente l’art. 127 della Costituzione, il quale stabilisce, ora, al primo comma, che “il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione”;
che è stata dunque soppressa la fase del controllo governativo sulla legge regionale deliberata ma non ancora promulgata, che si esplicava mediante il rinvio della legge al Consiglio regionale e la successiva eventuale impugnazione della stessa davanti a questa Corte, sulla base di motivi già enunciati nel rinvio, con effetto preclusivo della promulgazione fino all’esito del giudizio: onde oggi l’unica ipotesi, prevista dalla Costituzione, di giudizio di legittimità costituzionale promosso in via principale nei confronti della legge regionale è quella del giudizio instaurato dal Governo con l’impugnazione della legge già promulgata e pubblicata;
che, pertanto, per effetto della indicata modificazione della norma costituzionale, come questa Corte ha già statuito, i ricorsi in precedenza introdotti, ai sensi del testo originario dell’art. 127 della Costituzione, nei confronti di deliberazioni legislative regionali, sono divenuti improcedibili, mentre resta salva la facoltà del Governo di promuovere nei confronti della legge regionale, una volta promulgata e pubblicata, questione di legittimità costituzionale nei termini previsti dal nuovo testo del medesimo art. 127 (sentenza n. 17 del 2002; ordinanza n. 65 del 2002): così consentendosi, fra l’altro, la prospettazione della questione, se del caso, alla luce anche dei nuovi parametri costituiti dalle altre disposizioni del titolo V, parte seconda, della Costituzione, a loro volta modificate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001;
che, conseguentemente, il ricorso in epigrafe, proposto ai sensi del testo originario dell’art. 127 della Costituzione, deve essere dichiarato improcedibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2002.
F.to:
Massimo VARI, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2002.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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