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Consiglio di Stato - sezione VI,  8 aprile 2002 sent. n. 1912.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

 

     sul ricorso in appello proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali e Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici della Calabria rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in via dei Portoghesi n. 12 domiciliano;

     contro

Grillone Giovanni rappresentato e difeso dall'avv. Marco Dugato e dall'avv. Francesco Scalzi ed elettivamente domiciliato in Roma, Via della Balduina n.28 presso A. Corace;

     e nei confronti

del Comune di Stalettì in persona del Sindaco pro-tempore, n.c.;

     per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria - Sezione di Catanzaro - n.941 del 2001;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 15 gennaio 2002 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro. Uditi, l'avv. dello Stato De Socio e l'Avv. Sanino per delega dell'Avv. Scalzi;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO

 

     Grillone Giovanni, con ricorso in primo grado, ha lamentato l'illegittimità del provvedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica all'esecuzione dei lavori di un fabbricato in località Caminia del Comune di Stalettì, rilasciata da quest'ultimo ai sensi dell'art. 7 della l. 29/6/1939 n. 1497.

I motivi di doglianza enunciati nell'atto di ricorso si incentrano sui seguenti profili di illegittimità: 1) omessa comunicazione di avvio del procedimento repressivo; 2) violazione dell'art. 82 comma 9 d.p.r. n.616/77, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; 3) contraddittorietà con il parere favorevole della Soprintendenza sul P.R.G. vigente nel Comune interessato.

L'amministrazione resistente in primo grado ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il TAR Calabria, Sezione di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso.

In particolare ha notato il giudice di prime cure che l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nelle ipotesi in cui l'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica costituisce l'esito finale del procedimento scaturito dalla domanda di parte tesa all'ottenimento della concessione edilizia, non occorrerebbe notiziare il privato richiedente dell'instaurazione del provvedimento repressivo (da ultimo CdS VI 1/12/1999 n. 2069) ha subito progressive erosioni, culminate in alcune pronunce che affermano il carattere necessitato dell'adempimento partecipativo (CdS VI 17/2/2000 n.909), facendo leva sulla configurazione autonoma della fase procedurale di pertinenza statale rispetto al procedimento di autorizzazione regionale o comunale.

Sulla natura autonoma del procedimento scaturente dalla comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dall'ente locale militano - secondo il Tar - diversi argomenti.

In primo luogo la natura di autotutela del provvedimento ministeriale, ed il termine decadenziale autonomo per l'esercizio del potere.

Poi la mancata previsione di un potere ministeriale positivo, come il visto o l'assenso, tipico della riconducibilità del potere al potere di controllo, dovendosi da ciò desumere che il potere in questione ha direzione univocamente repressiva e quindi di autotutela, per l'esercizio legittimo della quale è necessaria la partecipazione procedimentale e l'adempimento preventivo che la rende possibile ossia la comunicazione di avvio del procedimento.

In ultimo il D.M. n. 405/1994 (regolamento concernente disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge n. 241/1990) emanato dal Ministero per i beni e le attività culturali che, fra gli obblighi del responsabile del procedimento individua quello di dare comunicazione agli interessati dell'avvio del procedimento ed annovera nella Tabella allegata il procedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico non fra i sub procedimenti di procedimenti di competenza di altre amministrazioni ma fra i procedimenti aventi giuridica autonomia.

Inoltre si rileva che la partecipazione consentita all'interessato nell'ambito del procedimento teso all'adozione dell'atto autorizzativo ha finalità e contenuti del tutto diversi da quelli individuabili nella fase repressiva poiché nella prima fase si fa valere un interesse pretensivo nella seconda un interesse oppositivo.

Ciò premesso, scontata la circostanza che l'autorizzazione non conteneva alcun equipollente dell'atto di avvio del procedimento, la sentenza si sofferma sulla valenza indiziaria di una nota di trasmissione (nota del Comune di Stalettì prot. n.4588 del 20/7/2000) che in calce riporta la dizione "altra copia dell'autorizzazione paesistica si invia con la presente alla ditta interessata". 

Il certificato prot. 2661 del 4/4/2001 che attesta che la nota n.4588/2000 non è stata inviata al ricorrente e che nessun altra comunicazione egli ha ricevuto in ordine all'invio del nullaosta alla competente Soprintendenza dimostra - secondo il Tar - che l'intendimento comunicativo non ha trovato concreta attuazione.

L'appello proposto avverso la citata sentenza insiste sulla tesi della inesistenza dell'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento.

L'Avvocatura erariale trae argomento, sul piano strutturale, dal carattere necessario ed automatico del riesame, espressione di un potere omogeneo e concorrente con quello dell'ente locale o regionale.

Sul piano funzionale, evidenzia l'amministrazione che il privato esprime tutto il suo interesse nella domanda di partecipazione; che dell'avvio del procedimento egli viene normalmente edotto dallo stesso provvedimento sottoposto a controllo, che l'omessa comunicazione da parte dell'ente locale della trasmissione degli atti alla Soprintendenza non può ridondare in illegittimità dell'atto ministeriale.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 437/2000 è interpretativa e si scontra con un costante orientamento del Consiglio di Stato che, per tre lustri, in maniera univoca ha ritenuto che il potere ministeriale di riesame sia una prosecuzione della fase di scelta dell'autorità delegata. 

La mancata osservanza degli oneri di comunicazione da parte dell'ente locale o della Regione non può poi farsi ricadere a danno della Soprintendenza.

Con memorie dell'1/1/2002 le parti hanno ampiamente illustrato le loro tesi e l'Avvocatura ha introdotto anche il tema dei limiti del riesercizio del potere da parte della Soprintendenza a seguito dell'annullamento giudiziale dell'atto di autotutela ministeriale per il vizio formale della omessa comunicazione di avvio del procedimento.

 

DIRITTO

 

     Il ricorso in appello è infondato e merita il rigetto.

Conviene prendere le mosse, per l'esame della controversa questione della necessità della comunicazione di avvio del procedimento ai fini dell'esercizio del potere ministeriale di annullamento del nulla osta paesaggistico, dal recente arresto del CdS Ad. Plen. n. 9/2001 per rimeditare la tematica e verificare se debba essere abbandonato o confermato il recente orientamento favorevole alla sussistenza dell'obbligo di comunicazione a fini partecipativi del privato alla fase repressiva del procedimento.

Come è noto all'Adunanza Plenaria è stata rimessa la questione relativa alla natura del potere ministeriale (se di merito o di legittimità) ed alla sua ampiezza (se estesa ai vizi di eccesso di potere o limitata ai profili di legittimità formale) ed al rapporto fra il controllo di legittimità e quello di merito (ad es. nel delicato caso di nulla osta risolventisi in vera e propria obiettiva "deroga al vincolo") e non la questione relativa alla necessità della comunicazione di avvio del procedimento ai fini del legittimo esercizio del potere ministeriale di estrema difesa del vincolo.

L'ampiezza del percorso motivatorio della sentenza contiene tuttavia alcune affermazioni che divengono rilevanti al fine di valutare la questione della necessità di comunicare l'avvio del procedimento.

In particolare la sentenza espone alcuni argomenti relativi alla struttura del procedimento.

L'Ad. Plen. si occupa principalmente della natura del potere esercitato dall'autorità ministeriale (se di legittimità o di merito) ma nel farlo accenna alla fase di riesame del nulla osta paesaggistico quale fase necessaria e non autonoma di un unitario procedimento complesso, menziona la circostanza per cui l'interessato ne è già edotto in virtù di legge, qualifica la decisione di non annullare o il decorso del termine di sessanta giorni come perfezionamento della fattispecie legale costituiva dei suoi effetti ed in sostanza contiene una serie di "obiter dicta" che consigliano una verifica dell'orientamento giurisprudenziale della comunicazione di avvio del procedimento affermativo della necessità di questo adempimento formale ma essenziale ai fini della partecipazione del privato.

Ritiene il Collegio che le argomentazioni contenute nella recente Ad. Plen. n.9/2001 non siano tali da imporre un'inversione dell'orientamento favorevole alla obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento di riesame del nulla osta paesaggistico, orientamento estraneo al contenuto decisorio della riassunta sentenza.

La partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo prevista dagli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990 costituisce un principio generale dell'ordinamento giuridico (CdS V 22/5/2001 n.2823) per cui ogni disposizione che limiti od escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso, al fine di evitare di vanificare od eludere il principio stesso.

Nel procedimento amministrativo si bilanciano esigenze di legalità ed esigenze di efficienza e spesso il loro equilibrio è oggetto di sindacato giurisdizionale, teso a verificare, da una parte la sussistenza dell'obbligo di legge ed il suo puntuale rispetto da parte della p.a., dall'altra l'esistenza di ragioni che consentano di non ritenere viziante, sul piano della legittimità del provvedimento finale, l'omessa comunicazione di avvio, con prevalenza, nel caso concreto, di considerazioni teleologiche e finalistiche relative al raggiungimento effettivo e sostanziale dello scopo della norma tesa ad assicurare la partecipazione. 

Ciò comporta che le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (ancora in tal senso CdS V 22/5/2001 n.2823 e CdS IV 18/5/1998 n. 836).

In materia di comunicazione di avvio prevalgono quindi canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico.

Può dirsi quindi scontato l'orientamento costante della giurisprudenza amministrativa in favore di un'interpretazione evolutiva dell'art. 7 della legge n. 241/1990.

Così ricostruita la vicenda in termini generali è chiaro che, ai fini della soluzione del controverso problema della obbligatorietà della comunicazione di avvio del procedimento prima di esercitare il potere di annullamento dell'autorizzazione paesistica, vanno esaminati i profili strutturali e quelli funzionali della fattispecie ma si deve, in ossequio ai canoni interpretativi prevalenti nella dottrina e nella giurisprudenza amministrativa in tema di comunicazione di avvio, dare prevalenza a questi ultimi (in caso contrario infatti si rischierebbe di fare prevalere un'interpretazione letterale ora lesiva dell'istanza di partecipazione - le quante volte la mera ed isolata considerazione della struttura complessa di un procedimento iniziato ad istanza di privati faccia ritenere superflua la comunicazione di avvio mentre essa è necessaria per garantire l'effettività della partecipazione procedimentale - ora dell'istanza di speditezza ed efficienza dell'azione amministrativa - le quante volte si faccia conseguire alla omessa comunicazione l'annullamento dell'atto finale senza un'adeguata considerazione del rapporto fra omessa formalità ed incidenza della partecipazione sulla decisione finale).

Si può senz'altro affermare che comunicazione di avvio del procedimento e partecipazione sono in stretto rapporto di strumentalità e che tale strumentalità illumina sulla portata e sulla necessità dell'istituto della comunicazione di avvio ben più di ragioni attinenti la struttura del procedimento (unitario, bifasico o complesso, collegato ad altri come subprocedimento o procedimento autonomo) o la natura del potere esercitato (discrezionale o vincolato) che non possono avere esclusivo rilievo a pena di determinare uno scadimento "formalistico" di un adempimento previsto a tutela della funzione partecipativa al procedimento amministrativo e quindi della sua stessa natura democratica.

In relazione al tema della comunicazione di avvio del procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica va ricordato che un primo, tradizionale, orientamento del CdS ha ritenuto non necessaria la comunicazione di avvio del procedimento (CdS VI 3 novembre 2000 n.5929; CdS VI 25 /9/1995 n.963; CdS VI 12/5/1994 n.771): si dava rilievo, in quella logica, alla circostanza secondo la quale il soggetto che ha ottenuto l'autorizzazione è colui il quale ha attivato il procedimento che si conclude con l'atto sottoposto a controllo.

Un più recente orientamento ha ritenuto necessaria la comunicazione di avvio del procedimento in prima battuta muovendo dall'applicazione del D.M. 13/6/1994 n. 495 per cui, con norma secondaria che assume valore di atto di autolimite, l'amministrazione statale è obbligata a comunicare al privato l'avvio del procedimento di annullamento allo scopo di consentire all'interessato di avvalersi degli strumenti di partecipazione ed accesso previsti dalla legge n.241/1990 (CdS VI n.2069/1999; CdS n.3233/2001).

La Sezione ha interpretato le disposizioni di tale regolamento nel senso che in qualche modo l'originario richiedente debba essere posto in condizione di sapere che la sua istanza è sottoposta all'esame dell'autorità statale, nella nuova fase di controllo (CdS VI n. 685/2001), si è anche ritenuto, in ossequio ad una concezione sostanziale della possibilità di partecipazione piuttosto che al profilo formale della comunicazione rituale, che in considerazione delle sue finalità la comunicazione riguardante il passaggio alla fase di controllo può essere effettuata in qualsiasi modo ed ammette equipollenti. 

Con successiva decisione la Sezione ha rilevato che, in mancanza di un atto di comunicazione dell'avvio della nuova fase il destinatario del provvedimento di autorizzazione non è neanche in grado di conoscere il preciso momento di perfezionamento o integrazione dell'efficacia dell'atto autorizzatorio, decorrendo il termine di sessanta giorni solo dal momento in cui perviene all'amministrazione statale la documentazione completa (CdS VI n. 909/2000).

L'orientamento in esame ha anche dato rilievo all'esigenza di assicurare al destinatario del provvedimento la possibilità di interloquire tempestivamente nella ulteriore fase di verifica ministeriale della legittimità dell'autorizzazione, evidenziando come l'apporto del privato possa essere utile anche per la stessa amministrazione.

Ciò sempre in un'ottica sostanzialistica per cui la comunicazione di avvio non deve essere data se lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto (CdS IV n.3/1996) o manchi, per altri motivi, l'utilità della comunicazione all'azione amministrativa (CdS V, n.283/1996) o vi sia un atto equipollente alla formale comunicazione (CdS VI n.2069/1999).

In sostanza l'amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale che, alla stregua dei principi ricavabili dagli articoli 7 e ss. della legge n.241/1990, quando il procedimento amministrativo ha struttura unitaria ma bifasica (ed anche se l'avvio della prima fase, è riconducibile all'iniziativa del privato), assicuri all'interessato di percepire chiaramente l'avvio della nuova fase, diretta al riesame del provvedimento, in modo da porlo nella possibilità di conoscere ed interloquire (in tal senso Corte Cost. n. 383/1996).

In questa chiave è doverosa l'applicazione del precetto di cui all'art. 7 della legge n. 241/1990, tutte le volte che, al di là della struttura unitaria ma bifasica del procedimento o dell'esistenza di un'ulteriore sequenza procedimentale collegata alla prima, la comunicazione si appalesi funzionale al perseguimento delle finalità stabilite dalla legge stessa, apparendo idonea a ripercuotersi sull'esito finale della procedura, con possibili determinanti conseguenze sfavorevoli per il soggetto interessato.

La comunicazione di avvio del procedimento appare necessaria nel caso del procedimento ministeriale di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica atteso che, detta ulteriore fase endoprocedimentale dell'unitario procedimento diretto al perfezionamento dell'autorizzazione paesaggistica:

1) è avviata d'ufficio e solo con riguardo agli atti che siano viziati da illegittimità;

2) è di competenza di altra autorità (statale) rispetto a quella che ha emanato l'atto impugnato (regionale o sub regionale);

3) è diretta all'estrema difesa del vincolo ambientale ed ha quindi finalità repressive e di annullamento dell'atto favorevole al privato;

4) è connotata dalla presenza dell'interesse legittimo in funzione oppositiva e non pretensiva come nella fase precedente;

5) incide sull'efficacia dell'atto controllato ed esaminato, ma per un tempo determinato che è interesse del privato conoscere al fine di individuare il momento nel quale l'atto ampliativo della sua sfera giuridica diviene efficace;

6) è caratterizzata dall'esercizio di un potere discrezionale, di controllo di legittimità, anche sotto il profilo dell'eccesso di potere, per l'esercizio del quale appare utile l'apporto partecipativo del privato.

Non vi sono quindi dubbi in ordine alla circostanza per cui la fase procedimentale di competenza della regione o del comune e quella di competenza del Ministero , sebbene inscindibilmente connesse, sono autonome sotto il profilo dei soggetti chiamati ad attivarle e perfezionarle, e che il Ministero, pur dovendo necessariamente conoscere dell'atto autorizzatorio, potrebbe decidere di non attivare il procedimento di annullamento.

Da una parte c'è il privato che ha attivato il procedimento culminato con il rilascio dell'autorizzazione regionale o comunale, dall'altra il Ministero, che , in sede di vigilanza, può avviare , ricevuti gli atti del procedimento di autorizzazione, l'annullamento in sede di autotutela.

Il giusto procedimento - principio generale dell'ordinamento giuridico (C. Cost. n.57/1995; C. Cost. n.126/1995) riconosciuto a livello normativo dalla legge n.241/1990 - impone per i connotati strutturali e funzionali del procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica di dare in qualche modo comunicazione al privato dell'avvio della fase procedimentale diretta all'annullamento dell'atto impugnato (anche per equipollenti) e tanto, deve ripetersi, nella compiuta considerazione dello stesso interesse dell'Amministrazione che, nella partecipazione dell'interessato può così individuare eventuali elementi utili al corretto esercizio del suo potere come, motivamente superandoli, occasione per evitare possibili conseguenze contenziose.

Nel caso di specie tale comunicazione è mancata (e ciò non è contestato dall'amministrazione) né vi sono equipollenti (cfr. certificato del Sindaco prot. 2661 del 4/4/2001).

Ne consegue il rigetto dell'appello.

Sono estranee alla materia devoluta al giudice d'appello nel presente giudizio le questioni proposte ai punti 2 e 3 della memoria conclusiva dell'Avvocatura dello Stato per cui trattandosi di nuovi motivi d'impugnazione - fra l'altro rivolti solo apparentemente nei confronti della sentenza impugnata ma diretti in realtà a conformare il futuro esercizio dell'azione amministrativa, nell'ipotesi (non certa) dell'adozione di nuovi atti di annullamento (circa la possibilità ed i limiti del riesercizio del potere di controllo) -, vanno dichiarati inammissibili quali nuovi motivi per essere stati tardivamente proposti nella memoria conclusiva o comunque per il fatto che, essendo rivolti a esaminare ex ante la legittimità della futura azione amministrativa, si risolvono in una richiesta di funzione consultiva preclusa al giudice (che non può risolvere conflitti futuri, allo stato solo ipotetici, o questioni astratte). 

Solo per completezza di motivazione - potendo le questioni oggetto della memoria ritenersi legate all'effetto conformativo dell'annullamento dell'atto ministeriale di autotutela - si rileva che l'appellante quando voglia ottenere una pronuncia su un determinato e specifico effetto conformativo dell'annullamento disposto in primo grado deve comunque fare oggetto la sentenza di specifico motivo di doglianza nel termine di impugnazione, per cui le questioni proposte tardivamente con memoria conclusiva, senza che sul punto si sia potuto avere un contraddittorio pieno, sono inammissibili. 

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio. 

 

P.Q.M.

 

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giovanni RUOPPOLO                                              Presidente

Alessandro PAJNO                                                 Consigliere

Giuseppe ROMEO                                                  Consigliere

Giuseppe MINICONE                                               Consigliere

Giancarlo MONTEDORO                                          Consigliere Est

 

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