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Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 9 aprile 2002, n. 1917.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.10950 del 2001 , proposto da API Raffineria di Ancona S.p.a., in persona dell’amministratore delegato p.t., rappresentata e difesa dal prof. avv. Giuseppe Guarino e dal prof. avv. Eugenio Picozza, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via delle Quattro Fontane n.16; (appellante)
nonché sul ricorso proposto dal Ministero delle Attività Produttive (già Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato), rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12; (appellante incidentale)
contro
- la Regione Marche, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dal prof. Avv. Franco Gaetano Scoca e dall’Avv. Simonella Coen del Servizio legale regionale, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, via G. Paisiello, n.55;
- il Comune di Falconara Marittima, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Rino Pirani, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Cola di Rienzo, n.252, presso lo studio dell’avv. Bruno Caputo;
e nei confronti
- della Provincia di Ancona, in persona del Presidente della Giunta Provinciale p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Riccardo Stecconi ed elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Flaminio, n.46 presso Gian Marco Grez;
per l'annullamento, previa sospensione,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, in data 12 ottobre 2001, n.1132, resa tra le parti, concernente l’annullamento del D.M.15.10.1998, n.16508 del Ministero predetto;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio e le memorie delle parti appellate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 12 febbraio 2002 il Cons. Domenico Cafini;
Uditi, l’avv. dello Stato De Stefano e gli avv.ti Guarino, Picozza, Scoca, Stecconi e Pirani;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con due ricorsi proposti, rispettivamente, dal Comune di Falconara Marittima e dalla Regione Marche venivano impugnati innanzi al TAR per le Marche gli atti e documenti sotto indicati e chiesto:
- quanto al primo ricorso, proposto dal Comune anzidetto:
“l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del decreto n. 16508 del 15.10.1998 del Direttore generale del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, Direzione generale dell’energia e risorse minerarie, con il quale è stata rinnovata per venti anni, a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell’impianto di gassificazione e produzione di energia elettrica, la concessione accordata alla società API Raffineria di Ancona s.p.a. per l’esercizio dello stabilimento di Falconara Marittima, nonché di tutti gli atti, noti o ignoti antecedenti, presupposti, conseguenti comunque a quello impugnato connessi e correlati”;
- quanto al secondo ricorso, proposto dalla Regione Marche:
l’annullamento del medesimo D.M. in data 15.10.1998, conosciuto dall’ente ricorrente il 28.6.2000, concernente il rinnovo anticipato per venti anni della predetta concessione petrolifera.
A) Nel ricorso della Regione Marche venivano dedotti i seguenti motivi di diritto:
- violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma IV, del D.P.R. 18.4.1994 n. 420, eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, illogicità manifesta;
- violazione, falsa applicazione e mancata applicazione dell’art. 4, commi IV, VI, VII e VIII, del D.P.R. n. 420 del 1994; eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione;
- violazione e mancata applicazione dell’art. 4, comma X, del D.P.R. n. 420 del 1994, violazione e mancata applicazione dell’art. 14 della L. n. 241 del 1990;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma XII, del D.P.R. n. 420 del 1994, incompetenza, violazione dell’art. 50, comma III, del D.L.vo n.112 del 1998;
- violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del R.D.L. 2.11.1933 n. 1741;
- violazione e mancata applicazione dell’art. 2, R.D. 17.8.1907 n. 642, violazione e mancata applicazione dell’art. 3, comma IV, della L. 7.8.1990 n. 241.
L’API Raffineria di Ancona s.p.a. e il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato si costituivano in giudizio ed eccepivano, preliminarmente, l’irricevibilità, per tardività, e l’inammissibilità del ricorso mentre, nel merito, contestavano i motivi ex adverso dedotti concludendo per l’infondatezza del ricorso.
Si costituiva, altresì, in giudizio il Comune di Falconara Marittima che rilevava la non sussistenza nella specie delle condizioni normativamente previste per il rinnovo anticipato della concessione, concludendo, quindi, per l’accoglimento del gravame.
Successivamente, interveniva nel giudizio anche la Provincia di Ancona che depositava apposito atto di intervento ad adiuvandum.
B) Nel gravame proposto innanzi al medesimo Tribunale dal Comune di Falconara Marittima, questi erano i motivi di diritto dedotti, aventi contenuto analogo a quello di alcune delle censure sopra descritte:
- violazione dell’art. 4, comma VIII, del D.P.R. 18.4.1994 n. 420;
- violazione ed errata applicazione dell’art. 9 R.D.L. 2.11.1933 n. 1741;
- violazione dell’art. 4, comma XII, del D.P.R. n. 420 del 1994.
La Regione Marche e, con atto d’intervento ad adiuvandum, alcuni cittadini di Falconara Marittima proponevano altre censure a sostegno di quanto denunciato dal Comune ricorrente; anche la Provincia di Ancona proponeva apposito intervento ad adiuvandum.
Con riguardo ai ricorsi predetti l’API - Raffineria di Ancona - s.p.a. e il Ministero sopra indicato, costituitisi in giudizio, eccepivano l’irricevibilità del ricorso perché intempestivo, la sua inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dello stesso.
2. Con sentenza 12.10.2001, n.1132 il TAR delle Marche, estromessi i privati intervenienti, respingeva le dedotte eccezioni di inammissibilità ed accoglieva i due ricorsi avendone ritenuto fondati alcuni dei motivi proposti; conseguentemente annullava l’impugnato decreto di rinnovo di concessione.
3. Contro tale sentenza propone ora appello l’API Raffineria di Ancona s.p.a. e, in via incidentale, anche il Ministero delle Attività Produttive.
3.1. La società appellante, riproducendo i rilievi mossi nel giudizio di primo grado, deduce:
in via pregiudiziale, l’inammissibilità dei ricorsi della Regione Marche e del Comune di Falconara M. per carenza di interesse a proporre l’impugnativa in primo grado, per acquiescenza e per tardività;
nel merito, infondatezza dei medesimi ricorsi essendo prive di pregio le censure, in essi dedotte e in parte accolte dal TAR Marche, di violazione e falsa applicazione di legge (in particolare dell’art.4 del D.P.R. 18.4.1994, n.420 e dell’art.9 del R.D.L. 2.11.1933, n.1741), di eccesso di potere sotto vari profili ed di incompetenza, dovendosi comunque applicare al caso di specie l’art.9 del R.D.L. n.1741 del 1933 e non il D.P.R. n.420 del 1994, in particolare l’art.4 perché non ricorrevano nel caso in esame le ipotesi previste dall’art.2 alle quali si collega l’art.4 anzidetto.
3.2. Nel proprio ricorso incidentale il Ministero delle Attività Produttive eccepisce l’inammissibilità dei gravami degli enti predetti e, dopo aver rilevato l’illegittimità delle loro determinazioni volte ad impugnare il decreto di proroga in parola - perché in contraddizione con i pareri a suo tempo favorevolmente espressi alla realizzazione dell’impianto IGCC (di gassificazione e produzione energia) - deduce, con un unico motivo di diritto, le medesime censure di violazione e falsa applicazione dell’art.4, commi 4, 7 e 8, del D.P.R. n.420 del 1994 prospettate nell’atto di appello dell’API s.p.a., circa la non obbligatorietà dell’acquisizione, nel caso in esame, dei pareri suddetti (non ricorrendo l’ipotesi di rilascio di concessione per nuovi stabilimenti, bensì quella di rinnovo di una concessione relativa ad impianti preesistenti, autonomamente disciplinata dall’art.9 del R.D.L. 2.11.1933, n.1741, attualmente ancora vigente).
La sentenza impugnata, secondo la parte pubblica appellante, sarebbe comunque errata anche se dovesse ritenersi applicabile l’art.4 del D.P.R. n.420 del 1994 con riferimento all’ipotesi di rinnovo di una concessione permanente, perché nella specie non occorreva richiedere il parere al Ministero dell’Interno (in quanto le valutazioni sulla sicurezza degli impianti, nella materia degli oli minerali sono di competenza, per gli impianti costieri, del Ministero dei Trasporti e della Navigazione, al quale appunto l’Amministrazione concedente si era rivolta per l’avviso di competenza). Né sarebbero fondate le dedotte censure di violazione dei commi 6 e 8 del citato D.P.R. n.420, condivise dai primi giudici, perché, da una parte, l’intervento del Ministero dell’Ambiente non è prescritto nei casi di semplice rinnovo di una concessione preesistente che, come nel caso, non comporta ampliamento degli impianti e perchè, dall’altra, il parere, avente valenza urbanistica, del Comune di Falconara M. non era nella specie necessario in mancanza di realizzazioni di costruzioni o di occupazioni di nuove aree.
Si sono costituiti in giudizio nella attuale fase di giudizio la Regione Marche, il Comune di Falconara Marittima e la Provincia di Ancona, che poi, con apposite memorie, hanno controdedotto alle eccezioni e ai vari motivi proposti dalle parti appellanti, concludendo per il rigetto dei loro gravami, dopo avere, comunque, riproposto i motivi respinti o dichiarati assorbiti dai Giudici di primo grado, sopra specificati.
Con ulteriori memorie, depositate in prossimità della odierna udienza, gli appellanti ribadiscono le censure dedotte, insistendo per l’accoglimento dei gravami proposti.
All’udienza del 12 febbraio 2002, dopo che le parti hanno illustrato nuovamente ed in modo diffuso le rispettive tesi e conclusioni, i ricorsi sono ritenuti dal Collegio per la decisione
DIRITTO
1. Come emerge dall’esposizione che precede, la Regione Marche ed il Comune di Falconara Marittima hanno impugnato, con due distinti ricorsi innanzi al TAR per le Marche, il decreto 15.10.1998 n. 16508 - con il quale il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (ora Ministero delle Attività Produttive) aveva concesso, in accoglimento di un’istanza presentata il 21.3.1997, la proroga ventennale della concessione petrolifera alla attuale società appellante per la gestione della raffineria ubicata nel territorio del Comune di Falconara Marittima, con decorrenza dalla data di entrata in esercizio commerciale dell’impianto di gassificazione e produzione di energia elettrica (IGCC) realizzati a seguito di apposita autorizzazione rilasciata con D.M. 26.7.1994 n. 671364 – ricorsi poi accolti, previa loro riunione, con la sentenza in epigrafe.
Tale pronuncia costituisce, per l’appunto, l’oggetto degli appelli in esame, rispettivamente in via principale e in via incidentale, dell’API Raffineria di Ancona s.p.a. e del Ministero dell’Attività Produttive, i quali, dopo avere riproposto le eccezioni di inammissibilità ed irricevibilità dei ricorsi in primo grado (per tardività, carenza di interesse ed intervenuta acquiescenza degli Enti locali ricorrenti), contestano, nel merito, le varie censure dedotte dagli originari ricorrenti ed accolte dal Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche.
2. Prima di procedere all’esame del merito della controversia, occorre prendere in considerazione dette eccezioni di inammissibilità e irricevibilità dei due ricorsi di primo grado, proposti dal Comune di Falconara Marittima e dalla Regione Marche, ribadite nell’attuale sede dagli appellanti.
Tali eccezioni, diffusamente illustrate nei motivi nn.3-7 del ricorso dell’azienda appellante, concernono nella sostanza, da una parte, la tardività dei ricorsi di primo grado e, dall’altra, la carenza di interesse a proporre i gravami oltre alla non attualità dell’interesse stesso.
Nella formulazione di dette eccezioni si sostiene, in particolare, che:
- sarebbe tardivo (v. motivo n.5) il ricorso della Regione Marche perché tale ente era già da tempo a conoscenza dell’intendimento del Ministero e perché nel caso, comunque, opererebbe una presunzione legale di conoscenza sull’an, quid, quando e quomodo del decreto ministeriale di rinnovo della concessione; sarebbe, altresì, tardivo, in mancanza di una prova certa, anche il ricorso del Comune di Falconara M.;
- che (v. motivo n.3), avendo sia la Regione Marche che il Comune di Falconara M. già manifestato in modo inequivoco la loro adesione al progetto S.E.A. (Sicurezza, Energia e Ambiente), rispettivamente, con atti datati 16.4.1992 e 3.2.1992, gli stessi enti non avrebbero potuto violare la realizzazione del progetto medesimo neanche ricorrendo a provvedimenti formali, altrimenti avrebbero posto in essere atti illegittimi; peraltro, con la presentazione delle impugnative i due enti si sarebbero proposti un risultato contrastante “in modo obiettivo con il fine pubblico che essi avevano assegnati a se medesimi in modo specifico e definitivo”;
- che (v. motivo n.4), essendo il provvedimento di anticipata rinnovazione della concessione un mero “atto applicativo”, consequenziale e necessario, del precedente provvedimento n.671364 del 26.7.1994, non poteva essere impugnato l’atto successivo se a questi si era fatta acquiescenza, con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, il ricorso di prime cure sarebbe tardivo;
- che (v. motivo n.6) vi sarebbe da parte del Comune di Falconara M. la mancanza di un interesse attuale, giacchè in effetti sussisterebbe in tale ente locale soltanto un interesse eventuale e futuro; d’altra parte, il medesimo Comune, se si fosse annullato il D.M. impugnato, non avrebbe potuto realizzare, contro il suo interesse, quanto stabilito con apposita convenzione già stipulata con la società API;
- che, in generale, (v. motivo n.7) non sarebbe legittimato ad impugnare l’atto con cui si perfeziona il procedimento l’ente chiamato ad esprimere parere nell’ambito di un procedimento di competenza di altra Amministrazione (nella specie Regione e Comune predetti).
2.1 In primo luogo, quanto al motivo n.5, deve ritenersi infondata l’eccezione inerente alla tardività del ricorso degli enti originariamente ricorrenti, i quali, ad avviso della società appellante, avrebbero avuto già conoscenza del decreto in epigrafe e, in ogni caso, avrebbero dovuto procurarsi la cognizione del decreto stesso attesa anche la loro posizione istituzionale.
Non può ritenersi, infatti, condivisibile la tesi secondo cui il provvedimento di rinnovo della concessione oggetto dell’impugnativa in prime cure sarebbe stato comunque conoscibile dalla Regione Marche, osservando un onere di media diligenza, desumibile dall’art. 1176 c.c., ed essendo partecipe la Regione stessa del procedimento in questione e, quindi, tenuta, per la propria posizione istituzionale, ad una leale collaborazione con gli organi dello Stato, potendo e dovendo, altresì, esercitare il diritto d’accesso.
E ciò perché, nel caso di cui trattasi, appare fuor di dubbio che il decreto ministeriale in questione non sia stato comunicato espressamente alla Regione Marche né che lo stesso sia stato pubblicato e che, in ogni caso, come evidenziato nella pronuncia dei primi giudici, sia operante nella specie il principio secondo cui, in mancanza di ogni forma legale di conoscenza, chi propone l’eccezione deve fornire la prova certa (e ciò non sembra avvenuto) della piena conoscenza dell’atto sulla base di elementi inequivoci e non già di presunzioni o, tantomeno, trasformando in onere od in obbligo, non previsti dalla legge, l’esercizio di un diritto-facoltà all’accesso, venendosi, altrimenti, a limitare il diritto alla tutela giurisdizionale contro gli atti della P.A. di cui all’art. 113, comma I, Cost..
In mancanza di una prova certa sulla conoscenza dell’atto, anche l’eccezione d’irricevibilità dedotta in relazione al gravame proposto originariamente dal Comune di Falconara M. deve essere disattesa.
2.2 Non può condividersi nemmeno l’assunto delle parti appellanti (v. motivo n.3) secondo cui, sussistendo attualmente un interesse positivo giuridicamente radicato dei due enti alla realizzazione del progetto S.E.A. - al quale, appunto, essi avevano manifestato adesione con note in data 16.4.1992 (la Regione Marche) e in data 3.2.1992 (il Comune di Falconara M.) - sarebbe inammissibile per carenza di interesse il ricorso da loro presentato contro il rinnovo anticipato di concessione e secondo cui gli enti medesimi con la loro impugnativa si sarebbero proposti in concreto un risultato obiettivamente contrastante con il fine pubblico che si erano già prefisso “in modo specifico e definitivo”.
Appare, infatti, evidente che nella specie l’interesse a proporre ricorso da parte degli enti locali, ora appellati (che pure avevano espresso sostanzialmente adesione al progetto S.E.A.) è essenzialmente riferito all’eccezionale spostamento all’anno 2020 del termine finale della rinnovata concessione, elemento questo che, in definitiva, costituisce l’aspetto più rilevante e diverso del provvedimento impugnato, in ordine al quale, in effetti, non era stata espressa precedentemente alcuna adesione.
Il progetto S.E.A., infatti, era stato approvato con riferimento ad un dato temporale di scadenza (2008) della concessione per la raffinazione del greggio e la gassificazione del catrame (“tar”), sicché appare evidente che i menzionati enti avevano acconsentito a detto progetto sulla base di valutazioni ambientali riferite all’epoca del progetto stesso considerate in proiezione al massimo fino al 2008.
Ne consegue che se la concessione doveva essere rinnovata fino al 2020, come poi disposto nel decreto impugnato, era necessario procedere ad una nuova valutazione da parte degli enti medesimi, anche alla stregua delle sopravvenienti esigenze ambientali ed urbanistiche connesse ad un'area territoriale di crescente notevole rischio ambientale (proprio in relazione a ciò, infatti, verrà adottato un nuovo P.R.G. con previsione di una sostanziale riconversione della zona stessa verso attività di carattere turistico e artigianale ecocompatibili con il programma di dismissione delle raffineria in questione), area nella quale, come rappresenta la difesa della Regione Marche, in tempi più recenti si è determinata “una particolare situazione di sovraccarico urbanistico ed ambientale”, insistendo in detta area anche numerose altre industrie, oltre ad una centrale ENEL, all’Aeroporto, alla linea ferroviaria e alla centrale turbogas.
In presenza di tale circostanza particolare - che non poteva esimere, peraltro, gli enti locali interessati dall’assumere iniziative volte ad individuare le misure di sicurezza e gli interventi urgenti necessari per la riduzione delle condizioni di rischio ambientale e delle popolazioni abitanti nel territorio coinvolto mediante provvedimenti di risanamento in generale della zona interessata - non può non ritenersi sussistente nel caso in esame l’interesse da parte dei menzionati enti a ricorrere contro tutte le iniziative industriali che non tenessero pienamente conto di tale realtà e, in particolare, come nel caso in esame, contro quelle proiettate nella loro attività, in parte contrastante con le esigenze predette, verso un lungo periodo di tempo (venti anni).
2.3 Con riguardo alla eccepita inammissibilità dei ricorsi della Regione Marche e del Comune di Falconara Marittima per acquiescenza, (v. motivo n.4) la difesa della società appellante puntualizza che i due enti, che già avevano approvato il progetto Sicurezza, Energia, Ambiente (S.E.A.), non potevano impugnare il successivo D.M. di rinnovo della concessione, avendo fatto sostanzialmente acquiescenza al precedente atto relativo all’approvazione del medesimo progetto.
Tali enti, infatti, secondo parte appellante, avrebbero dovuto impugnare autonomamente il progetto S.E.A. e quindi proporre, semmai con separato ricorso, l’impugnazione del rinnovo anticipato di concessione.
Anche tale tesi, secondo cui il decreto in data 15.10.1998 sarebbe in effetti un atto applicativo consequenziale del provvedimento n. 671364 del 26.7.1994 riferito all’approvazione del progetto S.E.A., non può essere condivisa.
Infatti il citato decreto 15.10.1998, come si è accennato, è un atto di certo indipendente dall’approvazione del progetto predetto, nel quale non vi era, peraltro, cenno dell’intento di procedere al rinnovo della concessione, sicché appare evidente che il decreto medesimo non poteva essere considerato un atto applicativo del provvedimento riferito al progetto S.E.A..
Non sussiste, quindi, l’assunto rapporto di consequenzialità; pertanto il D.M. 15.10.1998 ben poteva essere impugnato autonomamente, a nulla rilevando che contro il precedente atto approvativo del progetto S.E.A. non fosse stata proposta impugnativa.
2.4. La società API e il Ministero delle Attività Produttive con un ulteriore motivo deducono l’inammissibilità del ricorso originario del Comune di Falconara in quanto esso non avrebbe avuto un interesse attuale a proporre tale impugnativa (motivo n.6).
Al menzionato Comune, infatti, potrebbe derivare, secondo gli appellanti, un danno evidente dall’annullamento del decreto ministeriale di cui trattasi, a causa della non attuazione della convenzione stipulata nell’ottobre 1996 con l’API s.p.a. che conseguirebbe a detto annullamento; comunque, nei confronti del medesimo Comune, ogni possibile pregiudizio avrebbe potuto assumere rilievo ed attualità soltanto successivamente, cioè alla scadenza della concessione in vigore.
Anche tale eccezione deve essere disattesa.
Il Collegio ritiene, infatti, che di certo sussisteva nel Comune di Falconara M., al momento della proposizione del gravame, un interesse concreto ed attuale; e ciò perché tale Comune, quale ente esponenziale degli interessi della collettività appartenente al suo territorio e quale soggetto tenuto ad intervenire nel procedimento di cui all’art.4, comma 8, del D.P.R. n.420/1994, era fuor di dubbio portatore di un interesse giuridicamente rilevante ad un'immediata corretta esplicazione dell’azione amministrativa concretatasi nella specie con l’emissione del provvedimento impugnato.
Tale provvedimento, peraltro, come emerge dall’esposizione che precede, concerneva il rinnovo della concessione per la raffinazione per ulteriori venti anni, senza che su di esso si fosse in alcun modo espresso esplicitamente il Comune territorialmente interessato, anche se questo aveva manifestato precedentemente il suo assenso al programma di gassificazione nell’intento essenziale di pervenire ad un miglioramento delle garanzie di sicurezza e di salubrità del territorio interessato in favore della propria popolazione.
E' di tutta evidenza quindi, oltre alla legittimazione, l’interesse attuale dell’ente locale in questione a contestare immediatamente in sede giurisdizionale il rinnovo di una concessione per una raffineria petrolifera, con nuovi impianti, di durata ventennale, come quella di cui trattasi, rinnovo che, se non impugnato immediatamente, avrebbe potuto arrecare pregiudizio per un lungo periodo di tempo, ponendosi peraltro in contrasto con le adottate misure riferite al programmato sviluppo socio-economico della zona, teso, come evidenziato dalla difesa del Comune di Falconara M., “verso attività eco-compatibili” idonee a farlo “uscire dalla ricomprensione in un’area (quella di Ancona – Falconara e della Valle bassa dell’Esino) ad elevato rischio di crisi ambientale”.
2.5. Con l’ultima eccezione (v. motivo n.7) la società appellante sostiene, infine, che gli enti che partecipano al procedimento non possono poi impugnarne l’atto conclusivo, perché la partecipazione stessa determinerebbe la formazione di un sistema a carattere chiuso preclusivo di ogni attività esterna, con la conseguenza che, nel caso in esame, sia la Regione che il Comune non avrebbero potuto impugnare innanzi al Giudice amministrativo l’atto finale (D. M. in epigrafe di rinnovo della concessione) riferito ad un procedimento a cui tali enti avevano partecipato.
Anche tale ultima eccezione deve essere disattesa perché - come osservato anche dalla difesa della Regione Marche - è stata dedotta per la prima volta in appello.
In ogni caso, va rilevato che la Regione stessa nel corso del procedimento conclusosi con il censurato decreto aveva espresso parere non favorevole in relazione ai rilevanti interessi di cui era titolare, sicchè ben poteva dolersi dell’atto conclusivo del medesimo procedimento ritenuto lesivo di tali interessi.
2.6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, tutte le eccezioni sollevate in via preliminare dalle parti appellanti debbono essere respinte.
3. Può passarsi, pertanto, al merito della controversia.
3.1. L’appellante società (al motivo n.8 e successivi del ricorso), ed anche la difesa erariale nel motivo dell’appello incidentale proposto, censurano la sentenza in epigrafe perché ha ritenuto fondate le censure di violazione dell’art. 4, commi IV, VI e VIII, del D.P.R. n. 420/1994 a causa della mancata acquisizione dei pareri del Ministero dell’Interno e dell’Ambiente nonché del Comune di Falconara Marittima.
E ciò perché, trattandosi nella specie, in buona sostanza, di un provvedimento di proroga di una concessione già rilasciata (e quindi non di un rilascio ex novo), non sarebbe stato necessario acquisire, a loro avviso, i pareri previsti dalle citate disposizioni.
In particolare sostiene la società appellante:
- che censure degli enti ricorrenti in primo grado, di omessa richiesta di pareri in violazione delle norme predette, accolte dal TAR Marche, sarebbero infondate in quanto, non riferendosi il provvedimento impugnato a “nuovi impianti”, si sarebbe dovuto applicare nella specie non già l’art. 4 del citato DPR, che detti pareri riteneva necessari, bensì l’art. 9 del RDL n.1741 del 1933, riguardante specificamente il “rinnovo della concessione”, per il quale i pareri in questione non erano richiesti (v. motivi nn.8 e 9 dell’appello);
- che, anche se si volesse prescindere da quanto innanzi detto, il TAR Marche avrebbe errato, al punto 4.4 e al punto 4.5 della sentenza, nell’accogliere le prime due censure del II motivo del ricorso della Regione Marche, non essendo necessario, nel procedimento di cui trattasi, richiedere il parere né al Ministero dell’Interno né a quello dell’Ambiente, mancando nella specie la realizzazione di “nuovi impianti” (v. motivi nn.11 e 12 dell’appello);
- che, quanto alla mancanza dell’apposito parere del Comune di Falconara M., dedotta dagli originari ricorrenti, essa non si sarebbe verificata nella specie, dovendo ritenersi sufficiente al riguardo il “parere di conformità” dei progetti alla previsioni di piano regolatore, già rilasciato dagli uffici comunali (v. motivo n.14 dell’appello).
Tali censure non possono essere condivise.
3.2. Prima di passare all’esame dell’iniziale ordine di rilievi, ritiene opportuno il Collegio accennare brevemente alla disciplina applicabile al caso in esame.
Al riguardo occorre prendere in considerazione, innanzitutto, il R.D.L. 2.11.1933, n. 1741 (rimasto in vigore anche dopo l’emanazione dell’art.17 della legge 1.1.1991 n.9) e, in particolare, i relativi artt.4 e 9; con essi, da una parte, di stabiliscono - nei confronti di chi intenda trasformare, rettificare o elaborare oli minerali o i residui provenienti dalla raffinazione degli oli medesimi - gli obblighi da assolvere (art.4) e, dall’altra, si consente al titolare di una concessione per il trattamento industriale degli oli minerali, di chiedere il rinnovo della stessa, per un periodo fino a 20 anni dalla attivazione degli impianti, qualora introduca “trasformazioni profonde” che applichino nuovi processi di lavorazione (art.9).
Successivamente la legge 9.1.1991 n. 9 ha modificato tale disciplina, indicando in particolare, agli artt. 16 e 17, disposizioni con riguardo alle concessioni e alle relative procedure, disposizioni, tuttavia, abrogate poi dal D.P.R. n. 420/1994.
Infine, di quest’ultimo D.P.R., sono particolarmente rilevanti, al fine che qui interessa, l’art. 2, che specifica le “opere soggette a concessione” (nell’ambito della quale rientrano anche quelle di cui alla lett. b - che concerne “nuovi impianti che amplino le capacità di lavorazione” stabilite dal decreto di concessione degli stabilimenti per la lavorazione di oli minerali - e, all’art. 4, che riguarda “la procedura per il rilascio di concessione” di dette opere, norma questa che di seguito verrà più specificamente esaminata.
3.3. Ciò premesso, occorre ora valutare, alla stregua del quadro normativo cui sin ora fatto cenno, il procedimento avviato nella fattispecie dall’Amministrazione e conclusosi con l’emissione del decreto impugnato in prime cure.
In relazione a detto procedimento, iniziato con la propria domanda di rinnovo della concessione, l’API s.p.a. assume, come accennato, che non sia applicabile alla fattispecie l’art. 4 del D.P.R. n.420 cit., bensì l’art. 9 del R.D.L. n. 1741 del 1933.
L’assunto è non può condividersi.
L’articolo 9 cit., infatti, non può ritenersi applicabile al caso in esame; e ciò essenzialmente perché le precedenti concessioni erano state rilasciate all’API s.p.a. soltanto per la lavorazione e la raffinazione di “petrolio grezzo” - inizialmente (1949) per la lavorazione di tonnellate annue 200.000, oltre il 30% di riserva legale - e non anche per la lavorazione di “residui”, posta poi alla base del nuovo sistema di cui trattasi, volto nella sostanza ad ottenere da essi, tramite il processo di gassificazione, la produzione in energia elettrica.
Con la realizzazione del progetto S.E.A., invero, la società predetta ha introdotto nello stabilimento di sua proprietà nuovi impianti (in particolare quello IGCC), svolgendo un'attività caratterizzata da trasformazione dei residui derivanti dalla raffinazione del petrolio e da nuovi cicli produttivi di certo incidenti sull’impianto di raffineria preesistente, come può evincersi anche dalla circostanza della diversità dei prodotti finali rispetto a quelli derivati dall’impianto di raffinazione originario.
Appare, pertanto, condivisibile quanto in proposito ritenuto dai primi giudici in ordine al fatto che il progetto SEA abbia, in effetti, comportato modifiche e trasformazioni consistenti e tali da incidere sui processi di lavorazione e di raffinazione del greggio - che formavano il solo contenuto dell’originaria concessione poi rinnovata anticipatamente ed ampliata - risultando ciò chiaramente sia dal nuovo impianto destinato a generare gas combustibile (che, previa desolforazione e abbattimento di altri possibili inquinanti, è alimentato da un gruppo di turbogas che produce energia elettrica ed i cui gas di scarico consentono la produzione di vapore da avviare ad un turbogeneratore che produce altra energia elettrica, nonché vapore da destinare al soddisfacimento del fabbisogno di energia termica della raffineria), sia dalla sostituzione della preesistente centrale termoelettrica convenzionale con una nuova centrale a ciclo combinato alimentata da gas derivanti da residui pesanti di lavorazione mediante processo di gassificazione.
D’altra parte, che tali nuovi impianti abbiano inciso anche sul preesistente impianto di raffinazione, comportandone la modifica e parziale trasformazione, appare confermato dal fatto che – come opportunamente sottolineato dalla difesa della Provincia di Ancona – l’autorizzazione ministeriale di cui alla nota n. 671364 del 1994, relativa a detti interventi, risultava rilasciata in applicazione dell’art.19 R.D. n.1303 del 1934 ed aveva, appunto, ad oggetto la “variazione degli impianti del processo di lavorazione in base ai quali fu accordata la concessione” (quelli, cioè, della preesistente raffineria); autorizzazione questa ora indicata che non costituiva, però, una “nuova concessione” per i nuovi cicli produttivi basati sulla trasformazione e utilizzazione industriale dei residui (che sarebbe stata, invero, necessaria se fosse stato ancora vigente l’art.4 del RDL 1741/1934 che prevedeva due distinte concessioni: l’una per la lavorazione degli oli minerali, l’altra per la lavorazione dei residui stessi).
La nuova concessione, o comunque un ampliamento di quella preesistente, era necessaria, dunque, come evidenzia la difesa della Provincia, anche nella sopravvenuta vigenza della legge n. 9 del 1991, la quale prevede in ogni caso l’assoggettamento a concessione dell’attività di lavorazione dei residui, solo che, a differenza dell’art.4 ora cit., consente che essa sia ricompresa “in un’unica concessione” cioè in quella relativa alla raffinazione.
Nel caso in esame, quindi, la richiesta di rinnovo della concessione, avanzata il 21.3.1997 al Ministero dalla società ora appellante, non poteva riferirsi sic et simpliciter all’originario D.M. 15.10.1949 e successivi rinnovi (da ultimo con D.M. 24.3.1988, con durata fino al 23.2.2008), riguardando essa anche le ”novità” sostanziali nel frattempo introdotte; e cioè, oltre all’impianto di raffinazione in sé, con le modifiche derivanti dal progetto S.E.A., anche e soprattutto le nuove produzioni conseguenti all’utilizzo di residui (impianto IGCC), nonché il ciclo produttivo integrato, rappresentato dalle esistenti connessioni tra raffinazione e l’utilizzazione dei residui predetti.
Debbono essere disattese, di conseguenza, le censure contenute nei motivi dal n.8 al n.10 dell’appello con le quali la Società API sostiene che il progetto “Sicurezza, Energia, Ambiente” era assoggettato unicamente alla disciplina dell’art. 9, R.D.L. n. 1741/1933 e non anche alle prescrizioni di cui all’art. 4, d.P.R. n. 420/1994 e che, in definitiva, i pareri richiesti dal Ministero procedente, ai sensi di tale disposizione, si sarebbero dovuti considerare soltanto una manifestazione “facoltativa” riconoscibile in via generale alle amministrazioni nell’iter procedimentale e non, quindi, un obbligo di legge.
Come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, deve al riguardo ribadirsi, invero, che la concessione rilasciata alla società API (fin dal 15.10.1949) permetteva di effettuare la lavorazione di petrolio grezzo e non riguardava, anche, l’autorizzazione alla lavorazione dei residui. (v. in proposito nota 29.9.1998 n.221682, inviata al Ministero dalla società API Raffineria di Ancona nella quale si fa cenno ad un impianto “destinato a trattare circa 500.000 tonn/anno di idrocarburi pesanti (residui) da cui si produce gas combustibile”.
Il progetto di cui trattasi riguarda, dunque, la gassificazione del catrame (tar) per produrre energia elettrica e serve a sfruttare il residuo-rifiuto dopo che si è conclusa la raffinazione del greggio, mediante un complesso impianto che riguarda la produzione di energia elettrica attraverso l’utilizzazione dei prodotti di scarto della raffinazione.
Vero è che l’art. 9, R.D.L. 2.11.1933, n. 1741 prevede la possibilità di rinnovare la licenza, “anche prima della scadenza della licenza generale” se il titolare di una concessione per il trattamento industriale degli oli minerali “introduca nei suoi impianti industriali trasformazioni profonde che applichino nuovi processi di lavorazione”; tuttavia, nella specie, come si è più volte evidenziato, il progetto “S.E.A.” della società API non ha modificato il processo di lavorazione degli oli minerali per la trasformazione del greggio, che è rimasto del tutto immutato; ma ha previsto invece la possibilità di un'ulteriore lavorazione, quella dei residui, per la quale l’art. 4, R.D.L. 2.11.1933, n.1741 dispone che “chiunque intenda trasformare, rettificare o comunque elaborare gli oli minerali o i residui provenienti dalla raffinazione degli oli medesimi, deve chiederne la concessione”.
Così facendo, è indubbio che il legislatore abbia inteso distinguere nettamente e trattare separatamente le due ipotesi cui si è fatto cenno, attesa l'evidente diversità della lavorazione del greggio da quella dei residui, la quale costituisce certamente un’attività aggiuntiva rispetto a quella prevista nel titolo originario della concessione di cui era titolare l’API s.p.a. fin dal 1949, riguardante unicamente, per l’appunto, la lavorazione del petrolio grezzo e non certo per la produzione di energia elettrica.
Alla luce delle considerazioni svolte e della normativa di settore richiamata la società appellante non aveva titolo, dunque, per chiedere il rinnovo anticipato della concessione ai sensi dell’art.9 del R.D.L. n.1741/1933 e, di conseguenza, la concessione anticipata non doveva essere richiesta e rilasciata ai sensi del predetto articolo 9, come erroneamente assunto dalle parti appellanti.
D’altra parte, come osservato dalla difesa della Regione, per procedere al rinnovo di una concessione sarebbe stata indispensabile, in ogni caso, la preesistenza di altra concessione, la quale nell’ipotesi in esame, però, per quanto innanzi detto con riguardo ai residui, era inesistente. La società appellante, quindi, avrebbe dovuto ottenere in un primo momento una nuova concessione per la lavorazione dei residui, e soltanto successivamente avrebbe potuto chiedere la rinnovazione della concessione medesima; ciò però, nel caso in esame non si è verificato perché la società medesima ha utilizzato una concessione avente un “oggetto diverso” da quello richiesto in sede di rinnovo (la concessione per la lavorazione del petrolio greggio da rinnovarsi in concessione per la lavorazione dei residui).
Alla stregua di quanto esposto, consegue che, nel caso in esame era necessario esperire un procedimento ai sensi di quanto stabilito dagli artt. 16 e 17 della L. n. 9 del 1991 e dall’art. 4 del d.P.R. n. 420, unico idoneo al rilascio della concessione.
3.4. Per quanto considerato, il progetto della società appellante cui fa riferimento il decreto impugnato in prime cure rientra, dunque, nella disciplina dell’art. 4 del D.P.R. 18.4.1994, n. 420 concernente la “procedura per il rilascio della concessione” ed è, quindi, soggetto agli obblighi in tale norma specificamente previsti.
In particolare, l’art.4 cit. indica analiticamente gli adempimenti procedurali che il Ministero dell’Industria, ora delle Attività produttive, dopo un preliminare esame della domanda di concessione e l’avvio del procedimento di cui viene data notizia all’interessato, deve effettuare prima di rilasciare la concessione richiesta, consistenti essenzialmente nella acquisizione di una serie di pareri obbligatori; rilasciati, più precisamente, dal Ministero delle Finanze (comma II), per la valutazione degli aspetti fiscali connessi con la realizzazione o l’ampliamento degli impianti; dal Ministero dei Trasporti e della Navigazione (comma III), in merito alla installazione e all’ampliamento degli impianti; dal Ministero dell’Interno (comma IV), in ordine alla sicurezza delle opere; dal Ministero della Difesa (comma V), che esprime il proprio parere secondo appositi accordi; dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero della Sanità (comma VI), sotto il profilo della tutela paesaggistico-territoriale e della salute degli abitanti nella zona interessata; dalla Regione interessata all’installazione degli impianti (comma VII), con riguardo agli aspetti territoriali ed ambientali di competenza ed, infine, dal Comune in cui ha sede lo stabilimento oggetto della concessione per la valutazione di conformità dei progetti di costruzione degli impianti relativi alle previsioni di piano regolatore (comma VIII).
Ciò premesso - in ordine alle statuizioni del TAR Marche (punto 4.4.e 4.5 della sentenza), ritenute erronee dalle parti appellanti, con le quali è stata riconosciuta l’illegittimità del provvedimento impugnato per mancata acquisizione del parere del Ministero dell’Ambiente e dell’Interno (v. motivi nn.11 e 12 del ricorso dell’API S.p.a. e motivo unico del Ministero delle Attività produttive) - va osservato, innanzitutto che non è condivisile l’assunto della società appellante secondo cui, in materia di sicurezza, l’intervento del Ministero dell’Interno dovrebbe limitarsi agli impianti che non siano “costieri”, dei quali sarebbe competente solo il Ministero dei Trasporti e della Navigazione che nella specie è in effetti intervenuto (v. delibera favorevole in data 19.2.1992 del Comitato portuale territorialmente competente riferito agli aspetti strettamente connessi all’utilizzo delle aree demaniali interessate dagli impianti della società appellante).
Ed invero, l’art. 4, comma III, del d.P.R. n. 420 del 1994, lungi dall’indicare un’alternatività di scelta, pone in sostanza un onere aggiuntivo da osservarsi dall’Amministrazione procedente, quando stabilisce che sia acquisito anche il parere del Ministero dei Trasporti in merito alla installazione e all’ampliamento degli impianti “qualora gli stessi siano costieri secondo la definizione dell’art.44 R.D. 20.7.1934, n.1303”, nell’ipotesi in cui, cioè, la concessione attenga ad impianti situati sulla costa marina; lo stesso art. 4 cit., al comma IV, indica, invece, un criterio che deve essere sempre osservato per tutti gli impianti interessati alla concessione o al suo rinnovo quando dispone espressamente che il Ministero dell’Interno “esprime il proprio parere sulla sicurezza delle opere di cui all’art.2” – nell’ambito del quale rientrano appunto anche gli impianti che amplino la capacità di lavorazione già stabilita nel decreto di concessione, come nella specie – “ai sensi della normativa concernente i servizi di prevenzione e di vigilanza antincendi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29.7.1982, n. 577”.
Pertanto, è fuor di dubbio che nel caso di cui trattasi, in presenza di nuovi impianti rientranti nell’ambito delle opere soggette a concessione di cui all’art.2 del DPR n.420/1994, detto parere del Ministero dell’Interno doveva essere richiesto ai sensi del successivo art.4 dello stesso DPR, così come statuito nella sentenza di primo grado.
Quanto alla mancata acquisizione del parere del Ministero dell’Ambiente, richiesto dall’art. 4, comma VI, del d.P.R. n. 420 del 1994 con riguardo alle nuove concessioni per l’installazione o l’ampliamento degli impianti in questione, dovendo sempre verificare la competente autorità amministrativa la sussistenza dei necessari requisiti per esercitare l’apposita attività produttiva, il Collegio deve osservare che nel caso in esame era certamente necessario acquisire tale parere del Ministero dell’Ambiente, attesa anche l’introduzione nella raffineria di Falconara M. di innovazioni ed ampliamenti particolari.
In proposito, deve disattendersi quanto asserito nel giudizio di primo grado dalla società appellante e non condiviso dai primi giudici, e cioè che l’avviso di compatibilità ambientale espresso in precedenza sarebbe stato sufficiente a rispettare quanto richiesto dall’art. 4, comma VI, cit., perchè al momento della richiesta di rinnovo non era stata introdotta negli impianti della raffineria alcuna modificazione, oltre agli interventi relativi al progetto S.E.A..
Ed invero, anche se il predetto parere di compatibilità ambientale ha valutato alcuni aspetti riferiti, nel suo complesso, allo stabilimento in questione, esso, comunque, riguardava l’impianto di IGCC (gassificazione di idrocarburi pesanti e di produzione di energia elettrica in cogenerazione) e non invece l’intero progetto SEA (“Sicurezza, Energia, Ambiente”), né soprattutto, lo stabilimento di Falconara con tutte le relative numerose attività in esso previste, da valutarsi nel suo complesso.
In conclusione, a prescindere dal contenuto del suo precedente avviso (espresso circa quattro anni prima del decreto in data 15.10.1998), era necessario certamente che in sede di rinnovo della concessione fino al 2020 il Ministero dell’Ambiente formulasse il proprio specifico parere in ordine alla accettabilità o meno del quadro emissivo della raffineria, ai sensi dell’art.4, comma VI, del DPR n.420/1994 con riferimento ai nuovi impianti indicati nel precedente art.2 del medesimo DPR..
Quanto all’ultimo rilievo del ricorso delle parti appellanti, con cui si critica la statuizione del TAR che ha ritenuto fondate le censure dedotte dagli enti ricorrenti in prime cure con le quali era stata eccepita la mancata acquisizione del parere del Comune di Falconara Marittima (obbligatoriamente introdotto nel procedimento dall’art.4, comma VIII, del d.P.R. n. 420 del 1994), il Collegio osserva che anche tale rilievo è privo di fondamento.
E ciò perché la disposizione ora citata richiede espressamente che il Comune interessato esprima “una valutazione di conformità dei progetti di costruzione degli impianti alle previsioni dei piani regolatori”, disponendo, altresì, che il parere del Comune costituisce “valutazione preliminare ai fini del rilascio delle autorizzazioni previste dall’art. 216 del R.D. 27.7.1934, n.1265 (testo unico delle leggi sanitarie) e della legge 10.5.1976, n. 319 e successive modificazioni”, riferita alla disciplina delle lavorazioni insalubri e della tutela delle acque superficiali.
Si rendeva necessario, dunque, nel procedimento di cui trattasi anche lo specifico giudizio valutativo del Comune interessato, non riducibile ad un semplice atto accertativo di conformità, come sembra sostenersi nel caso in esame, con riguardo cioè all’attestazione - richiesta dall’API, senza alcun cenno alla pratica di anticipato rinnovo e prima della presentazione dell’istanza del 21.3.1997, ad esso relativa – rilasciata dal Comune di Falconara Marittima il 27.2.1997, nella quale è riportato che le costruzioni presenti sull’area su cui quale insiste la raffineria sono conformi alle destinazioni del vigente Piano regolatore Generale.
Attestazione questa che, invero, sulla base della normativa richiamata, non appare certamente idonea allo scopo che qui interessa, atteso che - programmata o non l’occupazione di nuove aree, sia in sede di rilascio sia in sede di rinnovo della concessione di cui si tratta - deve ritenersi sempre necessario la valutazione del Comune, quale ente esponenziale degli interessi della collettività locale e, in particolare, di quelli volti ad una corretta gestione dell’assetto territoriale, tanto più se, come nel caso in esame, si sia in presenza di un provvedimento di concessione di durata ventennale, con possibile sostanziale incidenza sulle future scelte di pianificazione del territorio comunale, anche con riguardo alla protezione dell’ambiente e della salute.
Il fatto, dunque, che il Comune predetto abbia rilasciato, in data 27.2.1997, un’attestazione della conformità delle costruzioni alle destinazioni dell’allora vigente Piano Regolatore, circostanza sulla quale parte appellante sembra particolarmente insistere (al motivo n.14 del ricorso), non può ritenersi di certo sufficiente ad avvalorare la tesi delle parti appellanti circa la sufficienza di tale documento ed escludere nel procedimento di cui trattasi la specifica valutazione da parte del Comune di Falconara Marittima.
4. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, disattese le riproposte eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità dei gravami originari, il ricorso deve essere, dunque, respinto, dovendosi ritenere fondate le censure accolte dai primi giudici.
Quanto alle spese di giudizio sussistono motivi per disporne tra le parti al compensazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 12 febbraio 2002 , dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI) in
Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Giuseppe ROMEO Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.
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