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Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. del 15 aprile 2002, n. 1999.

 

REPUBBLICAITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

 

decisione

 

sul ricorso in appello R.G. 3560/00 proposto da Aurora Italia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dalla impresa costruzioni Bonetti s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Sala e Giuseppe Guarino presso il quale ultimo elettivamente domiciliano in Roma, alla Piazza Borghese, n. 3

contro

la Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Colombo, Marinella Orlandi e Federico Tedeschini presso il quale ultimo elettivamente domicilia in Roma al Largo Messico, n. 7

e nei confronti

del Comune di Cremona in persona del Sindaco in carica rappresentato e difeso dagli avvocati Edoardo Boccalini e Lamberto Ghilardi, domiciliati presso la Segreteria del Consiglio di Stato ai sensi dell’articolo 35, c. 2 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di   Milano - Sezione III n. 3070/1999 pubblicata mediante deposito il 27 settembre 1999;

Visto l’appello con i relativi allegati:

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e quello del Comune di Cremona;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese:

Visti gli atti tutti di causa;

Nominato relatore per l’udienza del 30 novembre 2001 il Consigliere Filoreto D’Agostino e uditi altresì per le parti l’avvocato Guarino per gli appellanti, l’avvocato Tedeschini per la Regione Lombardia e l’avvocato Boccalini per il Comune di Cremona;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue

 

Ritenuto in fatto

 

Viene in decisione l’appello avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per l’annullamento della deliberazione della Giunta regionale della Lombardia n. 34511 del 6 febbraio 1998, recante diniego di nulla osta regionale alla apertura in agro di Cremona di un centro commerciale al dettaglio.

Vengono riproposti, con ulteriori argomentazioni, i quattro motivi dedotti in prime cure.

Si sono costituiti sia il Comune di Cremona sia la Regione Lombardia che hanno concluso per la reiezione del gravame.

All’udienza del 30 novembre 2001 parti e causa sono state assegnate in decisione.

 

Considerato in diritto

 

L’appello è infondato.

La questione dedotta riguarda la legittimità del diniego opposto dalla Regione Lombardia al rilascio di nulla osta per l’apertura di centro commerciale al dettaglio nel comune di Cremona con riferimento alle seguenti contestazioni:

a) specifico contrasto del criterio della media regionale (utilizzato nel provvedimento di reiezione) con il disposto dell’articolo 11 della legge 11 giugno 1971, n. 426 con riguardo sia al canone della migliore produttività e funzionalità nell’interesse del consumatore sia per ingiustificata riduzione dell’ambito del bacino di utenza (limitato alla area gravitazionale n. 17);

b) mancata valutazione in concreto dell’indice di soddisfacimento del consumatore e carattere astratto del criterio della media regionale;

c) incoerenza del criterio adottato con il principio di libera iniziativa economica così da salvaguardare la categoria professionale dei piccoli commercianti;

d) carenza di istruttoria, anche con riguardo alla mancata convocazione di una conferenza di servizi, e di adeguata ponderazione della pianificazione di sviluppo e di adeguamento della rete commerciale del Comune di Cremona, con conseguente inidonea percezione dell’effettivo bacino di utenza.

Sub a)

a1): sul ricorso al criterio delle medie regionali.

E’ pacifico inter partes e non è oggetto di contestazione la ritenuta applicabilità, per statuire in relazione al richiesto nulla osta da parte della Regione Lombardia, dell’articolo 11, comma 2 della legge 11 giugno 1971, n. 426, che così recita: “il piano, nel rispetto delle previsioni urbanistiche, tende ad assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore e il maggior possibile equilibrio tra installazioni commerciali a posto fisso e la presumibile capacità di domanda della popolazione stabilmente residente e fluttuante, tenuto conto anche delle funzioni svolte dall'ambulantato e da altre forme di distribuzione in uso”.

Per assolvere alle predette finalità la Regione Lombardia si è affidata a un parametro quale la ponderazione delle medie regionali in ordine alla distribuzione nei vari settori merceologici, sul rilievo che il rispetto di tali medie si pone in aderenza all’interesse dei consumatori.

Gli appellanti assumono che la preminenza di quest’ultimo interesse è del tutto estranea al criterio della media regionale.

L’affermazione non può essere condivisa.

La Regione Lombardia ha tenuto presenti entrambi i criteri stabiliti dal predetto articolo 11 della legge n. 426 del 1971, evidentemente finalizzati all’equilibrio distributivo dei centri commerciali (C.d.S., V, 7 giugno 1993, n. 671) e ha saggiato, a quella stregua, la compatibilità della progettata nuova struttura con il tessuto produttivo nello specifico ambito territoriale.

Si è, infatti, rilevato che la tutela del consumatore, interesse pubblico primario cui è preordinato il precetto in esame, si realizza utilizzando l’effetto combinato dei due criteri, in aderenza al dettato normativo che non gradua questi ultimi, ma ne impone la contestuale applicazione.

La ragione è evidente: la tutela del consumatore si persegue non solo assicurando la migliore funzionalità e produttività del servizio, ma anche mantenendo il necessario equilibrio tra diverse forme di distribuzione così da informare il mercato a condizioni di concorrenza ottimale.

In questa prospettiva, si rivela estremamente utile il ricorso alla c.d. media regionale, specie nell’ambito commerciale della Regione Lombardia notoriamente caratterizzato da condizioni economiche molto favorevoli e di assoluta preminenza nel contesto dell’Unione europea.

In carenza, pertanto, di strumenti più adeguati (la cui predisposizione e approvazione ai sensi della legge regionale 24 dicembre 1997, n. 49 era in itinere, al momento di adozione dell’atto impugnato), la Regione ha utilizzato quali parametri di valutazione le medie regionali sul presupposto di una loro coerenza con lo sviluppo economico e commerciale dell’intera comunità.

E’ bene precisare che, in sede di rilascio o diniego di nulla osta ai sensi dell’articolo 27 della legge n. 426 del 1971, la valutazione dell’incremento dell’incidenza delle grandi strutture commerciali sul preesistente assetto distributivo è preordinata alla pubblica utilità (C.d.S., V, 15 aprile 1991, n. 572) e che, in linea di principio, il relativo giudizio va parametrato agli interessi sovracomunali (C.d.S., V, 19 febbraio 1993, n. 246).

Non può ritenersi illogico, alla luce di quanto considerato, l’uso di uno strumento, quale il criterio delle medie regionali, per valutare l’obiettiva incidenza (e la relativa compatibilità) di una nuova struttura di grande distribuzione in relazione a interessi e a metodiche di politica commerciale in base alle quali si profila una ricerca del mantenimento di condizioni ritenute ottimali nell’ambito dell’intera regione.

a2): sulla delimitazione del bacino di utenza.

Le deduzioni degli appellanti sulla ingiustificata riduzione del bacino di utenza, non limitabile alla area gravitazionale n. 17, si fondano su argomenti non condivisibili.

La presumibile capacità di domanda della popolazione stabilmente residente e fluttuante, secondo i ricorrenti, dovrebbe essere commisurata non tanto all’area gravitazionale, che corrisponde al territorio della provincia di Cremona, ma a una più vasta estensione, che, tenendo conto della configurazione stretta e allungata di quella, comprenda aree limitrofe appartenenti alle province di Lodi, Piacenza, Parma, Bergamo, Brescia e Mantova. Per questa asserita particolarità anche i consumatori di altre province potrebbero essere indotti ad avvalersi del nuovo centro commerciale, aumentando così la nozione e la dimensione del bacino di utenza.

Questa interpretazione urta con dati non contestati con apposito rimedio giurisdizionale, quale ad esempio la ripartizione del territorio lombardo in aree gravitazionali dal punto di vista commerciale (e già sotto questo profilo la deduzione si rivela inammissibile).

A prescindere dall’ultimo assorbente rilievo, è comunque certo che la nozione di territorio circostante non possa essere affidata alla mera contiguità delle province, ma che debba tenere conto, secondo un apprezzamento tecnico discrezionale, delle normali potenzialità del mercato. In questo senso, la presenza di un centro commerciale al dettaglio in provincia di Cremona non genera automaticamente alcuna rilevante modificazione del contesto commerciale in altre aree, normalmente provviste di identiche strutture.

Il motivo, in buona sostanza, contempla un argomento a posteriori privo di qualsivoglia termine di riscontro che non sia la speranza dell’imprenditore di allargare al massimo il proprio giro d’affari.

Inoltre viene distorta la nozione di popolazione fluttuante, assumendosi per tale non già il complesso di persone non residenti che, per qualsivoglia motivo, gravitino per lacune ore al giorno nell’area in questione (e siano per questo motivo potenziali consumatori di beni offerti da centri commerciali della zona), bensì il complesso di soggetti che, in relazione all’apertura del centro commerciale, decidano di effettuare in quello i loro acquisti.

Tale concetto, fondato su una prospettazione futura e ipotetica oltre che priva di ogni riscontro, non è certamente utile per individuare una nozione tecnicamente molto definita di possibili consumatori.

Sub b): sul carattere astratto del criterio delle medie regionali.

Quanto rilevato relativamente al primo motivo vale evidentemente a respingere anche le deduzioni della seconda doglianza, che, per molti versi, ne costituisce riproduzione.

Va tuttavia sottolineato come l’argomentazione di fondo circa il carattere necessariamente concreto assegnato alla valutazione contenuta nel nulla osta regionale ex art. 25 della legge n. 426/1971 debba essere respinta, quanto meno nella sua prospettazione, per l’implicita confusione tra interessi collocati in diverso livello e con ricadute su aree territoriali non coincidenti.

Il nulla osta per cui è vertenza ha evidentemente ad oggetto interessi e compatibilità che travalicano il territorio del singolo comune in cui dovrebbe essere dislocata la struttura sicché si tratta di giudizio che contempera aspetti concreti (quali quelli collegati alla specificità dell’area comunale interessata dall’insediamento commerciale) e aspetti di ordine generale (quali la compatibilità della nuova struttura con il tessuto produttivo e distributivo dell’area di attrazione) che finiscono naturalmente per impingere nel concreto.

Il motivo è, pertanto, erroneo perché tende a far coincidere la valutazione astratta (che dovrebbe prescindere dal concreto) con quella generale (che, nel caso di specie, assolutamente non ne prescinde, anche se si colloca in un ordine di considerazioni che riguardano profili più ampi e meno specifici della singola vicenda).

Sub c): sulla asserita violazione del principio di libera concorrenza.

Si assume da parte degli appellanti che la scelta della Regione finisce per evidenziare una intensa tutela della categoria professionale dei piccoli commercianti a scapito della grande distribuzione che vedrebbe così leso il principio stabilito dall’articolo 41 della Costituzione.

Va, in primo luogo osservato, che le considerazioni svolte dagli appellanti non trovano alcun riscontro nel provvedimento impugnato, che prende atto della “marcata polverizzazione” del sistema distributivo italiano già all’epoca di emanazione della legge n. 426 del 1971 e perdurante, tuttavia, quasi vent’anni dopo.

La ratio ispiratrice dell’atto è dichiaratamente indirizzata al mantenimento delle condizioni ottimali per assicurare ai consumatori “un servizio diffuso e accessibile e al tempo stesso” per “non determinare squilibri gravi derivanti da un eccesso di concorrenzialità” (ultimi due righi di pagina 4 e primo rigo di pagina 5 del provvedimento contestato).

Le distorsioni del mercato per un eccesso di offerta riguardano, come è evidente, non solo gli esercizi commerciali di modeste dimensioni, ma anche altri centri commerciali di eguale o maggiore ampiezza di quello che gli appellanti vorrebbero aprire.

Quanto poi alla tematica della ritenuta violazione dell’art. 41 Cost., va rammentato che la libertà di commercio, espressione del principio di libera iniziativa economica, può subire limitazioni quando la sua applicazione arrechi pregiudizio all'utilità sociale e, precisamente, per gravi e preminenti motivi d'interesse pubblico, individuabili non nella tutela di posizioni corporative dei commercianti, ma nelle specifiche esigenze dei consumatori e nella stabilità di equilibrio dell'apparato distributivo (C.d.S., V, 6 novembre 1992, n. 1212): in altre parole tale diritto va comunque coordinato con il profilo dell'utilità sociale, che ne può costituire obiettivamente un limite. Il richiamo della Regione ai suindicati profili, esternati con congruo discorso giustificativo, rende evidente la coerenza del diniego opposto con il principio di utilità sociale nei cui confronti anche il principio di libera iniziativa economica può rivelarsi recessivo.

Sub d): sulla asserita carenza di istruttoria anche con riguardo alla ponderazione del bacino di utenza.

Sono smentite per tabulas le doglianze relative alla mancata convocazione di una conferenza di servizi, che per contro ebbe luogo il 21 ottobre 1996, e alla mancata istruttoria, essendo agevole riscontrare come la Regione appellata sia ricorsa al più ampio strumentario acquisitivo di fatti e di giudizi, non solo con riguardo ai pareri della Commissione regionale di commercio, a consulenze legali, a relazioni da parte del Comune interessato e a studi di settore.

Vengono riproposte nel contesto del medesimo mezzo le deduzioni già oggetto di disamina in ordine alla inadeguata valutazione del bacino d’utenza, fatto coincidere con l’area gravitazionale n. 17.

Valgono per la reiezione le osservazioni già esposte sub b).

Si compensano le spese anche di questo grado del giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta respinge l’appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma addì 30 novembre 2001 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta riunito in camera di consiglio con l’intervento dei Signori:

Alfonso Quaranta           Presidente

Giuseppe Farina            Consigliere

Corrado Allegretta          Consigliere

Paolo Buonvino              Consigliere

Filoreto D’Agostino         Consigliere est.

 

 

L'ESTENSORE                    IL PRESIDENTE             IL SEGRETARIO            IL DIRIGENTE

f.to Filoreto D’Agostino         f.to Alfonso Quaranta      f.to Francesco Cutrupi     f.to Pier Maria Costarelli

 

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