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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 3000/96, proposto da R. Accomando, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Romano, ed elettivamente domiciliato in Roma, v. Trasone n. 8 (studio Forgione),
contro
il Comune di Caronno Pertusella, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, II, 22 gennaio 1996, n. 59, resa inter partes, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dall’attuale appellante avverso l’ordinanza sindacale n. 9254 in data 6 ottobre 1987, di ingiunzione a demolire box prefabbricati ed altre opere abusive.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2002 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi gli avv.ti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato nel novembre 1987 l’attuale appellante, conduttore di terreni di proprietà ecclesiastica in Caronno Pertusella e svolgente sui medesimi attività agricola e di allevamento del bestiame, chiedeva al TAR Lombardia l’annullamento dell’ordinanza sindacale n. 9254, in data 6 ottobre 1987, con la quale veniva ingiunta la demolizione di opere (tre box prefabbricati, di cui due adibiti ad abitazione, un vano in muratura, una piccola stalla oltre a varie tettoie in legno e una struttura ad arco in ferro, appoggiata su basamento in calcestruzzo) realizzate senza la prescritta concessione edilizia e contrastanti con le N.T.A. del p.r.g. vigente, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi pena l’acquisizione gratuita di diritto delle opere medesime al patrimonio comunale.
Il ricorrente deduceva che le opere, realizzate da almeno venti anni, erano strettamente connesse alle necessità di conduzione del fondo, in quanto destinate al temporaneo ricovero del medesimo durante lo svolgimento dell'attività agricola.
2. Con la sentenza impugnata, in epigrafe indicata, il TAR adito respingeva il ricorso.
3. Il sig. Accomando ha interposto l’appello in trattazione, contestando le argomentazioni della pronunzia impugnata ed in definitiva ribadendo le proprie deduzioni di prime cure.
4. L’Amministrazione comunale intimata non si è costituita in giudizio per resistere all’appello.
Alla pubblica udienza dell’8 gennaio 2002 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello non merita accoglimento.
Con la sentenza impugnata, il TAR Lombardia respingeva il ricorso dell'attuale appellante, rilevando anzitutto che il provvedimento sindacale con il quale veniva ingiunta la demolizione delle opere abusive descritte in narrativa possedeva natura di atto dovuto e vincolato, e non richiedeva quindi ulteriori valutazioni circa l'interesse pubblico a disporre la demolizione, né rilevavano le considerazioni dedotte in ordine all'epoca in cui l’abuso era stato realizzato ed alla eventuale precarietà delle opere, oltre alla consistenza ed alla destinazione delle stesse.
L'eventuale compatibilità, inoltre, delle opere con la normativa urbanistica vigente, che sarebbe stata rilevante in sede di esame di un'eventuale istanza di sanatoria, nella specie mai presentata, non ne escludeva il carattere abusivo per la mancanza del relativo titolo di assenso.
Da ultimo, il ricorrente, in qualità di conduttore del fondo, sarebbe stato privo di interesse ad impugnare il provvedimento nella parte in cui prevedeva l'acquisizione al comune dell'area di sedime e delle opere abusive.
2. L’appello in trattazione, con cui sono state contestate le predette argomentazioni, non merita favorevole definizione per le motivazioni che seguono.
E’ opportuno prendere le mosse dalla circostanza, evidenziata dal Collegio di prime cure, per cui l’eventuale compatibilità delle opere con la normativa urbanistica vigente non può assumere efficacia dirimente in assenza di un’istanza di sanatoria, potendo tale profilo assumere precipuo rilievo ai fini dell’accertamento di conformità in sede di procedura di sanatoria dell’opera abusiva, ma non potendo esso costituire – come è ovvio – un implicito surrogato dell’assenso edilizio concretamente non rilasciato; del resto, va aggiunto per inciso, chi ha costruito senza concessione, seppur in conformità allo strumento urbanistico vigente, non gode nemmeno di un’aspettativa alla sanatoria (che, si ribadisce, nella specie non risulta peraltro essere stata richiesta) incondizionata e illimitata nel tempo.
3. Per questo motivo, ed è elemento direttamente connesso alle lagnanze del ricorrente, la conformità urbanistica non costituisce elemento che porta di per sé a declassare l’interesse pubblico a reagire contro l’abuso edilizio, con le conseguenze del caso sotto il profilo del corredo motivazionale del provvedimento ingiuntivo contestato.
4. Più in generale, va ribadito che il presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere edilizie abusive resta essenzialmente la constatata realizzazione dell’opera in assenza del titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), con la conseguenza che nella ricorrenza del predetto requisito l’ingiunzione demolitoria costituisce praticamente un atto dovuto, anche con riguardo all’effetto derivato della paventata acquisizione gratuita delle opere al patrimonio comunale, ed è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, salvo che per il lungo lasso di tempo trascorso si sia ingenerata, causa appunto il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta, una posizione di affidamento nel privato ( cfr. Cons. Stato, V, 19 marzo 1999, n. 286 e 5 marzo 2001, n. 1244; C.G.A.R.S. 23 aprile 2001, n. 183).
5. Ma, anche a tal ultimo proposito, l’intercedere argomentatorio del ricorrente non si appalesa convincente, non avendo egli portato, come gli competeva, decisivi elementi a sostegno e supporto delle generiche affermazioni rese circa la vetustà delle opere abusive in argomento.
6. Le predette considerazioni inducono necessariamente il Collegio a dichiarare il rigetto del gravame.
Non vi è pronunzia sulle spese di lite relative al presente grado di giudizio, attesa la mancata costituzione dell’Amministrazione comunale intimata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta.
Nulla per le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, l’8 gennaio 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Agostino Elefante Presidente
Giuseppe Farina Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Gerardo Mastrandrea Consigliere est.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO IL DIRIGENTE
f.to Gerardo Mastrandrea f.to Agostino Elefante f.to Franca Provenziani f.to Pier Maria Costarelli
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