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Consiglio di Stato, Sez. V, 28 giugno 2002, n. 3576.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente:

decisione

sul ricorso in appello n.r.g. 9948 del 2001, proposto da Italgas – Società italiana per il gas – s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Mario Alberto Quaglia e Federico Sorrentino ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, lungotevere delle Navi, n. 30,

contro

il Comune di Stradella, appellante incidentale, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Adavastro ed Eugenio Merlino, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via A. Genovesi, n. 3,

e nei confronti

della s.p.a. Broni – Stradella, non costituita,

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia , Sez. III, n. 3884/2001, pubblicata il 18 maggio 2001.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte sopra indicata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Visto il dispositivo della decisione, n. 84 pubblicato il 12/02/2002 a norma dell’art. 23-bis, comma sesto, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205;

Designato relatore, alla pubblica udienza del 5 febbraio 2002,  il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, gli avvocati difensori, come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. Il ricorso in appello n. 9948 del 2001 è stato notificato il 5 ottobre e depositato il 17 ottobre 2001.

La s.p.a. Italgas chiede la riforma della sentenza n. 3884/2001, pubblicata il 18 maggio 2001, del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, con la quale sono stati respinti i motivi del ricorso (tranne l’ultimo, relativamente al quale il T.A.R. ha fatto applicazione dell’art. 295, 1° comma, c.p.c.) proposto per l’annullamento:

della deliberazione consiliare del Comune di Stradella n. 64 del 21 dicembre 1999, di affidamento alla società controinteressata della gestione dell’impianto e della distribuzione del gas metano nel territorio cittadino;

della deliberazione consiliare del 30 novembre 1999, n. 58; delle note 29 dicembre 1999, 28 dicembre 1999, 14 ottobre 1999, 5 novembre 1999; della deliberazione di giunta n. 283 del 14 maggio 1999;

e degli atti connessi.

2. Riferiti i fatti ritenuti rilevanti, sono dedotte queste censure:

2.1. erroneità della sentenza. Violazione dell’art. 22, comma 3, lett. e), della l. 8 giugno 1990, n. 142; dei princìpi generali che regolano l’affidamento dei servizi pubblici locali; dei princìpi di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost. Violazione ed erronea applicazione dei decreti legislativi n. 157 e 158 del 1995;

2.2. erroneità della sentenza. Violazione dell’art. 22 suindicato, dei princìpi generali che regolano l’affidamento dei servizi pubblici locali; dei principi di imparzialità e buon andamento; del d.P.R. 16 settembre 196, n. 533;

2.3. erroneità della sentenza. Violazione dell’art. 22 e dei principi sopra indicati.

Con memoria depositata il 25 gennaio 2002, si controdeduce all’appello incidentale del Comune, di cui al paragrafo che segue, e si illustrano, con ulteriori approfondimenti, i motivi dell’appello.

3. Il Comune di Stradella ha notificato il 2 novembre e depositato il 6 novembre 2001 appello incidentale.

Riferisce i fatti che ritiene rilevanti e:

a) ripropone le eccezioni di inammissibilità e di tardività del ricorso di primo grado;

b) asserisce l’infondatezza dell’appello.

Con memoria depositata il 25 gennaio 2002, riespone le tesi sub a) ed enuncia analiticamente argomentazioni a confutazione dei singoli motivi d’appello.

4. All’udienza del 5 febbraio 2002, dopo la discussione, l’appello è stato introitato in decisione.

DIRITTO

1. Sono stati oggetto di impugnazione in primo grado:

la deliberazione del Consiglio comunale di Stradella n. 64 del 21 dicembre 1999, di affidamento alla società controinteressata, a decorrere dal 4 gennaio 2000, della gestione dell’impianto per il servizio pubblico di distribuzione del gas metano, per la parte di territorio che era in concessione alla società appellante;

la deliberazione dello stesso Consiglio n. 58 del 30 novembre 1999, con la quale è stato conferito mandato al Sindaco ed alla Giunta di verificare l’opportunità di assegnare la gestione del servizio suddetto alla società controinteressata, “società a prevalente capitale pubblico, costituita in base all’art. 22, comma 2, lett. a) (ma, più precisamente: comma 3, lett. e), della legge n. 142/90, che nel suo statuto, all’art. 2, n. 6, prevede la gestione di detti servizi, e della quale il Comune di Stradella è socio di maggioranza relativa”; nonché una serie di atti connessi;

gli atti, che la ricorrente dichiarava non conosciuti, di reperimento del socio privato da parte della società a partecipazione pubblica controinteressata.

2. Il Tribunale Amministrativo Regionale ha pronunciato sentenza parziale, sospendendo il giudizio su una censura, posto che l’illegittimità derivata, in essa sostenuta, esigeva la definizione di altro separato ricorso, ed ha respinto sia le eccezioni di inammissibilità formulate dalle parti resistenti, sia le singole restanti censure della ricorrente.

3. Nell’ordine logico vanno, dapprima esaminate le eccezioni di inammissibilità, riproposte con l’appello incidentale.

Nessuna di esse è da condividere.

3.1. Deduce il Comune che il bando di gara per il reperimento del socio privato andava tempestivamente impugnato. E ciò per la ragione che, nel ricorso introduttivo, la ricorrente ha imputato al bando stesso di non aver dato sufficientemente conto dei servizi gestiti dalla s.p.a. pubblica, e perché essa, non avendo partecipato alla gara, è priva di legittimazione all’impugnativa del suo esito. Inoltre, l’eventuale accoglimento dell’appello (e del ricorso introduttivo) condurrebbe alla caducazione dell’affidamento in gestione del servizio alla società pubblica, che sarebbe domanda incompatibile con la prima.

Va, in contrario, rilevato che gli atti di reperimento del socio privato sono sottoposti a critica nella parte in cui possano essere interpretati nel senso che la società a partecipazione pubblica sia riconducibile fra quelle previste dall’art. 22, comma 3, lett. e), della legge 8 giugno 1990, n. 142, sì da far ritenere illegittima la deliberazione di affidamento della gestione, la quale si basa sulla norma ora indicata per giustificare la misura adottata. Ne deriverebbe esclusivamente la caducazione della deliberazione comunale ora detta, che comporterebbe o l’indizione di una gara per affidare il servizio o un diverso assetto della partecipazione privata nella società pubblica. In questi limiti possono affermarsi la legittimazione e la sussistenza dell’interesse della ricorrente a dedurre le tesi che sub 4 si esamineranno.

3.2. Sostiene, ancora, il Comune che, criticandosi l’assetto proprietario della società pubblica, tuttavia il ricorso non è stato notificato all’evidente controinteressata in senso sostanziale, vale a dire l’associazione d’imprese private che detengono una parte minoritaria del capitale della società cui è stato conferito il servizio.

Il primo giudice ha ritenuto che l’unico soggetto giuridico formalmente controinteressato fosse l’affidatario del servizio. E la società pubblica era stata regolarmente intimata.

Le precisazioni fatte sopra, circa la strumentalità, nella presente controversia, della critica relativa all’acquisizione del socio privato, consentono di confermare tale statuizione. Non occorre perciò disporre l’integrazione del contraddittorio. Invero, l’omessa notificazione dell’appello ad una delle parti necessarie non consentirebbe, in ogni caso, la dichiarazione di inammissibilità pretesa dal Comune, ma, più semplicemente, l’onere della parte appellante di far luogo alla chiamata in giudizio dei soggetti non ancora destinatari di notificazione, dato che, in primo grado, la parte suddetta risulta notificataria del ricorso introduttivo.

3.3. Quanto all’eccezione di tardività, valgono le osservazioni già espresse sub 3.1.

3.4. Eccepisce, infine, il Comune l’inammissibilità per non essere ravvisabile alcun nesso razionale o teleologico fra gli atti impugnati.

Del nesso fra deliberazione d’affidamento ed atti di reperimento del socio privato, si è già posta in luce la sussistenza, con riguardo all’impugnazione specifica. Ed anche quello fra le due deliberazioni comunali, l’una propedeutica all’altra, è palesemente rinvenibile.

Neanche quest’ultima eccezione merita perciò adesione.

4. Con il primo motivo d’appello si critica il capo della sentenza impugnata, col quale sono stati respinti i primi tre motivi del ricorso introduttivo ed il motivo aggiunto, concernenti la riconducibilità, fra i servizi formanti oggetto dell’attività della società a partecipazione pubblica, anche del servizio in discussione.

Sostiene l’appellante che la situazione relativa alla società affidataria diretta, nell’ipotesi in esame e con riferimento al servizio in questione, non sia affatto tale da potersi invocare il modello della società a prevalente capitale pubblico. La società corrisponde al modello di legge, se la procedura per il reperimento del socio privato ha riguardato i servizi per i quali si fa poi luogo all’affidamento diretto, altrimenti il principio della concorrenza ne sarebbe vanificato. E la “gara europea” indetta per la società mista in discussione non si è svolta in vista dell’affidamento del servizio di distribuzione del gas, perché, nei relativi atti, si faceva menzione di “raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti”, di “collettamento e depurazione di scarichi civili e industriali”, ma non del servizio in parola. Occorre chiarezza nel rendere edotti i potenziali soci privati. Un qualsiasi riferimento generico ad altri servizi non sarebbe ammissibile.

Inoltre la sentenza appellata sarebbe inesatta anche là dove fa riferimento agli “altri servizi” di cui all’allegato 2 al d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157, posto che il servizio gas rientra fra quelli disciplinati dal d. lgs. n. 158 del 1995.

Pur esprimendo considerazioni che possono essere in parte condivise, deve tuttavia rilevarsi che la complessa censura non presenta, con riguardo al caso in esame, profili di fondatezza.

Appare esatta l’osservazione che, per farsi luogo all’affidamento diretto dei servizi pubblici locali, la società a prevalente capitale pubblico, cosiddetta “mista”, debba avere come oggetto sociale l’esercizio di siffatte attività.

Così come si deve ritenere che, a tutela effettiva della concorrenza, nelle procedure per l’acquisizione di partecipazioni private, i possibili interessati siano resi edotti delle attività svolte e delle attività potenziali della società conferitaria.

Ciò consente, per un verso, a ciascuno di essi un’adeguata ponderazione dell’impegno economico che potranno assumere e, per altro verso, che non si creino, artificiosamente, posizioni di privilegio, quali possono essere quelle derivanti da limitati orizzonti d’impegno iniziali, che vengano, in seguito, ad assumere ben maggiore consistenza, con un ampliamento delle opportunità economiche, non poste in luce al momento della gara per il reperimento del capitale o degli altri fattori produttivi che i privati si inducano ad apportare.

Nella specie, però, queste circostanze non sono rinvenibili.

Infatti, la società pubblica, nell’avviso, regolarmente pubblicato, per la collocazione di tre milioni di azioni del valore nominale di lire mille, non solo aveva specificato i servizi pubblici che essa gestiva, ma aveva rivolto l’invito ad una serie di soggetti esercenti i servizi enumerati negli allegati n. 1 e 2 del d. lgs. 17 marzo 1995, n. 157. Tali servizi, se comprendevano quelli di eliminazione di rifiuti, cui fa cenno l’appellante, già gestiti, contemplavano anche le manutenzioni e riparazioni, i trasporti terrestri, le attività finanziarie e bancarie, l’informatica, quelli attinenti all’architettura ed ingegneria. Ed infine gli “altri servizi”, così genericamente definiti nel n. 27 dell’allegato 2 al citato decreto legislativo.

L’avviso della procedura non dava perciò indicazioni riduttive né circa il possibile impegno immediato nella società, né circa la limitatezza delle attività economiche che vi potevano essere svolte.

Si trattava, inoltre, di una società per azioni. Il suo oggetto sociale, quale desumibile dall’atto costitutivo e dallo statuto, era perciò agevolmente conoscibile: artt. 2328, n. 3, 2329, n. 3, 2330, 2330 bis cod. civ. In particolare, il suo statuto all’art. 2, n. 6, vigente all’epoca, recava, fra le attività contemplate dall’oggetto sociale, la previsione di svolgimento di “eventuali pubblici servizi di natura diversa rispetto a quella sopra indicata” – che specificamente riguardavano rifiuti, acque, piani di sviluppo economico sociale e civile, difesa dall’inquinamento – “che enti locali e/o pubblici, anche non aderenti alla società, dovessero istituire ed affidare per la realizzazione e la gestione”. Le possibili attività della società erano dunque aperte ai più vari servizi pubblici.

In terzo luogo, appare ragionevole ritenere che l’acquisizione di soci privati, sia di minoranza, sia di maggioranza, nelle società in parola, non crea una sorta di cristallizzazione delle attività economiche possibili alla società mista, circoscrivendole a quelle gestite nel momento della gara. Questo effetto non si mostra coerente con la facoltà di costituire una società, che è strumento duttile, consentito dalla legge agli enti locali, per adeguare lo svolgimento di servizi pubblici loro commessi, di volta in volta che si modifichino le esigenze e le circostanze alle quali far fronte.

Ne segue che, dalla procedura di acquisizione di capitale privato, non può farsi discendere, a garanzia degli imprenditori che non abbiano inteso parteciparvi, come l’attuale ricorrente, la conseguenza ineliminabile che nessun’altra attività economica possa, in seguito, intraprendere la società mista. Questo effetto si configurerebbe, contraddittoriamente, come una sorta di premio, dato all’imprenditore privato che non abbia inteso o non abbia saputo valutare, appunto non partecipando alla gara, le potenzialità economiche derivanti dalla sua partecipazione nella società mista. E si mostra anche in conflitto con la chiara formula della norma, la quale consente l’affidamento diretto, qualora sia opportuno, di qualunque servizio pubblico locale alle società a prevalente capitale pubblico, egualmente locale.

In conclusione, una valutazione adeguata dell’avviso di procedura e dell’oggetto sociale della società e della norma di legge che consente l’affidamento diretto di pubblici servizi, dava corrette informazioni e consentiva compiute previsioni sulle possibilità offerte agli interessati a sottoscrivere la frazione di capitale sociale messa a gara, sicché risulta, per un verso, rispettata la regola della concorrenza e, per altro verso, legittimo l’affidamento, sotto il profilo considerato, alla società mista, del servizio di gestione dell’impianto e di distribuzione del gas metano nel Comune in questione.

5. Ripiegando su un assunto subordinato, l’appellante sottopone a critica l’altro capo della sentenza, col quale il T.A.R. ha giudicato non fondata la censura secondo la quale la società mista affidataria non risponde al modello di cui al citato art. 22.

La ricorrente rileva come il Comune possegga il 15,66% delle azioni e non abbia perciò una posizione maggioritaria. Una corretta lettura della norma condurrebbe a ritenere che il Comune debba possedere la maggioranza del capitale. Altrimenti opinando, sarebbe possibile la costituzione di una società mista partecipata da una pluralità di Comuni, complessivamente detentori della maggioranza del capitale, ma privi di potere di supremazia, o anche di sostanziale controllo, e quindi “concretamente in mano al socio privato”. Sotto altro punto di vista, il modello societario in esame presuppone, almeno, che il Comune, titolare del servizio, abbia una partecipazione “saliente e poteri speciali”. La prima si ha con la detenzione di almeno il venti per cento del capitale sociale (art. 1 del d.P.R. n. 533 del 1996) e la tesi dell’appellante sarebbe stata apoditticamente disattesa. Inoltre non si ravvisano poteri speciali nella facoltà di nomina di otto consiglieri di amministrazione su quindici, spettando al Comune di Stradella, in proporzione della sua ridotta quota azionaria, un altrettanto numero ridotto di nomine.

La Sezione ha avuto già modo di pronunciarsi sulla portata della previsione di cui all’art. 22, comma 3, lett. e) della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora art. 113, lett. e, del T.U. 18 agosto 2000, n. 267), disattendendo la prima tesi esposta dalla ricorrente.

La norma in esame prevede che comuni e province possono gestire servizi pubblici locali anche nella forma “di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio”, qualora sia opportuna “la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”. Ora, nel caso di compartecipazioni pubbliche, la tesi della ricorrente sposta il criterio dell’assunzione di un ruolo guida della società mista dall’insieme della compagine pubblica a ciascun ente locale partecipante. Ciò si pone in contraddizione tanto con la lettera della legge, quanto con lo scopo di essa, che sta nell’apprestare una forma di gestione dei servizi che consiste nella cooperazione tra l’interesse delle amministrazioni e quello dei privati imprenditori, ma anche nel consentire l’esercizio in comune di servizi da parte di più enti che abbiano interessi omogenei. Si spiega così la norma, che prevede la partecipazione anche di più soggetti pubblici, ma che riferisce la prevalenza del capitale, mediante il quale si esplica il controllo sulla società mista, all’insieme degli enti, non già a ciascuno di essi, singolarmente considerato. Il che poi non sarebbe possibile, giacché la posizione maggioritaria di uno di essi escluderebbe necessariamente quella di ogni altro.

L’interpretazione della norma ora data si mostra, d’altra parte, coerente con il contemporaneo disegno del legislatore mirante alla trasformazione (oltre che alla soppressione) dei preesistenti consorzi (come era, in precedenza, la società controinteressata) in società per azioni o in società a responsabilità, vale a dire in una delle forme previste dall’art. 22 della legge n. 142 del 1990. Infatti, l’art. 60 della stessa legge aveva stabilito un termine di due anni, poi prorogato, per far luogo alle predette operazioni. E non è dubbio che la trasformazione di un consorzio in forma societaria avrebbe dato luogo alla gestione di un servizio, affidato alla società stessa, nella quale la posizione maggioritaria di un ente locale non poteva sussistere per disposizione di legge, ma soltanto per un’eventuale speciale situazione pregressa, data la natura stessa del consorzio dal quale derivava.

La società per azioni affidataria del servizio in discussione si iscrive nel solco tracciato dall’art. 60, oltre che dall’art. 22, comma 3, lett. e) della legge n. 142 del 1990, e dunque in essa è consentita la partecipazione di più enti locali. E non sarebbe coerente con le norme che ne regolano le attività e le forme giuridiche, che, potendo svolgere servizi pubblici di comune interesse degli enti partecipanti (art. 156 T.U.L.C.P. n. 383 del 3.3.1934 e art. 25 della l. n. 142 del 1990) e potendo essere i consorzi trasformati in società di capitali, dopo questa operazione non siano loro ulteriormente conferibili altri servizi, riconducibili alla loro originaria competenza ed all’attuale oggetto sociale o all’attività contemplata dall’atto costituivo.

Dalle considerazioni svolte deriva altresì che non ha pregio la seconda tesi dell’appellante, circa la necessità che il Comune sia, quanto meno, titolare di una partecipazione non inferiore al quinto del capitale sociale, come sarebbe previsto dal regolamento (d.P.R. 16 settembre 1996, n. 533) sulla costituzione delle società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali. Si può anche aggiungere che tale criterio non sussiste, come fa palese, l’art. 1, comma 3, del d.p.r. se non per l’ente promotore della costituzione della società a capitale pubblico minoritario, sicché esso non caratterizza affatto l’intera materia e non può estendersi al diverso tipo di società di capitali, connotato dalla prevalenza della partecipazione pubblica locale.

6. Il terzo motivo dell’appello critica la statuizione della sentenza impugnata, che ha ritenuto non influente, rispetto alla materia del contendere, il sesto motivo del ricorso introduttivo concernente un’altra ragione espressa dal Comune, nella delibera di affidamento contestata. Questa consisteva nella considerazione che la controinteressata accettava la risoluzione automatica del rapporto costituendo, senza vantare alcun diritto, ove, per una successiva pronuncia giurisdizionale, l’attuale appellante, ed allora esercente del servizio, fosse reintegrata nella posizione di concessionaria, in virtù di altra norma, della quale, in questo giudizio, non si fa discussione.

L’appellante, per vero, chiarisce che la conclusione del T.A.R. sarebbe esatta, ma ripropone la censura per cautela, nella considerazione che la società controinteressata non sia legittimata all’affidamento diretto del servizio ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett. e), l. 142/1990.

La diversa conclusione raggiunta anche in questo grado consente, perciò, di mantenere ferma la sostanziale dichiarazione di inammissibilità per difetto di interesse della specifica censura.

7. Alla reiezione dell’appello si può far seguire, ricorrendo giusti motivi, la compensazione delle spese in questo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) respinge gli appelli.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma,  dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 5 febbraio 2002, con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone                         Presidente

Giuseppe Farina                       Consigliere  rel. est.

Aldo Fera                                  Consigliere

Francesco D’Ottavi                     Consigliere

Claudio Marchitiello                    Consigliere

 

L'ESTENSORE                               IL PRESIDENTE                 IL SEGRETARIO               IL DIRIGENTE

 f.to Giuseppe Farina                       f.to Claudio Varrone            f.to Luciana Franchini         f.to Pier Maria Costarelli

 

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