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 Massime della sentenza

  

 

Corte Cassazione penale, sez. III, 12 dicembre 2002 (ud. 29 ottobre 2002), n. 1359

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 


Corte di Cassazione penale Sez. III,  12 dicembre 2002 (ud. 29 ottobre 2002), n. 1359


Pres. A. Postiglione - Cons. F. Novarese, A. Teresi, L. Piccialli, M.Gentile - Ric. G.L. - Est. F. Novarese


Omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


G.L. ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Pescara in sede di riesame, emessa il 22 aprile 2002, con la quale veniva rigettata l’istanza di dissequestro di un’area sita all’interno di un opificio industriale adibita a stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, effettuato, in via di urgenza, dalla Guardia di finanza, e disposto dal GIP ii 26 marzo 2002, deducendo quali motivi la carenza di motivazione con violazione dell’art. 125, c.p.p., giacché si fonda sulle fotografie e, quindi, su una percezione visiva e non sulla sussistenza del reato, l’insufficienza della motivazione circa la configurabilità dei reati ipotizzati, in quanto non sono contrastate le deduzioni difensive ed in ordine alla violazione paesaggistica non è considerata la deroga prevista per lo stabilimento Ausimont dallo strumento urbanistico, la manifesta illogicità della motivazione, perché viene richiesto iI rilascio dell’autorizzazione per lo stoccaggio dei rifiuti e si sostiene iI suo rilievo in ordine al reato paesistico, la violazione e falsa applicazione degli artt. 6,7 e 51 D.Lgs. n. 22 del 1997, poiché non si è ritenuto sussistente un deposito temporaneo anche per i rifiuti da scavo e demolizione, provenienti dalla produzione, anche se in dismissione, in quanto relativi alla costruzione di una nuova struttura aziendale, e la violazione dell’art. 1, comma 17, legge n. 443 del 2001, che ha escluso l’applicabilità del D.Lgs. cit. per le terre e le rocce di scavo, non considerate più rifiuti.


MOTIVI DELLA DECISIONE


I motivi addotti sono infondati, sicché iI ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Infatti, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte ex art. 325, primo comma, c.p.p. (Cass., sez. Il, 4 giugno 1997, n. 3808, B. rv. 209599 cui adde Cass., sez. III, lì giugno 2001, n. 23643, A.) non è consentito dedurre iI vizio motivazionale in ordine al ricorso per cassazione sulle misure cautelari reali, in base all’esplicito dettato normativo, il quale non può essere stravolto o aggirato, includendo tra le «violazioni di legge» anche iI vizio motivazionale, espressamente contemplato da una specifica disposizione (art. 606, lett. e, c.p.p.), tranne il caso di carenza totale di motivazione, costituente più un’ipotesi di scuola.


Pertanto sono inammissibili i primi tre motivi, che, a vario titolo ed, a volte, in modo contraddittorio (la motivazione non è apparente se è insufficiente e manifestamente illogica), trattano di vizi motivazionali.


Per quanto attiene agli altri due, l’ultimo è in-fondato, giacché la c.d. legge Lunardi (n. 443 del 2001) si riferisce al materiale da scavo e non a quello proveniente dalla demolizione di edifici.


Tale esegesi è tutta interna agli interessi protetti ed agli obiettivi della legge citata, appare funzionale all’esecuzione delle grandi opere ed esclude i rifiuti derivanti da attività di demolizione e costruzione, contemplati dallo stesso art. 7 D.Lgs. cit., in quanto facilmente conferibili in discarica.


Né una simile disposizione appare in contrasto con l’art. 3 Cost. per l’evidente disparità di trattamento tra imponenti materiali provenienti da scavo, sottratti alla disciplina del decreto legislativo n. 22 del 1997, rispetto a quelli più modesti derivanti da demolizione, ritenuti ancora rifiuti, poiché detta difformità è giustificata dall’importante funzione svolta dagli interventi previsti da detta legge, mentre costituiscono differenti questioni, non rilevanti ai fini della presente decisione, quelle relative al rispetto delle normative comunitarie ed al contemperamento dei predetti interessi con quello alla tutela dell’ambiente, costituzionalmente garantito (cfr. Cass., sez. III, c.c. 14 marzo 2002, Li P.).

In ordine all’altra censura circa la configurabilità di un deposito temporaneo, la disciplina delle condizioni previste per aversi deposito temporaneo prevede al n. 3 che «i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i venti metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se ii quantitativo di rifiuto non supera i 20 metri cubi nell’anno e se, indipendente dalle quantità, ii deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori» ed al n. 4 che «il deposito temporaneo deve essere effettuato per tipi omogenei e nel rispetto delle relative norme tecniche», mentre deve sempre trattarsi di un «raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti».


La su riferita norma è stata oggetto di due differenti analisi ermeneutiche.


Infatti da alcuni fautori di una esegesi a livello letterale si è ritenuto definitivamente chiarita la duplicità di alternative, quantitativa e temporale, anche se si sottolineava l’inutilità del limite quantitativo e si evidenziava la sostanziale coincidenza dei termini «raggiunge» e «non supera» i 20 metri cubi, sicché si finiva con il non comprendere i differenti periodi temporali (tre mesi ed un anno), onde si proponeva una diversa lettura nel senso che, ove nel corso di tutto l’anno non fossero stati superati i 20 metri cubi, i rifiuti potevano essere tenuti in deposito temporaneo per un termine maggiore dei tre mesi fino ad un anno.


Da una parte della dottrina si faceva rilevare come il dato testuale finiva con il creare un’alternativa in realtà inesistente e con l’attribuire un’interpretazione abrogante al limite quantitativo, sicché si era in presenza di un risultato logicamente incompatibile e, in parte, in contrasto con i principi comunitari e con il fondamentale diritto alla salute.


Pertanto si proponeva un’altra analisi ermeneutica in base alle decisioni comunitarie ed al principio, secondo cui, ove la norma consenta un’esegesi conforme a Costituzione, il giudice è tenuto a farla propria, dovendo sollevare questione di legittimità costituzionale solo se risulta impossibile fornire un’interpretazione adeguatrice (cfr. Corte Cost. n. 356 del 1996).


Inoltre, qualora si debbano interpretare normative nazionali attuative di direttive comunitarle, ove siano possibili una pluralità di soluzioni ermeneutiche, occorre privilegiare quella più aderente alla normativa comunitaria ed ai relativi principi, tanto più allorché sia intervenuta una decisione della Corte di Giustizia europea su una questione preliminare sollevata ai sensi dell’art. 171 del Trattato.


La differente lettura della norma valorizza un’esegesi complessiva della disciplina del deposito temporaneo quale risulta nel pensiero del legislatore ed, aggiungasi, in armonia con diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e con i principi comunitari quali risultano chiaramente esposti da pronunce della Corte di Giustizia europea.


Punto di partenza di questa analisi ermeneutica è la seconda parte del n. 3 in cui è prevista la durata massima di un anno del deposito temporaneo, qualora i rifiuti non pericolosi depositati non superino, complessivamente, nell’arco di tutto l’anno i 20 metri cubi, ed è stabilita un’eccezione dovuta alle particolari difficoltà di trasporto per le isole minori, per le quali il termine massimo è sempre identico, «indipendentemente dalle quantità» complessivamente depositate. In questo caso la norma è chiara, pur se l’espressione «indipendentemente dalle quantità», necessita di un’integrazione, discendente dalla struttura del periodo e dalla «ratio» del termine massimo.


Il legislatore, quindi, considera accettabile, in quanto poco rischioso per l’ambiente e conforme ai principi sanciti dagli artt. 4 e 8 della direttiva 75/442, un deposito temporaneo che, senza troppi obblighi e controlli ed in deroga all’art. 8 della direttiva comunitaria, non superi come quantità complessiva i venti metri cubi, consentendone una durata superiore al limite trimestrale e fino al massimo di un anno, ove non superi, complessivamente, in questo arco temporale detta quantità, salvo l’eccezione, relativa sempre alla quantità complessiva, contemplata per le isole minori (cfr. Cass., sez. III, 21 aprile 2000, n. 4957, R. ed altri rv. 215946 cui adde Cass., sez. III, 5 aprile 2001, n. 13808, P.M. in proc. C. rv. 218968 e Cass., sez. 111,10 agosto 2001, n. 31128, P.M. in proc. M. rv. 31128).


Da tale principio discende che qualora questo limite quantitativo venga superato, in qualsiasi arco temporale, non si può usufruire di una disciplina permissiva e derogatoria senza contravvenire ad alcuni principi comunitari, sicché alla luce di questa regola generale, costituente il fondamento della particolare normativa sul deposito temporaneo, si deve interpretare la prima parte della terza condizione stabilita dall’art. 6, lett. m), D.Lgs. n. 389 del 1997, modificativo del D.Lgs. n. 22 del 1997.


Pertanto le due alternative del primo periodo ~ devono essere interpretate nel senso che «i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito» cioè anche se non superano i venti metri cubi vale a dire indipendentemente dal raggiungimento delle quantità massime consentite in deposito «ovvero, in alternativa» cioè in ogni caso «quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi raggiunge i venti metri cubi».


In questa ipotesi come è avvenuto con il secondo periodo la locuzione «indipendentemente dalle quantità in deposito» necessita di un’integrazione che discende dalla struttura del periodo (l’espressione «in alternativa» può ben introdurre la condizione principale) e dalla volontà del legislatore.


Pertanto la seconda parte della condizione n. 3 introduce un’ulteriore eccezione al limite temporale, consentendo il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi, qualora gli stessi in tutto l’arco temporale e cioè complessivamente non superino i venti metri cubi, e palesa in maniera ancora più evidente come sia la determinazione quantitativa quella decisiva.


La cadenza trimestrale, quindi, della prima parte del periodo di cui alla condizione n. 3 per aversi un deposito temporaneo finirà con l’assumere un autonomo rilievo solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori a venti metri cubi ed avviati alle operazioni di recupero o smaltimento prima di raggiungere detto limite quantitativo, sicché, ove non si siano superati complessivamente i venti metri cubi, sarà possibile mantenere il deposito temporaneo per il termine massimo di un anno, mentre, in ogni caso, si deve effettuare detto avviamento quando si raggiungono i venti metri cubi.


Peraltro, nella fattispecie, sarebbe sufficiente evidenziare che non si tratta di rifiuti prodotti direttamente dall’ azienda anche a volerli ritenere come «materiali accumulati nell’area oggetto di sequestro (provenienti) da attività di scavo e di demolizione di opifici industriali... connessi alla realizzazione di una nuova struttura industriale» e quindi «provenienti dalla produzione, anche se in dismissione» (pagg. 6 e 7 del ricorso), in base alle affermazioni del ricorrente, in parte contraddette dall’imputazione in cui si fa riferimento anche ad asfalto di strade.


Infatti, secondo un indirizzo di questa Corte (Cass., sez. III, n. 13808 del 2001), non si tratterebbe mai di un deposito temporaneo, poiché i rifiuti non attengono alla produzione dell’opificio (contro Cass., sez. III, n. 4957 cit.). Peraltro, non si è in presenza di materiale omogeneo (asfalto e detriti di demolizione), la presenza delle condizioni per la sussistenza di un deposito temporaneo non possono essere dedotte in sede di riesame, attesa la natura di detto mezzo di impugnazione (Cass., sez. III, 5 aprile 2001, n. 13808 cit. rv. 218969, contro per implicito Cass., sez. III, n. 31128 cit., purché non siano necessarie particolari indagini, dovendo il giudice del riesame accertare l’astratta configurabilità del reato) ed, in ogni caso, anche aderendo all’orientamento che ammette la possibilità di un deposito temporaneo per i rifiuti non provenienti dalla produzione dell’opificio industriale in contrasto con la definizione di luogo di produzione di cui all’art. 6, lett. i), D.Lgs. n. 22 del 1997, ma dalla parziale ristrutturazione dello stesso, poiché detti rifiuti non possono risultare dal registro di carico e scarico~ proprio perché non inerenti alla produzione, era onere della parte dimostrare la sussistenza delle condizioni quantitative e temporali, in base alle quali lo stesso è ammissibile.


Pertanto, sotto numerosi e differenti profili, anche accedendo alle tesi più ampie di questa giurisprudenza di legittimità, non appare fondata detta censura, al limite dell’inammissibilità.


P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti – Deposito temporaneo – Smaltimento e recupero dei rifiuti non pericolosi - Condizioni e limiti - art. 6, lett. m), n. 3, D. L.vo n. 22/1997. Si configura la previsione contenuta nell’art. 6, lett. m), n. 3 del Decreto Legislativo n. 22/1997, quando i rifiuti non pericolosi non vengono raccolti e avviati allo smaltimento o al recupero con cadenza trimestrale, indipendentemente dal raggiungimento delle quantità massime consentite in deposito oppure in alternativa quando vi sia un superamento dei 20 metri cubi. In questo caso, il deposito temporaneo dei rifiuti non pericolosi è consentito per un limite temporale di un anno a condizione che gli stessi non superino i 20 metri cubi. Pres. Postiglione – Est. Novarese – Ric. Guarracino. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III del 12 dicembre 2002 (Ud. 29 ottobre 2002), Sentenza n. 1359.

 

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