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 Massime della sentenza

 

 

CASSAZIONE PENALE, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Cassazione Penale,  sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), n. 39744
Pres. P. Onorato - Ric. D.G.


Omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza 31 ottobre 2001 la Corte di Appello di Trento confermava la sentenza 18 settembre 2000 del Tribunale di Trento - Sezione distaccata di Cavalese, che aveva affermato la penale responsabilità di D.G. in ordine ai reati di cui:


- agli artt. 146 e 163 D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985) per avere, nella qualità di gestore dei rifiuti Reatto e Contrin, in territorio del Comune di Pozza di Fassa, senza la prescritta autorizzazione, realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico i seguenti lavori:


- costruzione, in aderenza al rifugio Reatto, di un manufatto con pareti in blocchi tipo «calcespan» e copertura monofalda in legno delle dimensioni di mt. 8,50 >< 3,30 X 2,40;


- apertura di una porta sul prospetto sud del rifugio Contrin;


- posa di tubazioni, su terreno a pascolo gravato da diritto di uso civico, con relative opere di presa nell’alveo del rio Contrin - acc. nel maggio del 1997;


- all’art. 734 cod. pen. (per avere deturpato bellezze naturali):


- alterando il corso del rio Contrmn mediante scarico abusivo incontrollato nello stesso di acque reflue dei rifugi da lui gestiti;


- alterando un’area boscata di circa mq. 25, sottostante il rifugio Contrin, mediante dispersione di gasolio;


- alterando un’area a pascolo gravata pure da diritto di uso civico mediante la posa in superficie di ml. 300 di tubazioni con relative opere di presa sul rio Contrin);


- all’art. 50, 2° comma, D.Lgs. n. 22/1997 (per non avere ottemperato al E ordinanza n. 29 dell’8 settembre 1997 del Sindaco di Pozza di Fassa, che imponeva la bonifica dei terreni oggetto dello sversamento di gasolio);


- all’art. 51, 2° comma, D.Lgs. n. 22/1997 (per avere abbandonato in modo incontrollato rifiuti consistiti in mc. 4 di materiale terroso impregnato di gasolio in località «al Gazo» di Predazzo - acc. fino al 23 luglio 1998) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, rispettivamente unificate nel vincolo della continuazione le violazioni al D.Lgs. n. 490/1999 e le contravvenzioni restanti, lo aveva condannato alle pene di mesi uno di arresto e lire 20 milioni di ammenda, per i reati paesaggistico-ambientali e di giorni venti di arresto e lire 500.000 di ammenda per le altre contravvenzioni, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi ex art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D., iI quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e della mancanza e manifesta illogicità della motivazione:


- l’insussistenza dei reati di cui all’art. 163 D.Lgs. n. 490/1999, in quanto le condotte accertate non sarebbero «caratterizzate da un oggettivo substrato di offensività».


La fattispecie incriminatrice prevederebbe un reato «di pericolo concreto», non astratto o presunto, ed un pericolo effettivo dovrebbe escludersi sia per l’entità oggettiva degli interventi realizzati sia in considerazione delle intervenute sanatorie edilizie rilasciate previo nulla-osta del 19 dicembre 1997 della Giunta provinciale di Trento, evidenziante l’assenza di qualsiasi aggressione al bene-ambiente giuridicamente protetto;


- la intervenuta prescrizione delle contravvenzioni accertate nel maggio del 1997.


MOTIVI DELLA DECISIONE


I. La prima doglianza svolta in ricorso è manifestamente infondata.


1.1 Devono ribadirsi infatti, in proposito, i principi già enunciati da questa Corte Suprema (vedi, tra le molteplici pronunzie, Cass., sez. III, 27 novembre 1997, ric. Zauli ed altri; 7 maggio 1998, ric. Vassallo; 13 gennaio 2000, ric. Mazzocco ed altro; 5 ottobre 2000, ric. Lorenzi; 29 novembre 2001, ric. Zecca ed altro; 15 aprile 9002 ric. P.G. in proc. Negri; 14 maggio 2002, ric. Migliore) secondo i quali iI reato di cui all’art. i sexies della legge n. 431/1985 (attualmente art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999) è reato di pericolo astratto e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici.


Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall’art. 151 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma «di qualunque genere» (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; nell’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).


Il legislatore, imponendo la necessità dell’autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell’impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A. sia posta di fronte al fatto compiuto.


La fattispecie incriminatrice è rivolta a tutelare sia l’ambiente sia, strumentalmente e mediatamente, l’interesse a che la P.A. preposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione:


la salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale. Ne consegue che l’offensività del fatto, in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, deve essere anzitutto correlata al rispetto del bene intermedio (o «funzione»).


L’offensività del fatto illecito, in materia di tutela penale dell’ambiente, è stata diffusamente analizzata - nelle prospettazioni dottrinarie e giurisprudenziali e pure con riferimento ai connotati concettuali controversi - da Cass., sez. III, 10 dicembre 2001, Zucchini, ove è stato enunciato iI principio che l’offensività del fatto concreto debba essere valutata in relazione alla specifica condotta incriminata, con riferimento alla natura, finale o intermedia, dell’interesse protetto.


La fattispecie in esame - come esattamente evidenziato dalla Corte di merito - è caratterizzata ad evidenza dall’esecuzione di opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l’ambiente: sussiste, pertanto, un effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell’interesse della P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.


La realizzazione ex novo di un manufatto di circa 30 mq., la modificazione del prospetto di un edificio e l’installazione delle tubazioni, già in astratto e prima della loro realizzazione, dovevano prospettarsi oggettivamente idonee a compromettere i valori del paesaggio e ciò in quanto esse intrinsecamente incidono in maniera apprezzabile, in senso fisico ed estetico, sull’assetto ambientale-territoriale e sono riconducibili a quell’attività di modificazione del territorio, in relazione alla quale iI regime autorizzatorio si pone come necessario ed ineludibile.


1.2 Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, iI successivo rilascio dell’autorizzazione paesistica, da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, non determina l’estinzione del reato di cui all’art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985), poiché tale effetto (diversamente da quanto stabilito eccezionalmente dall’art. 39, 80 comma, della legge n. 724/1994) non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa (vedi Cass., sez. III, 12 dicembre 1995, ric. P.M. in proc. Mingardi; 30 maggio
1996, ric. Giusti; 18 febbraio 1998, ric. P.M. in proc. Cappelli; 15 giugno 1998, ric. P.M. in proc. Stefan; 6 luglio 1998, ric. Capolino; 17 novembre 1998, ric. Antognoli ed altro; 4 febbraio 1999, ric. De Laurentiis).


Anche la Corte Costituzionale - con l’ordinanza n. 158 del 1998 - ha-osservato che «la sopravvenienza dell’autorizzazione è irrilevante ai fini della sottoposizione a sanzione penale ai sensi dell’art. 1 sexies (sentenza n. 318 del 1994); infatti, l’autorizzazione intervenuta dopo l’inizio dell’attività soggetta al necessario previo controllo paesaggistico non è sufficiente per rimuovere in via generale l’antigiuridicità penalmente rilevante dell’attività già compiuta in assenza di titolo abilitativo».


Sempre il Giudice delle leggi - con l’ordinanza n. 46 del 2001 - ha ribadito la manifesta infondatezza, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 22 della legge n. 47/1985, nella parte in cui non viene previsto che il rilascio della concessione edilizia in sanatoria (c .d. «di regime») estingua, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale (vedi pure, per i rapporti con la normativa eccezionale in tema di condono edilizio, l’ordinanza n. 327 del 2000 e la sentenza n. 85 del 1998). L’unico effetto, che deriva dal provvedimento c.d. di «sanatoria ambientale», è l’esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, poiché l’Amministrazione ha valutato l’intervento e lo ha ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dell’area interessata.


2. Il termine ultimo di prescrizione dei reati di cui all’art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 (capi 1, 2 e 3 della rubrica), accertati nel maggio del 1997, si è compiuto nel novembre del 2001, sicché essi sono prescritti.


Sono pure prescritte, fino al 23 luglio 2001, le contravvenzioni di cui all’an. 734 cod. pen. (capi 5, 6 e 7 della rubrica).


Le violazioni degli artt. 50 e 51 del D.Lgs. n. 22/1997 (capi 8 e 9 della rubrica) si sono protratte, invece, fino al 23 luglio 1998, sicché il relativo termine ultimo di prescrizione scadrà il 23 gennaio 2003.


La sentenza impugnata - conseguentemente -deve essere annullata senza rinvio, limitatamente ai reati di cui ai capi 1), 2) e 3) della rubrica, perché estinti per prescrizione, e devono essere totalmente elisi sia la relativa pena di mesi uno di arresto e lire 20 milioni di ammenda sia l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.


La sentenza medesima deve essere altresì annullata in ordine ai reati di cui all’art. 734 cod. pen. (capi 5, 6 e 7 della rubrica), perché anch’essi sono estinti per prescrizione, ma questa Corte non può procedere alla concreta determinazione della pena - da elidere - correlata a tali reati, poiché i giudici del merito:


- hanno posto dette contravvenzioni in continuazione con quelle di cui al D.Lgs. n. 22/ 1997;


- non hanno individuato il reato ritenuto «più grave» ai fini della continuazione, né hanno specificato l’entità dei singoli aumenti apportati alla pena-base ex art. 81 cpv. cod. pen.;


- hanno complessivamente inflitto la pena congiunta dell’arresto (giorni 20) e dell’ammenda (lire 500.000) senza tenere conto che le pene edittale sono previste: nella sola ammenda per i reati di cui all’art. 734 cod. pen.; nel solo arresto per la violazione dell’art. 50, 2° comma, del D.Lgs. n. 22/1997 (non essendo stato contestato l’abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi).


L’annullamento, pertanto, deve essere disposto con rinvio alla Corte di appello di Brescia (sede più vicina, avendo la Corte territoriale di Trento un’unica Sezione penale), per la determinazione della pena in ordine alle restanti violazioni del D.Lgs. n. 22/1997 (capi 8 e 9 della rubrica), previa scissione del vincolo della continuazione con i reati di cui all’art. 734 cod. pen., ormai prescritti, ed elisione di ogni sanzione per tali reati.


P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 620 e 623 c.p.p., annulla la sentenza impugnata, senza rinvio, in ordine ai reati di cui all’art. 163 D.Lgs. n. 490/ 1999 (capi 1, 2 e 3 della rubrica), perché estinti per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi uno di arresto e lire 20 milioni di ammenda nonché l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.


Annulla altresì la sentenza impugnata, limitatamente ai reati di cui all’art. 734 cod. pen. (capi 5, 6 e 7 della rubrica), perché estinti per prescrizione, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, per la determinazione della pena relativa ai residui reati di cui al D.Lgs. n. 22/1997 (capi 8 e 9 della rubrica).


Rigetta iI ricorso nel resto.


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

1) Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - deturpamento o distruzione - configurabilità dell’illecito - art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 – sussistenza - salvaguardia del bene ambientale - astratta idoneità lesiva della condotta. II reato di cui all’art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (attualmente art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999) è reato di pericolo astratto e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici. La salvaguardia del bene ambientale è anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale. Ne consegue che l’offensività del fatto, in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, deve essere anzitutto correlata al rispetto del bene intermedio (o «funzione»). Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744

2) Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali - modificazione dell’assetto del territorio - l. n. 1497 del 1939 - configurabilità dell’illecito - art. 151 del D.Lgs. n. 490/1999 - alterazione naturalistica – limiti - alterazione giuridica – necessità. Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell’autorizzazione già prevista dall’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall’art. 151 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - ogni modificazione dell’assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma «di qualunque genere» (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici; nell’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia). Il legislatore, imponendo la necessità dell’autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell’impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A. sia posta di fronte al fatto compiuto. Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744

3) Beni culturali e ambientali - Bellezze naturali – l’autorizzazione paesistica postuma non determina l’estinzione del reato - art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 - Corte Costituzionale Ord. n. 158 del 1998 - reato ambientale - sussiste. II successivo rilascio dell’autorizzazione paesistica, da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, non determina l’estinzione del reato di cui all’art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985), poiché tale effetto (diversamente da quanto stabilito eccezionalmente dall’art. 39, 80 comma, della legge n. 724/1994) non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa (vedi Cass., sez. III, 12 dicembre 1995, ric. P.M. in proc. Mingardi; 30 maggio 1996, ric. Giusti; 18 febbraio 1998, ric. P.M. in proc. Cappelli; 15 giugno 1998, ric. P.M. in proc. Stefan; 6 luglio 1998, ric. Capolino; 17 novembre 1998, ric. Antognoli ed altro; 4 febbraio 1999, ric. De Laurentiis). Anche la Corte Costituzionale - con l’ordinanza n. 158 del 1998 – ha osservato che «la sopravvenienza dell’autorizzazione è irrilevante ai fini della sottoposizione a sanzione penale ai sensi dell’art. 1 sexies (sentenza n. 318 del 1994); infatti, l’autorizzazione intervenuta dopo l’inizio dell’attività soggetta al necessario previo controllo paesaggistico non è sufficiente per rimuovere in via generale l’antigiuridicità penalmente rilevante dell’attività già compiuta in assenza di titolo abilitativo». Pres. P. Onorato - Ric. D.G. Cassazione Penale, sez. III, 26 novembre 2002 (ud. 4 ottobre 2002), sentenza n. 39744

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